Scienza indiana: periodo classico. Divinazione e astrologia
Divinazione e astrologia
Anche in India, come altrove, la divinazione ha origini antichissime. Lo śakuna e altri uccelli menzionati dal Ṛgveda (Veda degli inni; per es., II, 42, 1-3) e dall'Atharvaveda (Veda degli Atharvan; per es., VI, 27, 1-3) sono indubbiamente considerati portatori di presagi. Śakuna sarebbe in seguito divenuto un termine generale per indicare i presagi celesti, atmosferici e terrestri spontanei, altrimenti detti adbhuta ('prodigio') e nimitta ('segno premonitore'). I più antichi testi sanscriti che suddividono i presagi in classi sono il Kauśikasūtra (Aforismi di Kauśika) e la fonte comune, che non ci è pervenuta, su cui si basano l'Adbhutabrāhmaṇa (Brāhmaṇa dei prodigi), un capitolo dell'Āśvalāyanagṛhyapariśiṣṭa (Appendice agli aforismi domestici di Āśvalāyana), e l'Adbhutaśānti (Pacificazione dei prodigi), risalenti alla metà del I millennio a.C. Peraltro essi privilegiano i rituali della śānti ('pacificazione') atti a placare l'ira del dio che invia il presagio. La funzione di tali rituali è analoga a quella dei rituali namburbi della Mesopotamia e sia i presagi sia i rituali di pacificazione furono probabilmente ispirati da fonti in caratteri cuneiformi.
Presagi
Nell'Adbhutaśānti i presagi (śakuna) sono associati con le divinità Indra, Varuṇa, Yama, Agni, Vaiśravaṇa, Viṣṇu e Vāyu; i fenomeni significativi comprendono le forme di animali viste nelle nuvole, le piogge di polvere o sangue, l'apparizione di palazzi nell'aria, la caduta di meteore, il risplendere dei settori del cielo, le comete e gli aloni intorno al Sole e alla Luna. Tutti questi fenomeni si ritrovano nella serie babilonese Enūma Anu Enlil, così come i presagi terrestri si ritrovano nello Šumma ālu (v. Il Vicino Oriente antico, cap. IV). L'assenza di apodosi nelle versioni sanscrite non consente però un confronto completo tra i due sistemi.
Nel Brahmajālasutta (Discorso della rete di Brahmā) del Dīghanikāya (Mucchio dei discorsi lunghi), il Buddha punisce alcuni asceti (śramaṇa) e brahmani per aver fornito, in cambio di cibo, determinati servizi, tra cui l'interpretazione di presagi. I fenomeni menzionati dal Buddha (anche in questo caso senza apodosi) ricorrono tutti nei testi cuneiformi più antichi. Alcuni di essi sono già registrati nelle due già citate fonti sanscrite più antiche, e sono tutti di nuovo menzionati nella successiva letteratura sulla divinazione (saṃhitā). Inoltre, i presagi terrestri ai quali il Buddha fa riferimento, concernenti case, fantasmi, serpenti, veleni, scorpioni, topi, avvoltoi, corvi e quadrupedi, sono elencati in un ordine che coincide quasi esattamente con quello delle tavolette della serie babilonese Šumma ālu. Nello stesso sermone il Buddha elenca anche molti fenomeni celesti e atmosferici portatori di presagi: eclissi lunari e solari, il comportamento delle stelle e dei pianeti, il movimento della Luna e del Sole all'interno e al di fuori dei loro cammini (presumibilmente le orbite babilonesi di Enlil, Anu ed Ea), il movimento delle stelle sui loro cammini, meteore e stelle cadenti, il "bruciare della direzione" (cioè, lo splendore dell'orizzonte al tramonto), i terremoti, il tuono, le levate, i tramonti, la luminosità e l'offuscamento della Luna, del Sole e delle stelle. Tutto ciò sta a testimoniare che intorno al 400 a.C. esistevano versioni dell'Enūma Anu Enlil e dello Šumma ālu in una lingua indiana, presumibilmente in forma scritta, non essendovi metodi atti a preservarli mnemonicamente.
Un altro testo buddhista, lo Śārdūlakarṇāvadāna (Gesta di Śārdūlakarṇa), un trattato contro le caste composto molto probabilmente nel I sec. d.C., contiene nel suo nucleo originario il più antico insieme di presagi completi in sanscrito. Gran parte delle protasi comporta la presenza della Luna in una delle case (nakṣatra) e in base a questo si formulano previsioni a seconda del segno in cui si nasce, si determinano le iniziative destinate al successo (astrologia catartica) e s'interpreta l'arrivo dei monsoni, di una malattia o di un terremoto. Il testo comprende anche un capitolo sull'interpretazione dei segni presenti sul corpo di una donna; anche questo tipo di divinazione fisiognomica ha antecedenti babilonesi. Nel corso del I millennio, allo Śārdūlakarṇāvadāna furono aggiunti molti altri capitoli, i quali testimoniano l'evoluzione che si ebbe in India nel campo dei presagi. Il primo esempio di tali sviluppi locali è costituito dalla più antica versione conservatasi della Gargasaṃhitā (Saṃhitā di Garga), probabilmente composta intorno al 100 d.C. Quanto ai presagi celesti del genere di quelli che si trovano nell'Enūma Anu Enlil, il testo contiene capitoli concernenti il Sole, la Luna, i singoli pianeti, il nodo lunare, le costellazioni, le comete, le meteore e gli aloni, mentre i presagi atmosferici, provenienti dalla medesima fonte originaria, sono rappresentati dalle sezioni su venti, piogge, arcobaleni, nuvole, temporali violenti e terremoti. Tra i presagi terrestri dello Šumma ālu si annoverano quelli concernenti tutte le specie di animali e uccelli, come anche le case, quelli utili nelle spedizioni militari e quelli basati sul tremore degli arti e sulle lacrime sugli abiti. Lo sfondo mesopotamico è comunque evidente nei presagi, anche se molti furono reinterpretati per essere adattati al contesto indiano e certamente non tutti sono di diretta origine mesopotamica. Tra gli Atharvavedapariśiṣṭa (Appendice al Veda degli Atharvan), i numeri da L a LXV e LXVIII sono dedicati a presagi già trattati nello Śārdūlakarṇāvadāna o nella Gargasaṃhitā.
