FILOMARINO, Scipione
Secondo dei cinque figli maschi di Claudio e Porzia Ricca, nacque nel 1585 in una famiglia d'antica nobiltà napoletana ma dalle scarse risorse se, stando a Fuidoro, il primogenito Ascanio se ne sarebbe andato a Roma "quasi nudo".
Un'angustia di mezzi che avrebbe avuto valore anche per il F.; mentre non sappiamo se, al pari del fratello maggiore, anch'egli si sarebbe crucciato per gli oscuri natali della madre, che pare - almeno a sentire le maldicenze circolanti negli ambienti nobiliari partenopei - avesse fatto la lavandaia. E, se così è, doveva essere solo sorella naturale del duca della Pelosa Gaspare Ricca.
Comunque sia, il F. - al contrario dei quattro fratelli tutti voltisi alla carriera ecclesiastica; e uno sarebbe morto giovane, prima d'affermarsi, mentre Ascanio sarebbe diventato cardinale e arcivescovo di Napoli, Gennaro (1591-1650) sarebbe stato vescovo di Calvi e Francesco Maria (1596-1683; al secolo Marcantonio) sarebbe stato il cappuccino autore del Tractatus de divinis revelationibus pubblicato a Napoli nel 1675 - abbracciò, ventenne, quella militare. Sicché nel 1605 fu, come venturiere, in Fiandra, agli ordini del maestro di campo della fanteria napoletana, il marchese d'Acaia Alessandro Delli Monti. Attivo nelle operazioni per il recupero di Sluis (o, in francese, Écluse), nel 1606 - passato al terzo capeggiato dal maestro di campo Lelio Brancaccio - partecipò al tentativo di varcare il fiume Waal, all'assalto dell'isola di Betuwe, al vittorioso assedio di Rijnberg e al soccorso di Grol. Alfiere, nel 1608, nella compagnia d'archibugieri d'Antonio Carafa, alfiere riformato nel 1609, combatté per altri due anni gratificato dall'aumento di stipendio concessogli dall'arciduca Alberto. Alfiere, quindi, nella compagnia di fanteria di Marcello del Giudice, con questa si battè nel 1612 e - dopo una pausa - di nuovo nel 1614, allorché, spostatosi il conflitto nello Jülich-Kleve, prese parte all'assedio e alla presa di Wesel in Renania.
Rientrato a Napoli all'inizio del 1618, il viceré Pedro Terrez Giron duca d'Ossuna lo prepose ad una compagnia del terzo comandato da Scipione Brancaccio, a capo della quale il F. partecipò alla spedizione marittima - di per sé antiturca, ma non senza intenti di provocazione antiveneziana - delle tre galee che, salpate da Messina, si spinsero sino a Cefalonia e di qui nei pressi di Cerigo e poi - stando a quanto avrebbe scritto a Venezia, in una sorta di riepilogo minimizzante, il residente veneto Gaspare Spinelli (Arch. di Stato di Venezia, Senato. Dispacci Napoli, f. 37, lettere 129, 133, rispettivamente del 5 e 12 febbr. 1619) - "alla volta di Arcipelago verso Schiro". Donde le tre galee procedettero sino a "Scopelio", poi "a Castel Torron", ove catturarono "tre caramussoli". Fallì, invece, il successivo tentativo di saccheggiare, nel golfo di Salonicco, la costa. Bruciati, in compenso, un paio d'altri "caramussoli" e, risparmiatone uno perché "de greci", nell'audace proseguire della piccola flotta alla volta dei Dardanelli. Né i Turchì la bloccarono se, presso il capo "dei giannizzeri verso li castelli", essa riuscì a dar "molestia" ad altri "caramussoli" e a catturare una settantina di "turchi", per poi volgersi indisturbata "verso il Tenedo", nei pressi del quale, scorto un "galeon... vicino alli scogli detti Maurides", lo catturarono e lo condussero, assieme ad un "caramussolino", sino a Napoli, nonostante la "gagliarda fortuna di scirocco". Anche se il residente veneto non faceva cenno al F., è chiaro che la parte militare dell'audace spedizione competeva a lui, che a lui andava il merito dell'aggressività contro le imbarcazioni turche e corsare. E il rientro a Napoli col "galeone" catturato fu salutato come un trionfo. "Si va scaricando - scriveva Spinelli al Senato veneziano il 5 febbr. 1619 - il galeone et non si trova altro che lini, riso e certa herba da tingere detta auchenda". Nessun favoloso "bottino", insomma. E ancora Spinelli, il 12 febbraio, tornava ad insistere che "il bottino del galeone" andava sempre più diminuendo, corrispondeva sempre meno alle aspettative. Così Spinelli cercava di consolarsi e di consolare il Senato per il successo della mossa voluta dall'inviso Ossuna, nel quadro d'una strategia mirante a scalzare il pacifico svolgersi della navigazione mercantile veneto-turca. Era Venezia, infatti, il vero bersaglio. Era la sicurezza dei suoi traffici col Levante ad esser presa di mira.
