SCIENZA (fr. science; sp. ciencia; ted. Wissenschaft; ingl. science)
In senso lato, scienza si identifica con conoscenza, in un unico concetto di sapere, la cui analisi e i cui problemi trovano adeguata trattazione sotto altri esponenti (filosofia; gnoseologia; logica, ecc.). In un senso più ristretto e più moderno, invece, la scienza si distingue dalla filosofia, dando luogo a due tipi di conoscenza la cui differenziazione è estremamente complessa e tutt'altro che pacifica. Grosso modo si può dire che scienza è divenuto sinonimo di conoscenza del particolare e filosofia di conoscenza dell'universale. Distinzione approssimativa, che trova dei precedenti fin nei filosofi greci e che giunge al suo significato più materialistico e quantitativo nella dottrina del positivismo. Secondo Spencer, ad esempio, vi sarebbero tre specie di conoscenze: la volgare o conoscenza non unificata, la scientifica o parzialmente unificata, la filosofica o totalmente unificata.
Resi sinonimi scienza e scienze particolari, si sono poi suddivise queste nelle due grandi categorie delle scienze empiriche o naturali e delle scienze matematiche o astratte o formali: le prime volte alla comprensione dei fenomeni della natura e alla determinazione delle relative leggi, le altre destinate alla costruzione di concetti e di schemi rigorosamente logici ma senza corrispondenza nella realtà. Un terzo genere di scienze particolari si può individuare nelle scienze sociali, ma senza riconoscere per esse una speciale natura e una propria metodologia. Anzi da questo punto di vista le scienze sociali appaiono un tipo ibrido e la validità dei loro risultati si riporta per un verso all'indagine filosofica che ne è a fondamento, per un altro verso alle peculiari metodologie delle scienze naturali e delle scienze matematiche. Di qui le innumerevoli discussioni tra gli studiosi dei fenomeni sociali circa la legittimità dei diversi criterî scientifici, sostenendo gli uni la riduzione delle scienze sociali a scienze filosofiche, gli altri la riduzione a scienze naturali o matematiche. Tipico l'esempio dell'economia politica, la cui natura è oggi più che mai discussa da tutti e tre i punti di vista.
Precisate in tal modo la terminologia e le distinzioni più comuni, i problemi che speculativamente si pongono sono i seguenti: 1. se e in quanto sia possibile concepire due tipi diversi di conoscenza; 2. dato che il dualismo sia concepibile, come si debba intendere il rapporto tra le due specie di conoscenza.
Risposte esplicite a tali questiti invano si cercherebbero nei filosofi dell'antichità e del Medioevo: anzi una coscienza precisa del problema si può dire non sorga che in tempi molto vicini a noi, verso la fine del sec. XIX. Risposte più o meno implicite invece sono state date fin da quando si è posto con consapevolezza il problema logico e con esso la differenza tra ideale e reale, eterno e contingente, universale e particolare. Già in Platone comincia a porsi l'esigenza di una classificazione dei gradi della conoscenza e si distingue, nella νόησις, una διάνοια e una ἐπιστήμη, cioè il sapere delle scienze (aritmetica, geometria, astronomia, armonia) dal sapere perfetto che è la dialettica. Ma la distinzione resta appunto di gradi, molto generica e incerta, non senza insanabili contraddizioni. I veri termini del dualismo si delineano invece in Aristotele, nel quale accanto alla fede idealistica di Platone si fa strada per la prima volta in modo sistematico l'istanza dell'empirismo. Filosofo e insieme scienziato, egli non può non avvertire l'importanza del problema dell'esperienza in senso empirico e non distinguere in qualche modo le due specie del conoscere. Vi è la scienza propriamente detta, ἡ μάλιστα ἐπιστήνη, che ha per oggetto τὰ πρῶτα καὶ τὰ αἴτια, ma vi sono anche le scienze fisiche e matematiche che riguardano le cose materiali o che dalle cose materiali astraggono pur presupponendole. Sennonché, forse appunto perché filosofo e scienziato insieme, Aristotele non giunse mai a porre tra le due forme del conoscere un distacco netto e sostanziale. Più che una distinzione logica, la sua rimane ancora distinzione di gradi e il conoscere della filosofia, della fisica e della matematica ha in fondo sempre lo stesso fondamento e la stessa validità. Una è la logica aristotelica e l'istanza empiristica che in lui si fa strada non trova e non troverà per molti secoli, fino agli albori del pensiero moderno, una logica propria. Nella filosofia postaristotelica e in quella medievale i termini del dualismo si approfondiscono, ma non attraverso la ricerca di due modi del conoscere, bensì nella difesa in senso platonico o in senso aristotelico delle opposte esigenze dell'idealismo e dell'empirismo. Tutte le discussioni dei realisti e dei nominalisti intorno alla natura degli universali valgono, in effetti, a chiarire due diverse concezioni del problema del conoscere ma non il problema di due forme del conoscere, che poi ne scaturirà.
