Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dall’esaltazione romantica dell’arte come conoscenza suprema all’applicazione del metodo delle scienze naturali agli studi letterari, teorizzata dal positivismo, il dialogo fra le "due culture" percorre tutto il XIX secolo, arricchendo l’universo della letteratura attraverso la nuova ottica scientifica e richiamando l’attenzione degli scienziati sui problemi della scrittura e della comunicazione.
Come ha osservato Wolf Lepenies (1985), tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, in coincidenza con il tramonto dell’enciclopedica storia naturale e l’affermazione delle singole specializzazioni scientifiche, viene meno l’unità dei saperi che aveva caratterizzato i secoli precedenti e comincia a determinarsi tra letteratura e scienza quella frattura che darà poi vita al lungo e animato dibattito fra le "due culture". Il ruolo di autore e quello di scienziato, ancora inscindibilmente uniti nell’opera di Buffon, divergono progressivamente a mano a mano che si impone in ogni settore il processo di professionalizzazione dell’impresa scientifica, sottratta definitivamente all’iniziativa di "dilettanti" e "virtuosi" e organizzata in forme istituzionali sempre più regolamentate e cogenti. La fama e il prestigio sociale dello scienziato dipendono ora dalle scoperte conseguite e dall’impegno profuso nelle ricerche sul campo, non più dalle qualità di scrittore. E anche il crescente riconoscimento pubblico delle scienze naturali come attività socialmente utili deriva ormai esclusivamente dall’efficacia degli esperimenti di laboratorio e dall’elaborazione di una conoscenza essenzialmente applicativa, potenziata da un ingente incremento della tecnologia, in grado di manipolare e trasformare la natura a vantaggio dell’uomo. Il positivismo finisce così per sancire il divorzio dell’uomo di scienza dal modello inclusivo e universale dell’ homme de lettres. Se è vero, però, che all’interno della nuova immagine del sapere uno spazio sempre minore viene concesso agli ideali retorici della tradizione umanistica, nel corso dell’Ottocento il processo di separazione tra scienza e letteratura non si svolge in modo uniforme. Esso assume caratteri diversi a seconda delle discipline interessate e delle differenti realtà geo-culturali, suscitando una vasta e appassionata discussione che, con i suoi interrogativi sulla funzione e il destino della poesia nella società moderna, ripropone il problema dei rapporti tra le due culture lungo l’intero arco del secolo, intersecandone inevitabilmente gli eventi culturali più significativi, dalla polemica tra classicismo e romanticismo sino all’affermazione delle scienze sociali e del positivismo.
Nella prospettiva antiromantica del Discorso di un italiano, il giovane Leopardi istituisce una contrapposizione frontale tra la scienza e l’immaginazione poetica, ravvisando in quest’ultima l’unica facoltà in grado di ricreare – per quanto in modo illusorio – il rapporto diretto e ingenuo dell’uomo con la natura distrutto dall’avvento della ragione. Ma d’altra parte è proprio il riconoscimento di questa antinomia a contraddistinguere la condizione "sentimentale", per riprendere la famosa definizione schilleriana, del poeta moderno, irrimediabilmente separato dal mondo della natura.
Sicché lo stesso Leopardi non può non rilevare, negli appunti dello Zibaldone, l’influenza dei “sistemi puramente fisici sugl’intellettuali e metafisici”, osservando come la teoria copernicana abbia frantumato l’universo antropocentrico tolemaico e cristiano, decentrando l’uomo in un’infinita "pluralità" di mondi. Il pessimismo leopardiano mira soprattutto a colpire – mettendone in luce le interne contraddizioni – l’ingenua fiducia nel progresso e i facili auspici di un’alleanza pacifica tra la ragione scientifica e il sentimento poetico, espressi in quegli anni sui fogli del "Conciliatore" dai romantici italiani. In fondo però i romantici italiani mirano semplicemente a trasporre entro un contesto positivo e borghese alcune grandi intuizioni profetiche della tradizione romantica tedesca e inglese che, mentre riafferma con vigore la centralità conoscitiva e il valore di verità della poesia, non rifiuta il confronto con la nuova ottica scientifica, con il suo nuovo modo di percepire e descrivere le relazioni tra gli oggetti e il rapporto dell’uomo con la natura.
