Scienza e tecnica dello sport: i materiali
In tutti i tempi, fino da quelli più antichi, le competizioni sportive hanno sempre costituito, oltre che l'occasione per l'uomo di mettere alla prova la propria valentia fisica, uno stimolo a studiare materiali innovativi allo scopo di produrre un miglioramento delle prestazioni agonistiche.
Lo scopo della performance sportiva è tuttavia cambiato con il passare del tempo. Come viene descritto da vari autori, tra i quali Omero, ai Giochi dell'antica Grecia era affidato il compito di mostrare quanto validi fossero i guerrieri che rappresentavano le nazioni di appartenenza. Pressoché tutte le competizioni, infatti, non erano altro che una riproduzione, in chiave agonistica, dei gesti tipici dei guerrieri e dell'uso delle armi che venivano impiegate nelle guerre assai numerose dell'epoca. Basti pensare ad alcune gare delle antiche Olimpiadi, che si svolgevano appunto nella località di Olimpia: lancio del giavellotto, tiro con l'arco, scherma, equitazione, lotta, pugilato ecc. Anche se, proprio per affermare che i Giochi Olimpici erano un evento di pace, tutte le guerre in corso venivano automaticamente sospese per tutto il periodo nel quale essi si svolgevano, le discipline agonistiche erano pur sempre una manifestazione di capacità guerriera.
Le competizioni attuali, invece, sebbene spesso riproducano in chiave moderna molti degli sport praticati nell'antichità, avendo perso completamente qualsiasi valenza bellica, non sono altro che una 'scusa' che l'uomo si è dato per verificare l'optimum delle prestazioni fisiche della macchina umana: il massimo in resistenza, in potenza, in forza, in destrezza ecc., utilizzando una percentuale variabile del totale della muscolatura corporea e, talvolta, avvalendosi di attrezzi, di veicoli e perfino di animali.
In entrambi i casi, quello delle competizioni sportive dei tempi antichi e quello degli sport moderni, c'è sempre stato il desiderio di spingere al massimo progresso possibile la progettazione, la costruzione e l'impiego degli attrezzi usati in gara o negli allenamenti. Questi progressi nella tecnologia dei mezzi e degli attrezzi da gara sono documentati da quanto si può leggere nei testi letterari e ammirare in numerosi affreschi, mosaici e statue, e nelle figure degli atleti dipinte sul vasellame antico. Nell'antichità i materiali più all'avanguardia per i loro tempi erano rappresentati dai metalli utilizzati nelle armi e nelle protezioni per il corpo; molto accurata era anche la ricerca dei legnami impiegati per costruire i carri delle bighe e delle quadrighe, gli archi (famoso quello di Ulisse) e le imbarcazioni usate nelle competizioni nautiche, descritte con dovizia di particolari da Omero, ecc.
In alcuni attrezzi da gara, per la verità, lo scopo dei ritrovati tecnologici era sostenuto, nei tempi antichi, da fini opposti a quelli perseguiti nello sport moderno. Per es., i 'cesti' utilizzati dai pugili per fasciarsi le mani erano stati perfezionati al massimo per rendere i pugni i più letali possibile, mentre gli studi attuali sui materiali impiegati nei guantoni da pugilato hanno lo scopo di ridurre la lesività dei pugni medesimi. Lo stesso può essere detto delle armi cosiddette 'bianche' usate nella scherma, sia da punta sia da taglio. Le armi che i gladiatori adoperavano nei loro combattimenti erano tanto più valide quanto maggiore era la loro capacità di uccidere, mentre i fioretti, le spade e le sciabole attuali sono studiate, con massimo impiego di materiali innovativi, per non produrre la più piccola ferita o abrasione.
A seconda della loro destinazione, i materiali innovativi impiegati oggi nelle discipline sportive possono essere classificati in diverse categorie:
1) materiali impiegati per gli attrezzi da gara;
2) materiali impiegati per assicurare la salvaguardia dell'integrità degli atleti nelle fasi di allenamento e di gara. Possono essere, a loro volta, suddivisi in: a) materiali utilizzati per realizzare indumenti protettivi; b) materiali applicati direttamente sui veicoli da competizione (o nati per altri scopi ma impiegati in competizione) per accrescere la loro resistenza in caso di incidente; c) materiali destinati a rendere più sicuri per atleti, spettatori e commissari di gara i circuiti e i percorsi per mezzi motorizzati, a propulsione umana e a propulsione animale; d) materiali usati per la realizzazione delle particolari piste in cui gareggiano i bob, gli slittini e gli skeleton;
3) materiali impiegati per migliorare la performance dei veicoli da competizione. Possono essere suddivisi in: a) materiali, sia metallici sia appartenenti alla sempre più numerosa famiglia dei 'compositi', utilizzati nei componenti strutturali portanti dei veicoli; b) materiali, anch'essi assai leggeri e resistenti, usati per sagomare, o meglio, carenare i veicoli in modo da ridurne la resistenza aerodinamica all'avanzamento; c) materiali usati nei mezzi da competizione acquatici allo scopo di ridurne la resistenza idrodinamica all'avanzamento;
4) materiali flessibili atti a 'produrre' una spinta orizzontale o il sostentamento dei mezzi da competizione aerei, acquatici e anche terrestri che sfruttano l'atmosfera o le energie naturali presenti nella stessa, quali, per es., i movimenti orizzontali (vento) e verticali (correnti di pendio e 'termiche' ascendenti) dell'aria. Comprendono i materiali utilizzati per realizzare: a) le vele, per le quali si impiegano oggi tecnologie sofisticatissime; b) gli involucri degli aerostati; c) le ali e le superfici di governo degli aerei ultraleggeri, e le superfici portanti dei velivoli per volo librato o veleggiato, dei paracadute, parapendii ecc;
5) materiali utilizzati negli elementi che assicurano la propulsione dei veicoli motorizzati da gara terrestri, acquatici e aerei.
In genere in ogni materiale usato nella realizzazione di attrezzi, accessori e veicoli sportivi vengono sempre ricercati requisiti di leggerezza, resistenza, rigidezza ed elasticità. Per ottenere qualità del tutto opposte tra loro, quali per es. la rigidezza e l'elasticità, trovano spesso impiego gli stessi materiali, ma, ovviamente, disegnati, miscelati e assemblati in modo estremamente differente.
Fino a qualche decennio fa i materiali utilizzati nello sport erano, fondamentalmente tre: metalli, varie qualità di legno e tele di diverso spessore e consistenza. Storicamente, tra i metalli il primo a essere usato fu, probabilmente, il bronzo, poi iniziò l'uso del ferro, cui hanno fatto seguito, più recentemente, vari tipi di acciaio e infine i metalli leggeri. Il primo metallo cosiddetto 'leggero' fu l'alluminio, successivamente affiancato dal magnesio e dal titanio. Nel tempo l'uso allo stato puro di ciascuno dei metalli sopraindicati è stato progressivamente abbandonato in favore di leghe, dotate di caratteristiche assai differenti tra loro, nelle quali il metallo base viene miscelato, con procedimenti sempre più complessi, ad altri. Alcune leghe devono risultare estremamente rigide, in altre viene ricercata una grande elasticità e in altre, infine, l'unico requisito richiesto è la leggerezza.
Parallelamente ai metalli, e talvolta assieme agli stessi, è stato fatto larghissimo uso del legno di cui, a seconda delle esigenze delle differenti discipline sportive, sono state impiegate moltissime qualità diverse scelte, analogamente a quanto è avvenuto per i metalli, in base alla specifica qualità meccanica richiesta.
Tra i materiali che si possono definire tradizionali vi sono i tessuti di origine sia vegetale, quali il cotone, la canapa ecc., sia animale, come la seta. Furono le richieste di materiali tecnologicamente avanzati stimolate dalla Seconda guerra mondiale e il formidabile impulso che la stessa diede allo studio di nuove fibre a dare avvio a una vera e propria rivoluzione in questo campo, che ha portato all'ideazione di tessuti con caratteristiche sempre più spinte per quanto riguarda la resistenza meccanica alla trazione e allo strappo, la leggerezza, l'elasticità, la stabilità termica e l'insensibilità all'umidità. Materiali così avanzati passarono rapidamente dall'uso in campo militare a quello sportivo, settore nel quale l'evoluzione è ancora in atto e mostra progressi tecnologici talmente veloci da rendere molto difficile formulare una previsione sulle loro prospettive anche in tempi brevi.
Alla base di questa rivoluzione si pone l'avvento dei materiali sintetici e di quelli definiti 'compositi'. Il primo materiale sintetico, tuttora largamente impiegato, è stato il nylon, utilizzato per il cordame delle barche a vela, per i paracadute ad alta performance, per le tute a massima aderenza sul corpo dell'atleta aventi il fine di ridurre la resistenza aerodinamica ecc. La storia dei materiali compositi, costituiti soprattutto da derivati del petrolio, è particolarmente complessa e la lista dei composti chimici oggi utilizzati si è allungata a dismisura tanto che in questa sede si può solo accennare ai più noti e ai più diffusi.
Dopo il nylon fece la sua comparsa e si diffuse rapidamente in numerosi settori dello sport la vetroresina, che può essere considerata la capostipite dei compositi rigidi. È costituita da filamenti di fibra di vetro, assemblati sotto forma sia di tessuti sia di strati di fibre disposte alla rinfusa (mat) di maggiore o minore spessore, che vengono impregnati con resine di differente natura allo scopo di privilegiare, a seconda dei casi, la resistenza alla trazione e alla compressione, la rigidezza di forma, l'elasticità ecc. Quando si vuole potenziare la resistenza, soprattutto alla trazione, la vetroresina è assemblata secondo una direzione prevista, mentre l'agglomerato casuale delle fibre è preferito quando si vogliono seguire con la massima aderenza, negli stampi, forme caratterizzate da complesse curvature. La resina più impiegata per costruire oggetti di grandi dimensioni, come gli scafi delle imbarcazioni a vela o a motore, le carrozzerie non portanti delle automobili, dei bob, delle tavole a vela ecc. è quella poliestere. Quando sono richieste maggiore resistenza e rigidità, a parità di peso complessivo, si ricorre all'ormai numerosa famiglia delle resine epossidiche.