Il vero presupposto del problema speculativo della distinzione di scienza e filosofia si chiarisce, invece, col sorgere di una nuova logica contrapposta a quella aristotelica, col sorgere cioè dell'empirismo moderno e con l'affermazione sistematica del metodo induttivo. Il germe della concezione empiristica ch'era rimasto soffocato nel sistema aristotelico passa ora in primo piano e il centro del problema si sposta dal sapere più propriamente filosofico a quello scientifico. Col naturalismo del Rinascimento, col Novum Organum baconiano, con il metodo galileiano, il criterio dell'esperienza diventa il fondamento logico della nuova speculazione e s'inizia il discredito della vecchia metafisica. Logica induttiva contro logica aristotelica, empirismo contro scolastica, cioè nuova concezione gnoseologica e nuova filosofia. Non si tratta di una logica della scienza che si pone accanto alla logica della filosofia per coesistere in due forme distinte di conoscenza, bensì di una scienza opposta alla filosofia e volta a prenderne il posto. E anche là dove la vecchia logica rimane e si rafforza, essa cambia carattere e presta la forza del suo formalismo a una logica matematica che si accompagna allo stesso sviluppo della scienza empirica. Donde poi la caratteristica dell'illuminismo in cui logica empiristica e razionalismo cartesiano si mescolano e si integrano senza vera coscienza della diversità della loro origine.
Nasce, dunque, con l'empirismo il vero presupposto della distinzione di scienza e filosofia, ma non nasce la distinzione. Perché il problema potesse formularsi occorreva che l'atteggiamento polemico della nuova logica nei riguardi dell'antica si attenuasse e che l'unilateralità della nuova posizione divenisse evidente. Il che avvenne per una crisi interna allo stesso empirismo, il quale attraverso Locke, Berkeley e soprattutto Hume si accorse di non poter attingere quell'universale in cui il vero consiste e degenerò nello scetticismo. La certezza dell'a posteriori si rivelava senza consistenza perché non illuminata dalla luce dell'a priori.
A questo punto l'antitesi delle due logiche si trasforma e sbocca in una nuova logica, caratteristica del pensiero contemporaneo, per la quale il problema dell'unità o della distinzione di scienza e filosofia acquista un significato preciso e via via sempre più esplicito. La rivoluzione è compiuta da Kant che si assume il compito di dimostrare il fondamento logico dell'universalità delle leggi della natura. Contro l'istanza negativa di Hume, Kant osserva che la scienza della natura è possibile in quanto l'esperienza non va intesa in senso empiristico, a posteriori, bensì come sintesi a priori di contingente e necessario, cioè di dato sensibile e di forma scaturente dalla stessa attività conoscitiva. Così le scienze matematiche come le scienze naturali trovano appunto nell'apriorità delle forme dell'intuizione e dell'intelletto il fondamento dell'assolutezza delle loro leggi e l'immediatezza dell'empirismo è definitivamente superata. Ma se è vinta la contingenza dell'esperienza, non è trascesa la stessa esperienza nella quale l'intelletto si trova assolutamente circoscritto. La sintesi delle scienze implica necessariamente il dato sperimentale e non ci consente la comprensione di ciò che sperimentare non si può. I problemi primi della filosofia, e in particolare il problema di Dio che è alla base di tutti gli altri, rimangono in tal guisa pregiudizialmente esclusi dall'indagine scientifica: la metafisica è debellata, ma di fronte ad essa rimane valida la conclusione scettica dell'empirismo. Kant avverte la contraddizione dei risultati e va in cerca di un'altra forma di conoscenza che gli garantisca i presupposti della vita morale. Quest'altra forma, imperniata sul principio dell'inconoscibilità teoretica della cosa in sé, è la ragione pratica. Il problema del dualismo di scienza e filosofia è finalmente posto in un'esplicita coesistenza dei termini. Scienza matematica e naturale da una parte, coscienza pratica di Dio, dell'anima, del mondo, dall'altra. Il dualismo si pone come dualismo di forma teoretica e forma pratica, e la filosofia, nella sua esigenza antimetafisica, rinuncia a fondarsi sulla ragione teoretica.
Sennonché, nella terminologia e nella concezione kantiana, il dualismo di ragione teoretica e ragione pratica non coincide con il dualismo di scienza e filosofia. La filosofia per Kant è una scienza speciale definita più precisamente come critica della ragione, o critica trascendentale o filosofia trascendentale. "Una tale scienza non si dovrebbe ancora chiamare dottrina, ma solo critica della ragion pura; e la sua utilità sarebbe in realtà, riguardo alla speculazione, solo negativa, giacché servirebbe ad epurare, non ad allargare la nostra ragione, e a liberarla dagli errori; ciò che è già moltissimo di guadagnato. Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non degli oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti in quanto questa deve esser possibile a priori. Si direbbe filosofia trascendentale un sistema di siffatti concetti" (Critica della ragion pura, trad. G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Bari 1924, pag. 55). Da una parte, dunque, scienza matematica e fisica; da un'altra, conoscenza non teoretica del mondo ideale; da una terza, conoscenza critica del modo di conoscere. Il dualismo di scienza e filosofia pone in sostanza, e insieme presuppone, un terzo modo di conoscere, che è poi esso il vero conoscere e la vera filosofia.
