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Scipione Africano, Publio Cornelio

di Clara Kraus - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Scipione Africano, Publio Cornelio (Scipio)

Clara Kraus

Generale romano (Roma 235 a.C.-Literno 183 a.C.). Al personaggio di S., debellatore di Annibale, citato nel Convivio, nella Monarchia e in ognuna delle tre cantiche, D. conferisce dimensioni proporzionate al modo d'inquadrare tutte le figure del mito o della storia di cui, nella sua concezione, la divina Provvidenza aveva fatto altrettanti strumenti del proprio disegno di riservare a Roma l'Impero più grande del mondo.

Nell'antichità il massimo celebratore di S. era stato Livio, che lo definì " fatalis dux " della seconda guerra punica fin dall'epoca di Canne.

Dal minuzioso racconto liviano si raccolgono le notizie salienti relative alla vita di S.: nato dalla nobilissima gens Cornelia, prese parte nel 218, a soli 17 anni, alla battaglia del Ticino, dove salvò la vita al padre (XXI XLVI 7); nel 216, dopo la catastrofe di Canne, gli fu affidato il comando dell'esercito assieme all'altro tribuno militare Appio Claudio (XXII LIII 3) e in tale occasione respinse la proposta avanzata da certuni di abbandonare l'Italia (§§ 5-6); nel 211, a 24 anni, ottenne su propria richiesta, col titolo eccezionale di proconsole, il comando delle operazioni in Ispagna, dove il padre era stato ucciso l'anno precedente (XXVI XVIII 7) e, conquistata subito Cartagena (XLII-XLVI), condusse vittoriosamente la campagna iberica per ben sei anni. Ritornato a Roma nel 206 e nominato console per l'anno successivo, ebbe come provincia la Sicilia con l'incarico di continuare la guerra contro i Cartaginesi (XXVIII XXXVIII 1 e 6). Dall'isola S. trasportò l'esercito in Africa nello stesso anno 205 (XXIX XXIV-XXVII) e lì lo raggiunse tre anni dopo Annibale, richiamato in patria dal senato cartaginese (XXX XX). Nella piana di Naraggara, presso Zama, si svolse la battaglia decisiva, che doveva porre termine alla seconda guerra punica con la vittoria dei Romani (XXXII-XXXIV) e l'assegnazione del trionfo a S., nel 202/1 a. Cr. (XLV 2).

Livio non fu tuttavia la fonte di D. (cfr. Livio) e comunque non fu l'unica, come risulta da Mn II IX 18, dove si legge che la guerra tra l'Italia e l'Africa si era risolta in un duello tra S. e Annibale sicut Livius et alii romanae rei scriptores testificari conantur. Il ricorso a fonti diverse da quella liviana è documentato in concreto dalla citazione di maggiore rilievo - chiamata in causa, accanto ad altre, dallo Scherillo (D. e Tito Livio, in " Rendic. Ist. Lombardo " II 30 [1897] 334-335) a dimostrazione del fatto che D. poco conoscesse di Livio - in Cv IV V 19 E non puose Iddio le mani, quando, per la guerra d'Annibale avendo perduti tanti cittadini che tre moggia d'anella in Africa erano portati, li Romani volsero abbandonare la terra, se quel benedetto Scipione giovane non avesse impresa l'andata in Africa per la sua franchezza?

Il particolare delle tre moggia, che non può derivare da Livio (il quale propende per un moggio solo: XXIII XII 1), deve risalire o ad Agostino Civ. III 19 o ad Orosio Hist. IV XVI 5 (cfr. ANNIBALE; CANNE); l'espressione per la sua franchezza, ossia per la liberazione di Roma dal pericolo cartaginese, sembra la traduzione del " pro patriae defensione " di Orosio (XVI 6), mentre appare lontana dal " qui rem publicam salvam vellent " dell'analogo passo liviano (XXII LIII 7), da cui Orosio attinge. La dizione Scipione giovane invece, che lessicalmente ripete Livio piuttosto che Orosio (v. oltre), non va riportata di necessità a una fonte precisa, perché si riferisce all'epoca in cui S. aveva circa 30 anni e si trovava quindi proprio all'inizio della iuventus secondo i canoni antichi, noti nel Medioevo, che, sia pure in maniera fluida, fissavano ai 28 anni (cfr. Isidoro Orig. XI 2) o ai 30 (cfr. Varrone, in Censorino De Die nat.14) il limite tra la adolescentia e la iuventus. Ma qui importa soprattutto sottolineare l'impostazione dell'intero passo, nel quale D. accosta due momenti della seconda punica cronologicamente lontani - l'indomani di Canne (216 a.C.) e l'antivigilia dell'impresa d'Africa (205 a.C.) - che sembrerebbero contigui se le fonti storiche non c'informassero della successione dei tempi.

