BARGAGLI, Scipione
Fratello di Girolamo e di Celso, nacque a Siena nel 1540. Ebbe una buona cultura umanistica per cui entrò in relazione con i maggiori letterati senesi e soprattutto con Belisario Bulgarini, col quale intrattenne fin da giovane una fitta corrispondenza su argomenti privati e letterari. Visse quasi sempre a Siena, soggiornando però spesso ai bagni di Lucca o in campagna per curare la sua cagionevole salute. Sposò in età matura Violante di Pandolfo Savini, dalla quale ebbe quattro figli, e amministrò, oltre al proprio patrimonio, quello dei fratelli, quando questi per ragioni professionali furono costretti ad assentarsi da Siena. Nell'Accademia degli Intronati, dove fu ascritto col nome di Schietto, e in quella degli Accesi acquistò presto rinomanza soprattutto come oratore. Per le nozze di Francesco de' Medici con Giovanna d'Austria scrisse un'orazione rimasta inedita; nel 1569 (un anno dopo il decreto di chiusura di tutte le congregazioni emanato da Cosimo I) celebrò le lodi delle accademie in una adunanza degli Accesi; nel 1579 tenne il discorso funebre per la morte di Alessandro Piccolomini; nel 1598 compose l'orazione in lode di s. Giovanni Battista recitata l'11 maggio nel duomo di Siena da Pier Giovanni Marescotti (Siena 1598); infine dei 1603 è la più celebre delle sue orazioni, quella detta alla riapertura dell'Accademia degli Intronati il 14 dic. 1603 (edita nella parte II delle Commedie degli Intronati, Siena 1611), in cui è orgogliosamente esaltata la tradizione della gloriosa congregazione senese.
Rifiutò occasionali incarichi civili forse in ottemperanza a un capitolo della Accademia degli Intronati che proibiva ai soci l'attività politica, ma ambì ufficiali riconoscimenti. Nel 1593 fu ammesso all'Accademia di Venezia e nello stesso anno ebbe dall'imperatore Rodolfo la nomina a cavaliere e il diritto di fregiare il suo stemma con l'insegna dell'aquila a due teste. Morì a Siena il 27 ott. 1612.
Come ideatore e raccoglitore di imprese la sua fama varcò i confini di Siena, specie dopo la pubblicazione del suo libro Delle imprese (La prima parte delle imprese, Siena 1578; ristampato in Venezia 1589; e "colla giunta della seconda e terza parte" e in appendice l'orazione in lode delle accademie e quella in morte di A. Piccolomini, íbid. 1594),per cui si rivolsero a lui per la scelta delle rispettive imprese le accadernie degli Oscuri di Lucca e degli Accordati di Genova, mentre altri motti e figure egli elaborava per il granduca Ferdinando I e per Enrico IV in occasione delle sue nozze con Maria de' Medici. Lavoro dettato da "un vano e frivolo orgoglio gentilizio che ispirava quasi tutta la letteratura aristocratica senese di quello scorcio di secolo" (Marenduzzo), il libro aggiunge alla varia produzione sull'argomento (Giovio, Contile, Gírolamo Bargagli del Dialogo de' giuochi) forse solo il tentativo di spiegare più razionalmente l'origine e la vera natura delle imprese. Ma la trattazione è guastata dalla "affettazione" e dalla "durezza dello stile", come affermava l'amico e corrispondente del B. Adriano Politi, al quale giustamente la forma dialogica appariva immotivata, poiché vi mancavano molte condizioni necessarie al dialogo e soprattutto "spirito e "grazia" negli interlocutori.
Nel 1587 il B. aveva pubblicato presso Bernardo Giunti di Venezia la sua opera migliore e quella alla quale è tuttora legato il suo nome, I trattenimenti (dove da vaghe donne e da giovani uomini rappresentati sono onesti e dilettevoli giuochi, narrate novelle e cantate alcune amorose canzonette). Nella sua integrità (due giornate precedute da un'íntroduzione) il libro è stato più volte riedito dal Giunti, ma in epoca più recente esso ha avuto fortuna solo per le sei novelle contenutevi, che per primo Gaetano Poggiali estrasse dall'insieme dell'opera pubblicandole come raccolta autonoma e stabilendo così una tradizione che è stata seguita dai successivi editori.
