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RICCI, Scipione de

di Niccolò Rodolico - Enciclopedia Italiana (1936)
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RICCI, Scipione de

Niccolò Rodolico

Nacque a Firenze nel 1741, morto ivi nel gennaio del 1810. A quindici anni andò a Roma nel Collegio romano dei gesuiti. Credette poco dopo il Ricci di avere la vocazione per farsi gesuita; ma ne fu sconsigliato; e la madre, Luisa Ricasoli, lo richiamò a Firenze, e lo mandò quindi all'università di Pisa, dove egli prese la laurea dottorale. A venticinque anni ottenne gli ordini sacri, ed ebbe un ufficio di uditore presso la Nunziatura di Firenze. Dal 1766, anno in cui inizia il suo sacerdozio, al 1780, in cui è nominato vescovo di Pistoia e Prato, studî, maestri e amicizie orientarono il suo pensiero religioso verso il giansenismo. A Firenze egli fu frequentatore assiduo di quei cenacoli letterarî, dove attorno al Lami,.e prima attorno al Magliabechi, si seguivano le vicende della Chiesa in Francia con vive simpatie per i giansenisti e avversioni contro i gesuiti. Queste simpatie e queste avversioni erano ravvivate nel giovane R. dai suoi studî di teologia sotto la guida dell'abate cassinese Dalla Torre, che "sosteneva con tutto rigore la dottrina agostiniana", e soprattutto erano infiammate dall'amicizi0 con il canonico Filippo Martini, suo collega nella Nunziatura, dotto ed appassionato antigesuita. In casa poi il R. aveva una ricca biblioteca, composta in gran parte di libri e di opuscoli giansenisti, e a lui lasciata in legato dal canonico Corso Ricci, fratello dell'ultimo generale dei gesuiti, Lorenzo, e così diverso da lui per idee filosofiche e teologiche. Tutto questo agì tanto più su Scipione, giovane intelligente, pieno di amore agli studî e di sincero zelo religioso, quanto più in lui la fantasia era vivace e non molto profondo né originale era l'ingegno. Né forse gli faceva difetto una venatura di vanità di carattere nel presumere molto di sé, delle sue idee e della sua volontà.

Altre idee, nel campo politico, agirono sulla mente dcl giovane Scipione nella Firenze di allora, quando ferveva fortunata l'attività riformatrice dal tempo della Reggenza lorenese a quello di Pietro Leopoldo. Il quale parve allora impersonasse, meglio di ogni altro principe riformatore, l'idea del sovrano assoluto al disopra della potestà religiosa. Il R. era ammiratore del vecchio ministro Rucellai, già segretario della giurisdizione della Reggenza, ed era entusiasta del suo principe Pietro Leopoldo. Nominato vescovo di Pistoia e Prato, nel 1780 egli ritenne di essere il consigliere della riforma della Chiesa in Toscana, che il suo granduca avrebbe attuato. A presumerlo valse anche l'idea di poter fare ciò per la pienezza dei suoi diritti di vescovo di fronte al papa, che egli, come i giansenisti, considerava solo come il primo tra i vescovi della cattolicità.

Si mise quindi all'opera. Egli agiva a nome della potestà civile, la sola, per lui, avente diritto sopra la disciplina ecclesiastica, sulla questione dei matrimonî, sull'assetto patrimoniale della Chiesa, sul numero di preti e sul conferimento di uffici ecclesiastici. Si diede quindi alla riforma interna della Chiesa. Fece chiudere conventi e sopprimere ordini di regolari, fece, dal principe, sottoporre tutti gli ordini della diocesi al vescovo, soppresse il culto del Sacro Cuore, abbatté altari, tolse reliquie, corresse il rituale, introdusse un nuovo catechismo, di origine francese giansenista, regolò il culto con la celebrazione della messa e di preghiere in volgare, volle istruito il suo clero e i fedeli, e inondò la diocesi di opuscoli religiosi, quasi tutti traduzioni di scritti giansenisti della Francia e del Belgio. Incitamenti, consigli, libri a lui allora venivano dai suoi amici di Francia, tra cui l'abbé Grégoire, dagli amici della Chiesa di Utrecht, tra cui ebbe carissimo l'abbé Bellegarde. Questi suoi principî e queste sue riforme furono confermati e quasi codificati negli Atti del sinodo di Pistoia (v.) del 1786.