Quanto al F., ricomparso a Napoli all'inizio del 1619, la lasciò, al seguito di Carlo Spinelli, col quale, in dicembre, era già nella piazza d'armi cesarea di Budweiss (o Budejovice Ceské) nella Boemia meridionale. Prese così parte, nel 1620, al progressivo recupero imperiale di posizioni già perdute e si distinse, il 9 novembre, nella battaglia della Montagna Bianca combattendo coraggiosamente in prima linea. Quindi, a capo di 6 compagnie, partecipò alle operazioni in Ungheria dirette dal conte di Bucquoy Carlo de Longuevai. E, nella vigorosa offensiva sferrata da Bethlen Gabor, nel corso della quale morì Bucquoy, fu il F. a guidare con perizia la ritirata, mentre cadeva in mano nemica anche Pressburg, alla cui conquista antecedentemente il F. aveva partecipato. E fu successivamente del pari presente al tentativo di recupero di questa, venendo colpito da una moschettata alla gamba sinistra. Attivo, nel 1622, nelle operazioni in Palatinato, combatté pure presso Francoforte sul Meno contribuendo alla messa in fuga di Cristiano di Brunswich e poi prendendo parte alla presa di Neustadt. Passato in Fiandra, durante la battaglia, d'esito incerto, del 29 agosto di Fleurus, che vide gli eserciti di Gonzalo de Cordova e di Cristiano di Brunswich, si schierò con i suoi archibugieri nel corno sinistro del battaglione italiano e così soccorse validamente, con perdite di molti dei suoi, il periclitante battaglione di fanteria spagnola e borgognona. Seguì la partecipazione del F. all'assedio di Bergen op Zoom, dal quale, peraltro, all'inizio d'ottobre il marchese Ambrogio Spinola desisté. Ottenuta, all'inizio del 1623, licenza di rimpatrio da Spinola, il F., una volta a Napoli, venne designato dal viceré, il duca d'Alba Antonio Alvarez de Toledo, sergente maggiore del battaglione costituito nella provincia di Calabria Ultra. E, tra il 17 e il 23 genn. 1625, annotava Scipione Guerra, s'imbarcò a Napoli "la gente di guerra sotto la condotta" del marchese di Trevico Francesco Loffredo e del F., "sargente maggiore di un terzo di 2000 fanti", per soccorrere Genova minacciata dal duca di Savoia Carlo Emanuele I, appoggiato dalla Francia. Preposto al governo di Tortona, il F. vi rimase per circa tre mesi, mentre, all'inizio d'aprile - come rivela, il 9, Girolamo Priuli, il rappresentante veneto presso il duca (Arch. di Stato di Venezia, Senato. Dispacci Savoia, filza 61) - si "vanno moltiplicando le militie del Cattolico", sicché, a detta delle "spie", ad Alessandria si trovavano 12.000 fanti e 6.000 a Tortona, cui andavano aggiunti i 2.000 "cavalli sparsi per quei territori". Quanto al F., dopo aver sovrinteso a Genova allo sbarco d'ulteriori truppe giunte da Napoli, s'impegnò nel recupero di posizioni rivierasche temporaneamente occupate dai Francesi. La guerra si stava facendo seria per la determinazione del duca di Feria, ossia del governatore di Milano Gomez Suarez de Figueroa e Cordova - insediatosi il 18 maggio con 28 compagnie di "cavalli" e "buon numero di fanti" ad Alessandria - a "fare qualche gran