Il pensiero speculativo si trova, dopo Kant, di fronte a tutte le contraddizioni scaturite dalla nuova posizione rivoluzionaria. La fecondità anzi del pensiero kantiano è data soprattutto dal contrasto delle nuove esigenze messe in luce e dalla necessità di superarle componendole. Una scienza naturale e matematica, che rinunciasse ai problemi fondamentali della speculazione, non poteva veramente soddisfare e doveva far nascere il dubbio circa l'assolutezza teoretica delle sue leggi. La particolarità della sua verità darà quindi luogo all'accusa di conoscenza empirica e si finirà col capovolgere la tesi kantiana e attribuire alle scienze particolari soltanto un valore pragmatistico. Una ragione pratica senza vero valore teoretico doveva rivelarsi, oltre che intimamente antinomica e assurda, tale da rendere problematica l'assolutezza della stessa ragione teoretica e da risospingere verso lo scetticismo empiristico al quale il sistema kantiano intendeva contrapporsi. Una filosofia critica, infine, che risolvesse il problema gnoseologico indipendentemente da quello metafisico, doveva riproporre in termini gnoseologici gli stessi problemi metafisici e tutti risolverli in un unico sistema conoscitivo. In conclusione, la posizione esplicita del dualismo di scienza e filosofia dà luogo al problema della coesistenza di diversi modi di conoscenza assoluta che diventerà il tormento di tutta la speculazione successiva. La soluzione tenderà sempre verso il riconoscimento di un'unica forma di conoscenza assoluta, ma le esigenze della differenziazione, messe in tanta evidenza da Kant, non daranno più tregua al pensiero contemporaneo.
Il primo tentativo di unificazione avviene con la critica di ciò che Kant aveva dichiarato inconoscibile, il noumeno. Era la sussistenza del noumeno accanto al fenomeno che aveva imposto la distinzione di ragione teoretica e ragione pratica e bastava vincere questo dualismo per eliminare l'altro di scienza e filosofia. E infatti, allorché, dopo gli sforzi dei postkantiani e in particolare di Fichte e di Schelling, si giunge con Hegel alla fenomenologia assoluta, ogni ragione di differenziare la conoscenza speculativa da quella della natura viene a mancare e nel concetto di enciclopedia trova posto tutto il sapere, in un unico procedimento logico. Metodo aristotelico e metodo induttivo, superati dal criticismo kantiano, cedono il posto alla nuova dialettica che sintetizza tutti gli opposti. Una sola forma di conoscenza e una sola metodologia ci consentono di passare dal più alto problema speculativo ai minimi particolari delle scienze naturali. Vero è che anche in Hegel si ripresenta qua e là l'istanza di una distinzione di filosofia e scienza e si ammette che il concetto non può giungere a tutte le determinazioni della natura. Ma l'empirismo che si riaffaccia in Hegel non riguarda la diversificazione del metodo, bensì la relativa inconoscibilità della natura data dalla sua relativa irrazionalità. La filosofia della natura si può determinare concettualmente solo in grandi linee, perché nel particolare il processo giunge a espressioni contingenti non riducibili a sistema. Ma per quel tanto che è sistematico, il conoscere della natura non si diversifica affatto dal conoscere filosofico.
Contro questa conclusione è insorto il pensiero posthegeliano, spinto nella sua reazione soprattutto dall'uso che Hegel e più la sua scuola avevano fatto della dialettica nella filosofia della natura. I risultati paradossali raggiunti nella deduzione di leggi fisiche e naturali hanno fatto pensare all'inapplicabilità della dialettica alle scienze e hanno fatto considerare la filosofia della natura come una semplice aberrazione dovuta all'astrattezza della metodologia filosofica. La reazione quindi ha assunto in un primo tempo un'intonazione antispeculativa e nella preoccupazione di contrapporre il concreto all'astratto ha smarrito il senso delle più profonde esigenze dello stesso kantismo. Col positivismo, invero, alla religione dell'idea subentra quella del fatto e al monismo filosofico succede in forma puramente antitetica il monismo scientifico. Se non che, nell'astratta loro contrapposizione, hegelismo e positivismo tendono alla soluzione dello stesso problema e cioè all'unificazione di scienza e filosofia in uno stesso processo logico. L'hegelismo si concreta nell'enciclopedia filosofica, il positivismo nella sociologia, riducendo il primo la scienza a filosofia, il secondo la filosofia a scienza: ma entrambi vogliono liberarsi dalle antinomie irresolubili del kantismo, superando il dualismo delle fonti conoscitive. E come opposto è il criterio per risolvere lo stesso problema, opposto è l'errore della soluzione, in quanto, se, col sacrificare la scienza alla filosofia, si perde con l'hegelismo la possibilità di passare concretamente dall'idea al particolare, col sacrificare la filosofia alla scienza si perde poi col positivismo la possibilità di passare dal particolare all'idea e al principio sistematico della molteplicità dei fatti. Le due soluzioni si rivelano ben presto insufficienti e il problema si riapre con maggior crudezza.