Siamo di fronte a uno scorcio sintetico, in cui il fattore storico-cronologico è nettamente subordinato all'istanza tutta medievale della tesi politico-religiosa: lo scopo di D. è di far risaltare che la fermezza mostrata da Scipione giovane nel trasferire le operazioni in Africa diede una svolta risolutiva al destino di Roma, gravemente compromesso dalla rotta di Canne, e in vista di questo poco contano i dodici anni intercorsi tra i due momenti. Per D., S. prima che giovane è benedetto: accostandosi ad autori come Agostino e Orosio, egli sostituisce in maniera tutta sua il concetto cristiano di ‛ divina Provvidenza ' alla ‛ fatalità ' pagana di Livio. Lo stesso concetto è ripreso in Pd XXVII 61 Ma l'alta provedenza, che con Scipio / difese a Roma la gloria del mondo, dove la strumentalità di S. in funzione dell'impero di Roma è più che mai messa in evidenza.

Un problema lessicale si ripropone quando dallo Scipione giovane del Convivio si passi a considerare il diminutivo ‛ giovanetto ' che ricorre in Pd VI 52-53, a proposito dell'aquila romana, sotto il cui segno giovanetti trïunfaro / Scipïone e Pompeo. Si allude qui senza alcun dubbio al trionfo di S. dopo Zama, non solo perché è l'unico di cui si abbia notizia (cfr. Livio XXX XLV, cit.; Valerio Massimo V II 4; Orosio IV XIX 6) - laddove un altro trionfo da collocare nel 206 a.Cr., a conclusione della campagna iberica, quando S. aveva 29 anni, si arrestò alla fase di aspirazione non realizzata (cfr. Livio XXVIII XXXVIII 4) - ma anche perché alla battaglia di Zama e a quel trionfo si riferisce D. stesso anche altrove, rispettivamente nella perifrasi con cui descrive la valle di Bagrada che fu teatro dello scontro (presso Naraggara, secondo Livio XXX XXIX 9), in If XXXI 117 la fortunata valle / che fece Scipïon di gloria reda / quand'Anibàl co' suoi diede le spalle, e nella terzina dedicata all'esaltazione, per via di confronti, della bellezza del carro della Chiesa nel Paradiso terrestre (Pg XXIX 116 Non che Roma di carro così bello / rallegrasse Affricano, o vero Augusto).

Dunque, con la dizione ‛ giovanetto ' D. si riferisce allo S. quasi trentaquattrenne di Zama. Priva di fondamento logico sembra l'eventuale ipotesi che al suo orecchio risuonasse l'" admodum adulescens " che Orosio (IV XVII 13) usa con riferimento all'anno iniziale dell'impresa di Spagna, quando S. aveva 24 anni (XVIII 1), l'unica volta in cui lo storico cristiano dà un'indicazione precisa circa l'età del personaggio, basandosi sull'analogo passo di Livio, dove si legge " admodum iuvenis " (XXIII XVIII 7, cit.). Uscendo dalle strettoie dell'esattezza filologica è più plausibile considerare ‛ giovanetto ' una semplice variante del giovane del Convivio, dovuta molto probabilmente a ragioni poetiche. Qui può semmai soccorrere il raffronto con Livio che al nome di S. non unisce mai l'aggettivo " adulescens " (una sola volta compare " pubescens ", con riferimento ai suoi 17 anni, in XXI XLVI 7, cit.), laddove il termine costante è " iuvenis ", non solo per lo S. diciannovenne di Canne (XXII LIII 8, cit.), ma addirittura per lo S. trentaquattrenne di Zama (XXI XLVI 8): " Hic erit iuvenis, penes quem perfecti huiusce belli laus est, Africanus ob egregiam victoriam de Hannibale Poenisque appellatus ".

Da questo " iuvenis " può essere derivata la dizione dantesca ‛ giovanetto ', che riproduce con molta efficacia la sproporzione tra la grandezza di una vittoria di eccezionale portata e la ancor giovane età di S., per la quale appunto egli viene accomunato a Pompeo: il trionfo da lui celebrato a circa 34 anni dopo Zama è equiparato a quello ottenuto a 25 anni da Pompeo dopo la guerra combattuta a fianco di Silla contro i mariani, in base alla diversa natura dei due conflitti e al diverso peso delle loro conseguenze. Con la vittoria di Zama S. aveva infatti concluso in modo definitivo la gravosa vicenda della seconda punica, che uomini tanto più vecchi di lui non erano stati in grado di risolvere, e aveva così dato l'avvio all'estensione dell'impero di Roma sul mondo intero (cfr. Floro I 22 [= Il 6]: " praemium victoriae Africa fuit et secutus Africam statim terrarum orbis ").

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