Dopo i tessuti in fibra di vetro hanno fatto la loro comparsa quelli in kevlar, materiale che non presenta grande resistenza di forma ma è caratterizzato, quando viene realizzato sotto forma di tessuto, dalla massima resistenza alla penetrazione, allo stiramento e al taglio, tanto che viene utilizzato nella costruzione degli indumenti antiproiettile. Trova impiego in molte specialità sportive anche se, in alcuni settori, è attualmente soppiantato dalla fibra di carbonio, sostanza che sta in misura sempre crescente sostituendo materiali tradizionali quali i metalli e il legno, nonché gli altri materiali compositi.
Da quando hanno cominciato a comparire sul mercato filamenti e tessuti in fibra di carbonio impregnati con svariate resine, soprattutto epossidiche, si è assistito a uno straordinario miglioramento di moltissimi oggetti utilizzati nello sport. L'aspetto più eclatante degli attrezzi sportivi e degli oggetti realizzati in fibra di carbonio, nei confronti di quelli realizzati in legno o anche con la migliore e più adatta lega metallica, è la leggerezza: infatti, a parità di resistenza meccanica, presentano un peso dal 50 all'80% inferiore.
Per ottenere dalla fibra di carbonio il massimo di resistenza meccanica e il minimo di peso, la tecnica costruttiva prevede che i pezzi posti negli stampi catalizzino, e cioè si solidifichino, 'sotto vuoto' spinto e ad alte temperature. Per questo motivo i laboratori nei quali vengono realizzati attrezzi, veicoli terrestri, imbarcazioni a vela e a motore, velivoli a motore, alianti, o, comunque, oggetti per uso sportivo in fibra di carbonio si sono dotati di potenti autoclavi, capaci di provvedere contemporaneamente alle condizioni di riscaldamento, pressione e depressione necessarie per ottenere, nei pezzi costruiti con questo materiale, il massimo possibile di resistenza, rigidezza, elasticità e, ovviamente, di leggerezza. Oltre che per fabbricare pezzi rigidi o elastici la fibra di carbonio viene utilizzata per tessuti leggerissimi e totalmente inestensibili, come le vele delle imbarcazioni tecnologicamente più avanzate.
Mentre per il lancio del peso e del martello si adoperano materiali tradizionali, nel lancio del giavellotto l'attrezzo è costituito da fibre di materiale composito e da resine, che assicurano una grande rigidità e, allo stesso tempo, la conformità ai regolamenti per quanto concerne la massa, il baricentro e il disegno.
Eccezionali risultati agonistici sono stati ottenuti nel salto con l'asta con il passaggio dal legno di bambù al metallo e infine ai materiali compositi (in un primo tempo fibra di vetro, poi fibra di carbonio), che ha via via potenziato l'elasticità dell. L'asta, infatti, è utilizzata in modo da essere 'caricata', e cioè flessa, dalla forza applicata su di essa dall'atleta che, grazie al peso proprio e all'elevata velocità acquisita, possiede una grande energia cinetica. Dopo essere stata caricata, l'asta restituisce l'energia elastica accumulata nella flessione, distendendosi e proiettando l'atleta verso l'alto.
Un percorso analogo ha seguito la canna utilizzata nella pesca sportiva: anche questo attrezzo all'inizio era realizzato in bambù, poi venne adoperata la fibra di vetro e infine a questa è subentrata la fibra di carbonio, che costituisce tuttora il materiale di elezione per ottenere le caratteristiche ottimali di elasticità, resistenza e leggerezza.
Giova soffermarsi sulla recente evoluzione di un attrezzo da gara antichissimo, l'arco, legata principalmente alla sostituzione del legno con materiali tecnologicamente avanzati. Inizialmente l'arco, sia da guerra sia da caccia ‒ e quest'ultimo già poteva essere considerato un attrezzo sportivo ‒ era realizzato con un solo pezzo in legno. Il perfezionamento successivo può essere identificato come il segno dell'evoluzione tecnologica del gruppo etnologico di appartenenza dell'utilizzatore. Si passò infatti, con i millenni, dal rozzo ramo piegato e legato alle estre mità con tendini di animali, ad archi molto ben sagomati e dotati di sempre migliori caratteristiche balistiche, fra i quali vale la pena di ricordare i famosi long bows, cioè gli archi lunghi utilizzati dagli inglesi, armi molto semplici, ma micidiali sia per la guerra sia per la caccia e per i tornei. Nella costruzione dell'arco il legno, da ultimo lavorato sotto forma di strati sovrapposti incollati tra loro, ha resistito a lungo, fino a quando cioè i nuovi materiali compositi hanno fatto intravedere la possibilità di ottenere degli archi più potenti e precisi. Al contrario di molti attrezzi sportivi moderni che sono interamente realizzati in materiali compositi, l'arco da tiro al bersaglio attuale è costituito nella sua parte centrale da un elemento rigido in metallo, al centro del quale è presente l'impugnatura, e dai 'flettenti', elementi elastici fissati alle due estremità dell'impugnatura, in materiale composito. Ldi utilizzare due materiali diversi nasce dalla necessità di assicurare il massimo della rigidezza all'impugnatura e agli attacchi su cui vengono fissati gli elementi flettenti (questa caratteristica meccanica viene raggiunta più facilmente con i metalli, quali le leghe a base di alluminio, magnesio, titanio, e soprattutto l''ergal', abbastanza leggera, ma molto rigida) e il massimo dell'elasticità agli elementi flessibili, che già nelle antiche balestre erano realizzati in metallo e per i quali vengono al giorno d'oggi usate in prevalenza fibre di carbonio impastate con resine.
Il materiale con cui sono realizzati gli elementi flettenti degli archi somiglia molto a quello con il quale vengono attualmente costruiti gli sci, altri attrezzi che hanno subito una straordinaria evoluzione tecnologica. A prescindere dal loro impiego sportivo, da millenni gli sci sono utilizzati dai popoli nordici per spostarsi sulle superfici nevose e soprattutto per cacciare nella stagione fredda: l'esame del carbonio 14 ha consentito di far risalire alcuni esemplari a più di 2500 anni fa. Questi primi sci erano in legno. In seguito venne adottato il legno multistratificato, con i vari strati legati tra loro con particolari collanti, poi integrato in epoca ancora più recente con strati di composito. Infine si è giunti all'esclusivo impiego delle resine e delle fibre di vetro, di carbonio e di kevlar per gli sci sia da discesa sia da fondo. Gli sci da discesa di più recente concezione, cioè quelli corti o cortissimi e quelli cosiddetti 'sciancrati', che non presentano in pianta un andamento parallelo ma sono più larghi alle estremità e più stretti in centro, sono nati, fin dalla loro origine, in materiale composito. Anche per le racchette è stato ormai da tempo abbandonato il legno di bambù a favore dei materiali compositi.
Analoga sorte, e cioè la sostituzione del legno con la fibra di carbonio, hanno avuto i remi da canottaggio e le pagaie per le canoe delle categorie sia kayak sia canadese, nonché le racchette da tennis e da badminton. Le racchette da tennis all'inizio erano costruite con vari pezzi di legno incollati tra loro. Per decenni costituì un serio problema mantenere inalterata la loro forma in ogni condizione climatica. Infatti, per effetto delle variazioni atmosferiche, soprattutto termiche e di umidità, ma anche a causa della tensione dell'accordatura i telai tendevano a deformarsi in condizioni statiche e a flettersi in modo asimmetrico sotto l'effetto dei colpi. Da questa flessione anomala derivavano due effetti dannosi: il primo era la mancanza di precisione nell'inviare la palla; il secondo il determinarsi di vibrazioni e risonanze anomale che, prendendo origine dall'accordatura, attraversavano l'intero fusto della racchetta e si estendevano al braccio del giocatore, finendo con il causargli microtraumatismi a carico delle inserzioni dei muscoli dell'avambraccio sul gomito, responsabili di una percentuale non trascurabile di casi della patologia nota come 'gomito del tennista'. Per impedire che le racchette di legno assumessero deformazioni permanenti o si flettessero per effetto dei colpi in modo anomalo, era necessario, quando non erano in uso, mantenerle in forma, sotto pressione, all'interno di speciali telai in legno o in metallo. Alle racchette in legno seguirono quelle in alluminio e in altre leghe metalliche che ebbero, però, vita relativamente breve e furono anche in questo caso sostituite dalla fibra di carbonio. Le racchette realizzate con questo materiale, se ben progettate e costruite, sono capaci di assicurare le doti ottimali di resistenza, rigidità e, nel contempo, di elasticità e di baricentratura richieste all'attrezzo.
Un altro banco di prova per nuovi materiali e per nuovi disegni è costituito dalle mazze da golf. è impossibile indicare lo 'stato dell'arte' per questi attrezzi perché, essendo questo sport in rapidissima espansione in particolare nei paesi più sviluppati economicamente, per ragioni tecniche ma soprattutto di mercato l'evoluzione degli attrezzi è sempre in fermento, con continui tentativi di introdurre innovazioni da parte dell'industria del settore. Si può, tuttavia, affermare che nelle varie mazze, che sono assai differenti tra loro a seconda del tipo di tiro da effettuare, sono presenti tutti i materiali: legno, metalli in varie leghe e disegni, materiali compositi.
Il legno, d'altra parte, non è scomparso in tutti gli attrezzi. Per es. è ancora impiegato negli sci d'acqua, che possono essere costituiti da un solo pezzo opportunamente piegato, oppure da sottili strati sovrapposti e incollati tra loro. Anche gli sci d, comunque, sono oggetto di continua evoluzione, per quanto concerne sia le forme sia i materiali degli incollaggi e dei sistemi di fissaggio ai piedi degli sciatori. La realizzazione di sci d'acqua in materiale composito imporrebbe di aggiungere al loro interno del materiale non strutturale a bassa densità (schiume di polistirolo, poliuretano e simili), per ottenere la galleggiabilità, qualità non presente nelle varie fibre impregnate con resine, che hanno una densità superiore a quella dell'acqua e quindi affondano.