Nelle critiche che seguono alle concezioni hegeliana e positivistica si fa strada a poco a poco la convinzione che il tentativo di una soluzione monistica debba essere abbandonato. Hegelismo e positivismo sono falliti perché il loro assunto era utopistico: scienza e filosofia rispondono a due criterî irriducibili, entrambi indispensabili all'effettiva comprensione della realtà. D'altra parte la critica monistica alla dualità delle fonti conoscitive è troppo evidente perché la si possa senz'altro trascurare, e si cerca allora una via di uscita in una concezione pragmatistica della scienza. Le correnti filosofiche che iniziano la cosiddetta reazione idealistica contro la scienza e che rapidamente si diffondono verso la fine del sec. XIX, nelle varie intonazioni anti-intellettualistiche, volontaristiche, intuizionistiche, ecc., tendono tutte a ridurre le scienze a pseudoconoscenza di valore convenzionale e puramente utilitario. Il teorico più rigoroso del nuovo dualismo è stato Benedetto Croce, che ha posto a fondamento delle scienze empiriche e astratte lo pseudo-concetto. Prendendo le mosse dalla filosofia di Hegel, egli ha sostenuto la necessità di correggere la dialettica degli opposti distinguendola da quella dei distinti e in conseguenza di rinunciare all'esigenza unificatrice dell'enciclopedia espellendone la filosofia della natura. I concetti della fisica e delle scienze naturali non sono concetti, bensì finzioni intellettuali, di carattere pratico o economico, estranee all'universale filosofico. Scienza e filosofia, dunque, debbono procedere distinte e loro preoccupazione costante deve essere appunto quella di mantenersi reciprocamente estranee.
Ma la concezione pragmatistica della scienza, risollevando, sia pure in senso diverso e inverso, il dualismo kantiano di teoria e pratica, e conducendo alla postulazione di due dialettiche distinte, ha fatto riaffiorare su un altro piano le antinomie di fronte alle quali si venne a trovare Hegel e ha fatto sorgere il bisogno di una riforma più rigorosamente unitaria della dialettica hegeliana. L'errore di Hegel era stato, sì, quello di voler considerare i concetti empirici delle scienze particolari come concetti puri da dedursi filosoficamente, ma questo errore non si limita alla filosofia della natura e investe tutta l'enciclopedia, in quanto concetti puri nel senso hegeliano non possono esistere neppure nella filosofia dello spirito. Dire concetti puri significa infatti dire molteplicità di universali e avvolgersi in una contraddizione in termini, da cui non è più possibile uscire. Occorre rinunziare non solo nel campo scientifico, ma anche nel campo filosofico, alla deduzione dialettica di determinate categorie la cui molteplicità sarebbe la prova evidente della particolarità. Questa critica è a fondamento della Riforma della dialettica hegeliana di Gentile che conchiude col negare ogni distinzione tra concetti puri e concetti empirici. "E se è così", egli scrive, "è chiaro, o parmi, che il problema della deduzione delle categorie debba configurarsi ben diversamente da quel che accade in Hegel; e che la deduzione di Hegel si debba considerare come un caso fra infiniti casi possibili di deduzione, o meglio come essa stessa un frammento o un momento della eterna deduzione, in cui consiste la storia non pure del pensiero, come s'intende comunemente, ma del mondo. Infatti, poiché il pensiero è dialettico, è sempre viva determinazione (autodeterminazione) dell'indeterminato, ogni atto di pensiero è processo triadico di categorie: ogni soggetto e ogni giudicato sono momenti di quella categoria che è il giudizio in cui essi vivono; e ogni pensiero è categorico perché pensare è giudicare; e poiché tutto è pensiero, tutto è anche categorico. Quindi non c'è una filosofia della natura e una filosofia dello spirito, oltre la logica; e quindi la deduzione non si esaurisce mai; ed è vera la logica hegeliana, in quanto è vera ogni logica, ogni alitar di pensiero, e ogni stormire di foglia (inteso nella sua intrinseca intimità autocreativa, e però spirituale)".
Negata in tal modo la possibilità di una deduzione specifica di determinati concetti puri e affermata l'unità della categoria nella infinità delle categorie, il dualismo di scienza e filosofia si è risolto, non più riducendo hegelianamente la prima alla seconda, né positivisticamente la seconda alla prima, bensì identificando i due termini in un unico processo di universalizzazione del particolare e di particolarizzazione dell'universale. Unico processo che si realizza nell'atto del filosofo come nell'atto di chi compie la più particolare delle affermazioni della più particolare delle scienze.
Passando poi dall'atto dello scienziato alla considerazione delle diverse scienze empiriche e della filosofia nel senso tradizionale, il Gentile ha riconosciuto la validità di una certa distinzione, intendendola ora come distinzione di momenti spirituali entro l'unica dialettica (particolarizzarsi dell'unità e universalizzarsi del molteplice) ora come distinzione di filosofie (naturalistica e idealistica).
Sul problema si è venuta in questi ultimi anni concentrando l'attenzione di molti filosofi e di molti scienziati, bisognosi gli uni di adeguarsi sempre più alla concretezza del reale nel suo svolgimento storico, costretti gli altri a rivedere i presupposti delle loro scienze smarritesi nell'astrattismo del particolare. Prendendo le mosse dalle conclusioni del Gentile, alcuni studiosi hanno curato poi di tradurle in un'esperienza scientifica che riuscisse a sollevare una determinata scienza empirica al livello di scienza filosofica (U. Spirito, A. Volpicelli).
