SCIOPERO
Il vigente codice penale, nel titolo ottavo del libro secondo, prevede come delitti, negli articoli 502-512, lo sciopero e la serrata, nelle varie ipotesi del fine contrattuale, del fine non contrattuale, dello scopo di solidarietà o di protesta, ecc. L'art.330 inoltre prevede l'abbandono collettivo di pubblici uffici, impieghi, servizî o lavori, cioè lo sciopero dei pubblici ufficiali, degli incaricati di un pubblico servizio aventi la qualità di impiegati, dei privati che esercitano servizî pubblici o di pubblica necessità non organizzati in imprese e dei dipendenti da imprese di servizî pubblici o di pubblica necessità. Tali norme, non abrogate dopo la soppressione del sistema sindacale corporativo, non furono però applicate, di modo che, per quanto da un punto di vista giuridico la mancata applicazione non potesse considerarsi effetto di un'abrogazione tacita, i risultati pratici furono gli stessi. La situazione di fatto ottenne poi una sanzione giuridica con l'entrata in vigore della Costituzione, la quale stabilisce all'art. 40 che "il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano". Il riconoscimento dello sciopero come diritto, infatti, comporta l'abolizione del relativo divieto e rappresenta, nel quadro della concezione democratica dello stato, un'affermazione solenne della liceità dei conflitti di lavoro e dell'uso della forza di cui le parti contrapposte dispongono, per ottenere diverse condizioni. Si chiude così, con la restituzione ai lavoratori della libertà di sciopero e correlativamente, secondo l'opinione più fondata, della libertà di serrata agli imprenditori, una fase della storia dell'ordinamento sindacale italiano, nella quale la risoluzione delle vertenze di lavoro veniva effettuata attraverso l'azione di organi a ciò preordinati, anziché attraverso l'azione diretta delle parti interessate.
La formula dell'art. 40 rappresenta un compromesso fra le diverse tendenze manifestatesi in sede di redazione, le quali andavano dal riconoscimento assoluto e incondizionato alla esclusione del diritto di sciopero, e costituisce soprattutto l'affermazione di un principio oramai pacificamente acquisito alla coscienza sociale e dalla cui consacrazione nella carta costituzionale sembrava difficile poter prescindere. Il carattere di compromesso dell'art. 40 risulta particolarmente evidente dal fatto del rinvio a una legislazione speciale, che non può aver altro significato che quello di una dilazione della soluzione dei numerosi problemi connessi all'affermazione del diritto di sciopero. Del diritto di serrata non si fa menzione nella costituzione; ma ciò non significa che essa sia vietata dall'ordinamento giuridico italiano: conseguenza di maggior rilievo è che un eventuale divieto di questa può essere stabilito con legge ordinaria, mentre per vietare lo sciopero sarebbe necessaria una legge costituzionale.
Concetto fondamentale dello sciopero è quello dell'abbandono del lavoro posto in essere collettivamente dai lavoratori, allo scopo di ottenere una modificazione dei patti che regolano i rapporti con l'imprenditore. Abbandono collettivo che toglie al fatto il carattere di violazione del contratto, con le conseguenze che ne deriverebbero secondo le norme del diritto privato. Se ciò è pacifico, è invece controverso - per quanto ormai debba ritenersi ammesso - se l'abbandono del lavoro possa avere carattere di manifestazione di protesta o di solidarietà con altri lavoratori. Materia di discussione è, inoltre, se il lavoratore abbia diritto di astenersi dal lavoro anche a scopi non sindacali, ma politici, e se nel concetto di sciopero rientrino anche il cosiddetto sciopero bianco e altre forme che non consistono nell'abbandono del lavoro, ma nella preordinata minore produttività (la cosiddetta non collaborazione) o nella prestazione del lavoro in maniera diversa da quella disposta dall'imprenditore, in quelle forme, cioè, che vanno genericamente sotto il nome di sciopero attivo. Per quanto riguarda lo sciopero politico è da rilevare che la costituzione non può dare un criterio per giudicare della sua ammissibilità o meno nell'ordinamento italiano, dato che la determinazione di questa sfugge a criterî di carattere giuridico e dato anche che la formula usata è estremamente astratta. Lo stesso può dirsi per la non collaborazione e per lo sciopero attivo, e pertanto si rende particolarmente necessaria una precisa regolamentazione legislativa.