L'opera centrale sulla divinazione, comprendente i presagi spontanei, rimane a ogni modo la Bṛhatsaṃhitā (Grande saṃhitā), composta da Varāhamihira ad Avantī nel 550 circa. Dei suoi 106 capitoli oltre la metà verte su argomenti già trattati da Garga o nello Śārdūlakarṇāvadāna; gli altri capitoli forniscono informazioni su temi non sempre strettamente attinenti ai presagi, come gli attributi fisici e intellettuali di un astrologo, il 'moto' dei Saptarṣi (Orsa Maggiore), la fluttuazione dei prezzi (arghakāṇḍa), la lustrazione delle armi, l'arboricoltura (vṛkṣāyurveda), i templi, la colla tenace, le immagini, il reperimento degli alberi più adeguati per la realizzazione d'immagini, l'installazione delle immagini, l'elogio delle donne, il causare affetto, gli afrodisiaci, i profumi, il rapporto sessuale, i letti e i seggi, la gemmologia, le perle, i rubini, gli smeraldi, le lampade, i bastoncini per la pulizia dei denti, l'oroscopo di un matrimonio e i transiti planetari (gli ultimi due appartengono al campo dell'oroscopia più che a quello della divinazione). La Bṛhatsaṃhitā presenta il vantaggio di essere corredata da un commentario assai dotto, la Saṃhitāvivṛti (Commento alla saṃhitā), composta da Bhaṭṭotpala nel 967, che spesso riporta citazioni da trattati sulla divinazione irrimediabilmente perduti.
Uno dei testi più tardi da cui Bhaṭṭotpala trae le sue citazioni è la Bhadrabāhusaṃhitā (Saṃhitā di Bhadrabāhu); il suo anonimo autore ne attribuisce la paternità al jaina Bhadrabāhu, mentre in realtà l'opera mostra di dipendere in gran parte dalla Bṛhatsaṃhitā di Varāhamihira. Lo Pseudo-Bhadrabāhu aggiunge agli argomenti trattati da Varāhamihira i presagi astrali militari e quelli basati sui sogni; i primi già presenti nella Gargasaṃhitā e nello Yavanajātaka (Oroscopia secondo gli Occidentali) di Sphujidhvaja, nonché in tre opere di Varāhamihira; gli altri già trattati nel Vṛddhayavanajātaka di Mīnarāja.
Un secolo dopo Bhaṭṭotpala, nell'ultima decade dell'XI sec., Vasantarāja scrisse l'ultimo significativo trattato di carattere generale sui presagi spontanei (śakuna), lo Śakunārṇava (Oceano dei presagi), a Benares. L'opera tratta dei versi e dei movimenti di uccelli e altri animali. L'Adbhutasāgara (Oceano dei prodigi) di Ballālasena, scritto in Bengala tra il 1168 e il 1180, riassume i contenuti di gran parte dell'arte divinatoria. L'epoca di Akbar fu caratterizzata da un rinnovato interesse nei confronti di questa materia; intorno al 1559 il jaina Bhānucandra Gaṇi scrisse un commento allo Śakunārṇava.
Predizioni annuali, fisiognomica e sogni
Secondo un modello già corrente in Mesopotamia, i presagi, in particolare quelli celesti e atmosferici, erano utilizzati prevalentemente per formulare predizioni annuali su questioni politiche, economiche e sociali. I testi più antichi sulle predizioni annuali portano il titolo di Mayūracitraka (Screziatura del pavone). Due capitoli con questo titolo sono inclusi nella Gargasaṃhitā e un altro si trova nella Bṛhatsaṃhitā di Varāhamihira. Esiste anche un Mayūracitraka indipendente, talvolta attribuito a Varāhamihira, ma più spesso al ṛṣi Nārada.
Una trattazione più elaborata del medesimo tema caratterizza i testi intitolati Meghamālā (Ghirlanda di nuvole). Uno di questi trattati è attribuito a Garga, ma una versione più popolare è quella ascritta al dio Rudra (Śiva).
Predizioni annuali sull'economia sono fornite anche dai trattati o capitoli intitolati Arghakāṇḍa (Sezione sul valore); la Bṛhatsaṃhitā, per esempio, ne contiene uno. Intorno al 1030 Durgadeva compose un Arghakāṇḍa in pracrito, intitolato Ṣaṣṭisaṃvatsaraphala (Frutto di 60 anni), contenente pronostici che coprono un periodo di 64 anni. Su quest'opera si basano numerosi Ṣaṣṭisaṃvatsaraphala, sia in sanscrito sia in lingue locali. Inoltre un lungo Arghakāṇḍa, spesso conservato nei manoscritti come trattato indipendente, è incorporato nel Trailokyaprakāśa (Luce dei tre mondi; vv. 953-1169) scritto da Hemaprabha Sūri nel 1248. Anche il breve ma popolare Āyapraśna (Interrogazione sul profitto) di Vighnarāja è dedicato ai prezzi.