mossa", come avvertiva Priuli, che giorno per giorno seguì l'intensificarsi dei preparativi. Ed iniziò, il 13 agosto, l'assedio di Verrua, durante il quale, morto il marchese di Trevico, il F. assunse pure il comando del terzo di questo. Sicché quasi 5.000 fanti, distribuiti in 52 compagnie, operarono sotto il suo comando. Particolarmente energica la sua reazione ad una sortita notturna guidata dall'emissario di Richelieu, il commendatore Estampes de Valengay, che venne catturato e sarebbe poi stato scambiato con Tommaso Caracciolo fatto prigioniero del duca ancora il 9 aprile. Ma non bastò quest'azione decisa ad invertire l'infelice andamento dell'assedio, che, con smacco di Feria, si prolungò vanamente ché puntualmente rintuzzato dal sistematico fuoco di sbarramento dell'artiglieria sabauda. Sicché agli assedianti, a metà novembre, non restò che l'ignominia d'una disordinata ritirata. "Resta disarmato intieramente l'assedio di Verrua", registrava, il 23, in un suo dispaccio (Ibid., Senato. Dispacci Milano, filza 66), il residente veneto a Milano Giovanfrancesco Trevisan. E nello stesso giorno Moderante Scaramelli, segretario dell'ambasciata veneta presso il duca, scriveva a Venezia come la "retirata" veniva "qui", negli ambienti franco sabaudi, "con nome più proprio" chiamata "vilissima fuga de spagnoli dall'assedio" (Ibid., Senato. Dispacci Savoia, filza 63). E, suo malgrado, tra i fuggitivi va pure annoverato il Filomarino.
Lungi per un po' dai teatri bellici in una situazione momentaneamente rasserenata dal sopraggiungere, il 5 marzo 1626, della pace di Monçon, il F., una volta a Napoli, fu nominato capitano d'una compagnia di cavalli d'ordinanza del Regno, membro del Consiglio collaterale di questo essendo altresì insignito del cavalierato dell'Ordine di S. Giacomo. Una breve parentesi questo rimpatrio ché, scoppiata la seconda guerra di successione di Mantova, il F. venne nuovamente mobilitato. Ed eccolo dapprima cacciare il nemico da Piadena costringendolo al di là dell'Oglio e quindi governatore di Cremona per poi passare, nel 1630, all'assedio di Casale. La fronteggiano il 24 maggio, stando ad una Breve relación del tempo, circa 12.500 uomini guidati dal marchese Spinola. Tra questi nutrita era la presenza dei "napolitanos", con gli 800 uomini del "tercio" del F., i 700 di quello del marchese di Campo Lattaro Giovan Battista di Capua e 11.800 di quello di Mario Galeoto. E, assente il secondo e morto, all'inizio di giugno, il terzo per ferite riportate in combattimento, fu il F. ad assumere il comando dei tre contingenti, sovrintendendo anzitutto alla vita quotidiana dell'acquartieramento loro assegnato. Oggetto, altresì, proprio il quartiere napoletano delle coraggiose sortite organizzate con sistematica costanza dal governatore della cittadella assediata Jean du Caylard de Saint-Bonnet de Toiras. E valoroso il F. specie il 12 luglio, quando ricacciò la più pericolosa tra tutte. Sopraggiunte la tregua e, quindi, la pace, il F. nel 1631 fu destinato, col suo terzo, alla Fiandra per operare