Gli attrezzi sportivi che scivolano sull'acqua allo stato solido, come slittini, skeleton, bob e pattini da ghiaccio, utilizzano pattini in acciaio che vengono in continuazione levigati con elementi abrasivi per ridurre l'attrito. Lo slittino da competizione è molto differente dalle piccole slitte usate dai ragazzi per i loro giochi e dagli adulti per il trasporto dei materiali. Queste un tempo erano costruite in legno e oggi vengono realizzate in PVC. La tecnologia di questo materiale plastico ‒ a differenza di quella utilizzata per i tessuti in fibra di vetro, kevlar, carbonio ecc., che vengono stesi all'interno degli stampi e quindi impregnati, mediante un pennello o con un rullo, con resine ‒ si avvale della più economica, e soprattutto rapida, metodologia basata sull'iniezione a caldo in uno stampo doppio, negativo e positivo, del materiale plastico che, raffreddandosi, si solidifica; una volta aperte le due valve dello stampo, il prodotto ottenuto è già pronto all'uso; si tratta di un uso certamente sportivo, ma non agonistico. Per gli slittini da competizione e gli skeleton, invece, le lame di acciaio vengono applicate a un guscio di vetroresina. Poiché questo è destinato a interfacciarsi direttamente con le strutture corporee, viene personalizzato in modo da conformarsi nel modo più aderente possibile al corpo dell'atleta. Per quanto riguarda il bob, trattandosi più che di un attrezzo di un vero e proprio veicolo, per di più dotato di struttura assai complessa, se ne tratterà nel paragrafo dedicato, appunto, ai veicoli.
Ritornando invece agli attrezzi usati sull'acqua allo stato liquido, vanno citati i materiali impiegati nelle tavole da surf. Anche queste hanno subito, con il passare degli anni, un'evoluzione assai articolata nell'impiego dei materiali. In questo paragrafo si accennerà solamente a quelle prive di vela, originarie delle isole del Pacifico, mentre per quelle a vela si rimanda alla trattazione dei materiali impiegati nelle imbarcazioni vere e proprie, sia a propulsione eolica sia motorizzate. Attualmente, come in origine, le tavole da surf sono realizzate in differenti dimensioni e cubature, e hanno di conseguenza diversa galleggiabilità. Nella forma più elementare, la tavola da surf è costituita da una tavola di legno di differenti lunghezze: la più piccola, da 80 cm a 120 cm, sulla quale non è possibile stare in piedi, è adatta per sfruttare le piccole onde che finiscono sulla spiaggia poggiandovi sopra il torace e giungendo a riva in planata, scivolando cioè sulla superficie dell'acqua. Per le tavole più grandi, sulle quali è possibile stare in piedi, gli schemi costruttivi si sono evoluti nel tempo. Va ricordata innanzitutto la struttura classica in legno con superficie di compensato sostenuto all'interno da longheroni longitudinali e da ordinate trasversali, il tutto incollato e talvolta inchiodato e avvitato. Questo tipo è stato poi sostituito da un blocco compatto di polistirolo rastremato a mano, rivestito da teli di lana di vetro resa solida con resine poliestere; nell'applicazione di questa tecnica il polistirolo, prima di essere rivestito, deve essere accuratamente verniciato con colle viniliche o con altre sostanze capaci di isolarlo dalla rapida azione solvente esercitata dalle resine poliestere. Successivamente è stato messo a punto un sistema, costruttivamente analogo, ma basato sulla sostituzione del polistirolo con schiumato poliuretanico, materiale più costoso del precedente ma che non viene disciolto dal contatto con la resina poliestere. Un ulteriore perfezionamento si è avuto con l'impiego delle fibre di carbonio o di tessuto misto carbonio-kevlar, per il rivestimento esterno, e con l'adozione delle resine epossidiche in luogo delle poliestere. Con quest'ultima modifica le tavole da surf hanno raggiunto un optimum di efficienza dovuto non solamente alla riduzione notevole del loro peso, ma anche a un'incrementata resistenza agli urti. Questi attrezzi oggi sono anche estremamente attraenti dal punto di vista estetico, grazie alle decorazioni che vengono dipinte su tutta la loro superficie, impiegando tecniche raffinate. Per verniciare le tavole viene fatto un largo uso di 'aerografie' multicolori ispirate dagli stessi atleti che le considerano un segno distintivo.
Indumenti. - Tra i materiali utilizzati per proteggere l'incolumità degli atleti in quelle discipline che comportano un rischio di eventi traumatici, vanno innanzitutto ricordati quelli impiegati per realizzare particolari tipi di indumenti.
Si può iniziare la rassegna con i caschi protettivi, il cui uso è ora imposto dai regolamenti internazionali e nazionali per molti sport. A questo riguardo si può notare che per molto tempo gli organismi federali non mostrarono una particolare sensibilità nei confronti del problema della sicurezza degli atleti. Per es. nell'automobilismo bisognò attendere la metà degli anni Cinquanta per assistere a una generalizzazione dell'uso del casco. Per molti anni, anzi, in Italia solo Piero Taruffi indossava regolarmente un casco protettivo nelle gare delle massime cilindrate, sia di categoria corsa sia di categoria sport. Forse perché era un ingegnere di grande valore, Taruffi aveva intuito che un casco come quello con calotta di metallo da lui impiegato non risolveva certamente il problema dell'incolumità del pilota, ma era certamente un positivo passo avanti nel settore della sicurezza. Tutti i grandi campioni dell'epoca ‒ i cui nomi sono famosi anche oggi: Manuel Fangio, Alberto Ascari, 'Gigi' Villoresi ecc. ‒ utilizzavano un caschetto di tela, utile soprattutto per ripararsi dal vento e per fornire un punto d'appoggio ai laccetti di fissaggio degli occhiali parapolvere, ma certamente incapace di assicurare la benché minima protezione in caso di incidente. Solo alla metà degli anni Cinquanta in tutti gli sport motoristici, e in particolare nell'automobilismo e nella motonautica, fu seguito l'esempio del motociclismo che già da qualche anno aveva reso obbligatorio il casco rigido nelle gare.
Oggi i caschi protettivi rigidi vengono adottati anche in sport non motoristici, nei quali la velocità e le modalità di svolgimento possono comportare il rischio di traumi cranici, come il bob, lo slittino, il pattinaggio (su ghiaccio e su rotelle, su pista e su strada), l'hockey (su ghiaccio e su rotelle), il football americano, la discesa libera nello sci, alcuni ruoli nel baseball, la canoa kayak e canadese nelle specialità di discesa, il paracadutismo, il parapendio ecc. Il casco è inoltre prescritto nelle corse dei cavalli e in tutti gli altri sport equestri a eccezione del dressage, dove non vengono mai raggiunte alte velocità. Nell'alpinismo estremo è usato per proteggersi dalla caduta dei sassi (motivo per cui viene indossato anche dagli speleologi).
Per quanto riguarda il ciclismo, fino a pochi anni fa nelle gare in pista era generalizzato l'uso di caschetti formati da 'salsicciotti' di pelle imbottiti, in grado di mantenere una buona ventilazione della testa, ma totalmente incapaci di offrire una qualche protezione al cranio in caso di cadute. Ora l'impiego del casco rigido è stato imposto, per regolamento, in tutte le competizioni che si svolgono nei velodromi, oltre che nelle gare di mountain byke e in tutte le specialità giovanili. Invece i ciclisti professionisti su strada, nonostante si siano non di rado verificati casi di traumi cranici ‒ con esito anche mortale ‒, hanno opposto una fierissima resistenza all'imposizione del casco protettivo adducendo varie scuse (scomodità, difficoltà di smaltire il sudore, peso superfluo, impossibilità di essere riconosciuti dai tifosi ecc.), per cui in questa categoria agonistica l'uso del casco è rimasto facoltativo e per lo più i corridori si limitano a indossarlo durante le 'volate' e le discese più ripide, che costituiscono i tratti più pericolosi delle corse su strada.
Per quanto riguarda i materiali impiegati nella costruzione dei caschi va subito fatta una distinzione tra quelli intesi come indumento protettivo e quelli che non costituiscono altro che elementi di abbigliamento. Era questa praticamente la funzione dei caschetti di tela allacciati sotto il mento, adottati dai piloti degli antichi aerei con abitacolo aperto per proteggersi dal vento. Durante la stagione invernale venivano sostituiti da altri identici per forma ma di pelle e, se il freddo era particolarmente intenso, imbottiti di pelliccia (anche in questo caso si trattava sempre di indumenti capaci di proteggere dalle intemperie, ma di offrire solo una modestissima difesa da eventuali traumi). Quando venne preso in considerazione il problema della protezione del capo dai traumatismi, il primo passo fu rappresentato dall'impiego del cuoio, talvolta imbottito e rinforzato da rinforzi anulari sempre imbottiti. Seguirono poi i primi tentativi di realizzare caschi veramente protettivi, con calotta in metallo. Infine vennero i caschi il cui materiale costruttivo è genericamente indicato come 'plastica', ma che sono realizzati utilizzando due tecnologie fondamentalmente diverse tra loro: quelli in resine rinforzate da fibre di carbonio e kevlar applicate in più strati, adottati dai grandi campioni degli sport di velocità, automobilismo, motociclismo, motonautica ecc., e quelli stampati in policarbonato, ancora diffusi per il loro basso costo, ma con prestazioni nettamente inferiori.
Tutti i caschi protettivi, a prescindere dal tipo di sport in cui sono impiegati, sono composti da tre parti: una calotta, uno spessore interno in materiale leggero da imbottitura, e un sistema di aggancio (costituito, nella maggioranza dei casi, da una cinghia che si allaccia al di sotto della mandibola). Una considerazione critica va formulata a proposito dell'estrema varietà dei sistemi di aggancio della cinghia di fissaggio del casco. Alcuni non sono di facile utilizzo per cui, in caso di incidente, i soccorritori potrebbero trovarsi in forte imbarazzo a intervenire, qualora l'utilizzatore del casco non si trovasse nella condizione di poterlo sganciare da solo.
Se i caschi proteggono l'intero volto, e quindi si prolungano fino a coprire le guance e il mento, si chiamano 'integrali'. Se coprono la sola calotta cranica e non giungono a coprire il volto, prendono il nome, assai generico, di caschi 'jet'. Il tipo di protezione assicurato (o non assicurato) è assai diverso. È evidente che maggiore è la superficie coperta, maggiore è la protezione. Così è chiaro che i caschetti del tipo di quelli usati dai ciclisti nelle corse su strada, posti sulla sommità del capo e che non coprono le orecchie e parte delle ossa temporali anche se sono prolungati longitudinalmente, proteggono ben poco potendo scivolare di lato al più lieve degli urti.