Una prova in mille di quanto influiscano i sistemi puramente fisici sugl’intellettuali e metafisici, è quello di Copernico che al pensatore rinnuova interamente l’idea della natura e dell’uomo concepita e naturale per l’antico sistema detto tolemaico, rivela una pluralità di mondi mostra l’uomo un essere non unico, come non è unica la collocazione, il moto e il destino della terra, ed apre un immenso campo di riflessioni, sopra l’infinità della creature che secondo tutte le leggi d’analogia debbono abitare gli altri globi in tutto analoghi al nostro, e quelli anche che saranno benché non ci appariscano intorno agli altri soli cioè le stelle, abbassa l’idea dell’uomo, e la sublima, scuopre nuovi misteri della creazione, del destino della natura, della essenza delle cose, dell’esser nostro, dell’onnipotenza del creatore, dei fini del creato ec. ec.
Giacomo Leopardi, Zibaldone, edizione critica a cura di G. Pacella, Milano, Garzanti, 1991
Proprio nel manifesto del romanticismo inglese – la prefazione alle Lyrical ballads – Wordsworth, individuando nella poesia “la prima e l’ultima di tutte le conoscenze”, non esita a riconoscere anche nella scienza – in una scienza, però, resa familiare all’uomo in un tempo a venire – una fonte d’ispirazione per l’immaginazione del poeta, pronto a trasfigurarla per mezzo del suo "spirito divino". Una volta sottratta all’ipoteca del meccanicismo materialistico, che inaridisce la natura in una trama inerte di rapporti causali, la percezione scientifica, con le sue potenzialità di rivelare aspetti inediti del reale e di interpretare dinamicamente i fenomeni dell’esperienza sensibile, può arricchire il mondo psichico ed espressivo dell’artista, chiamato a tradurre in un concreto linguaggio di simboli la misteriosa e organica armonia che lega il soggetto creatore all’universo naturale. Nel dibattito romantico inglese, che coinvolge anche il Thomas Love Peacock e Percy Bysshe Shelley della Defence of Poetry, la riconciliazione con la scienza resta comunque affidata ai poteri taumaturgici della poesia, cui compete la tutela dell’integrità etica ed estetica dell’individuo, l’espressione del senso irriducibile dell’umano.
A questi stessi ideali, sia pure nei toni meno ispirati di un moderato classicismo, più confacente al moralismo dell’età vittoriana, si richiama nel 1882 il critico e poeta Matthew Arnold, esaltando – nel suo intervento su Letteratura e scienza – la funzione consolatoria e civilizzatrice della cultura letteraria. Alla centralità dell’educazione scientifica nel mondo moderno affermata vigorosamente da Thomas Henry Huxley, che si era meritato il soprannome di "bulldog di Darwin’ per la tenacia con cui si batteva per la propaganda delle nuove teorie scientifiche, Arnold contrappone i valori perenni di un umanesimo aggiornato, aperto alle conquiste provenienti dai diversi ambiti della ricerca scientifica, proponendo un ampliamento del canone e del concetto stesso di letteratura che, insieme ai grandi classici, includa gli Elementi di Euclide, i Principia di Newton, così come le opere di Copernico, Galileo e Darwin. Nel segno dell’integrazione tra scienza e letteratura, la difesa della poesia propugnata da Arnold chiude così il cerchio, rispetto al suo antecedente romantico, in una prospettiva classicistica che ricolloca la spinta innovativa della soggettività creatrice all’interno del sistema della tradizione.