Un rapido sguardo alle principali legislazioni straniere appare utile per una migliore comprensione dei problemi relativi allo sciopero e per un raffronto fra i varî sistemi. Può farsi in proposito una distinzione fra le legislazioni che non ammettono lo sciopero e quelle che ne riconoscono il diritto. Nel primo gruppo si può classificare l'ordinamento dell'URSS, nel quale lo sciopero è ammesso solo nei rapporti fra lavoratori e imprenditori privati, cioè nei pochi e limitatissimi casi in cui in quello stato ancora esistono imprese private. Nel secondo rientrano tutti gli stati, che costituiscono la quasi totalità, nei cui ordinamenti è ammesso esplicitamente il diritto di autodifesa sindacale, anche se con limitazioni che ne affievoliscono notevolmente la possibilità di esercizio. Di tale specie è il Labor management relations act, 1947, in vigore negli Stati Uniti d'America dal 23 giugno 1947, più conosciuto come legge Taft-Hartley, dal nome dei suoi presentatori. La definizione di sciopero data dalla legge comprende ogni azione concertata dei salariati che miri alla cessazione del lavoro, ad ogni altra interruzione o al rallentamento dell'attività produttrice. È vietato lo sciopero dei dipendenti di pubbliche amministrazioni. Nei casi, inoltre, in cui uno sciopero interessi una notevole parte di un'industria e sia di natura tale da mettere in pericolo la salute o la sicurezza pubblica, il ministro della Giustizia può, su istruzione del presidente, domandare al tribunale di promuovere una ingiunzione per prevenirlo o mettervi fine. È anche vietato lo sciopero nei casi in cui esso miri ad imporre un boicottaggio, ad obbligare lavoratori indipendenti a creare organizzazioni professionali, o a sostenere la lotta in un conflitto di competenza sindacale o a favorire uno sciopero di simpatia. Negli altri casi l'esercizio del diritto di sciopero è ammesso espressamente. Però, nelle industrie interessanti gli scambî commerciali (industries affecting commerce) e per cui sono in vigore contratti collettivi, è necessario preavviso di 60 giormi. Se lo sciopero viene dichiarato prima, può essere considerato una pratica sleale di lavoro e i lavoratori perdono i diritti garantiti dalla legge nei confronti dei datori di lavoro. Altra limitazione è prevista per i lavoratori delle aziende che interessano l'insieme o una parte importante di un'industria, per i quali, su richiesta del ministro per la Giustizia, lo sciopero può essere vietato per un periodo di 80 giorni. La parte, inoltre, che desidera la rottura del contratto di lavoro deve dichiararsi pronta ad iniziare negoziati e deve avvertire il Federal mediation and conciliation service. Questa legge, approvata nonostante le proteste delle associazioni sindacali dei lavoratori e il veto del presidente Truman, ha suscitato grande malcontento nelle masse e serie critiche tra gli esperti. La rielezione di Truman fa ritenere però probabile una sua prossima revoca o revisione ed in questo senso si è già pronunciato il presidente nel suo primo messaggio al Congresso.
In Francia il diritto di sciopero è affermato nel preambolo della costituzione con una formula del tutto simile a quella successivamente introdotta nella costituzione italiana e non è stata ancora emanata la speciale legislazione che dovrà regolarne l'esercizio. In Gran Bretagna le limitazioni introdotte con il Trade disputes and trade union act, 1927, per il quale erano illegali gli scioperi di solidarietà e quelli miranti ad esercitare pressioni sul governo, sono state radicalmente abrogate dalla legge 22 maggio 1946, per cui ora il diritto di sciopero è soggetto solo alle tradizionali limitazioni.
In alcuni paesi, come la Svezia, il Messico, l'Australia, il Brasile, è tuttora stabilito il principio della responsabilità delle associazioni sindacali in caso d'inosservanza dei contratti collettivi, principio che, costituendo una limitazione, sia pure indiretta, all'esercizio del diritto di sciopero, è stato invece abbandonato in tutte le altre legislazioni. Negli ordinamenti di alcuni stati dell'America centrale e meridionale (Columbia, Costarica, Equatore, Nicaragua, San Salvador, ecc.) limitazioni del genere di quelle stabilite dalla legge Taft-Hartley (preavviso per la dichiarazione di sciopero, divieto in pendenza di procedure arbitrali, ecc.) sono stabilite per tutte le industrie "essenziali", che, cioè, non potrebbero sospendere la loro attività senza pregiudizio grave e immediato per l'economia pubblica. Altre legislazioni, invece, di cui la più importante è quella argentina, pur non giungendo a un arbitrato obbligatorio, prevedono speciali procedure per la conciliazione e l'arbitrato dei conflitti collettivi.
Bibl.: Atti della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro, 2 voll., Roma 1946; F. Carnelutti, Diritto o delitto di sciopero, in Pagine libere, nn. 6-7, 1946; F. Pergolesi, Orientamenti sociali delle costituzioni contemporanee, Firenze 1947; G. Mazzoni, Il diritto del lavoro nelle norme costituzionali, in Rassegna di studî sociali, 1947; J. E. Lawyer, Les relations de travail aux États Unis: la loi de 1947, in Revue internationale du travail, n. 2, 1947; A. Rouast e I. Durand, Précis de législation industrielle, Parigi 1947; L. Riva Sanseverino, Il lavoro nella nuova Costituzione italiana, in Diritto del lavoro, nn. 1-2, 1948; A. Sermonti, Sul diritto di sciopero e di serrata, ibid., nn. 1-2 e 3-4, 1948; P. Gasparri, I principî costituzionali del nuovo diritto sindacale, ibid., n. 1, 1948; L. A. Miglioranzi, Agitazioni affini allo sciopero, ibid., nn. 5-6, 1948; E. Sapienza, La disciplina del diritto di sciopero negli S.U., in La critica politica, n. 1, 1948.