La tecnologia e il disegno dei caschi sono in continua evoluzione, non solamente allo scopo di migliorarne le caratteristiche di protezione ma anche, in alcuni casi, per favorire la penetrazione aerodinamica. Le forme caratterizzate da più ridotta resistenza all'avanzamento sono perlopiù adottate negli sport nei quali viene raggiunta un'elevata velocità o in quelli, come il ciclismo, nei quali la sorgente della propulsione è la forza muscolare fornita dall'atleta o la gravità che, in discesa, può far raggiungere alte velocità.
Gli sport nei quali i caschi hanno assunto rilevantissime valenze protettive sono naturalmente gli sport motoristici, soprattutto l'automobilismo e il motociclismo. In queste discipline i caschi, oltre ad assicurare la massima copertura possibile, sono diventati estremamente solidi e resistenti agli urti, pur rimanendo assai leggeri. Per ottenere prodotti dotati di queste qualità apparentemente contrastanti, come la grande resistenza agli urti e il basso peso, è necessario il ricorso a materiali costosissimi, i cui prezzi elevati sono dovuti anche al fatto che richiedono un largo impiego di manodopera qualificata.
Un cenno a parte merita il casco protettivo utilizzato dai pugili. È ben noto che uno degli aspetti più controversi del pugilato è rappresentato dalla potenziale lesività dei colpi tirati alla testa, con possibili micro- e macrolesioni a carico della delicatissima massa encefalica. In tempi recenti si è finalmente diffusa la tendenza di privilegiare, in questo sport, il concetto di scherma pugilistica, legato più alla destrezza e all'abilità che alla capacità di provocare lesioni, ed è stato questo concetto che ha portato all'adozione dei caschi protettivi in tutti i combattimenti per dilettanti, comprese le Olimpiadi. Il casco utilizzato nel pugilato ha la caratteristica distintiva di essere a superficie morbida e non rigida, ed è simile per consistenza e materiali impiegati ai guantoni. Lo stesso tipo è adottato anche in altre discipline di origine orientale (per es. il kick boxing), nelle quali l'avversario può essere colpito oltre che con le mani anche con i piedi e con altre parti del corpo, come i gomiti.
Se in molti sport il casco costituisce la sola protezione indossata dagli atleti, in altre discipline gli indumenti protettivi sono molti. Quelli più complessi, nella cui realizzazione vengono impiegati materiali assai sofisticati, sono adottati nelle competizioni in circuito dai motociclisti, che hanno ogni parte del corpo coperta da speciali protezioni: i gomiti, le ginocchia, le caviglie, le anche e le spalle delle tute presentano, infatti, inglobate nello stesso tessuto o incollate sopra o sotto la tuta stessa, speciali sagomature costituite da compositi particolarmente resistenti agli urti e agli strofinamenti. Esternamente alle protezioni delle ginocchia vi sono dei tamponi, previsti per scivolare lungo la superficie dell'asfalto durante le curve effettuate con forte inclinazione della moto. Tra gli indumenti protettivi del motociclista da corsa vi è anche una specie di 'guscio di tartaruga' che ricopre gran parte del dorso in modo da proteggere le delicatissime strutture della colonna vertebrale. Al di sopra di questo guscio, al centro della schiena e con inizio dal collo, è posta una specie di 'gobba' affusolata che si prolunga verso i glutei e ha una funzione aerodinamica, raccordando il casco con la schiena in modo da formare un profilo che avvia in modo corretto il flusso dell'aria lungo il dorso. Il complesso di questi elementi sovrapposti (la gobba e il guscio) costituisce un eccellente elemento protettivo delle strutture del tronco dei piloti. La tuta vera e propria, invece, dipinta con colori vivaci e con i logo degli sponsor, è realizzata in un materiale assolutamente tradizionale: pelle di origine animale. Le caratteristiche richieste a una tuta da motociclista sono molteplici e non si limitano alla protezione contro gli urti e alla resistenza all'abrasione: in caso di scivolamento sulla superficie dell'asfalto è soprattutto necessario che la tuta non si surriscaldi oltrepassando la temperatura che può essere sopportata dalla pelle del pilota senza che si verifichino ustioni. Tutti i tessuti artificiali realizzati con composti di origine chimica o con fibre vegetali presentano le caratteristiche meccaniche protettive necessarie, ma fino a oggi solamente la pelle animale ha dimostrato di essere in grado di abradersi, strisciando lungo la superficie dell'asfalto, senza prendere fuoco.
In molte altre discipline sportive sono richieste ampie superfici di protezione da applicare sulle parti più esposte ai traumatismi prodotti da bruschi contatti contro il corpo di avversari, le pareti che delimitano il campo di gara, gli attrezzi di gara ecc. Tra gli indumenti protettivi più complessi vi sono quelli indossati dai giocatori di football americano, uno degli sport nei quali il regolamento ammette contrasti tra i giocatori estremamente violenti e potenzialmente assai pericolosi. Oltre ai caschi, che presentano una parte anteriore a forma di gabbia per proteggere il volto, vi sono vistose protezioni delle spalle e altre placche protettive applicate su alcune articolazioni e su parti del tronco. Non molto dissimili da quelle del football americano sono le protezioni indossate nell'hockey su ghiaccio dai giocatori e in particolare dai portieri che devono difendersi dai colpi di mazza e dagli urti con i giocatori e, soprattutto, con i dischetti scagliati a una velocità così alta da trasformarli in veri e propri proiettili. Analoga necessità di protezione ha nel baseball il catcher, il cui ruolo è quello di intercettare le pesanti palle sfuggite alla mazza del battitore.
Riguardo agli oggetti, quali palle o dischetti, che vengono tirati ad alta velocità nei giochi di squadra va ricordato che sono più pericolosi quelli di maggiore peso specifico, come le palle del cricket, del baseball, dell'hockey su prato e quelle del 'frontone basco', queste ultime scagliate con cesti arcuati capaci di imprimere elevatissime accelerazioni. È evidente, comunque, che anche le palle da golf, quando un giocatore rimane accidentalmente colpito, risultano lesive, così come possono determinare danni anche gravi le palle da tennis, data la velocità che raggiungono nell'aggressivo gioco moderno. Si deve notare che, nonostante il potenziale pericolo costituito dagli oggetti tirati ad alta velocità, in molti sport di squadra le sole protezioni adottate dagli atleti ‒ e non sempre ‒ sono rappresentate dalle cosiddette 'conchiglie' da applicare sui genitali maschili, usate anche in altri sport quali il pugilato, alcune arti marziali ecc.
Le discipline in cui trovano impiego elementi protettivi sono troppo numerose per darne un elenco completo. Si può genericamente ricordare che in molte è frequente l'uso di ginocchiere, parastinchi, paragomiti, nonché di protezioni rigide, semirigide e soffici applicate sui fianchi per proteggere il bacino. I materiali utilizzati allo scopo hanno subito, nel corso degli anni, sostanziali evoluzioni. Dal cuoio imbottito con lana e altri tessuti di origine materiale e animale, che erano in passato i materiali di elezione, si è passati a metalli leggeri, sempre imbottiti con materiali soffici capaci di adattarsi alla superficie corporea senza provocare traumatismi. Attualmente i più usati sono il PVC, la fibra di vetro, la fibra di carbonio, il kevlar e le combinazioni carbonio-kevlar.
I nuovi materiali hanno consentito anche il perfezionamento delle strutture. Infatti, accanto alle protezioni eseguite in un solo elemento ve ne sono ora altre composte da vari pezzi articolati tra loro in modo da adattarsi ai movimenti della regione corporea. Se dal punto di vista costruttivo questo costituisce una complicazione, i vantaggi sono evidenti. Prendiamo l'esempio della copertura di una spalla: se è disegnata in modo da essere adatta solo alla posizione con le braccia aderenti al tronco, è chiaro che quando il soggetto solleva le braccia la protezione non è in grado di seguire la differente geometria assunta dalle strutture rigide del corpo; se, invece, è configurata in varie parti, a guisa degli elementi del corpo di un gambero o di un'aragosta, la protezione può adeguarsi ai movimenti mantenendo inalterata la sua efficacia. Un esempio in chiave antica di quanto oggi viene eseguito in fibra di carbonio, kevlar ecc. si ritrova nelle perfette articolazioni delle armature di ferro medievali.
Anche per quanto riguarda i materiali per le imbottiture poste all'interno delle protezioni c'è stata una evoluzione tecnologica: si è infatti passati a prodotti di nuova generazione quali gli schiumati di varia densità e con diverse caratteristiche elastomeriche, che talvolta presentano anche una lenta isteresi. Si tratta, cioè, di imbottiture capaci di adattarsi al profilo delle parti del corpo da proteggere e di mantenere quelle forme fino a che sono indossate, salvo riprendere il profilo originale con una certa lentezza, dopo che vengono tolte. Con questo artificio tecnico le protezioni sono in grado di distribuire gli eventuali eventi traumatici sulla massima superficie corporea, riducendo al minimo gli effetti lesivi.
Tra gli indumenti protettivi una citazione a parte va riservata ai guanti, di cui esistono tipologie estremamente specializzate, atte a soddisfare diverse esigenze, come d'altra parte assai diversi sono i ruoli affidati alle mani degli atleti. In alcuni sport le mani devono lanciare o ricevere palle che possiedono una grande quantità di moto: in questo caso non si utilizzano guanti ma vistose protezioni delle singole dita, in modo da evitare traumatismi e consentire allo stesso tempo all'atleta di praticare la sua attività anche dopo aver subito eventi traumatici a carico di qualche dito; tipicamente questo genere di protezione trova impiego nel volleyball. Negli sport motoristici i guanti, oltre ad agevolare il pilotaggio dei veicoli, possono avere funzione antitraumatica, come nel motociclismo, oppure ignifuga, come nell'automobilismo e in alcune categorie di motonautica. Ai 'guantoni' del pugilato è affidato un compito sia protettivo ‒ tale che le mani del pugile non subiscano lesioni quando vengono 'tirati' colpi ad altissima velocità ‒ sia di trasmissione distribuita della capacità offensiva. Perché possano assolvere efficacemente a questo duplice ruolo, i guantoni sono stati oggetto di una ricerca particolarmente intensa e sono ancora oggi al centro di continui tentativi di miglioramento.