Nell’idealismo romantico tedesco, la fondazione trascendentale della teoria della conoscenza conduce all’elaborazione di una filosofia della natura intesa come fisica speculativa, il cui strumento privilegiato si rivela essere l’arte. Già nell’opera di Goethe appare evidente la convergenza tra gli interessi estetici e gli studi naturalistici, due vie diverse ma complementari per riaffermare l’armonia originaria che unisce l’uomo alla natura: la "delicata empiria" che guida le indagini goethiane nel mondo dei fenomeni, dalla botanica all’ottica, può trasformarsi in una "morfologia’ scientifica soltanto correlandosi a una teoria estetica del simbolo che ritrovi, dietro la molteplicità delle apparenze sensibili, il "fenomeno originario" nel quale si compendia l’unità organica dei processi vitali della natura. Le riflessioni sul nesso tra simbolo, poesia e linguaggio, in nome di un ritorno alle origini, di una ricostituzione del rapporto interrotto tra natura e umanità, contraddistinguono d’altra parte tutta la filosofia romantica tedesca, da Hamann e Herder a Friedrich Schlegel, Wilhelm Humboldt e Novalis: nella speculazione filosofica, come del resto nella pratica artistica di Hölderlin o di Runge, si fa strada l’esigenza di una nuova mitologia, sostanziata anche dalle conoscenze scientifiche moderne, che restituisca all’artista il ruolo profetico di "redentore" capace di salvare dalla rovina definitiva un mondo ormai decaduto. E certo le ricerche di Ritter e di Ørsted intorno al galvanismo e all’elettromagnetismo, offrendo un fondamento scientifico alla convinzione filosofica dell’unità di tutte le forze della natura, autorizzano l’aspirazione a una conoscenza universale e unitaria, nella quale anche la scienza, rivissuta attraverso le forme mitiche e simboliche dell’arte, può divenire uno strumento ascetico di ricongiungimento con l’assoluto. È ciò che sottintende, ad esempio, l’allegoria del romanzo incompiuto di Novalis Heinrich von Ofterdingen, nel quale la poesia viene celebrata come modello di conoscenza suprema che comprende in sé tutte le scienze, sino a quelle matematiche – di cui Novalis è appassionato cultore – conferendo all’uomo il potere di operare una riconciliazione magica tra l’ordine della natura e quello della storia.
È comunque Schelling ad assegnare esplicitamente all’arte la funzione di organo primario della filosofia, riconoscendo all’intuizione estetica la capacità di cogliere ciò che sfugge al pensiero razionale, ossia l’identità immediata di spirito e natura, coscienza e inconscio. Nel Sistema dell’idealismo trascendentale si legge infatti che “ciò che noi chiamiamo natura è un poema chiuso in caratteri misteriosi e mirabili” che solo l’arte, intuendone l’infinita e vitale creatività, può giungere a decifrare. Per questo, come dichiara apertamente Ritter, la fisica è un’arte, perché anche l’esperimento scientifico è un atto creativo che riscopre le leggi analogiche della segreta concordanza tra spirito e materia, soggetto e oggetto. Se il meccanicismo newtoniano allontanava l’uomo dalla natura, il vitalismo e l’organicismo della fisica romantica ve lo reimmergono integralmente, spezzando le frontiere tra il vivente e l’inanimato, in uno sforzo conoscitivo che, di là dai suoi effettivi risultati sul piano scientifico così come dagli eccessi mistici e panvitalistici, apre nuovi campi d’indagine e soprattutto rimette in discussione i metodi della ricerca, riabilitando il ruolo svolto dalla fantasia e dall’immaginazione nei processi della razionalità scientifica. Per i filosofi romantici della natura la scienza, al pari dell’arte, è un’attività di produzione simbolica, in cui la soggettività si apre al mondo esterno, svelandone i principi invisibili, i meccanismi profondi; se da un lato ciò si traduce in una svalutazione degli aspetti più propriamente empirici della ricerca, dall’altro sembra che proprio questa dimensione creativa e immaginativa assegnata all’indagine scientifica possa schiuderle mondi inesplorati, come quelli della vita psichica, dell’arte, del sogno, inaugurando una tendenza che approderà, priva però delle istanze speculative e metafisiche, al positivismo, nel cui orizzonte filosofico la teoria della conoscenza risulta appunto ridotta a teoria della scienza.