I presagi fisiognomici, apparentemente collegati a quelli mesopotamici, fecero la loro comparsa in India già nella più antica versione dello Śārdūlakarṇāvadāna, nella Gargasaṃhitā e nella Bṛhatsaṃhitā di Varāhamihira. Essi divennero oggetto di una disciplina indipendente, che acquisì il suo nome attuale, sāmudrika, dopo la pubblicazione di un trattato su questa forma di divinazione a opera di un certo Samudra. Questo testo fu menzionato da Bāṇa nell'Harṣacarita (prima metà del VII sec.); nella seconda metà del X sec. molti suoi versi furono citati da Bhaṭṭotpala nella Saṃhitāvivṛti. Il testo di Samudra non si è conservato, mentre è pervenuto il Sāmudrikatilaka (Ornamento della fisiognomica), iniziato da Durlabharāja nel 1160 ca. e completato da suo figlio, Jagaddeva; molti testi sulla fisiognomica seguirono quest'opera, ma nessuno la soppiantò. Una branca speciale della fisiognomica è la chiromanzia, il cui testo di riferimento è lo Hastasañjīvana (Animazione della mano), composto dal monaco jaina Meghavijaya nel 1680.
L'interpretazione dei sogni (svapna) affonda le radici nei Veda (si veda, per es., la fine di Aitareyāraṇyaka, III, 2, 4), ma il più antico testo sanscrito che tratti in maniera sistematica l'oniromanzia è il cap. 66 del Vṛddhayavanajātaka (Oroscopia secondo gli antichi Occidentali) di Mīnarāja. Nel 1175 il già menzionato Jagaddeva scrisse su quest'arte uno Svapnacintāmaṇi (La gemma dei desideri sul sogno); l'opera più popolare è però il breve Svapnādhyāya (Libro dei sogni) attribuito al ṛṣi Bṛhaspati. Le interpretazioni indiane dei sogni sono ampiamente citate in opere arabe medievali e nei testi greci e latini da esse derivati; i testi sanscriti da cui tali citazioni furono tratte non sono stati ancora identificati.
Divinazione basata sul respiro e scienza del suono
La divinazione fondata sul respiro, detta svarodaya, si basa sull'idea che il respiro di un individuo riveli la sua condizione presente e futura e che, allo stesso tempo, il suo futuro possa essere modificato attraverso il controllo del respiro medesimo. Si afferma che nel corpo ci sono 72.000 canali (nāḍī), tra cui i principali sono quelli denominati iḍā, piṅgalā e suṣumnā, situati rispettivamente a sinistra, a destra e al centro della colonna vertebrale; l'iḍā termina nella narice sinistra, la piṅgalā in quella destra. La Luna ha sede nell'iḍā, il Sole nella piṅgalā e lo haṃsa (Śiva) nella suṣumnā. Ponendo in relazione l'inspirazione e l'espirazione con questi canali, con tempi determinati astrologicamente e con un elaborato sistema che implica i cinque elementi (mahābhūta), l'adepto controlla il suo futuro e consegue il suo fine.
Il trattato principale su questa forma di divinazione è il Pavanavijaya (Conquista del respiro), presentato come dialogo tra Umā (Pārvatī) e Maheśvara (Śiva). Questo testo è sicuramente da identificare con lo Svarodaya di Mahādeva, al quale al-Bīrūnī, nel 1030, faceva riferimento nel cap. 14 del suo Kitāb al-Hind; del medesimo testo esiste una versione in hindī, redatta da Caraṇadāsa.
Lo svaraśāstra (lett. 'scienza del suono') è una forma di divinazione e, soprattutto, di magia che mira a far ottenere la vittoria ai sovrani. Essa ha le sue radici nel tantra. Il più antico trattato, la Narapatijayacaryā (Condotta della vittoria di Narapati), composto da Narapati di Aṇahilapaṭṭana nel 1177, indica fra le sue fonti sette yāmala ('coppie', particolari testi tantrici), ossia quelli di Brahmā, Viṣṇu, Rudra, Skanda, Kūrma, Devī, e l'Ādiyāmala (Coppia primeva). La Narapatijayacaryā descrive diversi cakra (disposizioni di lettere ‒ intese come fonemi ‒ associate con unità di tempo ed entità astrologiche, e disegni magici di animali e oggetti) e bhūmi (disposizioni di astri, mesi e numeri relativi alle direzioni), che conducono alla vittoria chi ne faccia uso. Oltre la Narapatijayacaryā, il trattato più diffuso sulla scienza del suono è il Samarasāra (Essenza della battaglia), composto da Rāmacandra a Naimiṣa intorno al 1450.
Il sistema dei 'cinque uccelli' (pañcapakṣī), ossia delle cinque vocali a, e, i, o, u, fu ideato presumibilmente dopo l'arrivo degli Europei in India. Il principale testo di riferimento è la Pañcapakṣī, attribuita al dio Mahādeva, ma più diffusa è la Pañcasvarā di Prajāpatidāsa.
Altre forme di divinazione
Una delle più antiche forme indiane di divinazione, come è testimoniato dalla sua origine mesopotamica, è quella basata sull'interpretazione della caduta di lucertole e gechi. Il suo testo di riferimento è noto con il titolo Pallīśaraṭapatanavidhāna (Interpretazione della caduta dei gechi), che ha numerose varianti, ed è attribuito a Garga o Śaunaka, a seconda delle fonti.