Altri materiali adottati nell'equipaggiamento degli atleti hanno il fine di proteggere dal freddo. È questo il caso delle mute subacquee realizzate in neoprene. Si tratta di un materiale spugnoso, che non presenta la caratteristica dell'impermeabilità. Il suo scopo infatti non è quello di impedire all'acqua di raggiungere la superficie cutanea, ma al contrario di trattenerne la massima quantità possibile in rapporto allo spessore. La muta protegge dal freddo non mantenendo asciutta la pelle dei subacquei, ma realizzando un vero e proprio 'vestito d'acqua'; questo nel ricoprire l'intera superficie del corpo assume una temperatura prossima a quella del corpo stesso e grazie al potere isolante dell'acqua impedisce al subacqueo di perdere calore. L'efficacia della muta dipende, quindi, dallo spessore del 'vestito d'acqua', ovvero dallo spessore dello strato di neoprene di cui è composta.
Un compito diverso da quello delle mute da subacqueo svolgono le tute ignifughe, capaci cioè di proteggere dal fuoco, usate con ottimi risultati dai piloti di automobili da corsa di ogni categoria e dai piloti motonautici che gareggiano in imbarcazioni dotate di abitacoli chiusi. Un tempo gli indumenti ignifughi erano utilizzati quasi esclusivamente dai vigili del fuoco e impiegavano fibre di amianto, di cui è oggi ben nota la pericolosità: gli elementi microfibrosi dispersi nell'atmosfera dai manufatti in amianto risultano cancerogeni per le vie respiratorie. I tessuti più recenti utilizzano un materiale indicato genericamente come 'Nomex', in grado di assicurare la protezione dalle fiamme per diverse decine di secondi. Grazie a questi tessuti i piloti, che oltre alle tute indossano anche calze, guanti e passamontagna ignifughi, hanno tempo sufficiente per uscire da veicoli totalmente avvolti dalle fiamme senza riportare ustioni. Non sono previsti indumenti di questo tipo per i motociclisti, per i piloti motonautici di altre categorie e per i piloti di deltaplano a motore che non si trovano all'interno di un abitacolo chiuso. In questi casi, infatti, il pericolo di un incendio del carburante che si estenda al veicolo e al corpo del pilota è abbastanza remoto.
Indumenti sportivi dotati di una specificità del tutto peculiare sono quelli indossati dagli schermidori, che non hanno solo il ruolo protettivo di evitare il contatto della pelle con la lama dell'avversario ma sono anche conduttori di corrente elettrica. Infatti con la strumentazione attuale il controllo delle stoccate, e cioè dei colpi validi, è effettuato automaticamente attraverso contatti elettrici. A fronte di questi importanti compiti vi è un lato negativo: il tessuto pesante e impenetrabile con cui sono realizzati i corsetti indossati dagli schermidori impedisce quasi del tutto la dispersione del calore e del sudore prodotti dagli atleti. Si tratta di uno svantaggio assai grave in quanto le competizioni di scherma prevedono, talvolta, molti combattimenti per tutto l'arco della giornata e per di più all'interno di locali surriscaldati e superaffollati.
Tra gli indumenti protettivi vanno infine citati i giubbotti salvagente, adottati o prescritti in numerosi sport: motonautica, moto d'acqua, vela, canoa kayak e canoa canadese nelle specialità di discesa. Non sono confezionati nello stesso modo per tutti gli sport, ma presentano delle differenze che li rendono adatti alle situazioni specifiche che si possono verificare in ogni singola disciplina. L'unica caratteristica comune a tutti i giubbotti salvagente di uso sportivo è la galleggiabilità dei materiali di cui sono costituiti, in modo da risultare pronti per l'uso e da non dover essere gonfiati, come richiedono per es. i giubbotti di salvataggio utilizzati sugli aerei di linea. Nei giubbotti moderni il pacco di galleggiamento è rappresentato da materiale plastico composto da schiume semirigide e a celle chiuse, incapaci cioè di assorbire acqua anche dopo lunghi periodi di immersione. Alcuni giubbotti di salvataggio sono strutturati in modo da distribuire attorno al torace il materiale che assicura il galleggiamento così che la testa dell'infortunato possa rimanere al di sopra della superficie dell'acqua, anche in caso di stato di incoscienza. Per meglio assolvere a questa esigenza, nei giubbotti utilizzati in alcuni sport, come per es. la motonautica, oltre alla concentrazione del materiale flottante sulla parte anteriore del torace, sono prescritti dei collari caratterizzati da una notevole cubatura che mantengono il capo dell'infortunato in posizione semisupina, con la bocca e il naso al di sopra del pelo dell'acqua.
Materiali protettivi per veicoli da competizione. - Si tratta di materiali innovativi, nati allo scopo di migliorare le performance in gara e sviluppati in modo da risultare assai leggeri, mantenendo nel contempo la massima rigidità e resistenza alla flessione, alla trazione, alla torsione, alle vibrazioni, alla fatica e agli stress prolungati, nonché agli urti. Tali caratteristiche meccaniche li rendono di ideale applicazione negli elementi strutturali delle vetture, potendo assicurare un'ottima protezione del pilota senza sacrificare nulla delle prestazioni.
Il componente strutturale delle vetture da corsa che ultimamente ha fatto registrare la massima evoluzione è il telaio monoscocca, passato in pochi decenni da un traliccio di tubi in metallo (alluminio, magnesio, acciaio ecc.), talvolta integrato da lamiere in lega leggera saldate o rivettate, alla struttura attuale realizzata in fibra di carbonio. Il telaio monoscocca, che deriva il suo nome dall'essere realizzato in un solo pezzo, è il componente più grosso di una vettura da competizione e comprende anche l'abitacolo del pilota. Questi nelle monoposto, per ragioni aerodinamiche e per mantenere più basso possibile il baricentro, assume una posizione scomodissima ma estremamente protetta. La stessa filosofia costruttiva ‒ e spesso anche la stessa scomodità ‒si ha anche nei veicoli, perlopiù biposto, realizzati per altre categorie di vetture da competizione, in cui accanto al pilota siede un navigatore oppure un secondo pilota. La funzione protettiva del telaio monoscocca è accresciuta dal roll bar, struttura capace di resistere a sollecitazioni di molte decine di volte superiori all'accelerazione di gravità, che assicura che il pilota non venga schiacciato in caso di ribaltamento.
I telai monoscocca in fibra di carbonio vengono realizzati con la tecnica del 'nido d'ape' (dall'inglese honeycomb). Sono formati per gran parte della loro superficie da due strati di tessuto di carbonio, spesso indicati in gergo come 'pelli', al cui interno viene posto del materiale leggerissimo, di spessore variabile a seconda della zona del veicolo. Il materiale interposto può essere formato o da schiume rigide poliuretaniche o da un reticolo in plastica, resina e in alcuni casi metallo realizzato in modo da formare un vero e proprio nido d'ape a celle esagonali. I tessuti di carbonio, incollati mediante resine mono- o policomponente agli inserti di materiali ultraleggeri, formano strutture rigidissime e di bassissimo peso caratterizzate da una notevole resistenza sia alla compressione sia alla trazione e alla torsione.
Se le pelli esterne e interne sono molto sottili, il manufatto non risulta molto resistente alla penetrazione di oggetti a punta. Quando si rendesse necessario anche questo tipo di resistenza, per es. nella realizzazione degli abitacoli, occorre incrementare lo spessore delle pelli oppure ricorrere a un'integrazione con altro materiale. Spesso la fibra di carbonio, nel lato dell'honeycomb posto in prossimità del corpo del pilota, viene intessuta con fibre di kevlar, materiale che oltre a possedere un'elevatissima resistenza alla trazione e alla penetrazione da parte di elementi a punta o, comunque, di bassa superficie, presenta anche il vantaggio di non formare, quando si lesiona, rime di frattura taglienti, come invece succede con la fibra di carbonio.
Nelle vetture delle varie categorie rally, derivate anche se con ampie modifiche dalla produzione di serie, e in quelle impiegate nelle competizioni fuoristrada e nei raid, la protezione dei piloti è costituita da gabbie di tubi, perlopiù di acciaio ad altissima resistenza e con diametro fino a 7-10 cm, che vengono saldate alla struttura dell'auto all'interno degli abitacoli delle auto, seguendo la forma interna di questi. La struttura dei veicoli risulta, così, assai irrobustita e in grado di resistere non solamente agli urti, ma anche alle sollecitazioni che l'auto subisce quando il percorso prevede tratti di sterrato costellati da trincee, pietre ecc. Lo stesso sistema di protezione in tubi viene adottato nelle vetture, anch'esse derivate dalle auto di serie, impiegate nelle competizioni in circuiti automobilistici permanenti delle classi Turismo, Superturismo, Monotipo, e delle classi statunitensi come le NASCAR.
La tecnologia messa a punto nelle automobili da corsa viene applicata anche in motonautica nelle massime categorie circuito e offshore. La maggiore differenza tra l'abitacolo protetto di un'auto da corsa e quello di un motoscafo è costituita dalla presenza, in quest'ultimo, di un tettuccio rigido di copertura, che ha lo scopo di mantenere separato il corpo del pilota dall'acqua in caso di incidente. Infatti, nel ribaltamento del veicolo ad alta velocità l'urto diretto con l'acqua, più che l'annegamento, è responsabile di un'elevatissima incidenza di evenienze mortali. Vale la pena ricordare che la motonautica è lo sport che presenta il maggior numero di incidenti mortali in relazione al numero dei praticanti e alla durata di esposizione al rischio.
Per molti anni per la copertura degli abitacoli dei motoscafi si sono usati i tettucci protetti monoblocco dei caccia americani F16, realizzati con un materiale composito denominato 'lexan', che può essere stampato anche con elevato spessore, in modo da resistere ai colpi di mitragliatrice. Montato su un motoscafo da corsa il tettuccio in lexan, se ben integrato con il resto dell'abitacolo, è in grado di opporre resistenza anche al più violento urto contro l'acqua e risulta, perciò, veramente efficace ai fini della sicurezza. I tettucci attuali sono realizzati con lo stesso materiale ma appositamente a fini motonautici, per cui i progettisti non devono più adattare il disegno del motoscafo a quello del tettuccio ma sono liberi di scegliere le forme da loro considerate più adatte per associare la massima velocità con il più alto livello di sicurezza.