Quando Charles Darwin scrive nell’autobiografia di non essersi per nulla preoccupato dell’elaborazione stilistica delle sue opere scientifiche intende certamente prendere le distanze dalla tradizione settecentesca della storia naturale, rappresentata in particolar modo da Buffon, all’interno della quale gli elementi stilistici e letterari svolgevano un ruolo di primo piano. Lo scienziato inglese tiene invece a sottolineare che nei suoi scritti hanno la precedenza le osservazioni empiriche e i dati di fatto. Questa affermazione non significa assolutamente che Darwin ignori le peculiari problematiche poste dalla traduzione in termini linguistici di una teoria scientifica, acuite, per di più, dalla novità radicale delle tesi evoluzionistiche. Al contrario Darwin intuisce chiaramente la necessità di organizzare in una struttura argomentativa convincente la mole immensa di materiali e riflessioni raccolti in decenni di laboriosa attività, trasformando così in una persuasiva presentazione retorica l’ossatura teorica dell’evoluzionismo. Proprio la fortuna straordinaria della sua opera, nonostante le opposizioni violente fra gli scienziati tradizionalisti e i teologi, mostra del resto come Darwin riesca a risolvere con successo il problema che si trova ad affrontare. In fondo l’evoluzionismo, postulando la temporalizzazione della catena dell’essere, è inevitabilmente destinato ad assumere la forma di una narrazione, il che non manca poi di soddisfare i gusti letterari dello scienziato inglese, avido lettore di romanzi – come sappiamo dall’autobiografia – e narratore in prima persona nel Viaggio di un naturalista intorno al mondo, il diario delle proprie giovanili avventure scientifiche a bordo del brigantino Beagle.
Proponendosi dunque l’obiettivo di delineare una nuova storia del mondo e dell’uomo, Darwin sceglie di sviluppare le sue argomentazioni teoriche all’interno di un’ampia e avvincente cornice narrativa, scandita dai ritmi concitati e drammatici della "lotta per la vita’, ma anche dilatata nei tempi lunghi e solenni di una grandiosa cosmogonia. L’ordine narrativo si costruisce così sopra una trama immaginativa di metafore e analogie, il cui contenuto cognitivo e semantico determina il movimento in avanti del racconto che è al tempo stesso esposizione della teoria. In questo processo inventivo, Darwin si trova continuamente costretto a "lottare" con il linguaggio che ha a disposizione, a forzarlo in profondità per colmare la distanza tra la novità dei temi proposti e la struttura linguistica e narrativa tradizionale. Ma proprio in virtù di questa vigile tensione conoscitiva e comunicativa lo scienziato-scrittore si dimostra il più delle volte un maestro nell’impiego delle immagini metaforiche, di cui è costellata l’Origine delle specie: dalla “plaga lussureggiante”, introdotta per visualizzare lo spazio brulicante e intricato ove s’intrecciano i rapporti tra gli organismi, all’“albero della vita” che del pari riproduce, con le sue ramificazioni, l’interdipendenza delle specie viventi. Si pensi ancora al “volto della natura splendente di felicità”, la cui faccia nascosta allude d’altra parte alla compresenza ineliminabile di vita e morte, nascita e distruzione, o infine all’immagine della natura come una superficie completamente ricoperta di cunei strettamente pigiati, sottoposti a una forza inesorabile che continuamente inserisce nuovi cunei, facendone contemporaneamente saltare altri. In definitiva anche nel racconto darwiniano dell’evoluzione la connessione tra scienza e letteratura, negata sul piano dello stile, riafferma in pieno i suoi diritti conoscitivi.