A Garga ‒ probabilmente al Garga vissuto intorno al 900 ‒ è attribuita anche una Pāśākevalī (Il sistema dei dadi nel suo complesso), opera sulla divinazione tramite i dadi, dove sono interpretate tutte le possibili disposizioni di tre dei quattro numeri 1, 2, 3 e 4; opere più tarde sostituiscono ai corrispondenti numeri arabi abjād gli equivalenti a, ba, ja e da in scrittura nāgarī.
Lo Śivālikhita (Marcato da Śiva) e il Lampāka, il secondo di Padmanābha, trattano altri tipi di divinazione, la cui popolarità è testimoniata dal gran numero di manoscritti pervenuti che li riguardano. Ciò non esaurisce ancora, però, le fonti di presagi a disposizione degli Indiani. L'Aṅgavijjā (Conoscenza dei membri [del mondo]), un testo jaina in ardhamāgadhī redatto probabilmente nel VI sec., classifica ogni oggetto percettibile del mondo come fonte di presagi. Ogni persona veramente attenta deve osservare ed essere capace d'interpretare assolutamente tutto quello che entra nel raggio d'azione dei suoi sensi.
Gli Indiani adottarono con fervore l'arte della geomanzia (ramala, dall'arabo raml), appresa dai divinatori musulmani agli inizi del periodo mughal. Questo genere di presagio, come il lancio dei dadi, ma a differenza della maggior parte delle più antiche forme indiane di divinazione, fa parte dei presagi provocati; le figure formate dai fili di paglia gettati sul terreno rispondono infatti a domande specifiche. Il più antico testo in sanscrito sull'argomento sembra essere il Ramalavaicitrya (Varietà della geomanzia), composto da Rāma probabilmente nel 1600 ca., al quale fecero seguito numerose altre opere; infatti nessuna delle scienze introdotte in India prima del XIX sec. riscosse un successo così spettacolare e altrettanto travolgente.
Il termine horā designa l'astrologia propriamente detta; essa affida le sue predizioni principalmente agli oroscopi. La horā è suddivisa in varie branche: oroscopia, a sua volta suddivisa in jātaka, oroscopia propriamente detta, e tājika, oroscopia introdotta dai musulmani; astrologia catartica (muhūrtaśāstra), a sua volta suddivisa in astrologia militare (yātrā), astrologia matrimoniale (vivāha) e astrologia medica (karmavipāka, ecc.); astrologia dell'interrogazione (praśna). Le tecniche di base della horā, così come il termine stesso, sono di origine greca. I jyotiṣī ('astrologi') indiani introdussero numerose modificazioni e innovazioni.
Oroscopia
L'oroscopia ebbe origine nell'Egitto ellenistico nel tardo II sec. o nella prima parte del I sec. a.C. e fu trasmessa all'India nel corso del II sec. d.C.; qui trovò terreno fertile per ulteriori elaborazioni e sviluppi. Il principale strumento di questa trasmissione fu un testo greco illustrato, composto ad Alessandria agli inizi del II sec. d.C. Quest'opera giunse nel Regno degli Kṣatrapa occidentali (attuali Gujarat, Madhya Pradesh e Rajasthan), dove fu tradotta in prosa sanscrita da Yavaneśvara nel 149/150, durante il regno di Rudradāman I, con il titolo di Yavanajātaka (Oroscopia secondo gli Occidentali). Anche se questa traduzione non si è conservata, ci rimane gran parte di una versificazione della stessa eseguita da Sphujidhvaja nel 269/270. Lo Yavanajātaka non riflette fedelmente il testo greco nella sua forma originaria; rivela piuttosto un processo d'indianizzazione sia negli elementi di predizione dell'oroscopo sia nelle predizioni stesse. Tale processo era in corso già nella traduzione di Yavaneśvara, il quale interpretò le illustrazioni dei Decani e delle Horā che apparivano nel manoscritto greco nei termini dell'iconografia di Śiva e Pārvatī. Sphujidhvaja aggiunse un capitolo sulla reincarnazione, un altro sulle sostanze curative āyurvediche e le sezioni sulle interrogazioni e sull'astrologia militare, quest'ultima debitrice di fonti quali la Gargasaṃhitā (Saṃhitā di Garga). Adeguò inoltre molti dei segni premonitori greci alle aspettative degli Indiani e alla loro realtà economica e sociale.
I primi 51 capitoli dello Yavanajātaka descrivono l'oroscopia in sé (jātaka) e forniscono la definizione degli elementi basilari dell'oroscopia, con il ricorso a traslitterazioni di termini tecnici greci per indicare le posizioni efficaci e le divisioni dello Zodiaco, come anche le configurazioni dei pianeti. La trattazione della predizione inizia con il concepimento, la gestazione e la nascita. Lo status e la vita di chi nasce sotto un segno zodiacale sono fatti dipendere dalle relazioni reciproche tra i pianeti, dalle relazioni di questi con i segni zodiacali e le loro suddivisioni, e dalle posizioni astrologiche (bhāva). La durata della vita (āyurdāya) e dei suoi periodi (daśā,) e sottoperiodi (antardaśā) è calcolata in base a vari sistemi, mentre lo sviluppo della carriera dipende dai transiti dei pianeti dei bhāva astrologici nel suo oroscopo natale (aṣṭakavarga). La teoria greca del 'prorogatore' è oggetto di un breve e oscuro riferimento ed è ignorata nei più tardi testi sull'oroscopia, mentre è reintrodotta nel tājika (oroscopia musulmana). I capitoli finali vertono sulle cause della morte e sulla successiva incarnazione.