In realtà l'intelaiatura dell'opera presenta oggi scarso interesse. Nonostante i cauti e fuggevoli accenni alla "natia amata libertà" e il raggelato effetto dei particolari orridi e commoventi dell'assedio di Siena, sottolineati con calcolata retorica e abile distribuzione di chiaroscuri, la finzione boccaccesca delle quattro nobili donne e dei cinque giovani riuniti dentro Siena assediata per festeggiare gli ultimi tre giorni di carnevale del 1554 è di maniera, mentre la descrizione dei giuochi e delle questioni amorose risponde a quello stesso aristocratico e municipale orgoglio che aveva ispirato al fratello Girolamo, con più commossa partecipazione, l'elegiaca rievocazione del "bel costume antico" senese nel Dialogo de' giuochi. Anche le novelle sono sorrette da uno studiato artificio di contenuto e di forma. La loro tematica, tutta amorosa, ubbidisce al canone della equilibrata alternanza di serio e di faceto, affermatasi nella precettistica rinascimentale del genere narrativo, mentre la prosa, sostenuta da una compassata e oratoria disposizione dei membri del periodo, rivela lo sforzo dell'esercizio umanistico, incapace però di giungere ad apprezzabili risultati di stile elevato. E tuttavia l'impegno del narratore non viene meno, non tanto nelle novelle burlesche, dove il rischio dell'osceno insito nella beffa amorosa e la scarsa propensione del B. al dialogo motteggiatore e popolare sembrano sempre trattenere lo scrittore al limite dei comico o volgerlo, nel migliore dei casi, a una divertita satira della galanteria (nov. IV e VI), quanto in quelle romanzesche e sentiinentali, in cui il B. si riallaccia a quella vena pateticoelegiaca che aveva aminato, più ancora che la novewstica, il teatro senese. Nella prima novella la vicenda, con esito felice, dell'amore di Ugoccione de' Rinaldini e di Antilia Tegolei, contrastato dall'inimicizia delle famiglie, risente nel suo aggrovigliato sviluppo di qualche eco della Pellegrina di Girolamo Bargagli; nella terza, la più nota della raccolta, derivata da un antico fatto di cronaca locale riferito anche da Sigismondo Tizio nelle Historiae senenses, il B. ha saputo trovare accenti commossi nel delineare le deboli figure dei giovani innamorati, Ippolito e Cangenova, e il loro ambiente famìgliare, riuscendo a dare una certa credibilità allo stesso cumulo degli espedienti narrativi (equivoci, travestiinenti, colpi di scena) che tendono il crescendo tragico della storia fino a un estremo di pateticità; nella quinta, infine, il B., senza ambire ad approfondimenti psìcologici, sa dar rilievo a un gentile e appassionato tipo di donna, Lavinella, che, mascherata, realizza in una notte di carnevale il suo desiderio amoroso, non infrangendo quella legge dell'onore che le impone di non rivelarsi all'uomo amato. Qui lo scrittore mostra il meglio delle sue possibilità narrative: non ha bisogno di insistere sui consueti espedienti, e la vicenda conserva nell'oscurità in cui i fatti sono immersi la rapida suggestione di un misterioso e delicato episodio d'amore.