Nel loro tentativo essi hanno voluto dimostrare che la distinzione dialettica dei momenti, essendo implicita in ogni procedimento logico non può caratterizzare in concreto la differenza di determinate scienze empiriche e filosofiche, e che la distinzione di diversi gradi filosofici (naturalistico e idealistico) deve essere superata anche nel campo delle scienze particolari. Dalla realizzazione di tale programma la critica alla vecchia concezione intellettualistica della filosofia vorrebbe trarre nuovo alimento per una più adeguata impostazione delle tradizionali scienze filosofiche e una revisione del concetto di storia della filosofia.
Classificazione delle scienze e storia della scienza.
Il concetto aristotelico della scienza come conoscenza dell'universale eterno e necessario, che ci dà le cause e i principî, implicava un'esigenza sistematica di coordinamento e approfondimento delle varie conoscenze; onde gli ordini speciali di queste, già differenziatisi e in parte elencati nella Repubblica di Platone, si venissero a connettere in organismo, come rami di unica pianta e tutti in vitale sviluppo. Così con Aristotele si fa strada il bisogno di convertire la distinzione di fatto delle scienze in classificazione razionale organica, e di riconoscere il loro sviluppo storico.
La classificazione aristotelica di tre gruppi di scienze: poetiche (estetica), pratiche (morale), teoretiche (fisica e filosofia prima), appare imperniata sulla distinzione delle forme e dei fini dell'attività spirituale; quella successiva degli stoici e degli epicurei, invece (logica o canonica, fisica, etica), pur includendo una gerarchia di fini, si fonda più sulla diversità dell'oggetto, che Aristotele faceva intervenire solo nella suddivisione delle scienze teoretiche. A questi due opposti criterî, soggettivo e oggettivo, se ne aggiungono modernamente (ora escludendosi, ora sovrapponendosi e intrecciandosi a vicenda) altri riguardanti il metodo, il fondamento, l'estensione, il fine della ricerca, ecc.
Il criterio soggettivo si riafferma con F. Bacone, che classifica le scienze secondo le tre attività spirituali della memoria (storia), fantasia (poesia), ragione (filosofia); ma suddivide poi a seconda dei fini la poesia in narrativa, drammatica e parabolica, e a seconda degli oggetti la storia in civile e naturale (ripartita a sua volta secondo i varî gruppi di fenomeni), e la filosofia in scienza di Dio, della natura e dell'uomo. L'Enciclopedia, con D'Alembert, ripiglia la classificazione baconiana; Hobbes invece aveva già escluso la poesia e dato alla distinzione di storia e filosofia (scienza dei fatti e scienza delle conseguenze) un'impronta oggettiva, accentuata poi da Locke e Leibniz, che distinguono fisica (del corpo e dello spirito) e pratica (storia ed etica), aggiungendovi l'uno la semeiotica (scienza del linguaggio), l'altro la logica.
L'impronta oggettiva, dall'inizio del sec. XIX, viene a caratterizzare tutta una serie di classificazioni, che dal Bentham all'Ampère, dallo Stuart Mill al Hegel, da Steinthal, Helmholtz, Dilthey a Becher, Menzel, ecc., distinguono due classi fondamentali di scienze: della natura e dello spirito; che l'Ampère (facendole punto di partenza di una complicata serie di suddivisioni, che arriva a ben 128 scienze) chiama cosmologiche e noologiche, lo Schuppe e il Münsterberg dicono oggettive e soggettive, l'Adler naturali e sociali, il Menzel della natura e della cultura. Il Wundt invece riconduce le scienze della natura e dello spirito a un gruppo unico di scienze reali, opposto a quello delle scienze formali o matematiche; e con lui s'accordano essenzialmente il Masaryk, il Külpe, lo Jodl, il Vannérus, il Messer, ecc., mentre il Troiano alle scienze del reale oppone quelle del fattibile (pratiche), e l'Ostwald ritiene di dover fare una tripartizione in scienze formali, fisiche e biologiche, che vien ripresa anche dal Lemarié. Ma questi segue in parte anche il Tillich, che nella tripartizione di scienze del pensiero o ideali, dell'essere o reali, dello spirito o normative, applica alle reali una distinzione tra scienze di forme, di sequenze e di leggi, che diventa nel Lemarié distinzione delle fisiche e biologiche in descrittive, storiche ed esplicative. Nel che è fors'anche un riflesso di vedute del Troiano, come della distinzione del Kries in scienze nomologiche ed ontologiche, e di quella del Windelband, Rickert, Bernheim, ecc. (combattuti dal Tönnies, Frischeisen-Köhler, Münsterberg, Riehl, Adler, ecc.) in scienze di leggi e scienze storiche.
Con che dal criterio oggettivo si è già passati a un criterio soggettivo: dei varî punti di vista, sotto i quali si possono considerare gli stessi oggetti. E ci son poi, come ha notato il Becher, anche i criterî dati dai metodi e dai fondamenti di conoscenza: i quali ci richiamano a tutta un'altra serie di classificazioni, presentatesi dall'inizio del sec. XIX in poi, come conseguenza della distinzione tra verità di fatto e di ragione, compiuta dalla precedente critica della conoscenza. Così lo Schopenhauer ha distinto le scienze in empiriche o a posteriori e pure o a priori; e il Krug, dopo averle distinte in autonome, dipendenti e miste, suddivideva le prime in empiriche, razionali ed empirico-razionali. A queste due classificazioni vengono in parte a corrispondere quella del Bain di scienze astratte e concrete, che si rinnova anche col Pearson e col Giddings; e quella dello Spencer di scienze astratte, astratto-concrete e concrete, che ha voluto sostituirsi alla classificazione del Comte.