Sullo Yavanajātaka di Sphujidhvaja e sull'opera di Satya, andata perduta, che utilizzò la seconda traduzione di un testo astrologico greco, è basato il Vṛddhayavanajātaka (Yavanajātaka ampliato), composto da Mīnarāja nel Regno degli Kṣatrapa occidentali agli inizi del IV secolo. Alla materia del primo Yavanajātaka questo testo aggiunge capitoli sugli effetti dei pianeti in ciascun segno zodiacale in relazione agli aspetti, ossia le posizioni delle coppie di pianeti, e dei pianeti in ciascun bhāva così come in ciascuno dei propri varga e dei raśmi ('raggi') dei pianeti; l'opera contiene inoltre una sezione sull'oroscopia delle donne (strījātaka).
Su questi due testi, ma anche su vari altri trattati andati perduti, redatti da autori molto importanti, è basato il Bṛhajjātaka (Grande jātaka), composto da Varāhamihira ad Avantī nella metà del VI secolo. Questo testo, di gran lunga la più popolare opera in sanscrito sull'oroscopia, aggiunge alle esposizioni di Sphujidhvaja e Mīnarāja una sezione sugli oroscopi degli animali e delle piante (viyonijanma) e una sui difetti congeniti (aniṣṭa).
Nel Bṛhatparāśarahorā (Grande astrologia di Parāśara), databile tra il 600 e il 750 furono introdotte una serie di daśā ('periodi') e antardaśā ('sottoperiodi') aggiuntive e altre novità come gli operatori planetari (kāraka) e gli uccisori (māraka). Nella seconda metà dell'VIII sec. fu unita alla stessa opera una seconda parte, che aggiunse alle regole tradizionali del calcolo astrologico le forze dei pianeti.
Un testo importante che tiene conto di tutti i trattati sinora menzionati è la Sārāvalī (Linea delle essenze), composta intorno all'800 da Kalyāṇavarman a Vyāghrataṭī (Bengala), che dopo il Bṛhajjātaka di Varāhamihira fu la più influente opera sanscrita sull'oroscopia. Intorno alla metà dell'XI sec. Śrīpati di Rohiṇīkhaṇḍa scrisse una Jātakakarmapaddhati (Manuale sulle computazioni dei jātaka) sulle applicazioni matematiche nell'oroscopia, sia nuove sia derivate da elaborazioni di procedure già esistenti. I calcoli riguardano le posizioni astrologiche, l'estensione degli aspetti, le forze dei pianeti, la durata della vita, l'estensione dei periodi e dei sottoperiodi, e l'aṣṭakavarga. Per molti versi la Jātakakarmapaddhati è simile alla prima parte della Bṛhatparāśarahorā, sebbene la sua matematica sia di gran lunga più elaborata e complessa. Un breve compendio della Jātakakarmapaddhati, la Jātakapaddhati (Manuale del jātaka), fu composto da Keśava a Nandigrāma intorno al 1500; il successo che quest'opera riscosse fu anche superiore a quello della sua fonte.
In un'epoca non precisata tra il 1110 e il 1450 Guṇākara di Kharjūra, presso Avantī (odierna Ujjain), scrisse un'opera che seguiva molto da vicino il Bṛhajjātaka di Varāhamihira. Lo stesso può dirsi per l'anonimo Horāsāra (Essenza dell'astrologia), che tuttavia include un capitolo aggiuntivo sui periodi dei nakṣatra che successivamente sarebbero stati argomento di altre opere.
Il Jātakapārijāta (Il corallo del jātaka), composto nell'India meridionale da Vaidyanātha prima della metà del XV sec., è ampiamente basato sulla Sārāvalī di Kalyāṇavarman, ma anche sul Bṛhajjātaka e sullo Horāsāra.
Un vasto trattato che, avendo per oggetto saṃhitā ('divinazione'), jātaka ('oroscopia') e muhūrta ('astrologia catartica'), attinge alla maggior parte dei testi qui menzionati, è il Jyotirnibandha (Compendio di jyotiṣa), compilato da Śūramahāṭha Śivadāsa (o Śivarāja) nel 1450 circa. Fra i trattati di epoca più tarda esclusivamente dedicati all'oroscopia c'è il colossale Horāratna (Gioiello dell'astrologia) di Balabhadra, compilato nel 1654 alla corte di Šāh Šuǧā῾.
Di enorme popolarità godettero il Jātakabharaṇa (Ornamento del jātaka), composto da Ḍhuṇḍhirāja a Pārthapura intorno al 1525, il Camatkāracintāmaṇi (La gemma dei desideri della meraviglia), scritto da Nārāyaṇa Bhaṭṭa alla metà del XVI sec., il Jātakālaṅkāra (Ornamento del jātaka), scritto da Gaṇeśa a Bradhnapura nel 1613, e il Sarvārthacintāmaṇi (La gemma dei desideri [per ottenere] ogni oggetto), composto nel 1650 da Veṅkaṭeśa nei pressi di Tirupati, unico trattato al quale può essere riconosciuta una notevole originalità.
Nel XVII sec. un autore probabilmente originario dell'India meridionale scrisse un Upadeśasūtra (Aforismi sull'istruzione) utilizzando l'antico stile dei sūtra ('aforismi'), e lo attribuì a Jaimini; l'opera godette di grande popolarità. Solamente un altro autore scrisse in sūtra sull'oroscopia, Uḍumbara Mahādeva Pāṭhaka, che compose il suo Jātakatattva (Sostanza del jātaka) a Ratnapura nel 1872. Esiste poi una vasta raccolta costituita da migliaia di oroscopi potenziali che è nota come Bhṛgusaṃhitā (Saṃhitā di Bhṛgu) ed è tradizionalmente attribuita al ṛṣi ('veggente vedico') Bhṛgu; non sembra anteriore al XVI secolo.
