CLINICHE, SCIENZE (dal gr. κλίνη "letto")
Le scienze cliniche sono: la clinica medica generale, la clinica chirurgica generale e le cliniche specialistiche appartenenti al gruppo della prima o della seconda. Appartengono al gruppo della clinica medica: la clinica pediatrica, la dermopatica, la sifilopatica e venereologica, la psichiatrica; appartengono al gruppo della clinica chirurgica: l'oculistica, l'ostetrica, la ginecologica, l'otorinolaringoiatrica e la odontoiatrica. Ma qualsiasi categoria di malattie delle due cliniche generali può essere eretta a specialità: le malattie nervose (clinica neurologica), come le malattie del cuore, del ricambio, dei polmoni, dell'apparecchio digerente, ecc., non senza danno dell'unità della scienza. Nel gruppo chirurgico è spesso eretta a specialità l'ortopedia. Appartenente alle due cliniche generali è eretta spesso a specialità, in causa della particolare tecnica che esige, la röntgenologia. Appartengono altresì al gruppo delle scienze cliniche la patologia speciale medica e la patologia speciale chirurgica.
Un tempo la clinica medica e la chirurgica trovavano il loro carattere differenziale nello studiare e curare l'una le malattie interne, o cavitarie, del corpo, l'altra le esterne. Col progredire della medicina questo confine è stato cancellato. La chirurgia (v.) oggi interviene in moltissime malattie cosiddette interne, per cui l'unico criterio differenziale resta quello della diversa natura del metodo curativo a base di medicamenti e di mezzi fisici e psichici, nel caso della clinica medica, a base d'interventi operatorî, nel caso della clinica chirurgica.
Le scienze cliniche furono, con quelle naturali, le prime scienze dell'umanità. Conservare la salute e guarire le malattie, ecco l'atto volitivo iniziale e centrale che ha creato la clinica, la quale portava all'inizio nel suo grembo tutta la biologia. Questo scopo pratico, su cui furono tenacemente fissi gli occhi durante tutto lo sviluppo secolare della medicina fino ai giorni nostri, in modo da non lasciarlo allontanare mai dall'orizzonte mentale, ha mantenuto un carattere straordinariamente unitario alla medicina, a malgrado del progressivo diramarsi delle sue varie branche. La divisione del lavoro non ha disgregato lo scibile medico, com'è avvenuto in altre branche del sapere, perché quel punto centrale, l'intento pratico terapeutico, ha funzionato da potente centro di gravitazione.
Da Ippocrate fino alla fine del '700, i pionieri della medicina furono sempre dei clinici, ossia dei medici pratici ricercatori dei problemi clinici, che crearono nuovi indirizzi, nuovi metodi, nuove branche di studio, nello sforzo unico e costante di circoscrivere sempre più da vicino l'obietto della conoscenza.
E se v'ha cosa meravigliosa nella storia della medicina è l'ordine logico perfetto mantenutosi nel progresso medico. Non v'ha terapia possibile senza la conoscenza dell'individuo ammalato. Ma questa è impossibile senza la conoscenza delle funzioni patologiche. Le funzioni patologiche domandano la conoscenza della loro base anatomica, o anatomia patologica (macroscopica e microscopica), e inoltre la conoscenza delle funzioni normali, o fisiologia. E la fisiologia esige innanzi tutto la conoscenza dell'anatomia normale (macroscopica e microscopica) degli organi funzionanti.
Messo immediatamente dinnanzi all'ammalato, vale a dire al gradino terminale di questa scala conoscitiva, il medico pratico, per meglio dire il genio della medicina operante nei secoli, intuì che bisognava cominciare invece dal primo, e creò l'anatomia normale. Il primo passo fu fatto, così, da Galeno.