Vescovi della Toscana, prelati, domenicani, francescani, exgesuiti, alcuni ministri dello stesso granduca e soprattutto il popolo reagirono a quelle riforme. Il R. ritenne - ed è questo comune errore a filosofi e legislatori del tempo - di poter passare sopra alla forza della tradizione di un popolo. I tumulti antiricciani, repressi la prima volta, trionfarono, quando il granduca Leopoldo lasciava Firenze per cingere la corona imperiale a Vienna; ed il R. nel 1791 era costretto a rinunziare al vescovato e a ritirarsi a Firenze. Di lì a poco la bolla Auctorem fidei condannò gli Atti del Sinodo pistoiese.

Tristi anni seguirono per il R. Nel 1799, quando infierì la reazione popolare dopo l'occupazione francese, egli fu arrestato e sottoposto a processo, come amico dei Francesi. Il popolo associava nell'odio contro i giacobini francesi, eretici, persecutori del papa, i loro amici, e tra essi additava il R. La fortuna delle armi francesi a Marengo liberò il R. dalla prigione; ma egli non trovò, come si lusingava, un protettore nel Bonaparte. Il Primo Console pensava al concordato e abbandonò al loro destino i giansenisti. Allora alle esortazioni, che sapevano di ordini, della regina d'Etruria, al R. non altro restò da fare che firmare la sua piena ritrattazione nei termini voluti dal papa Pio VII. Tristemente visse vita solitaria fino alla morte.

L'opera del R., non tenendo conto di giudizî di parte, per cui fin la sua buona fede fu messa in dubbio, fu sopravalutata, per un certo tempo, dalla storiografia liberale, finché, per reazione, è stata in seguito anche troppo svalutata. In verità, in tempi di rilassatezza di costumi ecclesiatici, d'ignoranza di clero, di superstizioni di fedeli e d'invadente indifferentismo religioso e di razionalismo ateo, il R. vagheggiò e volle, sia pure commettendo errori, un clero istruito e disinteressato e un popolo fervente e devoto, ma egli con le sue riforme finiva con lo spingere la Chiesa verso l'eresia e l0 scisma, e con il suo atteggiamento politico finiva con il far cadere la Chiega sotto la soggezione dello Stato.

Bibl.: Memorie di S. d. R., ed. Gelli 1865; Atti e decreti del concilio diocesano di Pistoia, Pistoia 1788; N. Rodolico, Gli amici e i tempi di S. d. R., Firenze 1920. E cfr.: A. C. Jemolo, Il giansenismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari 1928.

Vedi anche
Francesco Maria Gianni Economista e uomo politico (Firenze 1728 - Genova 1821); alto funzionario dell'amministrazione toscana; senatore, contribuì a ispirare e realizzare il complesso di riforme liberali del granduca Pietro Leopoldo, di cui divenne consigliere di stato e di finanze (1789). Fu anche ministro delle Finanze del ... Pietro Tamburini Giansenista (Brescia 1737 - Pavia 1827). Sacerdote (1760), prefetto degli studî al collegio irlandese a Roma (1771-77), poi prof. di teologia morale all'univ. di Pavia (1778) e, nella stessa città, prefetto degli studî al collegio-seminario austro-ungarico; allontanato (1794) dall'insegnamento per la ... Cornelio Giansènio Giansènio, Cornelio (lat. Cornelius Iansenius; nederl. Cornelis Jansen). - Teologo (Ackow 1585 - Lovanio 1638), da cui prende nome il giansenismo. Studiò a Utrecht e Lovanio, dove erano ancora vivaci le controversie suscitate da M. Baio, e subì l'influsso di Giacomo Janson (Iansonius), direttore del ... Baptiste-Henri Grégoire Grégoire ‹ġreġu̯àar›, Baptiste-Henri. - Ecclesiastico e uomo politico (Vého, Meurthe, 1750 - Parigi 1831). Sacerdote (dal 1775), imbevuto di gallicanismo giansenista, in corrispondenza tra gli altri con Scipione de' Ricci, fu deputato del clero agli Stati Generali del 1789, ove propugnò attivamente la ...
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Vocabolario
de
de 〈dé〉 prep. [lat. de]. – Forma che assume la prep. di quando è seguita dall’articolo, sia che si fonda con questo (del, dello, della, ecc.), sia che si scriva divisa (de ’l, de lo, de la, ecc.) come talvolta nell’uso letter. (è comune,...
de auditu
de auditu locuz. lat. – Espressione corrispondente all’ital. «per sentito dire»: riferire de auditu. Anche, «per avere udito direttamente», nell’espessione giuridica testimone de visu et de auditu (v. de visu).
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