Il termine tājika designa i Musulmani (Persiani, Arabi e altri) che penetrarono in India a partire dall'VIII sec., e deriva dal termine pahlavico tāzīg ('arabo'). Nell'ambito dell'oroscopia esso indica in generale quell'oroscopia che, sebbene derivata in ultima analisi da fonti greche, sanscrite e pahlaviche, fu introdotta dai Musulmani nell'India occidentale tramite testi scritti sia in arabo sia in persiano.
La più antica opera in sanscrito sul tājika ('oroscopia musulmana') che ci sia pervenuta, il Tājikatantrasāra (Essenza del tājika; noto anche con altri nomi), fu redatta nel 1274 da Samarasiṃha nel Saurāṣṭra. Samarasiṃha sostiene di essersi basato su un Tājikatantradīpa (Luce sul tājika; andato perduto) attribuito a Khindika, ossia 'l'Indiano', e sulla tradizione dell'oroscopia tradizionale indiana (jātaka) rappresentata da Garga, Satya, dagli (antichi) Yavana (Greci) e dai Romaka (Romani). Il Tājikatantrasāra è infatti una mescolanza tra l'oroscopia tradizionale e quella arabo-persiana. Dalla prima furono derivate le descrizioni fondamentali dei segni zodiacali e dei pianeti con le loro rispettive sfere d'influenza; per gli indispensabili calcoli astronomici si fa ricorso al Karaṇakutūhala di Bhāskara. Sono raccomandati sia gli aspetti planetari indiani sia quelli musulmani, come pure entrambi i metodi di suddivisione della durata della vita del nato sotto un determinato segno. Tuttavia l'aṣṭavarga indiano è sostituito dagli oroscopi annuali musulmani e lo ṣaḍvarga (sei classi: esaltazione, casa, termine, nono, dodicesimo e decano) dall'islamica pañcavargī (casa, esaltazione, termini, decano e trigono). Per il resto il tājika, l'oroscopia di tipo musulmano, risulta d'ispirazione essenzialmente arabo-persiana, lievemente modificata tenendo conto delle esigenze indiane.
Per anni il tājika rimase confinato all'India occidentale e soltanto a partire dal XVI sec. si diffuse anche nel resto del paese; alla metà del XVI sec., infatti, lo si ritrova al Sud, fino a Pārthapura, dove il figlio di Jñānarāja, Sūrya, scrisse un Tājikālaṅkāra (Ornamento del tājika), e il suo pronipote, Gaṇeśa, più tardi compose il Tājikabhūṣaṇa (Adornamento del tājika), che divenne molto popolare. Agli inizi del XVII sec. il tājika si diffuse ulteriormente verso sud; infatti Yādava Sūri completò la sua opera a Vāī nel 1616.
Intanto nella seconda metà del XVI sec. i Mughal avevano fatto proprio il tājika. Il ḫān-i ḫānān di Akbar, ῾Abd al-Raḥīm, scrisse un'opera in versi misti, sanscriti e persiani, e il suo capo-astronomo (jyotiṣarāja), Nīlakaṇṭha, completò nel 1587 la Tājikanīlakaṇṭhī (Il tājika secondo Nīlakaṇṭha), che ottenne enorme popolarità, mentre Balabhadra, allievo del fratello di Nīlakaṇṭha, Rāma, nel 1629 compilò per Šāh Šuǧā῾ un nuovo trattato sul tājika, lo Hāyanaratna (Il gioiello dell'[astrologia] annuale). Le opere prodotte alla corte mughal contribuirono alla diffusione del tājika in gran parte dell'India settentrionale, ma grazie a Bhūgola Veṅkaṭeśa questa tradizione raggiunse anche l'estremo sud della penisola; a Mathura egli copiò il Tājikatantrasāra di Samarasiṃha e ritornato al Sud, a Thanjavur (Tamil Nadu), nel 1624 compose un Tājikasāra basato su quell'opera.
Muhūrta: astrologia militare, astrologia del matrimonio, interrogazione
L'astrologia catartica rimonta all'età tardo-vedica, quando le congiunzioni della Luna con i diversi nakṣatra erano considerate di buono oppure cattivo auspicio per l'esecuzione di varie azioni. Trattazioni sistematiche dell'astrologia catartica lunare, con i segni zodiacali o unità temporali ‒ karaṇa (metà di una tithi), tithi ('giorni lunari'), giorni della settimana planetari e anni ‒ in sostituzione dei nakṣatra, si trovano nella Gargasaṃhitā, nello Śārdūlakarṇāvadāna, nello Yavanajātaka di Sphujidhvaja, nella Bṛhatsaṃhitā di Varāhamihira. Tuttavia il più antico trattato in sanscrito esclusivamente dedicato alla scienza del muhūrta è il Ratnakośa (Tesoro di gemme), composto da Lalla probabilmente nell'VIII secolo. Poco di questo testo è noto, ma ebbe grande popolarità un'opera in gran parte derivatane, la Ratnamālā (Collana di gioielli), composta da Śrīpati a Rohiṇīkhaṇḍa nel 1050 circa. In ventuno capitoli essa tratta dell'influenza delle unità di tempo, come il ciclo di sessant'anni di Giove, le tithi, i giorni della settimana, gli yoga (divisioni di tempo variabili basate sulla posizione reciproca di Sole e Luna), i karaṇa, i nakṣatra, i muhūrta ('divisioni di tempo'), e dei pianeti, inclusi gli upagraha ('pianeti minori') artificiali, e i segni zodiacali. Il testo tratta poi dell'astrologia mirante a determinare i tempi appropriati per l'esecuzione dei saṃskāra ('cerimonie sacre', 'riti di passaggio') ‒ materia che influenzò fortemente i Dharmaśāstra ‒ e di altre attività, come la preparazione del fuoco sacro, la consacrazione del re, l'intraprendere spedizioni militari (yātrā), il saṃskāra del matrimonio (vivāha, al quale, per la sua importanza, è dedicato un capitolo a parte), la costruzione di case, ecc., l'entrare in casa, l'indossare vestiti e la collocazione di immagini divine. Da questa lista risulta evidente come l'astrologia contribuisse alla determinazione del momento adeguato a intraprendere qualsiasi attività umana, permeando così tutti gli aspetti della vita indiana.