Questa in realtà voleva limitarsi alle scienze teoriche (astratte); distinguendole in una serie di generalità decrescente e di complessità crescente, che avrebbe corrisposto anche all'ordine storico del loro sviluppo. Ma l'elenco: matematica, astronomia, fisica, chimica, biologia, sociologia, presentava il difetto di escludere lo studio del soggetto spirituale (corretto in parte con l'aggiunta della morale nel Système de polit. posit. e col soggettivismo della Synthèse subjective), e di includere fra le astratte una scienza concreta (l'astronomia). Quindi alla classificazione del Comte qualcuno giudica superiore quella del Cournot, che, dividendo le scienze teoriche dalle storiche, distingue poi le prime in matematiche, fisiche, biologiche, noologiche e politiche. E il Whittaker di recente ha proposto correzioni alla classificazione comtiana, raggruppando le scienze astratte in due ordini: oggettive (logica materiale, matematica, fisica, chimica, biologia) e soggettive (psicologia animale, sociologia, psicologia umana, metafisica come teoria della conoscenza, logica formale). Ma in ciò va perduto il proprio della classificazione comtiana, che era lo sforzo di concepire la distinzione delle scienze come sviluppo storico: con che il soggetto apparentemente disconosciuto era posto al centro della classificazione, e il consensus delle scienze dal fondamento oggettivo statico era ricondotto a quello soggettivo dinamico, dei momenti dello sviluppo conoscitivo umano. Ciò convertiva in nesso la coesistenza delle due esigenze - classificatrice e storica - affermatasi fin da Aristotele.
Per il quale il compito preliminare della scienza, che è di porre i problemi, si soddisfaceva attraverso una rassegna sistematica delle idee dei predecessori: rivelazione di verità e di errori e (insieme) di una continuità di sviluppo, per cui il sapere si estende e si approfondisce progressivamente. Veduta storicistica importante, che però andava perduta forse già con Teofrasto, certo con la letteratura dossografica che ne proviene; né sappiamo in qual misura si conservasse nelle (perdute) storie di Eudemo (matematica e astronomia), di Menone (medicina), di Aristosseno (musica). Certo essa non si rivela negli spunti storici che ritroviamo nelle opere o nei frammenti di Posidonio, Gemino, Nicomaco, Pappo, Teone Smirneo e Alessandrino, Giamblico, Proclo (astronomia e matematica), di Strabone (geografia), di Plinio (storia naturale), di Galeno (medicina), ecc., e neppure nelle Questioni naturali di Seneca, che pure affermano così vigorosamente l'idea del progresso infinito del sapere.
Bisogna venire al Rinascimento per un'efficace riaffermazione di questa idea, da Bruno a Leibniz, cui si ricongiungono i teorici del progresso del sec. XVIII e il potente movimento storicistico del sec. XIX, svolgentesi del pari nelle correnti positivistiche e idealistiche. Così al Rinascimento risalgono anche raccolte di opere scientifiche antiche (per es., Pappo, edito da F. Comandino nel 1589; Antichi matematici, Parigi 1693); ma solo i secoli XIX-XX si sono accinti sistematicamente a queste collezioni, a opera di E. Littré, M. Wellmann, F. Marx, ecc., per la medicina; J. L. Heiberg, P. Tannery, Th. Heath, F. Hultsch, ecc., per matematica e astronomia; K. Müller e H. Berger, per la geografia; M. Berthelot ed altri, per l'alchimia, ecc. E se al sec. XVII risalgono scritti storici sulla matematica (B. Baldi, G. Biancani) e nel XVIII appaiono le prime storie della matematica (J. E. Montucla), dell'astronomia (J.-S. Bailly, P.-C. Laplace), della medicina (D. Le Clerc, A. v. Haller), e si afferma nell'Enciclopedia un forte interesse per la storia del progresso scientifico, tuttavia solo nel sec. XIX si sviluppano sistematicamente e con metodo critico le ricerche di storia della scienza, considerate necessarie a un'adeguata comprensione e valutazione della stessa scienza attuale, di cui ricostruiscono il processo di formazione.