Dopo la pausa del Medioevo la marcia riprende a grandi passi dalla periferia, sempre più approssimata verso la meta finale, l'ammalato. Sempre i clinici segnano le grandi tappe del progresso. Il clinico chirurgico Mondino si fa anatomico ed esercita largamente la dissezione dei cadaveri, metodo che aprirà la via alla rinnovata anatomia umana fino allora studiata invece sui testi di Galeno. Il clinico chirurgico Harvey si fa fisiologo, inventando la vivisezione, come metodo conoscitivo delle funziom normali. Il clinico medico Malpighi si fa istologo, applicando il microscopio allo studio degli organi normali degli esseri viventi. Ancora il clinico medico Morgagni si fa anatomopatologo, inventando il metodo del confronto delle alterazioni morbose degli organi coi sintomi clinici. E finalmente il clinico chirurgico Hunter si fa fisiopatologo, volgendo la sperimentazione sugli animali alla conoscenza delle funzioni morbose. Questa marcia sempre più approssimata all'ammalato si chiudeva verso la seconda metà dell'800 con lo studio microscopico dei fatti patologici, vale a dire con la patologia cellulare del Virchow, e con la prima precisa affermazione della dipendenza delle malattie infettive dagli agenti del mondo esterno, dimostrata dalla batteriologia creata dal Pasteur. Con l'800 comincia la divisione del lavoro e ogni branca distinta dello scibile medico raccoglie il frutto del suo lavorio analitico nelle sue leggi, nei suoi proprî universali, con l'intento sempre presente di giovare alla conoscenza ognor più approssimata della patologia umana al fine della cura dell'uomo ammalato.
Inoltre è sommamente significativo il fatto che nella formazione dei medici pratici oggi viene mantenuto esattamente quel medesimo ordine storico progressivo d'approssimazione all'ammalato, che s'è svolto nell'evoluzione secolare della medicina, fino alla completezza sua ai nostri giorni. Il medico pratico s'istituisce in primo tempo con l'anatomia e istologia normale, passa poi alla fisiologia, indi all'anatomia patologica e alla patologia generale, che comprendono la patologia cellulare. Finalmente giunge a contatto immediato di quel reale il cui possesso è la meta ultima della sua cultura, il coronamento dell'edificio: il malato, la clinica. E l'attività clinica dello studente si conclude nell'apprendere l'indicazione terapeutica. Ecco ritrovato il punto di partenza da cui la clinica s'era mossa nei secoli.
Considerato nella sua genesi e considerato nella sua formidabile unità, questo poderoso strumento conoscitivo, che si compendia nella clinica, ma che comprende tutto lo scibile medico, assume un aspetto grandioso e domanda che siano rivedute sotto un'altra luce le gravi obiezioni che sono state rivolte alla clinica come scienza. Infatti il concetto stesso di scienza, oggi corrente, pare non potersi adattare in alcun modo alla clinica che s'occupa solo di problemi individuali: l'obietto della clinica è l'individuo ammalato. Invece da Galileo in poi le varianti fenomeniche dei casi individuali non costituiscono, secondo i dotti, l'obietto della scienza, la quale anzi trascura codeste varianti, che sono accidentali e infinite di numero, per estrarre dai casi individuali solo ciò che essi hanno di universale, costante e eterno nei caratteri e nelle leggi che li governano. Una scienza poi sarebbe tanto più perfetta, quanto più suscettibili d'espressione matematica sono i caratteri e le leggi dell'obietto che s'indaga.
Ora, quanto ai metodi matematici, diremo che i metodi clinici sono quelli stessi della biologia. Molti fenomeni biologici sono oggi suscettibili d'esatta determinazione strumentale e numerica. D'altra parte, la nostra intuizione va molto al di là del più sottile strumento misuratore e l'intelligenza umana, anche senza numeri, sa valutare il peso relativo dei fenomeni e giunge egualmente a un apprezzamento anche quantitativo di essi, con l'aggettivazione semplice, comparativa e superlativa. Tale metodo perde in obiettività e in precisione, ma guadagna in sottigliezza e ci consente di penetrare in un mondo fenomenico di fronte al quale la matematica esattezza degli strumenti deve spesso confessare la propria impotenza. D'altronde l'incertezza del metodo sensoriale-intuitivo è corretta in due modi: dal procedimento statistico-mentale della media delle ripetute valutazioni fatte da individui diversi, nel quale procedimento medio s'eliminano gli errori positivi e negativi di ciascuno degli osservatori intorno al vero; l'errore di valutazione è eliminato altresì dal controllo degli avvenimenti successivi, perché gli avvenimenti biologici sono di carattere storico, si svolgono, vale a dire, attraverso al tempo in una catena logica e fatale in modo che le fasi successive controllano e illuminano le precedenti. Così le diagnosi cliniche, fondate in parte su metodi matematici e in parte su metodi sensoriali-intuitivi, trovano il loro controllo nel decorso ulteriore della malattia e nel controllo necroscopico. La percentuale delle diagnosi controllate come esatte dagli avvenimenti ulteriori può oggi essere spinta forse verso il 90%.