sotto il comando del marchese di Santa Cruz Alvaro II Bazan. Ma non a lungo ché avuto, nel dicembre, il permesso di rientro dall'infanta Isabella Clara d'Asburgo, la quale provvide a sostituirlo nel comando del "tercio" con Giovanni Tommaso Blanch, il F. fu designato, nell'aprile del 1632, dal conte di Monterey, ossia il viceré Manuel Guzman de Azevedo Zuñiga y Fonseca, luogotenente generale nelle province di Terra di Lavoro, per sovrintendere alle leve di soldatesche da inviare, da parte delle università e dei baroni, alle necessità della Spagna. Luogotenente, in maggio, pure nelle provincie di Bari e Otranto per provvedere alle difese e all'addestramento di uomini in vista d'una paventata minaccia turca. E da una sua lettera del 1ºdicembre, s'apprende dell'arrivo a Otranto d'un principe etiope, "fratello", a detta di Bulifon, "del prete Gianni re d'Etiopia". Sempre come vicario generale nelle stesse tre province, nel 1635-1636 si occupò di vigilanza - fu nel 1636 che ricacciò Pietro Mancino, un terribile fuoruscito che, penetrato in Puglia con un manipolo d'armati, aveva cercato di suscitare una sommossa - e reclutamento coatto. Un'autentica razzia, questa, di uomini tutt'altro che aspiranti alla milizia; tant'è che, come scriveva lo stesso F. il 16 giugno 1635, gli arruolati loro malgrado dovevano essere "legati" perché non scappassero. Ed erano pure cura del F. il restauro di mura e la manutenzione delle fortificazioni. Vicario, nel 1638, del duca di Medina Las Torres, ossia del vicerè Ramiro Philipez de Guzman anche delle province di Molise e Capitanata e Calabria Citra, nel 1640 rinforzò la vigilanza, ché correvano voci d'allestimenti di navi a Costantinopoli, Tunisi, Algeri. Ma si temevano anche tentativi di sbarco da parte del vescovo di Bordeaux Henri de Sourdis d'Escobleau più o meno combinati con l'intrigare barberiniano di concerto con la Francia. Si rafforzarono, all'inizio del 1642, i presidi di Brindisi e Taranto e si inviarono, di contro ad eventuali mosse dallo Stato pontificio, milizie in Abruzzo e Terra di Lavoro. Ma a questo punto il F. era fisicamente impossibilitato ad intensificare il suo impegno: fiaccato dal logorio di tanti anni di milizia, dové cedere il compito ad altri. E si ritirò a Napoli, ove sempre più accesi si fecero i contrasti tra la nobiltà e il fratello arcivescovo. Certo è che il F. - che, il 4 sett. 1647, figura fra "i novelli giudici nomati dai popolari" per "amministrare giustizia nel tribunale della Vicaria" - è "cavaliere del segio di Capuana" precisa il diarista Capecelatro, quando Ascanio, nell'ottobre, pretese, giusta la versione di Capecelatro, nella ricorrenza della festa del sangue di s. Gennaro, di "fare a suo modo", comportandosi quindi "colla solita sua vanità e bizzarria", invano s'adoperò per consigliargli un atteggiamento più prudente, si da evitare l'incresciosa lite provocata dal suo "uscire con le reliquie per Napoli in processione senza gire", come di consueto, "alla Piazza", così esasperando "tutta la numerosa nobiltà colà raunata".
