Scienza e pubblica utilità
Alla fine del 17° sec. la scienza italiana presentava caratteri molto differenziati, sia per i contenuti e i metodi, sia per le forme di organizzazione. Da un lato, il metodo sperimentale e le teorie corpuscolari della materia ispiravano le ricerche di un nutrito numero di medici e filosofi naturali; dall’altro, matematica, meccanica e la costruzione di strumenti scientifici attraversavano un periodo di declino. Questo quadro mutò nel corso del 18° e nei primi anni del 19° sec., con una progressiva crescita del ruolo delle matematiche e dei matematici nelle scienze e nella vita civile.
L’interesse degli eredi della scuola galileiana si spostò dalla meccanica alla cosiddetta physica specialis, mentre nelle università e nei numerosi collegi dei gesuiti la filosofia aristotelica era ancora parte integrante dei curricula. In rari casi si registrò un potenziamento dell’insegnamento universitario delle matematiche e l’introduzione di nuove cattedre, come quella di idrometria, istituita a Bologna nel 1694. Sarebbe tuttavia erroneo ritenere che nel suo complesso la scienza italiana del Settecento e dei primi decenni dell’Ottocento occupasse una posizione marginale nel contesto europeo. Il quadro è piuttosto vario, con differenze non irrisorie tra gli ambiti di ricerca, le istituzioni e le aree geografiche.
Dopo una fase di stagnazione dell’insegnamento scientifico nelle università dello Stato della Chiesa, grazie all’opera di Benedetto XIV, si avviarono significative innovazioni. Rappresentante di quell’‘illuminismo cattolico’ che contribuì a dare impulso alla scienza in vari centri della penisola, Celestino Galiani (1681-1753), cappellano maggiore del Regno, si impegnò a Napoli nella riforma dell’insegnamento delle scienze, con la creazione di un laboratorio chimico e di un orto botanico. Analoghe iniziative di modernizzazione dei curricula furono intraprese a Pisa e, nell’Italia settentrionale, a Padova, Torino e Pavia. Nel 1739 l’ateneo patavino si dotò di un laboratorio di fisica sperimentale tra i più avanzati in Europa; a Torino, le scienze fisico-matematiche beneficiarono dello slancio prodotto da due eminenti fisici, Jean-Antoine Nollet (1700-1770) e Giambattista Beccaria (1716-1781); quello di Pavia, grazie all’opera dei sovrani asburgici, Maria Teresa e Giuseppe II, divenne l’ateneo più avanzato d’Italia in campo scientifico, con docenti prestigiosi quali Lazzaro Spallanzani e Alessandro Volta.
Nella prima metà del Settecento, le accademie, anche se con caratteri privatistici e con scarsa continuità, contribuirono a promuovere indagini mediche e scientifiche. Ne è un esempio la senese Accademia dei Fisiocritici (fondata nel 1691), che perseguì ricerche sperimentali soprattutto in medicina, avvalendosi anche della pompa pneumatica boyleana, usata in sedute pubbliche tra il 1701 e il 1704. A Napoli, grazie all’impegno di Galiani e del medico Nicola Cirillo (1671-1735), che ne fu il primo presidente, fu fondata nel 1732 l’Accademia delle scienze, contro la quale si scaglierà l’opposizione degli ambienti più conservatori del Regno. Risultati maggiormente duraturi e una continuità nelle ricerche scientifiche si riscontrano invece a Bologna, dove, nei primi decenni del secolo, grazie all’opera di Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), scienziato, uomo d’armi e viaggiatore, del medico Giovanni Battista Morgagni e del matematico e poeta Eustachio Manfredi (1674-1739), l’Accademia degli Inquieti e poi l’Istituto delle scienze avviarono un processo di rinnovamento scientifico fondato su matematica e sperimentazione. Sul piano organizzativo, il modello dell’Istituto bolognese era l’Académie royale des sciences di Parigi. Frutto del riformismo asburgico nella Lombardia settecentesca, l’Accademia di scienze, lettere ed arti di Mantova ottenne cospicui finanziamenti governativi e operò come corpo consultivo e tecnico su questioni pratiche, come l’idraulica applicata o la salubrità dell’aria, e l’agronomia. A quest’ultima disciplina prestò particolare attenzione il granduca Pietro Leopoldo, la cui protezione dell’Accademia dei Georgofili dotò la Toscana di un organismo-chiave nella politica delle riforme economico-sociali.