Dal punto di vista teorico della conoscenza e del valore intrinseco d'un metodo che ci consente di penetrare nell'ignoto, vale senza dubbio di più un metodo incerto e impreciso, del resto controllato nei suoi risultati e quindi pur sempre in definitiva sicuro, che non un metodo che per la sua grossolanità non penetra affatto e ci lascia nell'ignoranza! Non pare dubbio che la dignità del metodo matematico strumentale sia stata sopravvalutata pei il fatto che s'è tenuto conto solo dei meriti e non dei demeriti del metodo stesso, i quali nel campo dei fenomeni sottili, come quello della biologia e quindi della clinica, ne diminuiscono spesso l'intrinseco valore. Perché anche quando il fenomeno è abbastanza grossolano da poter essere afferrato da uno strumento, l'obietto è misurato per punti discontinui e valutato non come obietto nella sua interezza e continuità, ma come schema enormemente semplificato. Molte volte ci sentiamo in clinica meno sicuri d'una valutazione matematico-strumentale, che non della nostra indagine sensoriale diretta, ispettiva, palpatoria, ascoltatoria.
Più grave può parere l'obiezione che la clinica si distingue dalla biologia in quanto questa risponde realmente al concetto di scienza nel senso galileiano di conoscenza d'universali astratti dai fatti individuali, mentre la clinica ha per obietto della conoscenza solo le varianti individuali, alle quali varianti applica gli universali della biologia. Sarebbe dunque scienza di pura applicazione.
Sennonché qui bisogna vedere la clinica non come a sé stante, isolata dai rami scientifici della medicina, ma come tronco che può funzionare solo in quanto è in connessione con quei rami che essa stessa ha creati e che continuamente alimenta; per cui dire clinica è dire nel tempo stesso tutta la medicina. E qui pare dimostrarsi tutta la superiorità della clinica come scienza. Poiché mentre tutte le altre scienze naturali si sono arrestate alla fase degli universali, ritenendo tale fase come l'ultima tappa del sapere, la clinica, ossia l'organismo unitivo della medicina, con l'odierna dottrina delle costituzioni tende a tornare al fenomeno individuale lumeggiandolo, non appena si presenti, istantaneamente in ogni parte coi grandi fari coordinati e convergenti dovuti al meraviglioso apparecchio unitivo che i medici si sono andati forgiando nei secoli, all'unico intento di comprendere l'uomo ammalato per poterlo curare. E infatti la conoscenza degli universali non può essere la meta finale della scienza, perché scopo della conoscenza deve essere la realtà concreta, la sola esistente, la sola che si voleva ab initio illuminare, laddove gli universali sono concezioni ideali, che fanno astrazione dal reale individuale e inoltre se ne stanno le une dalle altre disgiunte, fuori di quel mondo fenomenico dal quale s'è partiti per illuminarlo, e al quale non s'ha più il potere di ritornare, e spesso anzi s'ha la ripugnanza a tornare da parte degli scienziati "puri", appunto perché è impossibile di bene tornare.
E di fatti è sorto nel campo filosofico, specialmente in Francia, e con eco anche in Germania e in Italia, da alcuni decennî a questa parte, un indirizzo revisionista dei canoni fondamentali scientifici fin qui ammessi come indiscussi, e questo indirizzo, di cui il Boutroux fu uno dei fondatori, e che novera nelle sue file il Bergson, il Milhaud, il Poincaré e altri, sembra che possa contribuire a chiarire la posizione tutta speciale della clinica fra le scienze, intesa appunto come scienza dell'individuale, vale a dire come presa di possesso immediata e completa del reale nella sua inscindibile unità individuale, qual è per la medicina l'uomo sano e ammalato.