Le affinità di tutti gli esseri della stessa classe sono state spesso rappresentate con un grande albero. Credo che questa similitudine corrisponda bene alla realtà. I verdi e germoglianti rami possono rappresentare le specie esistenti; e quelli prodotti negli anni precedenti possono rappresentare la lunga successione di specie estinte. Ad ogni periodo di crescita, tutti i rametti in sviluppo tentano di ramificarsi in tutte le direzioni e di sorpassare e uccidere i ramoscelli e i rami circostanti, allo stesso modo in cui le specie e i gruppi di specie hanno in tutti i tempi sopraffatto altre specie nella grande battaglia per la vita. I tronchi divisi in grandi rami, e questi in rami sempre più piccoli, furono essi stessi una volta, quando l’albero era giovane, rami germoglianti; e questo rapporto fra i vecchi e i nuovi germogli per mezzo di ramificazioni può rappresentare bene la classificazione di tutte le specie estinte e viventi in gruppi subordinati a gruppi. Dei molti rami che fiorirono quando l’albero era un arbusto, soltanto due o tre, ora sviluppatisi in grandi tronchi, oggi sopravvivono e sostengono gli altri rami; così, delle specie che vissero in remoti periodi geologici, pochissime hanno lasciato discendenti viventi e modificati. Dal primo sviluppo dell’albero, molti tronchi e rami sono morti e caduti; e questi rami caduti di varie dimensioni possono rappresentare quegli interi ordini, famiglie e generi che attualmente non hanno rappresentanti viventi, e che conosciamo solamente allo stato fossile. Come qua e là vediamo un pollone che spunta da una biforcazione posta alla base di un albero, e che è stato favorito dalla sorte ed è ancora vivo alla sua sommità, così osserviamo occasionalmente un animale, come l’ornitorinco o il Lepidosiren, che per le sue affinità collega, in qualche modo, due grandi rami della vita e che a quanto pare è stato risparmiato da una fatale concorrenza perché abitante in una stazione protetta. Come i germogli crescendo danno origine a nuovi germogli, e questi, se vigorosi, si ramificano e superano da ogni parte un ramo più debole, così per generazione io credo sia avvenuto per il grande albero della vita, che riempie la crosta terrestre con i suoi rami morti e rotti e ne copre la superficie con le sue sempre rinnovantisi, meravigliose, ramificazioni.
Charles Darwin, L’origine delle specie, trad. it. di L. Fratini, Torino, Einaudi, 1964
L’esprit de système che regge le ambizioni enciclopediche del positivismo ha tra le sue immediate conseguenze l’estensione del metodo scientifico alle discipline morali e agli studi umanistici. Dalla storia all’economia, dalla psicologia all’antropologia, dalla linguistica alla letteratura, per i positivisti le scienze dell’uomo devono conformarsi in tutto al modello delle scienze naturali e in particolare al modello delle "scienze della vita" che sempre più (dopo le clamorose scoperte darwiniste, assorbite, sia pur in modi diversi, nelle filosofie di Spencer e di Haeckel) assumono lo statuto di paradigma di riferimento. Il metodo sperimentale, unito all’indagine morfologica e genetica, risulta applicabile indifferentemente a ogni campo del sapere, a ogni prodotto dello spirito umano, inclusa naturalmente l’arte.