All'epoca di Śrīpati, poco prima della metà dell'XI sec., fu pubblicato a nome di Bhojarāja, il mahārāja Paramāra di Dhārā, il Rājamārtaṇḍa (Sole del re), che trattava il muhūrtaśāstra. L'opera include alcuni argomenti non trattati dalla Ratnamālā: lo scavo di pozzi, l'agricoltura, il piantare alberi, il tiro con l'arco, l'arte di cavalcare gli elefanti, ecc. Com'era d'uso negli śāstra ('scienze', 'discipline') indiani, furono pubblicati numerosi testi molto concisi allo scopo di fornire una base facilmente memorizzabile che guidasse alla scelta dei momenti propizi. Nel 1100 ca., il padre di Bhāskara, Maheśvara, compose il suo Vṛttaśataka (I cento versi), e prima del 1484 Trivikrama scrisse il Trivikramakaśataka (I cento versi di Trivikrama; opere riassuntive, come si evince dal titolo). Agli inizi del XVI sec. Nāhnidatta pubblicò un testo ancor più breve, la Pañcaviṃśatikā (I venticinque versi).
Agli inizi del XIII sec. i due jaina Udayaprabha Sūri e Naracandra, protetti di Vastupāla, ministro dei sovrani del Gujarat dal 1220 al 1240, scrissero, a proposito della scienza del muhūrta, l'Ārambhasiddhi (Successo nelle iniziative) e il Nāracandra (il titolo dell'opera è legato al nome dell'autore), dove, come si conviene ai jaina, sono omessi i momenti astrologicamente propizi all'esecuzione delle cerimonie sacre hindu. Nel 1242 un autore che fingeva di essere Kālidāsa e di scrivere alla corte di Vikramāditya nel 32 a.C., compose il Jyotirvidābharaṇa (Ornamento dell'astrologo), principalmente dedicato al muhūrta, pur trattando anche di alcuni presagi. Più tardi, nello stesso secolo, ad Ālattūr, in Kerala, Govindabhaṭṭa scrisse un Muhūrtamaṇi (Gemma del muhūrta), il primo testo del genere composto nel Sud dell'India. Anche in due trattati probabilmente risalenti alla prima metà del XIV sec. e attribuiti a due ṛṣi ('veggenti vedici'), la Nāradasaṃhitā (Saṃhitā di Nārada) e la Vasiṣṭhasaṃhitā (Saṃhitā di Vasiṣṭha), troviamo una combinazione di muhūrta e saṃhitā ('divinazione'). La datazione delle due opere è desunta dal fatto che esse sono citate da Viṣṇuśarman intorno al 1365 nella sua Muhūrtadīpikā (Illuminatrice del muhūrta).
La Muhūrtadīpikā è un commento del Muhūrtadarśana (Esame del muhūrta), scritto da Vidyāmādhava nell'impero di Vijayanagara intorno al 1360. Altrettanto importante per le sue citazioni dai testi del muhūrtaśāstra è il Jyotirnibandha composto da Śivarāja nel 1450 circa.
Il periodo più produttivo per la letteratura sul muhūrta, riguardante principalmente l'India settentrionale e occidentale, coincide con i secc. XVI e XVII. Esso è inaugurato dalla pubblicazione del Muhūrtatattva di Keśava a Nandigrāma, e continua con il Muhūrtamārtaṇḍa composto a Ṭāpara nel 1571 da Nārāyaṇa, il Muhūrtacintāmaṇi completato da Rāma a Kāśī (Benares) nel 1600, il Sajjanavallabha (Caro ai virtuosi) composto da Bhānu a Māndhātṛ, in Gujarat, e molte altre opere spesso composte a Kāśī o in Gujarat.
La yātrā, ossia l'astrologia militare ‒ una commistione di muhūrta e saṃhitā concernente le spedizioni militari e la difesa ‒ è un'innovazione indiana che si diffuse, tramite l'Iran sasanide e la Siria, agli Arabi, ai Bizantini e all'Europa occidentale. Alle sue origini ci sono i presagi di origine mesopotamica, registrati in testi come la Gargasaṃhitā. Essa apparve per la prima volta nella sua forma classica, mescolata con l'oroscopia, nello Yavanajātaka di Sphujidhvaja. In seguito divenne uno dei temi comunemente trattati nei testi sul muhūrtaśāstra. Il primo trattato indipendente sulla yātrā fu attribuito a Bādarāyaṇa; se ne trova menzione in Varāhamihira che, alla metà del VI sec., compose tre opere sull'astrologia militare; una di esse, la Bṛhadyātrā (Grande astrologia militare), influenzò il siriaco Teofilo di Edessa, consigliere dei primi califfi abbasidi, che scrisse in greco sullo stesso argomento. Nella medesima epoca, il consigliere Māšā᾽allāh, alla corte di Baghdad, scrisse sull'argomento in arabo. Gran parte della tradizione astrologica occidentale deriva da questi due autori.