Il volgo accoglie con diffidenza lo scienziato puro nella vita pratica e sente il lato umoristico della sua situazione, per cui egli che è il sapiente dei sapienti e che con squadra e compasso avaramente misura la realtà per determinarla e conoscerla meglio degli altri, quando poi viene a suo diretto contatto e deve valutarla nella sua interezza, si mostra più di ogni altro a disagio, sorpreso, impacciato e impotente a dominarla. Gli è che lo scienziato puro ha nella sua mente rappresentata la realtà, non come a noi si presenta "intuitivamente" nella nostra vita vissuta, vale a dire complessa nella sua unità, continua, mobile, in perpetua evoluzione, dove mai un oggetto o un avvenimento si ripete assolutamente identico all'altro sebbene sia della stessa specie o natura; ma invece lo scienziato puro ha nella sua mente solo la figurazione ideale delle cose, alla quale s'è arrestato e nella quale si riposa. Per allestire codesto mondo ideale s'è servito di una realtà che, come osserva giustamente il Bergson, per essere esattamente misurata è stata isolata dal tutto e poi immobilizzata, quando invece era mobile, e poi distrutta in quella sua unità praticamente inscindibile, perché ogni lato del poliedrico problema individuale è studiato genericamente per sé e non più ricomposto o imperfettamente ricomposto nel tutto. E ognuna di queste parti, poi, è misurata per schemi geometrici, fissando di codeste parti alcuni punti fondamentali, e misurando codesti punti e non la reale continuità intercedente; e, come se ciò non bastasse codeste parziali misurazioni schematiche, sono ripetute su molti obietti e avvenimenti della stessa specie e natura, per trarne infine un valore medio universale, che però non corrisponde a nessuno dei valori reali e che per sé stesso elimina quella variabilità che è uno dei caratteri più salienti della realtà.
Si comprende quindi come lo scienziato, in possesso di tuttl questi parziali schemi ideali e perciò irreali, quando poi nella pratica tenta di comporre nell'insieme primitivo i molteplici frammenti, trova nella ricostruzione ostacoli insuperabili, perché i singoli valori medî non si corrispondono più fra di loro e perché codesti frammenti sono schemi geometrici, per punti discontinui, non realtà continua.
La posizione speciale della clinica in mezzo alle scienze sembra precisamente essere questa, che è proceduta anch'essa alla fatale schematizzazione e frammentazione del reale, per estrarne le leggi universali della fisiologia e della patologia (patologia generale) e il concetto tipico delle malattie speciali (patologia speciale); ma sotto l'impero della pratica necessità, è rimasta sempre con le sue salde radici strettamente abbarbicata al reale concreto sintetico individuale, in uno sforzo inesausto d'attività conoscitiva, logica insieme e intuitiva, servendosi di tutti i suoi rami scientifici e di tutti i metodi, di tutte le facoltà dello spirito, per giungere, con disciplina scientifica sempre più rigorosa, sempre meno imperfetta, ad affrontare il possesso diretto e immediato di quel reale individuale, che per essere veramente fatto suo dallo spirito e nella sua integrità, deve essere lasciato nel suo ambiente, mobile e integro nella sua unità; e deve essere sorpreso e seguito con prontezza nella sua mutevolezza, nella sua incessante fruttificazione fenomenica.
Lo spirito clinico, tenuto perennemente in un grande disagio dalle inesauribili sorprese della variabilità di natura, dopo averle considerate per lungo tempo come materia senza legge né numero, caotica e priva quindi di ogni possibile elaborazione scientifica, ha finito per scorgere intuitivamente in essa delle categorie e delle regole spontanee. Difatti, se ben pensiamo, un intelletto clinico molto esercitato, un medico pratico di grande esperienza finisce per essere sempre più raramente colto di sorpresa dalla variabilità morbosa individuale, orizzontandosi in mezzo a essa sempre più facilmente, in quanto che si sono con la lunga esercitazione, con l'osservazione di centinaia di casi, depositati nella sua memoria spontaneamente i ricordi di certi tipi di variabilità che si ripetono e che raccolgono, messi tutti insieme, pressoché tutti i casi. Questi "tipi" sono degli "universali", ma universali sempre più approssimati al reale individuale. E si può asserire senz'alcun dubbio che l'esperienza personale del medico pratico, arricchendosi senza posa di codesti universali sempre più approssimati, viene a trovarsi in una posizione assai superiore d'avanzamento verso la presa di possesso del reale, molto più progredita nel senso conoscitivo, che non sia quella in cui si trova la scienza sua, depositata nei più recenti volumi di patologia speciale e generale, i quali si trovano in una perpetua trasformazione, ma arretrati sempre, in quanto vanno raccogliendo, con ritardo dell'esperienza viva e sempre progrediente dei clinici, codesti universali sempre più approssimati.