Già il Comte del Sistema di politica positiva inaugura l’estetica positivista, riabilitando pienamente, con toni accesi e appassionati, la funzione etica e sociale svolta dall’arte nel mondo moderno a tutela dei valori imperituri della bellezza e dell’umanità. I suoi discepoli, rifiutando l’enfasi mistica e profetica dell’ultimo Comte, preferiscono invece approfondire l’interpretazione dell’arte, ora dal punto di vista della ricerca storico-filologica (come Littré, che si dedica alla compilazione di un dizionario e di una Storia della lingua francese), ora da quello dell’indagine sociologica (è il caso, per esempio, di Guyau, che sottolinea la rilevanza dell’arte come fattore di coesione sociale, in grado di promuovere la solidarietà tra gli individui). In questa direzione l’influenza più rilevante viene senza dubbio esercitata dalle tesi esposte nelle lezioni di Philosophie de l’art da Hippolyte Taine, il quale, trasferendo all’analisi estetica il canone metodologico della scienza sperimentale di laboratorio, perviene alla concezione di un rigido determinismo che afferma la dipendenza puntuale dell’opera d’arte da tre componenti precise: la razza (race), l’ambiente (milieu) e la situazione storica (moment). Il prodotto artistico, aggiunge Taine, è un documento che imita la realtà, ma non si limita a riprodurne fotograficamente i caratteri esterni, bensì ne mette in luce il sistema di relazioni interne, creando un "organismo" fornito di una propria intima coerenza.
La metafora biologica dell’organismo è d’altronde la più sfruttata per spiegare i fenomeni dell’arte; già nella Fisiologia degli scrittori un discepolo di Taine, Émile Deschanel, ha messo in relazione diretta l’analisi letteraria e quella fisiologica, ma l’identificazione fra arte e scienza può dirsi integralmente compiuta allorché Zola riprende alla lettera, nel suo saggio sul Romanzo sperimentale, l’Introduzione alla medicina sperimentale di Claude Bernard, giungendo a sostenere che gli basta sostituire la parola "medico" – usata dal grande fisiologo – con il termine "romanziere", per chiarire il suo pensiero e garantirne il rigore scientifico. Agli occhi di Zola, la finzione artistica si rivela l’esatto equivalente di un esperimento di laboratorio; le due operazioni mirano infatti a riprodurre accuratamente le condizioni osservabili necessarie al verificarsi di un fenomeno – naturale per lo scienziato, sociale o psicologico per il romanziere – per studiarne poi gli effetti possibili, all’interno di un meccanismo rigorosamente deterministico. Applicando al romanzo il metodo sperimentale, il romanziere può dunque trasformarsi nello scienziato degli uomini e delle loro passioni: viene teorizzato così il principio fondamentale della poetica del naturalismo che poi sarà accolto anche dal verismo italiano.
Ma nell’ancorare il proprio realismo alla visione scientifica della natura, Zola si differenzia anche rispetto ai suoi predecessori: se Balzac nella Comédie humaine, per sua stessa ammissione, ha rappresentato la "storia naturale della letteratura", prendendo a modello Buffon, Zola, che pure riconosce in Balzac il suo precursore, nel comporre i Rougon-Macquart, si ispira piuttosto a Bernard e a Darwin.
Mentre in Balzac prevale ancora un atteggiamento classificatorio e tassonomico, il modello adottato da Zola è quello fisiologico-evolutivo: per questo nel ciclo dei Rougon-Macquart, definito dall’autore la “storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo Impero”, risultano privilegiati i temi della selezione sociale, dell’evoluzione e dell’ereditarietà familiare. Il metodo sperimentale del resto non consiste nella classificazione di fatti già noti, ma possiede una dimensione dinamica e creativa che richiede l’intervento attivo del ricercatore (e quindi del romanziere), chiamato a indagare i processi di formazione della vita e a interpretare una realtà sempre in movimento. La temporalità della vita in tutte le sue forme richiede ormai una convergente temporalizzazione dell’esperienza conoscitiva, come non sfugge a un osservatore acutissimo quale Francesco De Sanctis, uno tra i primi a simpatizzare con le tesi di Zola. Nella sua famosa conferenza sul Darwinismo nell’arte, egli sottolinea con forza che oggetto degli studi moderni – nelle scienze come nella letteratura e nell’arte – non è più l’" esprit des choses", ovvero la filosofia, quanto piuttosto – grazie alla lezione del “metodo intuitivo sperimentale e genetico” – la “cosa guardata nella sua generazione”.