Lungi dall’operare ai margini della scienza europea, gli scienziati italiani del secolo dei lumi stabilirono relazioni con scienziati e istituzioni europee, innanzitutto attraverso le corrispondenze, come quelle del bibliotecario fiorentino e segretario dell’Arcadia Antonio Magliabechi (1633-1714), del naturalista Antonio Vallisneri e dell’abate Antonio Conti (1677-1749). La diffusione delle conoscenze scientifiche tra un pubblico sempre più vasto contraddistinse l’attività di numerosi scienziati della penisola, seguendo un modello che si andava affermando oltralpe. Si moltiplicano i periodici, tra i quali il «Giornale de’ letterati d’Italia», la «Galleria di Minerva», il «Giornale enciclopedico», nonché le pubblicazioni periodiche prodotte dalle accademie scientifiche, come i «Commentarii» dell’Istituto di Bologna. Accanto ai periodici, la circolazione di idee scientifiche fu resa possibile dalla pubblicazione di dizionari, manuali, opere divulgative, come il celebre Newtonianismo per le dame (1737) di Francesco Algarotti, la traduzione (1748) della Cyclopaedia di Ephraim Chambers e le edizioni di Lucca (1758-1776) e di Livorno (1770-1779) dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. La scienza si diffuse attraverso i musei scientifici in circoli colti non specialistici, nei salotti, tra un pubblico femminile; a partire dalla seconda metà del Settecento, fisiologia, pneumatica, ottica ed elettricismo furono oggetto di interesse da parte di un pubblico eterogeneo e sempre più ampio, soprattutto nell’Italia settentrionale. Cominciava a crearsi un pubblico per la scienza, e si diffondeva la curiosità per gli aspetti più spettacolari, legati alle pratiche sperimentali, in particolare per i fenomeni elettrici e chimici.
In un contesto in lenta evoluzione, che mostra disponibilità all’innovazione sul piano sperimentale ancor più che teorico, si diffondeva in Italia la fisica newtoniana. Come nel resto dell’Europa continentale, anche in Italia il confronto con la fisica cartesiana e con le idee di Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) accompagnò la fase iniziale della circolazione della fisica di Isaac Newton (1642-1727) e dei newtoniani. Poco rappresentativa degli orientamenti della fisica italiana, ma destinata a influenzare gli studi di Volta e poi la scienza dell’Ottocento, l’opera del gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich si caratterizzò per un forte impegno teorico nella definizione del concetto di forza, che costituì una sintesi di idee newtoniane e leibniziane. Il calcolo differenziale cominciò a diffondersi a partire dagli ultimi anni del Seicento, essenzialmente nella versione di Leibniz, tra Padova, Bologna e Napoli, da parte di scienziati che contribuirono anche alla diffusione del newtonianesimo nella penisola. I contributi italiani più originali al calcolo vennero da una delle maggiori figure della scienza settecentesca, il torinese Giuseppe Luigi Lagrange che, tuttavia, abbandonò Torino per stabilirsi a Berlino e poi a Parigi, dove svolse un ruolo di primo piano nelle scienze fisico-matematiche e nell’Institut de France. Pur non conseguendo risultati originali, almeno fino ad Amedeo Avogadro, cui si deve una delle principali innovazioni teoriche della chimica moderna, la comunità dei chimici italiana si rafforzò dal punto di vista sia numerico sia del ruolo sociale. A differenza della Francia, gli studi di chimica italiani ebbero carattere essenzialmente applicativo, in funzione della medicina, della farmacia e della mineralogia. Grazie soprattutto all’opera di Felice Fontana e Marsilio Landriani, i chimici italiani studiarono le arie (i gas) e diedero inizio a un nuovo settore di ricerche, l’eudiometria, che si occupava della salubrità dell’aria atmosferica. Si trattava di ricerche stimolate dalla crescente insistenza sulla pubblica utilità delle indagini scientifiche. La medicina, nei suoi aspetti teorici e pratici, svolgeva un ruolo centrale nella scienza italiana e non solo per il numero di cattedre e di coloro che la praticavano: fu, infatti, a stretto contatto con le ricerche in campo medico che si svilupparono non soltanto la chimica ma anche gli studi sull’elettricità, nei quali gli scienziati italiani si distinsero per contributi fortemente innovativi.