Protezioni per circuiti e percorsi di gara. - Per molti decenni i circuiti automobilistici e motociclistici permanenti o i circuiti cittadini, preparati estemporaneamente in occasione di particolari competizioni, sono stati pressoché privi di elementi capaci di proteggere i piloti, i commissari di gara e gli spettatori in caso di incidenti. Le uniche eccezioni erano costituite da balle di paglia disseminate, peraltro con parsimonia, nei punti del circuito considerati più pericolosi e nei quali era più alta la probabilità che i veicoli in gara, sbandando, finissero fuori strada. Fino a oltre la metà del 20° secolo, infatti, non essendo stati ancora realizzati i guardrail, il percorso era definito da paracarri e alberi, contro i quali venivano appoggiate balle di paglia. Soprattutto con il crescere della velocità dei veicoli, queste si rivelarono sempre meno adatte a svolgere una funzione protettiva e gli incidenti mortali in cui rimasero coinvolti sia motociclisti sia automobilisti furono numerosi. Solamente i circuiti fissi, con tracciato a forma di ovale, come il famoso Speedway di Indianapolis, erano dotati di protezioni specifiche, costituite da muretti continui (tuttora presenti) posti all'esterno e all'interno del percorso.
Più recentemente la sicurezza degli impianti permanenti si è principalmente fondata sulle cosiddette 'vie di fuga', realizzate soprattutto all'esterno delle curve laddove è prevedibile l'uscita di strada di vetture e motociclette. L'ampiezza e il tipo di 'vie di fuga' hanno determinato una discriminazione tra i circuiti adatti sia alle auto sia alle moto e quelli che invece possono essere giudicati idonei alle sole automobili. Per quanto riguarda le moto la formula che è stata applicata ‒ e che ha realmente condotto a una drastica riduzione degli incidenti mortali, nonostante il vertiginoso incremento delle potenze e, conseguentemente, della velocità raggiunta in tutte le categorie di cilindrata previste dai regolamenti internazionali ‒ è stata quella di assicurare enormi spazi liberi da ostacoli all'esterno di ogni curva. Per consentire una progressiva riduzione della velocità delle moto, questi spazi di fuga vengono coperti da strati di sabbia con una serie di solchi ortogonali alla direzione prevedibilmente assunta in caso di caduta e tali da incrementare l'effetto di freno da esercitare sia sul corpo del pilota sia sulla stessa motocicletta. Nel caso delle corse motociclistiche, infatti, più esteso è lo spazio per smaltire la velocità più è probabile che il motociclista, al termine di una serie di rotolate e strisciate, prima sull'asfalto e successivamente sull'erba e sulla sabbia, esca indenne dall'incidente. Non si verificano danni soprattutto se la caduta è avvenuta a causa di perdita di aderenza della ruota anteriore, e cioè con la motocicletta quasi orizzontale e con il corpo del pilota già praticamente a terra, tenendo presenti le efficacissime protezioni distribuite su tutta la tuta (v. sopra).
Nel caso delle piste automobilistiche, sia per le formule monoposto sia per le vetture Sport Prototipi e appartenenti alle categorie Turismo e Superturismo, è sempre valido il criterio che quanto più ampie sono le vie di fuga tanto più il circuito è da considerarsi sicuro. Tuttavia, dati i miglioramenti delle protezioni poste nei veicoli, può essere tollerabile che le vie di fuga siano meno estese di quelle previste nelle piste per le moto e siano adottati altri sistemi per proteggere i piloti, come per es. schiere sovrapposte di copertoni di auto bloccati tra loro e, in taluni casi, serbatoi in plastica semiriempiti di acqua. Il principio fisico al quale si ispirano questi mezzi di protezione è quello di aiutare i veicoli finiti fuori strada a decelerare attraverso mezzi che consentano di smaltire l'energia cinetica mediante deformazione di materiali. I mezzi di protezione dei circuiti ‒ siano essi rappresentati da muretti, copertoni e serbatoi d'acqua ‒ sono tutti sovrastati da robustissime reti metalliche capaci di contenere, in modo non rigido ma cedevole, le vetture che, a seguito dell'urto con un'altra auto o per anomale perdite di aderenza, dovessero decollare.
Invece nessuna protezione, oltre quelle installate nelle vetture, è prevista nelle moltissime competizioni che si svolgono su percorsi stradali sterrati, in deserti, petraie, montagne ecc. Meritano un cenno particolare i rally, nei quali, oltre alla mancanza assoluta di elementi protettivi ai lati del percorso, un pericolo aggiuntivo è rappresentato dagli spettatori che si affollano all'esterno delle curve più impegnative, dove lo spettacolo è certamente più attraente ma il rischio di essere investiti da un'auto uscita di strada è estremamente elevato. Lo stesso discorso vale anche per i percorsi stradali di alcune corse motociclistiche, che sono praticamente privi di protezione a eccezione di qualche arcaica balla di paglia. Tra queste gare, particolarmente pericoloso si è sempre dimostrato il Tourist Trophy, che si svolge dal 1909 nell'Isola di Man e che è costato un terribile tributo di sangue, con la morte di più di 100 partecipanti.
Per quanto riguarda le competizioni motonautiche, l'unica precauzione a salvaguardia dell'incolumità degli spettatori e dei giudici di gara consiste nel cercare di non far correre i motoscafi troppo vicino alla riva, mentre vi sono mezzi (motovedette ed elicotteri) e sommozzatori pronti a intervenire in soccorso dei piloti, soprattutto nelle gare offshore.
Le protezioni utilizzate per rendere più sicuri i circuiti per gare ciclistiche, che si svolgono nelle piste permanenti (i velodromi), sono rimaste praticamente le stesse per decenni: muretti sovrastati da balaustre e talvolta da reti metalliche. Nelle gare ciclistiche su strada, in linea o a tappe, gli unici sistemi di protezione ‒ usati in verità più per tenere gli spettatori separati dalla strada, che per salvaguardare l'incolumità dei corridori ‒ sono costituiti da staccionate smontabili poste a destra e sinistra del percorso, ma limitatamente alle ultime centinaia di metri prima del traguardo di arrivo. Per quanto riguarda gli ippodromi, le protezioni sono costituite da classici steccati che separano il percorso di gara dal prato circostante.
Piste da bob e slittini. - Un discorso a parte va fatto per gli impianti utilizzati per le competizioni di bob, skeleton e slittino. Oggi praticamente non esistono più piste naturali: i tracciati moderni sono infatti costituiti da lunghi e stretti cunicoli, percorsi da tubature in cui scorre un fluido refrigerante capace di produrre il ghiaccio che ricopre la pista. Le pareti sono molto alte e tendono a richiudersi in modo da risultare particolarmente 'avvolgenti', soprattutto in curva, quasi a creare un tubo appena aperto verso l'alto, per consentire la visione di bob e slittini da parte degli spettatori e permette l'installazione delle apparecchiature per le riprese televisive, sempre più numerose e sofisticate. Dal punto di vista della sicurezza i muri alti e avvolgenti delle piste moderne sono tanto efficaci da rendere pressoché impossibili le uscite dei veicoli dalla pista. Gli atleti non corrono dunque più il rischio di vedersi catapultare in volo contro gli alberi che, nelle piste naturali, erano piantati lungo tutto il percorso. In passato, infatti, la presenza di alberi a chioma perenne era assolutamente indispensabile perché, in mancanza di sistemi artificiali, l'unico modo per garantire il mantenimento del manto gelato era quello di tenerne in ombra tutti i punti, in modo da evitare che i raggi del sole potessero provocare un subitaneo incremento della temperatura. I sistemi di refrigerazione artificiali hanno oggi permesso di non tenere più in gran conto questa esigenza. Inoltre, nelle piste moderne, lastre di metallo telecomandate, cortine amovibili in materiale composito, pannelli di tessuto plastico, orientabili a mano o mediante servomeccanismi, consentono di scoprire la pista poco prima del transito dei veicoli e di ricoprirla immediatamente dopo che i veicoli stessi sono passati.
Componenti strutturali. - Un tempo le strutture resistenti dei veicoli da competizione erano realizzate soprattutto in metallo, mentre per le imbarcazioni ci si affidava perlopiù a legni caratterizzati da particolare resistenza alla deformazione per compressione, trazione e torsione. Innovazioni davvero sostanziali ha portato l'introduzione dei materiali compositi, a cominciare dalla vetroresina, il primo a essere utilizzato, inizialmente in parti del veicolo alle quali non erano affidati ruoli strutturali importanti.
Sono state le imbarcazioni da gara a vela e a motore a dare inizio a questo processo innovativo, dapprima con strutture miste legno-plastica, poi più radicalmente con la realizzazione di scafi totalmente in plastica, costituita nei primi tempi soprattutto da fibra di vetro e resina poliestere. Questo materiale ha raggiunto una diffusione tale da formare la quasi totalità del parco imbarcazioni a vela (da quelle di più piccole dimensioni, quali i windsurf e le derive, ai più grossi cabinati da crociera, utilizzati anche per le regate) e a motore (per tutte le categorie di gara sia in circuito sia offshore).
A proposito di vele vanno citati i velocissimi veicoli montati su ruote e su pattini da ghiaccio, diffusi nelle località in cui esistono larghissime e lunghissime spiagge battute dal vento i primi, o specchi d'acqua su cui si forma ghiaccio in spessore sufficiente i secondi. Si tratta di veicoli leggerissimi, spesso ad alta tecnologia, che utilizzano come materiali il legno, le leghe leggere e, ovviamente, anche i compositi. Sia i veicoli su ruote sia quelli su ghiaccio presentano tre punti d'appoggio al suolo e sono quasi del tutto privi di carrozzeria: i piloti si stendono direttamente sulla struttura portante costituita da un trave longitudinale dal quale si dipartono lateralmente due bracci, uno per parte, ai quali sono fissati rispettivamente le ruote o i pattini; la terza ruota ‒ o il terzo pattino ‒ è fissata direttamente al trave centrale ed essendo capace di ruotare attorno a un asse verticale svolge il ruolo di timone. L'attrezzatura velica è del tutto identica a quella delle imbarcazioni.