L’interessante in questi romanzi di Zola non è la storia, ma il processo storico. I fatti ci stanno per dimostrare questa verità formolata da Leibniz, che il futuro è generato dal presente, e il presente dal passato, o, in altri termini, che la storia del mondo non è un gioco casuale, ma è una serie di cause e di effetti, la cui base, e qui è l’interessante, è fisiologica, e perciò ereditaria. I diversi racconti, come s’è visto, non sono che movimenti ed evoluzioni di un solo principio ereditario, la storia di una famiglia ne’ due suoi rami, legittimo e bastardo, fondata sulla successione ereditaria de’ temperamenti, degl’istinti, de’ vizi e delle virtù.
Di questo principio un certo sentore istintivo non è mancato mai nella umanità, guidata dalla esperienza. E ne fanno prova parecchie sentenze e proverbî, come "tal padre, tal figlio", e "se vuoi conoscere la figlia guarda la madre". Ma questo era un più o meno, un approssimativo, un proverbio sperduto tra mille. A nessuno mai era venuto in mente di fondare su questo principio la storia del mondo. E ciò ha fatto Zola, introducendo un nuovo fattore nella filosofia della storia, il principio fisiologico o ereditario, modificato e sviluppato dall’ambiente sociale.
Come il romanzo psicologico ebbe a suoi antenati Cartesio, Malebranche, Pascal, una fina analisi de’ caratteri, degl’istinti e de’ sentimenti abbozzata da filosofi prima che l’arte vi avesse posto mano; così Zola ha avuto a suo predecessore Darwin e la sua scuola, o, com’egli dice con fede intera, la scienza. Ciò che la scienza inizia, l’arte compie.
Zola ha detto: – Quello che l’uomo è, in gran parte già è stato ne’ genitori –. Ora questo principio, dimostrato oggi con esattezza scientifica, e già ammesso prima sotto nome di "predisposizioni ereditarie", diviene il filo conduttore, e se posso dir così, la mente o l’idea di tutt’i suoi racconti.
Francesco De Sanctis, Saggi critici, Milano, Rizzoli, 1966
È proprio l’irrompere del tempo nelle scienze della vita e dell’uomo a costituire il grande evento che contrassegna la rivoluzione epistemologica del XIX secolo: "evoluzione", "trasformazione", "sviluppo", "genesi", "progresso" sono le parole d’ordine che il culto della scienza diffuso dal positivismo trasferisce dal laboratorio scientifico all’universo complesso delle molteplici attività umane. Il mito tecnologico del progresso e la fede nell’evoluzione, che può però rovesciarsi nel terrore di un futuro mostruoso e incognito, alimentano anche la crescita del genere fantascientifico, tra le utopie ottimistiche di Jules Verne e gli incubi inquietanti di Herbert George Wells, assiduo studioso delle teorie di Darwin e di Huxley, dalle quali ricava il materiale per l’invenzione di specie aliene terrificanti e superiori. Tuttavia lo "strano" e il "perturbante" non provengono esclusivamente dall’esterno, ma si celano nell’intimo stesso dell’uomo. Sulla scorta dell’associazionismo della tradizione britannica ripreso da John Stuart Mill e da Spencer, Taine, Ribot e altri psicologi positivisti promuovono lo studio dei fenomeni mentali, scomponendoli nei loro costituenti percettivi immediati sulla base dell’analisi delle sensazioni. Proprio da ricerche di questo tipo prende vita quel processo di frammentazione e disintegrazione dell’"io" e della coscienza che culminerà nel fenomenismo di Mach, le cui tesi non mancheranno di esercitare un influsso notevole sulla letteratura viennese fin de siècle, tra Hofmannsthal, Bahr e Musil. Ma la tematica del double e le più raffinate tecniche di analisi psicologica del personaggio, sino all’indagine dei comportamenti deviati e patologici (di cui peraltro significative anticipazioni si possono ritrovare tra simbolismo, naturalismo e scapigliatura), sottintendono ormai la grande scoperta freudiana dell’inconscio, inaugurando così la stagione successiva della letteratura del Novecento.