Queste ricerche hanno assunto, nell'ampio svolgimento degli ultimi 130 anni, direzioni e atteggiamenti varî: storia della scienza in genere, e storia di scienze particolari; studio analitico di momenti o aspetti speciali e ricostruzioni sintetiche; raccolte di materiali (edizioni di classici, tavole cronologiche, manuali bibliografici) ed elaborazione di essi; pubblicazione di libri e riviste e attività di società e congressi, ecc. La storia generale della scienza ha in questo periodo i suoi rappresentanti principali in W. Whewell, G. Libri, R. Caverni, P. De Candolle, P. Tannery, G. Milhaud, G. Vailati, S. Günther, W. Ostwald e, fra i più recenti, G. Sarton, H. Dingler, J. L. Heiberg, A. Rehm, K. Vogel, A. Rey, L. Thorndike, W. C. Dampier Whetham, F. Enriques e G. Diaz De Santillana, A. Mieli e P. Brunet; la storia delle matematiche (oltre che fra i citati) in M. Cantor, H.G. Zeuthen, M. Simon, G. Loria, E. Bortolotti, S. Gu̇nther, H. Wieleitner, J. Tropfke, Th. Heath, P. Boutroux, F. Caiori, F. de Vasconcellos, O. Neugebauer, ecc.; quella dell'astronomia e cosmologia in F. Delambre, J. B. Biot, Th. H. Martin, G. Schiaparelli, L. Ideler, R. Wolf, H. A. Faye, F. K. Ginzel, P. Kugler, Fr. Boll, C. Bezold, P. Duhem, G. Bigourdan, H. Macpherson, J. Sageret ed altri (in parte già citati); la storia della fisica in A. Heller, E. Mach, E. Gerland, E. Hoppe, E. O. v. Lippmann e fra i su nominati specie P. Duhem; la storia della chimica in H. Kopp, E. von Meyer, E. Thorpe, ecc.; quella delle scienze biologiche in K. Sprengel, G. Cuvier, E. H. F. Meyer, J. V. Carus, J. Sachs, E. Nordenskiöld, Ch. Singer, G. Senn, ecc.; della medicina in C. Sprengel, F. Puccinotti, S. de Renzi, Ch. Darenberg, H. Haeser, M. Neuberger, K. Sudhoff, P. Diepgen, H. Garrison, A. Castiglioni, A. Benedicenti, ecc.; della geografia e scienze affini (geologia, meteorologia, mineralogia, ecc.) in O. Peschel, S. Günther, H. Berger, K. Hummel, O. Gilbert, P. Groth, F. Rinne, ecc.
Attraverso questo ricco e fecondo lavoro di ricerca, affiancato dagli studî di storia della filosofia e della cultura in genere, sempre più si fa chiara la visione della scienza come processo storico in sviluppo continuo, in perpetua elaborazione e revisione in rispondenza a esperienze e indagini sempre ulteriori, in cui ogni terreno particolare risente le ripercussioni degli avanzamenti, orientamenti e problemi determinatisi negli altri, e tutto il cammino della scienza appare in funzione del grande processo storico della cultura umana.
1. Per la classificazione delle scienze: F. Bacone, De dignit. et augm. scientiarum, Londra 1623; J. D'Alembert, Discours prélim. de l'Encycl., Parigi 1751; id., Système figurè des connaissances humaines, in Œuvres philos., ivi 1805; W. T. Krug, Versuch einer neuen Einteilung der Wissenschaften, Lipsia 1805; J. Bentham, Essai sur la nomenclature et la classif. des princip. branches d'arts et de science, in Works, Edimburgo 1838-43; A.-M- Ampère, Essai sur la philos. des sciences, ou expos. analyt. d'une classificat. naturelle de toutes les connaissances humaines, Parigi 1834-43; A. Comte, Cours de philos. posit., ivi 1830-42; id., Syst. de polit. posit., ivi 1851-54; id., Synthèse subjective, ivi 1856; A. Cournot, Des méthodes dans les sciences de raisonnement, Parigi 1865; id., Essai sur les fondem. de nos connaiss., ivi 1851 (1912); H. Spencer, The classif. of sciences, Londra 1864; id., First Principles, ivi 1862; W. Whewell, The philos. of the inductive science, Londra 1847; H. v. Helmholtz, Über das Verhältnis d. Naturwiss. zur Gesamtheit d. Wiss., Brunswick 1862; id., Vorträge und Reden, ivi 1884 e 1903; W. Stanley Jevons, The principles of science, Londra 1879; M. Lazarus in Zeitschr. für Völkerpsychol., 1859; A. Valdarnini, Princ. intendim. e storia della classific. delle conosc. umane secondo Bacone, Firenze 1880, R. Ardigò, Il compito della filos. e la sua perennità, in Opere, IX, Padova 1886; T. G. Masaryk, Grundzüge einer konkr. Logik, Praga 1887; W. Wundt, Üb. Eintheilung d. wissensch. Syst. der Philos., in Philos. Stud., Lipsia 1889; id., Einleitung in der Philos., ivi 1901; id., Syst. d. Philos., ivi 1919; Fr. Harms, Einleit. in d. Encykl. d. Physik, Lipsia 1850; R. de la Grasserie, De la classific. object. et subject. des arts, de la littér. et des sciences, Parigi 1893; R. Troiano, Classif. delle scienze in gener. e delle soc. e polit. in partic., Napoli 1897; G. Goblot, Essai sur la classific. des sciences, Parigi 1898; id., Le syst. des sciences, ivi 1922; A. Hill, Introduct. to science, Londra 1899; C. Trivero, La classif. delle scienze, Milano 1899; G. Lupi, La sociol. e la storia nella classific. delle sc., Ozieri 1899; A. Lalande, Letture sulla filos. delle scienze, trad. it., Milano 1901; E. Naville, Nouvelle classif. des sciences, Parigi 1901; A. Menzel, Natur- und Kulturwiss. (Philos. Gesellsch. in Wien), 1903; R. Flint, Philosophy as scientia scientiarum and history of classific. of sciences, Edimburgo 1904; A. Ravà, La classif. delle scienze e le discipl. soc., Roma 1904; A. Vannérus, Vetenskapssystematik, Stoccolma 1907; F. Enriques, Problemi della scienza, Bologna 1906; id., Scienza e razionalismo, ivi 1913; K. Pearson, The grammar of science, Londra 1911; W. Ostwald, Grundr. der Naturphilos., Lipsia 1913; A. O. Lovejoy, The unity of science, in Univ. Missouri Bulletin, 1912; W. Moog, Das Verhältn. d. Philos. zu den Einzelwiss., Halle 1919; E. Becher, Geisteswiss. u. Naturwiss., Monaco 1921; P. Tillich, Das Syst. der Wissenschaften nach Gegenständen u. Methoden, Gottinga 1923; Th. Whittaker, The Metaphysics of Evol. w. oth. Essays, Londra 1926; W. Sauer, Grundleg. der Wiss. u. die Wiss., Berlino 1926; O. Lemarié, Esquisse d'une philosophie, Parigi 1927; R. Eisler, Wörterb d. philos. Begriffe (s. v. Wissenschaft), Berlino 1927.
