Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Più che di scienza e di religione, sarebbe opportuno parlare di gruppi di scienziati e di autorità religiose che ragioni particolari conducono a uno scontro, o a un incontro, in un dato luogo e tempo. Non pare davvero esistere un corpo univoco di pronunciamenti teologici concernenti la natura e i saperi, come non esiste una “scienza” che ovunque si presenta con gli stessi tratti, le stesse metodologie, gli stessi presupposti.
Uno dei cavalli di battaglia di molte correnti della filosofia della scienza del XIX secolo è rappresentato dall’affermarsi di una differenza sostanziale tra progresso delle conoscenze scientifiche e religione. Grazie a rigorosi metodi d’indagine, e all’utilizzazione dello strumento matematico – si diceva – le scienze procedono per revisioni e ampliamenti successivi dei saperi, mentre la teologia non può che ribadire il corpo delle verità dottrinali affidato alla rivelazione o ai testi sacri delle singole fedi. La scienza scopre e si rinnova, la teologia elucida, spiega, vigila a che l’autorità (se non proprio i contenuti) del credo religioso non venga intaccata dal mutare dei tempi.
Lo sviluppo sempre più accelerato della scienza moderna, sino ai trionfi delle tecnoscienze del XX secolo, è stato a lungo considerato il fattore chiave della progressiva secolarizzazzione delle società occidentali. Nel presente come nel passato, principi e convinzioni di ordine religioso avevano costituito un ostacolo fondamentale, a volte violento, all’affermarsi di teorie e concezioni che le autorità religiose percepivano come contrarie alla loro visione della natura e della creazione.
Il XX secolo ha visto modificarsi in modo a volte drammatico gli assunti che abbiamo brevemente descritto, e che sono ancora condivisi da parte della comunità scientifica e dell’opinione pubblica, anche se i contesti entro cui questi processi sono avvenuti sono difformi e diversificati. Ad esempio, una ristretta maggioranza, ma pur sempre maggioranza, di cittadini americani ritiene oggi che la narrazione biblica della creazione sia scientificamente fondata, e una percentuale sostanziale di scienziati dichiara di avere profonde convinzioni religiose. Si è anche sostenuto che buona parte dei responsabili scientifici di punta della NASA condivide un messianesimo tecnologico intriso di riferimenti millenaristici tipici della tradizione protestante e dissidente.
La questione del rapporto tra scienza e religione nel XX secolo si presenta dunque complessa e offre per molti versi, soprattutto per quel che concerne l’ultimo scorcio del secolo, delle novità importanti. Sarebbe tuttavia prematuro considerare tali novità come destinate a radicarsi nella cultura occidentale, costituendo così un vero e proprio mutamento di rotta. Come avremo modo di considerare in relazione al fondamentalismo creazionista americano degli ultimi due decenni del secolo, l’importanza di fattori politici e sociali contingenti invitano a una certa prudenza nel valutare le prospettive di medio e lungo termine del movimento. Inoltre, diversa si presenta la situazione in diversi Paesi: nell’Inghilterra anglicana e protestante il fondamentalismo americano è quasi sconosciuto, mentre in Cina o in India, due Paesi-continenti che hanno manifestato con massicci investimenti la loro chiara intenzione di entrare da protagonisti nell’arena della competizione scientifica e tecnologica mondiale, la piena autonomia della ricerca è ben lungi dall’essere messa in discussione.
Pochi sono oggi gli studiosi di storia della scienza pronti a difendere il credo positivista di una radicale dissonanza tra scienza e religione nel costituirsi della scienza moderna. Ricerche condotte a partire dall’inizio del XX secolo, spesso motivate da chiari intenti di apologia del cristianesimo, hanno in effetti fatto cadere una serie di miti positivistici o di credenze a lungo perpetuate. Contro i positivisti e i laici militanti del suo tempo, Pierre Duhem , noto fisico e filosofo della scienza della Francia della Terza Republica, ultra-cattolico e conservatore, sosteneva che la scienza moderna era figlia dell’insegnamento della Chiesa di Roma. La rivoluzione scientifica del XVIII secolo era il punto di arrivo di un plurisecolare appropriarsi della tradizione scientifica classica e araba, su cui i matematici di Oxford o i naturalisti di Parigi e di Padova avevano innestato i germogli del calcolo e della sperimentazione. Ripresa dallo storico australiano Alistair Crombie (1916-1996), nel suo fortunato Da Sant’Agostino a Galileo, la tesi ha prodotto polemiche e messe a punto, ma anche importanti studi sulla scienza medievale che tutto era meno che “buia”.