Partendo dalle fondamentali ricerche di Luigi Galvani sull’elettricità animale, Volta condusse le indagini che portarono alla realizzazione della pila, da lui concepita come «organo elettrico artificiale» che imita l’«organo elettrico naturale» della torpedine. Figura di primo piano nelle scienze della vita fu Lazzaro Spallanzani, allievo di Laura Bassi, la prima donna a occupare una cattedra universitaria in Europa. Abile sperimentatore, Spallanzani fornì contributi innovativi in molteplici ambiti delle scienze della vita, quali la generazione, la digestione e la respirazione, che considerò una proprietà di tutti i tessuti dell’organismo. Non gli fu estraneo l’interesse per le scienze della Terra, che coltivò con indagini sul campo. Stimolato dalla speranza di scoprire risorse minerarie e dall’interesse per i fenomeni geotermici della penisola, lo studio della Terra fiorì grazie all’opera di Giovanni Arduino e Alberto Fortis, e si caratterizzò (soprattutto nell’opera di quest’ultimo) per un complesso intreccio di indagini empiriche, teorie fisiche ed erudizione storica.
Nel corso del 18° sec. assunse peso crescente la concezione utilitaristica della scienza; il richiamo baconiano al bene pubblico quale fine delle scienze non era più appannaggio di una ristretta cerchia di intellettuali, ma ispirava la vita delle accademie e le politiche dei sovrani più impegnati nelle riforme. Dopo la ristrutturazione del 1759 (che fa seguito a un periodo di inattività) i Fisiocritici di Siena si impegnarono in una campagna di vaccinazione contro il vaiolo e intervennero per risolvere problemi pratici, quali il controllo delle acque e le tecniche per migliorare la fertilità del suolo. L’Accademia delle scienze di Padova fu direttamente coinvolta tra il 1779 e la caduta della Repubblica di Venezia in commissioni pubbliche in materia di agricoltura, idraulica, mineralogia e produzione di salnitro a fini bellici. L’Accademia delle scienze di Torino svolse indagini sui rapporti tra malattia e ambiente anche per mezzo dell’analisi chimica delle acque.
Le riforme e le innovazioni amministrative dell’età napoleonica, nonché l’opera di modernizzazione dell’agricoltura, diedero ulteriore impulso all’impegno delle accademie a perseguire iniziative scientifiche volte al bene pubblico.
Nella successiva Restaurazione, se la vita degli scienziati fu difficile, la loro opera fu segnata da un forte impegno civile. Le Riunioni degli scienziati italiani, che si tennero tra il 1839 e il 1847 in diverse città della penisola, sull’esempio di quelle organizzate in Svizzera, Gran Bretagna, Germania e Francia, svolsero un ruolo di primo piano anche nella circolazione dell’idea unitaria nelle sue diverse formulazioni, e nella diffusione delle idee liberali. Tra i più significativi contributi alla diffusione della cultura scientifica, nonché allo sviluppo economico e civile, occorre ricordare l’opera di Carlo Cattaneo e del suo «Politecnico», fondato a Milano nel 1839, cui collaborarono illustri letterati, scienziati e ingegneri. Dopo il primo vivo interesse, quelle iniziative suscitarono, tuttavia, nelle autorità di alcuni degli Stati preunitari preoccupazione e reazioni poliziesche. Cominciava, infatti, a prendere consistenza il convincimento che la scienza italiana avrebbe potuto superare angustie, ritardi e limiti solo in un’Italia politicamente unita; mentre sempre più intense si venivano svolgendo la formazione e la comunicazione internazionale della scienza italiana, e crescevano reputazione e riconoscimento fuori della penisola dei contributi che ne provenivano e degli studiosi che li producevano, collegati con personalità e istituzioni scientifiche di altri Paesi.
Nei centosessant’anni che precedettero l’Unità, la scienza italiana crebbe quindi in termini quantitativi, con un sensibile aumento del numero dei praticanti e delle strutture, e assunse un crescente ruolo sociale – un processo, questo, segnato tuttavia da discontinuità e disomogeneità dal punto di vista geografico.
Nell’età del Risorgimento, gli scienziati svolsero un ruolo di primo piano non soltanto per i risultati prodotti, in particolare nelle matematiche e nella fisica sperimentale, ma anche per l’impegno in campo politico, partecipando spesso in prima linea alle lotte per l’indipendenza nazionale, e ricoprendo più tardi incarichi istituzionali anche di elevato rango nel nuovo Stato unitario, e fornendo contributi teorici e pratici alla costituzione delle sue nuove strutture scientifiche, educative, civili.