Un percorso analogo a quello delle barche a vela è stato seguito, per quanto riguarda la scelta dei materiali, anche per il canottaggio e per le canoe (nella specialità sia kayak sia canadesi).
Man mano che la fiducia nei nuovi materiali cresceva, cominciarono a essere adibiti a funzioni sempre più determinanti. La diffidenza che nei primi tempi gravava nei confronti della loro capacità di mantenere nel tempo le medesime caratteristiche meccaniche senza deteriorarsi cominciò a dissiparsi con il passaggio dalle resine poliestere alle resine epossidiche e dalla fibra di vetro a quelle di carbonio e di kevlar nonché a quelle miste. Una certa remora all'adozione di questi nuovi materiali derivava dal timore ‒ giustificato da alcune esperienze negative ‒ che l'irraggiamento solare potesse provocare un rapido deterioramento delle caratteristiche di resistenza meccanica dei compositi. Tale timore si dimostrò tuttavia eccessivo e il problema fu risolto applicando negli stampi sostanze che proteggevano la stratificazione delle fibre dall'azione diretta dei raggi del sole.
La maggiore cautela prima di certificare la resistenza delle strutture in materiali compositi ‒ sia quelli stratificati in modo compatto, così da ottenere spessori rigidi, sia quelli costituiti da 'pelli' rigide incollate su uno strato più o meno spesso di honeycomb ‒ si ebbe in campo aeronautico, per es. nella realizzazione degli alianti, che costituiscono, in campo sportivo, la forma più spinta di perfezione aerodinamica. Ma è stato proprio nel disegno della fusoliera, delle ali e dei raccordi ala-fusoliera degli alianti che si sono mostrati con evidenza i vantaggi e i progressi derivanti dall'adozione dei nuovi materiali compositi. Questi, infatti, essendo realizzati in stampo e quindi senza giunture e senza la necessità di ricorrere alla chiodatura a base di rivetti sporgenti, hanno offerto la possibilità di realizzare un disegno morbido con curve adeguate all'andamento dei filetti fluidi dell'aria, tale da garantire la minima resistenza all'avanzamento e insieme una sufficiente capacità di sostentamento e cioè di 'portanza'. Precedentemente la struttura degli alianti era formata per le ali da un'intelaiatura di legno e per la fusoliera perlopiù da tubi di acciaio al cromo molibdeno, il tutto rivestito di tela o di leggerissimo compensato. Per avere un'idea del guadagno apportato in termini di efficienza (intendendo con questo termine il rapporto tra i metri percorsi in orizzontale e la perdita di quota: per es. un aliante che si abbassa di 1 m per ogni 30 m percorsi in orizzontale ha efficienza 30) dal nuovo disegno di fusoliere, ali e piani di coda consentito dall'adozione dei nuovi materiali, basti dire che si è passati da valori inferiori a 30 a maggiori di 50.
Oggi moltissimi aerei a motore (sportivi, da turismo e delle categorie ultraleggeri) sono costruiti interamente in materiali compositi. Dopo molti anni di ripensamenti, infatti, anche le autorità statali di certificazione e di controllo sulla produzione aeronautica si sono convinte delle caratteristiche di mantenimento nel tempo dei requisiti meccanici dei materiali compositi. Vi erano, obiettivamente, motivazioni valide per giustificare la perplessità degli organi addetti alle certificazioni di qualità nel riconoscere ufficialmente l'ammissibilità dei nuovi materiali anche nelle parti strutturali e non solamente in quelle di copertura. La principale era rappresentata dal fatto che, anche nella produzione di serie, non si hanno tra due esemplari realizzati in materiali compositi le stesse identiche condizioni di costruzione, il medesimo peso e le stesse caratteristiche di resistenza. Ogni pezzo, pur realizzato con lo stesso stampo, può stratificarsi in modo diverso, per es., con maggiore o minore numero di strati. Altre varianti possono essere determinate dalla qualità della resina e del catalizzatore, dall'umidità dell'aria, dalla temperatura atmosferica alla quale è effettuata la deposizione nello stampo, dalla durata del trattamento in autoclave ecc. è evidente che queste variazioni costituivano una novità sostanziale rispetto ai prodotti metallici da stampo oppure assemblati da rivetti, tutti caratterizzati da qualità specifiche di resistenza e di durata assolutamente identiche, ai quali i rappresentanti degli organismi di certificazione erano abituati.
Rigorosamente in fibra di carbonio sono realizzate le ali delle automobili da corsa, disegnate applicando sofisticatissime regole di aerodinamica, e a cui è affidato il compito di creare una spinta diretta verso il suolo in modo da incrementare l'aderenza della vettura soprattutto in curva, ma anche in accelerazione e in frenata.
Anche i telai di alcuni modelli particolarmente pregiati di biciclette sono realizzati in carbonio. In questo settore, tuttavia, sono tuttora molto utilizzati, e ancora oggetto di sperimentazione, i metalli leggeri: oltre all'acciaio ‒ che è ancora quello più impiegato, in particolare nella speciale lega al cromo molibdeno, almeno nei modelli di maggior pregio ‒, vi sono il titanio, l'ergal e vari tipi di duralluminio ecc.
Per quanto riguarda le imbarcazioni il legno, che una volta veniva ampiamente usato per realizzare gli alberi per le vele e per le altre strutture tubolari quali i boma e i tangoni, è oggi adoperato soltanto per il restauro delle barche d'epoca. Nelle imbarcazioni da gara delle categorie più prestigiose gli alberi, il boma, i tangoni e tutte le manovre sono realizzati in carbonio, utilizzando tecniche altamente sofisticate, per es. allineando le fibre secondo le linee di forza su cui agiscono gli sforzi di trazione, compressione e torsione esercitati dalle sartie, dal mare mosso, dal vento ecc.; sempre più generalizzata è anche l'adozione di materiali compositi nella realizzazione delle attrezzature veliche. La stragrande maggioranza delle imbarcazioni di serie si affida tuttora alla lega leggera in alluminio per alberi, crocette, boma e tangoni: ovviamente, gli stessi elementi realizzati in fibra di carbonio sarebbero, a parità di dimensioni, estremamente più leggeri ma il costo elevatissimo scoraggia un'eccessiva diffusione di questi nuovi materiali.
Profilature e carenature. - In alcune tipologie di veicoli la struttura resistente, cioè il telaio portante, seguita a essere costruita in metallo mentre tutte le carenature esterne, indispensabili per ragioni di aerodinamica, sono realizzate in materiali compositi. I due esempi di questa filosofia costruttiva più noti sono la motocicletta e il bob, ma con sostanziali differenze.
Le performance di una motocicletta sono condizionate negativamente dal peso e dalla resistenza aerodinamica. Per ridurre al massimo il peso, per ogni parte della motocicletta viene scelto il materiale che, ferme restando le capacità di assolvere il ruolo assegnato, risulta il più leggero possibile. Vi è quindi una tendenza progressiva a sostituire, laddove si possa, i metalli con materiali compositi. Allo stato attuale la maggioranza dei componenti strutturali e meccanici è ancora formata da metalli, mentre sono realizzate totalmente in materiale composito le carenature. Queste parti, caratterizzate da doppie curvature, hanno grande importanza per diminuire la resistenza aerodinamica e assicurare stabilità alla moto ad alte velocità, in curva e in presenza di vento, ma non svolgono funzioni strutturali. È sufficiente che siano in grado di sostenere, senza deformarsi e vibrare, la pressione dell'aria, che è notevole a velocità superiori a 300 km/h.
Diversa è la situazione nel bob, per il quale è valido il criterio opposto a quanto avviene nei veicoli a motore: essendo il 'motore' costituito dall'energia potenziale posseduta dal bob alla quota del traguardo di partenza nei riguardi di quella del traguardo di arrivo posto assai più in basso, in generale, più pesante è il veicolo più velocità riesce ad acquistare. Tuttavia le performance del bob sono fortemente condizionate da una regolamentazione fortemente restrittiva, che impone limitazioni per due motivi fondamentali: evitare il raggiungimento di velocità eccessive, e quindi pericolose, e contenere il costo dei bob, in modo che il progresso tecnologico non spinga a sofisticazioni tali da risultare incompatibili con la stessa sopravvivenza dello sport. Il regolamento, per es., prescrive per la struttura delle parti meccaniche norme che, curiosamente, rendono l'insieme struttura-sospensioni-pattini-sterzo decisamente primitivo. Si hanno severe limitazioni anche riguardo alla larghezza e all'altezza dellper evitare che la sezione frontale delle fusoliere sia tanto ridotta da rendere possibile un eccessivo incremento della velocità. Solamente per quanto concerne la realizzazione delle linee esterne della carrozzeria viene lasciato un certo margine di libertà e così accade che su telai arcaici vengano montate carenature aerodinamicamente assai progredite. La carrozzeria dei bob viene realizzata in composito ma, non essendo necessario ridurre il peso, più dei materiali sofisticati e costosi trova largo impiego l'economica fibra di vetro indurita con resina poliestere.
Carenature non portanti, sagomate in modo aerodinamicamente corretto e applicate su strutture portanti realizzate in metallo o in materiali compositi sono adottate anche in altri veicoli: automobili, motoscafi e aerei sportivi appartenenti sia alla categoria dei 'certificati' sia a quella degli ultraleggeri (ULM).
Mezzi da competizione acquatici. - Nel settore nautico l'utilizzo di materiali innovativi da parte di disegnatori e costruttori è assai marcato. Tecnologie moderne vengono usate anche in strutture di tipo tradizionale, che impiegano il legno e sono basate su intelaiature portanti formate da ordinate trasversali, talvolta sostituite da costole, e da elementi longitudinali, quali la chiglia, con l'aggiunta di vari elementi detti 'correnti'. A questi elementi base, che costituiscono il profilo dell'imbarcazione, viene applicato il fasciame, costituito da tavole affiancate o parzialmente sovrapposte (sistema clinker), compensato marino ecc. Per l'applicazione e il fissaggio del fasciame in passato ci si era sempre affidati a chiodi e viti, mentre l'impermeabilizzazione era ottenuta con il 'calafataggio' e cioè con l'introduzione, tra tavola e tavola, di stoppa e pece o catrame. Oggi si utilizzano i nuovi collanti, tanto resistenti e duraturi che si potrebbe fare a meno della chiodatura, che però spesso è conservata soprattutto per far aderire meglio il rivestimento durante l'incollaggio.