Per quel che concerne la rivoluzione scientifica del XVIII secolo, la storiografia del XX secolo ha portato correttivi importanti sia al concetto stesso di “rivoluzione” sia al ruolo che ebbero concezioni filosofiche e teologiche di singoli scienziati nel promuovere il sorgere di nuove discipline e nuovi programmi di ricerca. A partire dagli studi di Alexandre Koyré, di Robert K. Merton, di Charles Webster fino alle recenti pubblicazioni di Rob Iliffe e della giovane generazione di studiosi della scienza inglese, si è disegnato il quadro di una presenza determinante di visioni bibliche e millenaristiche della natura e del sapere che stimola un forte orientarsi verso la ricerca sperimentale di intere generazioni di intellettuali inglesi tra 1630 e 1700. Lo stesso Newton dedicò un tempo ben maggiore agli studi biblici e alchemici che non all’astronomia o alle matematiche.
Ricerche condotte su figure della scienza ottocentesca ha messo in luce altri aspetti del rapporto tra scienza e religione. Così, ad esempio, si è sottolineata l’importanza della teologia naturale inglese per i primi sviluppi delle teorie darwiniane, e si è fatta luce sull’importante debito di Michael Faraday verso le concezioni di natura e di creazione presenti nella teologia settaria e quasi segreta della Chiesa sandemanista, un piccolo gruppo dissidente uscito dalla Chiesa di Scozia che si rifaceva alla prime comunità cristiane e aspirava all’unità del mondo, di cui il fisico facava parte.
Sarebbe tuttavia errato trarre la conclusione che le ricerche storiche condotte nel XX secolo hanno dimostrato – come voleva Duhem – che la religione cristiana è stata condizione necessaria e imprescindibile per la nascita della scienza moderna. Se infatti il crudo schema positivistico non ha retto alla prova degli studi, è altrettanto vero che quegli stessi studi hanno messo in evidenza il carattere altamente problematico del rapporto scienza e religione, che appare sempre più connesso a situazioni locali, fortemente condizionate dalle tensioni politiche e sociali del momento. Più che di scienza e di religione, sarebbe opportuno parlare di gruppi di scienziati (anche se il termine è anacronistico) e di autorità religiose che ragioni particolari conducono a uno scontro o a un incontro, in un dato luogo e tempo. Non pare davvero esistere un corpo univoco di pronunciamenti teologici concernenti la natura e i saperi, come non esiste una “scienza” che ovunque si presenta con gli stessi tratti, le stesse metodologie, gli stessi presupposti. Nella Roma e nella Firenze di Galileo Galilei, diversi ordini religiosi, come pure diverse fazioni interne alla Curia o alle strutture del potere ecclesiastico (sia civile sia religioso) erano portatori di diversi atteggiamenti verso la nuova scienza, atteggiamenti che mutavano col mutare delle circostanze politiche, del predominare temporaneo dell’una o dell’altra fazione all’interno della Curia. Se nel mondo cattolico l’autorità papale e il centralismo dottrinale permettono a volte di individuare tendenze di lungo periodo, nel mondo protestante lo scarso potere politico diretto di sette e chiese ha reso molto difficile la determinazione di una posizione maggioritaria capace di sopravvivere alle contingenze di breve periodo che l’avevano di volta in volta, e in termini diversi, resa possibile. Nel passato la Chiesa anglicana ha spesso cercato di stabilire dei limiti alla ricerca scientifica, attaccando con forza i dubbi scientifici sull’attendibilità della narrazione della Creazione contenuta nella Genesi, o scagliandosi contro le prime ipotesi evoluzionistiche avanzate nell’Inghilterra del primo Ottocento. Nel XX secolo, e in particolare negli ultimi due decenni, la Chiesa Anglicana ha dimostrato una considerevole apertura verso forme di sperimentazione e di pratiche scientifiche considerate come assolutamente inaccettabili dalle autorità cattoliche.