Sennonché è accaduto in questi ultimi trent'anni che i clinici sono passati da codesta fase primitiva dello studio della variabilità individuale cui ora alludevamo, alla fase scientifica, donde è nato in Italia l'indirizzo individualistico nella medicina clinica con precisi metodi proprî. Questo indirizzo e questi metodi segnano, nella storia della medicina, un'altra grande tappa d'avanzamento forse definitiva, e che in ogni modo è da ritenersi d'importanza pari e forse superiore, a quella segnata dalla fisiologia e dall'anatomia patologica. Questa grande riforma è dovuta al genio d'Achille De Giovanni, clinico di Padova, e coinvolge nel medesimo indirizzo l'anatomia, la fisiologia e la patologia.
Con l'indirizzo individualistico la clinica (in altre parole tutta la medicina di cui inevitabilmente il clinico deve disporre a ogni momento) tende a studiare le leggi che regolano le varianti anatomo-fisiologiche individuali, classificando in base a esse gl'individui; in secondo tempo a studiare le leggi che regolano le varianti dei quadri morbosi in rapporto col variare delle diverse individualità, già classificate.
La legge degli errori, opportunamente introdotta da Viola per la precisa collocazione della variante individuale nella curva di frequenza, è la chiave di vòlta per lo studio scientifico-statistico quantitativo della variabilità umana e permette un'obiettiva classificazione dei tipi costituzionali (v. costituzione).
Con ciò fatalmente le scienze cliniche si trovano sempre nel campo degli universali, distillati per così dire dagl'individuali, ma hanno, con un metodico secolare avanzamento verso il reale individuale, ormai ricolmo, al massimo grado possibile, l'abisso immenso che un tempo separava la scienza medica dalla pratica medica, le leggi e i caratteri individuali. Dopo essere centripetamente passati dall'anatomia alla fisiologia, all'anatomia patologica, alla patologia generale e alla patologia speciale, con l'indirizzo individualistico finalmente le scienze cliniche ridurranno l'abisso ben presto a un breve solco di separazione, il quale, sebbene per sua natura ab aeterno incancellabile totalmente, consentirà in modo sempre più agevole il salto dagli universali agl'individuali e il dominio "scientifico" improvviso e preciso, sicuro e completo del reale individuale, che è e dev'essere la meta finale, la vetta della sapienza.
Tale è l'essenza della clinica come scienza. E per la sua genesi storica e per l'unità dello scibile medico che ha saputo mantenere e per i risultati raggiunti in questo suo costante e quasi spasmodico sforzo conoscitivo, domanderebbe di essere accolta nella gerarchia delle scienze con criterî alquanto diversi da quelli finora adottati e di occuparvi un seggio a parte come "scienza dell'individuale" (v. costituzione; cellulare, patologia).
Bibl.: Per lo spirito di geometria e lo spirito di finezza, v. B. Pascal, Pensées. Vedi altresì P. Boutroux, L'Idéal des Mathématiciens, in Nouvelle collection scient., Parigi 1920. Quanto alle scienze del particolare da contrapporsi alle scienze del generale, v. A. Ravà, Il valore della storia di fronte alle scienze naturali e per la concezione del mondo, Roma 1909. Vedi altresì C. Bresciani-Turroni, Il fondamento logico della statistica come scienza e come metodo, in Giorn. degli economisti e riv. di statistica, 1912, nelle quali ultime due opere sono analizzate le idee del Windelband (1894) e successivamente del Rickert (1896-1902) che in Germania contrapposero le scienze storiche o del particolare alle scienze naturali o del generale, e del Ciuproff che applicò le idee del Rickert alla statistica. Cfr. altresì G. Viola, La clinica come scienza dell'individuale e la sua posizione nella gerarchia delle scienze, in Coll. med. di attualità scientifiche, Bologna 1923.