Un materiale che ha ampiamente superato il mezzo secolo di vita e che quindi non può essere propriamente considerato moderno è il compensato marino, nel quale la fibra del legno costituisce la base strutturale, ma gli strati vengono incollati assieme e impregnati con resine non dissimili da quelle impiegate nei compositi. Con questa tecnica si ottiene un prodotto finale in cui è enormemente accresciuta la resistenza agli agenti atmosferici e all'immersione in acqua, sia dolce sia marina. I compensati marini vengono però sempre meno utilizzati nei fasciami delle barche, perché non si prestano alla cosiddetta 'doppia curvatura', cioè possono essere piegati solo in un senso. Non sono quindi adatti alla realizzazione delle forme rotondeggianti attualmente richieste, soprattutto nelle imbarcazioni a vela, ma anche in quelle a motore.
Per assolvere a questa esigenza è stata messa a punto una tecnica 'monoscocca' (monocoque in francese), eseguita in legno, che ha anticipato quella realizzabile con i compositi. Tale tecnica, che ha origine aeronautica (risale infatti alla Prima guerra mondiale, quando venne applicata agli aerei Albatros), si basa sull'utilizzazione di sottili striscette di legno pieghevoli, incollate in più strati su uno stampo predisposto, in modo che gli strati successivi abbiano un diverso orientamento. Attraverso questa tecnica è possibile ottenere strutture molto leggere, prive di armatura interna e capaci di realizzare le 'doppie curvature'.
La struttura monoscocca in legno, tuttora applicata anche se non molto diffusa, ha costituito il ponte di transito verso l'adozione del tessuto di fibra indurita attraverso l'impregnamento con resine. Al di là del pregio della leggerezza, questa metodica consente di adottare qualsiasi forma, dotata di qualsiasi curvatura, per cui è questa la tecnologia sulla quale si basano le imbarcazioni da gara a motore e a vela, sia a scafo singolo sia a scafi multipli (catamarani, a due scafi, e trimarani, a tre scafi).
Nei veicoli sportivi sia nautici sia aeronautici si fa un larghissimo uso di materiali flessibili, chiamati a soddisfare richieste estremamente differenti tra loro. Caratteristiche comuni a tutti i tessuti flessibili sono l'inestensibilità e la resistenza allo strappo; inoltre questi materiali devono essere in grado di piegarsi senza danneggiarsi agli angoli o agli spigoli della piegatura, di non perdere le loro qualità meccaniche anche se esposti a lungo all'azione dei raggi solari, di presentare le stesse caratteristiche meccaniche sia alle basse sia alle alte temperature, di permettere la foratura per le cuciture senza perdere resistenza, di consentire la presenza di borchie per fissarvi dei cavetti. I prodotti che vengono utilizzati per soddisfare queste esigenze sono in continua evoluzione e ogni anno ne vengono posti nuovi sul mercato. In generale si può dire che la maggioranza di essi utilizza materiali derivati dal petrolio, spesso rinforzati da fibre del tipo già citato in precedenza a proposito dei materiali compositi.
Un importante campo di applicazione di questi materiali è rappresentato dalle vele delle imbarcazioni moderne, che sono il prodotto di una complessa evoluzione. Definitivamente abbandonati i tessuti di origine vegetale, quali il cotone e il lino, come anche le cime di canapa, sia per bordare le vele sia per il sartiame, si è passati al nylon, con il quale sono state realizzate vele leggerissime per gli spinnaker e il jennaker, e cioè le vele di prua in forma di pallone, e quelle pesantissime e di piccole dimensioni, come le tormentine, per tempi cattivi. Attualmente, però, le vele di maggior pregio e capaci di assicurare le prestazioni più elevate sono quelle a base di fibra di carbonio, realizzate a seconda delle esigenze in tessuti più o meno pesanti e resistenti. Ormai non costituisce più una novità vedere in regata barche con vele nere, cioè in carbonio, in luogo delle più tradizionali vele bianche.
Una novità, apparsa nelle regate di Coppa America svoltesi a cavallo tra il 2002 e il 2003, è rappresentata dalle enormi vele tessute in un solo pezzo a superficie totalmente mobile. Essendo le fibre di carbonio del tutto inestensibili, a una superficie capace di fungere da stampo viene conferita la forma studiata al computer dal progettista, dotata di una bombatura che riproduce esattamente quella che la vela deve assumere in navigazione. Sullo stampo viene steso un leggerissimo strato di plastica e si passa poi alla tessitura, realizzata applicando dall'alto le fibre a base di carbonio, destinate a dare la necessaria resistenza alla vela; nei punti dove è richiesta una più elevata resistenza viene eseguito un maggiore numero di passaggi, rilasciando così un più alto numero di fibre. Infine un telo di plastica viene incollato ad alta temperatura alla rete di fibre di carbonio e al telo di plastica depositati in precedenza.
Una richiesta per materiali particolari viene da una specialità del volo antichissima che oggi conosce una 'seconda giovinezza': l'aerostatica. Questa disciplina agonistica, regolamentata nell'ambito degli Aeroclub, richiede tessuti leggerissimi, totalmente impermeabili all'aria, resistenti allo sfregamento e che non devono fissurarsi quando sono ripiegati. Il materiale utilizzato per realizzare l'involucro dei palloni aerostatici, deve inoltre essere insensibile all'azione degli agenti atmosferici, risultare facile da cucire e da incollare, e infine essere soprattutto capace di resistere senza alterarsi a temperature abbastanza elevate, dal momento che la maggioranza degli aerostati è gonfiata con aria riscaldata da getti di fuoco prodotti da bruciatori a gas liquido. I tessuti a base di dacron, in sostituzione del nylon, spesso intessuti con fibre di carbonio e kevlar sono oggi i prodotti più utilizzati.
L'utilizzo di materiali particolari inoltre è proprio di un gruppo estremamente variato di veicoli sportivi volanti che, pur essendo molto differenti tra loro, utilizzano materiali simili, anche se i tessuti possono essere più o meno pesanti a seconda dell'uso al quale sono destinati. Il gruppo comprende paracadute, parapendii, deltaplani, velivoli ultraleggeri, deltaplani a motore, paramotore.
I paracadute, previsti per lanci da aerei, da elicotteri e in qualche caso da palloni aerostatici possono essere di diversi tipi: dal classico paracadute 'tondo', ancora utilizzato da militari e civili ‒ soprattutto nelle fasi di addestramento basico ‒, ai rettangolari che, al contrario dei tondi, sono capaci di planare e di virare, e quindi si guidano più agevolmente. Un tipo particolare di paracadute sono i parapendii, con i quali ci si lancia da terreni sopraelevati o montagne. Presentano la caratteristica di grande manovrabilità: possono guadagnare quota e restare in aria per molto tempo sfruttando le correnti aeree ascensionali che si creano quando il vento urta una montagna, o quando si formano delle 'termiche' (masse d'aria calda che tendono a salire). Talvolta sono fabbricati in doppio strato con l'aria che passa attraverso i due strati, distanziati tra loro da setti paralleli di tessuto.
I deltaplani sono dotati di un'ala, la cui superficie è costituita da tessuti flessibili un po' più robusti di quelli usati per i paracadute e che è mantenuta 'in forma' da una struttura rigida, per lo più in alluminio. Il pilota comanda il velivolo attraverso un parallelogramma di tubi, solidale con l'ala, chiamato trapezio: tirandolo all'indietro si scende, spingendolo in avanti si sale e spostandolo lateralmente si può curvare.
I mezzi motorizzati ultraleggeri del tipo definito 'tubi e tela' sono velivoli mono o biposto (negli USA anche a quattro posti) realizzati in tubi metallici rivestiti da tessuti di materiale sintetico, in gran parte dei casi totalmente smontabili e cioè con gli elementi in tessuto sfilabili dalla struttura. In alcuni modelli solamente l'ala e le superfici di controllo sono rivestite da tessuto, e quindi il pilota è seduto completamente all'aperto; altre volte invece è presente una vera e propria fusoliera rappresentata da una leggera struttura rivestita da tessuto.
I deltaplani a motore sono caratterizzati da un'ala 'tubi e tela' (sostanzialmente simile a quella dei deltaplani non motorizzati descritti in precedenza) alla quale viene appeso un carrello a tre ruote, dotato di seggiolini, mono o biposto, comprendente un motore e ovviamente un'elica.
Il paramotore è un paracadute ad ala del tipo utilizzato per parapendio, in cui il pilota porta fissato sulla schiena un motore, dotato di elica protetta da una gabbia, come quelle applicate sui comuni ventilatori.
I motori, le trasmissioni, i cambi, i riduttori, i differenziali, le sospensioni, le eliche e le altre parti che compongono i veicoli da competizione sono oggi la massima espressione del progresso tecnologico. I materiali utilizzati per la realizzazione di questi pezzi comprendono leghe di acciaio e leghe di metalli leggeri, a base non solamente di alluminio, ma anche di titanio, magnesio, boro, berillio e altri metalli rari.
Altro gruppo in considerevole sviluppo è quello dei componenti ceramici, impiegati nei motori da corsa in funzioni che richiedono di mantenere notevoli resistenze strutturali anche ad altissime temperature, come nei pistoni e nelle turbine per la sovralimentazione a recupero di gas di scarico.
Nei veicoli ad alte prestazioni non solo vi è l'esigenza di raggiungere altissime velocità con rapidissime accelerazioni, ma è anche necessario assicurare le più esasperate decelerazioni. I freni dei veicoli da competizione sono destinati a dissipare una potenza superiore a quella prodotta dal motore. A questo fine si dimostrano molto efficienti i dischi dei freni in fibra di carbonio, il cui uso si sta generalizzando tanto nell'automobilismo quanto nel motociclismo.
Si può concludere notando come la capacità della fibra di carbonio, mescolata a differenti resine perlopiù del tipo epossidico policomponente, di soddisfare requisiti di resistenza, forma e riduzione del peso, ne abbiano fatto estendere l'utilizzo a moltissime parti dei veicoli da corsa: dal telaio monoscocca e dai vari pannelli del corpo vettura ai dischi dei freni, alle sospensioni, alle appendici aerodinamiche, quali gli alettoni anteriori e posteriori, al sedile del pilota, al volante e perfino agli specchietti retrovisori.
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