Se Galileo visitasse oggi la Specola Vaticana constaterebbe con soddisfazione la sua vittoria. Si rammaricherebbe forse nel sentirsi accusato di superficialità epistemologica, di fideismo verso teorie per le quali non poteva avanzare prove convincenti, e ascolterebbe con stupore sostenere che bene fece la Chiesa, non tanto a condannarlo, quanto a non prenderlo troppo sul serio.
Certo è che nel XX secolo la situazione è profondamente mutata, almeno per quel che riguarda le scienze fisiche e matematiche. In realtà, a parte qualche scaramuccia e titolo di vanto per questa o quella teoria fisica – dovuta a volte a esercizi non privi di un certo narcisismo da parte di scienziati che più realisti del re hanno cercato di argomentare che il principio di indeterminazione di Heisenberg dimostrebbe l’imprescindibile fondamento fisico del libero arbitrio o di sostenere che la fisica contemporanea è in grado di provare l’immortalità dell’anima – è la questione dell’evoluzionismo che crea ansie e suscita revanscismi d’altri tempi. E non è tanto l’evoluzionismo in sé e per sé che pone problemi, quanto le nuove frontiere della ricerca sull’evoluzione, che investono l’emergere dell’intelligenza, di forme di giudizio etico o estetico, le regole della sociabilità o persino l’emergere di sentimenti religiosi (tema caro allo stesso Charles Darwin).
Nel corso della storia degli ultimi 150 anni, l’atteggiamento delle autorità ecclesiastiche romane nei confronti dell’evoluzionismo è improntato a prudenza e fermezza. Se Papa Pio IX afferma che l’opera di Darwin è da considerarsi demoniaca, lo fa solo in una lettera a un medico francese editore di una delle tante refutazioni dell’Origine delle specie. Dopo tutto, negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo, proliferano dottrine evoluzionistiche di tipo spiritualista, alcune delle quali propugnate da credenti e da esponenti del clero regolare o di ordini religiosi. L’azione di contenimento dottrinale si ispira alla opportunità di evitare scandali, e si ricorre ad ammonizioni e a interdizioni disciplinari piuttosto che a condanne. Così, per citare un caso celebre, mentre papa Pio XII ammette nell’enciclica Humani generis (1955) la teoria dell’evoluzione a livello di ipotesi tra le tante, si impedisce la diffusione delle opere del gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, e si invitano, con una ammonizione pubblicata il 30 giugno 1962, docenti e sacerdoti a vegliare affinché i giovani non leggano le sue opere. L’ammonizione veniva reiterata sull’“Osservatore Romano” del 20 luglio del 1981.
Più recentemente, molto si è parlato dell’indirizzo all’Accademia Pontificia delle Scienze letto da papa Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1996 (l’“Osservatore Romano”, 24 ottobre 1996), in cui si accetta che l’evoluzione non sia tanto un’ipotesi, quanto una teoria scientifica. Si precisa tuttavia che, essendo il campo delle teorie dell’evoluzione percorso da un insieme di dottrine, alcune delle quali ispirate a posizioni filosofiche o a concezioni di tipo spiritualistico o materialistico, spettava alla filosofia e alla teologia darne una valutazione. Inoltre, si condannano senza alcuna ambiguità le ricerche volte a comprendere l’emergere delle facoltà intellettuali umane, ricerche “incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona”, un’accusa tra le più gravi nel linguaggio della teologia cattolica.
L’aspetto più preoccupante è l’insistere sul diritto della Chiesa non tanto di esprimere la propria opinione, diritto che nessuno mette in discussione, quanto quello di legiferare su cosa si possa o non si possa leggere o insegnare, su chi abbia competenza a esprimersi circa questioni scientifiche complesse. Ancora una volta, mutamenti di clima politico determinano i toni e la scelta del momento opportuno di rivendicare diritti di intervento su settori cruciali della cultura e della ricerca scientifica. Il recente dibattito sull’insegnamento delle teorie evoluzionistiche nelle scuole, con tanto di comitato ministeriale riunito per decidere in che modo teorie così “teoriche” debbano essere presentate ai giovani, fanno ben capire come la questione di fondo sia non tanto la religione quanto l’occupazione di spazi politici. È evidente che carriere e prospettive di lavoro di ricercatori e di insegnanti che la pensassero diversamente sono messe a rischio da pronunciamenti quali quelli che abbiamo brevemente indicato. In un clima che tende a favorire strutture private di insegnamento, le conseguenze di tali indicazioni porrebbero molti docenti di scienze biologiche nella condizione di rischiare il posto di lavoro, se impiegati in istituti o università cattoliche.