2. Per la storia della scienza: G. Gentile, Veritas filia temporis, in G. Bruno e il pens. del Rinasc., Firenze 1920; R. Mondolfo, Veritas filia temporis in Aristotele, in Scritti filos. per B. Varisco, Firenze 1925; C. Marchesi, Seneca, 2ª ed., Messina 1934; H. Diels, Doxographi graeci, Berlino 1929.
Per le edizioni e raccolte di opere della scienza antica, medievale e moderna si vedano le bibliografie dell'Ueberweg-Praechter-Baumgarten-Frischeisen-Köhler, Grundriss der Gesch. d. Philos., e delle storie della scienza sotto elencate. Per la storia delle scienze singole, v. l'opera sotto citata di A. Mieli e P. Brunet, da p. 1124 a 1147. Qui ci limitiamo ad opere di storia generale della scienza:
W. Whewell, History of the inductive sciences, Londra 1857; id., History of scientif. ideas, ivi 1858; id., The philos. of the induct. sc. founded upon their history, ivi 1847; P. de Candolle, Hist. des sciences, ecc., Ginevra 1873, e ed. ted. a cura di W. Ostwald, Lipsia 1911; Fr. Stranz, Naturbetrachtung u. Naturerkenntnis im Altertum, Amburgo 1904; id., Die Vergangenheit der Naturforschung, Jena 1913; id., Astrologie, Alchemie, Mystik, Monaco 1928; G. Milhaud, Études sur la pensée scientif. chez les Grecs et chez les modernes, Parigi 1906; id., Nouvelles études sur l'histoire de la pensée scient., ivi 1912; id., Leçons sur l'orig. de la sc. gr., ivi 1893; P. Tannery, Mémoires scientifiques, voll. 13, Parigi 1911-32: W. Ostwald, Grosse Männer, Lipsia 1909; S. Günther, Gesch. der Naturwiss., Lipsia 1909; G. Sarton, Introduction to the history of science, Baltimora 1922 segg.; W. C. Dampier Whetham, A history of sciences, its rel. with philos. a relig., Cambridge 1930; H. Dingler, Gesch. d. Naturphilos., Berlino 1932; F. Enriques e G. De Santillana, Storia del pensiero scientifico, I: Il mondo antico, Bologna 1932; A. Mieli e P. Brunet, Hist. des sciences, I: Antiquité, Parigi 1935.
Opere parziali: G. Libri, Hist. des sciences mathém. en Italie, Parigi 1838-1841; R. Caverni, Storia del met. sperim. in Italia, Firenze 1891-95; L. Thorndike, A history of magic a. experim. science, New York 1923; J. L. Heiberg, Gesch. d. Mathem. u. Naturwiss. im Altert., Monaco e Roma 1924; A. Rey, La science orientale avant les Grecs, Parigi 1930; id., La jeun. de la sc. grecque, ivi 1933 (collez. La science dans l'antiquité, in continuazione); A. Rehm e K. Vogel, Einleit. in d. Altertumswiss., Lipsia 1933.
Sul valore della storia della scienza: G. Vailati, Scritti, Firenze 1911; G. Berthier, L'hist. des sciences, in Rev. synth. histor., 1912; A. Meyer, Was heisst u. z. welch. Ende, ecc., e W. Ostwald, Geschichtswiss. u. Wissenschaftsgesch., in Arch. f. Gesch. Mathem., ecc., 1927; S. Baglioni, Import. dell'indag. stor., ecc., in Archeion, 1928; G. Sarton, The hist. of science a. the new humanism, New York 1931; F. Enriques, Signification de l'hist. de la pensée scient., Parigi 1934.
Vanno ricordati qui anche l'attività e gli organi delle maggior società di storia della scienza: History of Science Society (Isis), Comité intern. d'hist. des sciences (Archeion). Per dizionarî, repertorî bibliografici e storie delle scienze singole, si veda la cit. bibl. gen. in A. Mieli e P. Brunet, Hist. des sciences.