Benché pubblicati nel 1587, 1 trattenimenti furono scritti prima del 1569, come testimonia lo stampatore Bonetti, il quale nella prefazione al Dialogo de' giuochi afferma che il B. aveva composto questo volume "da più anni passati, per diletto giovanile e per esercizio della materna lingua". In realtà in età matura il B., senza abbandonare la sua attività d'accademico, dovette allontanarsi da quella più strettamente letteraria che l'aveva indotto, per esempio, a lavori di piacevole compilazione, come la raccolta di sentenze poetiche compresa nel volume dei Mazzetti di fiori delle rime di più valenti poeti toscani (Siena 1604). Quanto alla traduzione di una tragedia in latino dello scozzese George Buchanan, Iefte, ovvero Il voto (Lucca 1587 e Venezia 1600), che rischiò la censura della congregazione dell'Indice, essa èprobabilmente il segno di sopravvenuti interessi religiosi, di cui però non restano altre sensibili tracce nell'opera del B.; mentre la pubblicazione dei Rovesci delle medaglie (Siena 1599) e la volgarizzazione del libro VI dei Hieroglyfici di Pierio Valeriano (compresa nell'ed. in volgare delle opere di questo umanista, Venezia 1602) sono ulteriori testimonianze della sua mai spenta passione per l'iconologia.
Ma l'opera sua più importante di questo periodo è Il Turamino, ovvero del parlare e dello scrivere sanese,composto, come risulta da una lettera di Francesco Visdomini a Adriano Poeti, conservata nella Comunale di Siena, nel 1600, ma edito a Siena dal Florimi nel 1602.
Il dialogo, che prende il titolo dal più autorevole degli interlocutori, l'accademico Verginio Turamini, si riallaccia a una tradizione locale dì studi linguistici che aveva avuto la sua più dotta e sagace espressione nell'opera di Claudio Tolomei. Il B. rivendica di fronte all'egemonia del fiorentino i diritti della lingua senese con argomentazioni storico-linguistiche che si valgono dell'illustre precedente della pluridialettalità letteraria della Grecia, dell'apporto di Siena alla letteratura toscana nei secoli passati, dei senesismi nella grande triade degli scrittori toscani, Dante, Petrarca e Boccaccio, e con altre motivazioni più strettamente tecniche, morfologiche e fonetiche, - che si concludono nella convalida di un vecchio motto: "lingua fiorentina in bocca sanese", fatto proprio da altri teorici della lingua di Siena.
Opera non certo innovativa nella vasta letteratura sulla lingua, Il Turamino del B. segna comunque, dopo Tolomei, Lombardelli e Cittadini, il culmine delle controversie linguistiche fiorite tra le città toscane nel Cinquecento, e per la sua ferma difesa del linguaggio materno lascia non pochi appigli alla rinnovata polemica sostenuta con foga municipalistica da Girolamo Gigli nel Settecento.
Della produzione del B. esistono solo ristampe moderne delle novelle dei Trattenimenti.Cfr. quelle a cura di G. Poggiali (Novelle di autori senesi, Londra [ma Livorno] 1798, tomi 2),L. Banchi (Le Novelle, premessavi la narrazione dell'assedio di Siena, Siena 1873),F. Sapori (Novelle, con prefazione e note, Lanciano 1914).La novella III di Ippolito e Cangenova è stata recentemente pubblicata con commento da G. B. Salinari in Novelle del Cinquecento,Torino 1955, 11, pp. 523-541.
Bibl.: Per la biografia e la varia attività dello scrittore cfr. I. Ugurgieri-Azzolini, Pompe Sanesi, I, Pistoia 1649, D. 581; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 352 s. L. De Angelis, Biografia degli scrittori senesi, Siena 1824, pp. 69 s.; Lettere di S. B. (per nozze Ravizza-Bargagli), Firenze 1868; Lettere d'illustri senesi, a cura di G. Porri, Siena 1868; A. Marenduzzo, Notizie intorno a S. B., in Bull. senese di storia patria, VII (1900), pp. 325-347 (biografia documentata su lettere e inediti della Bibl. Comunale di Siena, con bibl. delle opere del B. e elenco di quelle inedite); Id., Veglie e trattenimenti senesi nella seconda metà del secolo XVI, Trani 1901; L. Di Francia, La novellistica, Milano 1902, pp. 670-77; E. Mandowsky, Ricerche intorno all'iconologia di Cesare Ripa, in La Bibliofilia, XLI (1939), pp. 208 S.; R. Weiss, The Sienese philologists of the Cinquecento. A bibliographical introduction, in Italian studies, III (1946-48), pp. 42 s.