Scienza nuova
Opera di G.B. Vico, pubblicata in prima edizione nel 1725, in edizione rivista nel 1730 e con ulteriori modifiche nel 1744. Il titolo completo dello scritto è Principi di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni per la quale si ritrovano i principi di altro sistema del diritto naturale delle genti, lievemente modificato nelle edizioni successive al 1725. Vico vi espone la propria concezione di una scienza propriamente umana a fondamento della cui certezza sta la possibilità di assumere il ‘fatto’, ossia ciò che si compie o si produce, come ‘vero’, in polemica con il razionalismo scientifico e metafisico cartesiano. L’uomo conosce in senso completo soltanto ciò che fa; non la natura, dunque, ma la storia, e con essa la sfera dell’espressione linguistica e artistica, delle istituzioni sociali e religiose, e della politica. È il «mondo delle nazioni, o sia mondo civile» di cui è possibile ritrovare i principi «entro le modificazioni della nostra medesima mente umana» (lib. 1°, sez. III, ed. 1744). Vico, mediante un’esposizione delle «tre epoche» storiche fondamentali, degli dei, degli eroi e degli uomini, riordina le antiche cronologie, relative a diluvi, età dell’oro, gigantomachie e mitologie eroiche, acquisendo materiali provenienti dalle tradizioni egizie, zoroastriane, greche, ermetiche, e così via, fino a giungere agli eventi storico-politici narrati dagli storici greci e romani e alla istituzione della legislazione romana (lib. 1°). Egli ordina in tal modo un’esposizione, per così dire ‘continua’, dallo stato primordiale allo stato civile e legislativo, con lo scopo di identificare principi unitari e omogenei di sviluppo della conoscenza e della ‘mente’ dell’uomo di cui la storia è espressione concreta. A tal fine stabilisce «degnità» o assiomi (sez. II, Degli elementi), il cui valore è sia filosofico sia filologico. Il ‘vero’ ricercato dalla filosofia deve infatti sposarsi con il ‘certo’ indagato dalla filologia, che ingloba grammatica, storia e critica (degnità X; cfr. anche VI, VII). Contro la «boria delle nazioni» e la «boria de’ dotti», ossia il considerare come forme supreme di sviluppo determinati sistemi di conoscenze o assetti civili e politici, Vico delinea l’intrinseca storicità del fiorire di civiltà e saperi, intesi come realizzazioni mai definitive, ma orientate verso modelli ideali eterni («storia ideale eterna»), la cui vicenda storica è ricondotta a una derivazione dalla storia sacra (XXIII) che ingloba lo svolgersi ‘storico’ della provvidenza. La storia si presenta come una «teologia civile ragionata della provvidenza», intesa come scienza «del fatto istorico della provvidenza» (sez. III, Del metodo), in polemica con le concezioni storiche e antropologiche di Machiavelli, Hobbes, Spinoza e Bayle (di cui è stigmatizzata l’ipotesi di una Repubblica di atei). Nel lib. 2°, Della sapienza poetica, l’analisi dell’espressione si connette con quella dello sviluppo storico progressivo delle stesse facoltà umane (senso, fantasia e ragione) cui corrispondono fasi di comprensione e di linguaggio appropriate e ciascuna completa in sé, quali il mito (➔), la poesia e, successivamente, la riflessione razionale, che connotano le diverse epoche dello sviluppo storico (età degli dei, degli eroi e degli uomini). Gli uomini, scrive Vico, «dapprima sentono senza avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura»; ne deriva una teoria dell’origine intuitiva e fantastica dell’espressione linguistica, in polemica con teorie intellettualistiche e arbitrarie del linguaggio, che comporta l’analisi dei suoi legami con il mito e con la poesia, esposta nel lib. 3°, Della discoverta del vero Omero. Lo svilupparsi della storia, come delle facoltà dell’uomo, non è tuttavia lineare; da un’epoca di sviluppo e di maturità può scaturire un’epoca di barbarie o di «infanzia» (per es., il Medioevo, che segue l’Impero romano), da cui si riavvia un processo di elevazione spirituale e istituzionale, che non è mai inteso come ripetersi di avvenimenti, ma come riproporsi di forme storiche (sono i cosiddetti corsi e ricorsi della storia). L’opera si conclude con l’esposizione Del corso che fan le nazioni (lib. 4°), ove Vico raccoglie il senso complessivo della propria concezione storica e provvidenzialistica.