Ultima notizia sul F., sempre che sia esatta, il suo comparire, nel dicembre, in un elenco di nobili disposti a battersi contro i "congiurati" filofrancesi. Così, almeno, per quel che ricorda Capecelatro, che peraltro propende a credere che il fratello cardinale abbia "patteggiato con Guisa" sì che questi, "divenendo re di Napoli", a sua volta concedesse "ad Ascanio Filomarino figliuolo primogenito di Scipione suo fratello e duca di Trevolazzo il principato di Capua". Un accordo in tal senso si sarebbe trovato "negli scrittoi" del duca Enrico di Guisa quando, nell'aprile del 1648, "fu posta a sacco la sua casa dagli spagnuoli". Ma, ci sia stata o meno la "scrittura" con "tal promessa", nulla autorizza a supporre una qualche connivenza del Filomarino. Comunque sia, egli era già morto. E venne sepolto nella chiesa teatina dei Ss. Apostoli ove spicca tuttora, nel transetto sinistro, l'altare, appunto, Filomarino, voluto dal fratello arcivescovo; e vi figura, in mosaico di Giovan Battista Calandra desunto da un cartone di Guido Reni, il ritratto del Filomarino.
Fonti e Bibl.: F. Capecelatro, Diario... delle... cose di Napoli... 1647-1650...,Napoli 1850-1854, ad vocem; Relazione... al... duca di Medina..., in Arch. stor. per le prov. nap., IV(1879), pp. 238 n. 1, 239 nn. 1 s., 482, 483 n. 1, 485, 486 n. 1; L'assedio di Casale. Lettere... Breve relazione, Madrid 1976, p. 121; Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci, VII,a cura di M. Gottardi, Roma 1991, ad vocem;A. Bulifon, Giornali di Napoli…, a cura di N. Cortese, I, Napoli 1932, p. 172; S. Guerra, Diurnali, a cura di G. de Montemayor, Napoli 1891, p. 165; C. De Lellis, Parte seconda o vero supplimento a Napoli sacra di... C. d'Engenio Caracciolo...,Napoli 1654, p. 103; R. M. Filamondo, Il genio bellicoso di Napoli…, Napoli 1694, pp. 97, 243, 347, 574-585, 587; Guida... di Napoli…, Napoli 1788, p. 99; P. Samelli, Guida... di Napoli..., Napoli 1788, p. 176; G. Petroni, Della storia di Bari...,Napoli 1858, p. 56; G. De Blasiis, A. Filomarino..., in Arch. stor. per le prov. nap., V(1880), p. 731 n. 3; Il maestro di campo S. F. in Trani, in Raccolta di scritti vari inviati per le nozze Beltrami-Jatta...,a cura di N. Festa Campanile, Trani 1880, pp. 1-7; L. Volpicella, Bibliogr. stor. della provincia di Terra di Bari, Napoli 1884-87, n. 2577; Id., Notizie..., in Arch. stor. per le prov. nap., V (1880), p. 205; L. Amabile, Fra T. Pignatelli...,Napoli 1887, p. 39; P. de Brayda, Uncapitano napoletano... S. F., in Rivista araldica, XXVIII(1930), pp. 510-521; C. Argegni, Condottieri…,I,Milano 1936, p. 307; F. Nicolini, Peste e untori nei "Promessi Sposi"..., Bari 1937, p. 70; G. Valente, Il "protocollo" ... del vicario... G. T. Blanch..., in Arch stor. per le prov. nap., LXXXIII (1966), pp. 231, 232 n. 7; R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli…,Bari 1967, ad Indicem; Storia di Napoli, Napoli 1967-78, ad Indicem; Napoli e dintorni Milano 1976, p. 251; G. Campolieti, Masaniello..., Novara 1989, pp. 44 s. Non è certamente il F. quel Scipione Filomarino, dottore in legge, in contrasto, nel 1646-47, con Giovanni Battista Carlo d'Alberico di cui in Notizie... degli antichi banchi napoletani... del 1647-48, a cura di F. Nicolini, Napoli 1966, p. 138; e potrebbe essere figlio d'un figlio del F. quel Scipione Filomarino che sequestra per qualche giorno il figlio Marcello, di cui disapprova le nozze, dell'11 dic. 1687, con una nobile vedova, ma di nobiltà inferiore e senza dote (G. Galasso, Napoli spagnola...,Firenze 1982, p. 272).