In quanto studiosi del fenomeno, abbiamo sotto gli occhi un esempio classico di come, in condizioni locali particolari, le posizioni all’apparenza puramente dottrinali di una autorità religiosa rivestano caratteristiche squisitamente politiche, e tali da condizionare il livello culturale di un Paese, il formarsi di opinioni, la capacità delle giovani generazioni di confrontarsi con complesse questioni scientifiche su cui altri Paesi investono massicciamente, in un clima di piena libertà di dibattito.
A partire dagli anni Sessanta del XX secolo, il variegato mondo protestante evangelico degli Stati Uniti dà il via a una campagna sistematica e agguerrita contro l’evoluzionismo, che nell’ultimo decennio del secolo ha conosciuto importanti successi. Le ragioni sono complesse, ma gli studiosi del fenomeno non hanno dubbi sul suo carattere fondamentalmente politico, che si esprime con classici accenti populisti, e un linguaggio semplice e diretto, che individua nel ceto intellettuale liberale, scientista e ateo, la ragione di tutti i mali del Paese.
L’attacco frontale all’evoluzionismo non è certo una novità. Negli anni Venti, i legislatori degli Stati del Tennessee, del Mississippi e dell’Arkansas dichiarano reato penale l’insegnamento delle teorie evoluzionstiche, mentre in Oklahoma vengono proibiti tutti i libri che trattavano di evoluzione. Nel 1925, l’arresto e il processo del professor John Scopes, colpevole di aver insegnato il darwinismo nella sua scuola di Dayton (Tennessee), provocano l’intervento delle autorità federali volto a limitare l’ingerenza di sette religiose nell’insegnamento.
Intorno al 1970, la fondazione dell’Institute for Creation Science da parte di Henry M. Morris, ingegnere idraulico texano, costituisce una svolta organizzativa e politica di grande importanza. Il crescente successo del creazionismo trova ben presto imitatori e finanziatori, e a partire di primi anni Novanta si assiste al fiorire di musei della creazione, di siti internet e di case editrici che alimentano un forte mercato di pubblicistica creazionista. Al tempo stesso, a livello politico, le organizzazioni creazioniste ingaggiano una vera e propria guerriglia istituzionale cercando di assumere il controllo dei consigli di amministrazione del sistema scolastico di diverse città e Stati. Così, il Board of Education dell’Ohio decreta nel 2002 che l’insegnamento del darwinismo deve essere accompagnato da una discussione delle tesi creazioniste, mentre in Kansas decisioni a favore e contro il darwinismo si succedono a ritmo annuale.
Le forme estreme di negazionismo evoluzionistico sono state sottoposte a censura da diversi pronunciamenti di tribunali di diverso grado, provocando così un aggiustamento di tiro che consiste nel richiedere che si insegni sia la complessità teorica dell’evoluzionismo contemporaneo, sia l’esistenza di testi biblici che offrono una spiegazione alternativa. I siti internet di diverse fazioni del movimento (spesso in forte concorrenza) rinviano sia ad altri siti creazionisti, sia a siti di rispettabili istituzioni come la Smithsonian o il Natural History Museum di New York, per affermare l’apertura mentale e la tolleranza del movimento, contro la chiusura oscurantista degli scienziati materialisti. Il proliferare di associazioni e di imprese commerciali creazioniste provoca il parallelo proliferare di interpretazioni e di dottrine, al punto che il termine creazionismo indica oggi una pluralità di posizioni spesso incompatibili.
Più sofisticato è il movimento per l’Intelligent Design, che riprende temi classici della teologia naturale inglese e olandese, evita le grossolane mistificazioni del creazionismo americano, e utilizza le conoscenze scientifiche più aggiornate per mostrare come la scienza moderna sia giunta alla inevitabile conclusione che il cosmo e la natura vivente sono opera di un Creatore benevolo e intelligente.