Varāhamihira compose uno speciale trattato sull'astrologia del matrimonio (vivāha), il Vivāhapaṭala (Libro dell'astrologia del matrimonio), oltre ad avervi dedicato un capitolo nella sua Bṛhatsaṃhitā. Più tardi l'astrologia del matrimonio diventò una delle componenti consuete dei testi sul muhūrta, spesso inclusa anche nelle opere sul jātaka, ma a essa furono dedicati pochi altri trattati indipendenti. Sono particolarmente degni di menzione il Vivāhavṛndāvana (Il Vṛndāvana dell'astrologia del matrimonio), scritto da Keśavārka nella metà del XIII sec. e i Vivāhapaṭala di Sāraṅgapāṇi, Brahmāditya e Pītāmbara di Cambay, tutti testi composti nell'India occidentale.
L'applicazione dell'oroscopia all'āyurveda ('medicina') ha inizio già nello Yavanajātaka di Sphujidhvaja, ma in seguito diverrà più frequente in testi medici piuttosto che astrologici, fatta eccezione per i praśna ('interrogazioni'). Un ambito della medicina in cui l'astrologia era reputata di particolare utilità era quello delle malattie neonatali e infantili, che non potevano essere spiegate dalle teorie dell'āyurveda. Talvolta queste malattie erano attribuite a demoni (graha), che dovevano essere sconfitti tramite rituali, preghiere e magie. Questi demoni attaccano i bambini a causa dei peccati commessi da questi ultimi nelle vite precedenti (karmavipāka). Una teoria del karmavipāka, che è presentata come una combinazione di jyotiṣa ('astrologia'), āyurveda e dharma ('legge'), utilizza l'oroscopo natale del paziente per ricostruire il cattivo karma derivato dalle sue precedenti incarnazioni; per eliminarlo il curatore prescrive rituali di śānti ('pacificazione') e prāyaścitta ('espiazione'). Il testo più antico che tratti questa forma di karmavipāka è il Vīrasiṃhāvaloka (Sguardo di Vīrasiṃha), composto nel 1382 da un rājā di Delhi noto come Vīrasiṃha. Un'opera straordinaria è il Jñānabhāskara (Sole della conoscenza), che in forma di dialogo tra il dio del Sole, Sūrya, e il suo auriga, Aruṇa, contiene centinaia di racconti su pazienti afflitti da malattie e altre calamità, trattati dal curatore applicando le regole del karmavipāka.
L'astrologia d'interrogazione, praśna, è un'invenzione indiana derivante dal muhūrta e dai presagi. Tuttavia, mentre nell'astrologia catartica viene determinato il momento più favorevole per dare inizio a una certa azione, nell'astrologia d'interrogazione l'oroscopo del momento in cui è posta una domanda fornisce la risposta a quella domanda. Quest'ultimo procedimento è concettualmente collegato alla teoria dei presagi provocati ed è in aperta contraddizione con il fondamentale determinismo del jātaka e, in misura minore, del muhūrta.
Lo Yavanajātaka di Sphujidhvaja è la più antica esposizione dell'astrologia d'interrogazione. Esso contiene capitoli sulla ricostruzione dell'oroscopo perduto (naṣṭakajātaka) del richiedente in base all'oroscopo del momento in cui egli pone la domanda; sulla determinazione di quale sia la domanda prima che venga posta; sulla possibilità che si verifichi ciò a cui egli pensa, sul recupero di oggetti smarriti o rubati, sul decorso di una malattia, sull'imminenza della morte, sul sesso dei nascituri, sul pasto serale, sui temi dei sogni, sulla qualità del sonno e sulla composizione di nomi sconosciuti.
Il primo trattato espressamente dedicato all'astrologia d'interrogazione, la Ṣaṭpañcāśikā (I cinquantasei versi), composto da Pṛthuyaśas, figlio di Varāhamihira, alla fine del VI sec., forniva responsi a domande concernenti viaggi, guerre, profitti e perdite, malattie e morte, matrimonio e gravidanza. Di più ampio respiro sono il Vidvajjanavallabha (Caro alle persone sagge), della prima metà dell'XI sec., attribuito a Bhojarāja, e il contemporaneo Daivajñavallabha (Caro ai conoscitori del fato) attribuito a Śrīpati. Per quanto concerne la popolarità, però, l'unica opera rivale della Ṣaṭpañcāśikā di Pṛthuyaśas è il Bhuvanadīpaka (Luce del mondo), composto da Padmaprabha Sūri nel 1164. Alle domande tradizionali esso aggiunge quelle concernenti i prezzi, la navigazione e il sesso.
Mentre in Gujarat nel XIII sec. si andava formando il tājika, nella stessa regione comparve nel 1248 un adattamento sanscrito delle opere arabe o persiane sulle interrogazioni, il Trailokyaprakāśa (Luce dei tre mondi) di Hemaprabha Sūri. L'influsso islamico sull'astrologia d'interrogazione si protrasse sino agli inizi del XVI sec. con il Praśnavaiṣṇava (Opera viṣṇuita sul praśna) di Nārāyaṇadāsa Siddha e, più tardi nel medesimo secolo, con il Praśnatantra (Tantra del praśna) di Nīlakaṇṭha.
Nonostante il declino del gaṇitakhaṇḍa ('sezione del computo'), le diverse branche della horā sopra brevemente descritte sono ancora fiorenti in India e la loro influenza è addirittura crescente.
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