LANCELLOTTI, Scipione
Nato presumibilmente a Roma nel dicembre 1527, il L. fu uno dei sette figli di Orazio e di Antonina d'Aragona.
Medico illustre e stimato cittadino romano, Orazio aveva seguito le orme del padre Scipione, medico di Giulio II, umanista e poeta, che aveva posto le basi per l'ascesa della famiglia Lancellotti nella società romana (il matrimonio con Ippolita Casali e l'acquisto di diverse proprietà nel rione Ponte costituirono una tappa fondamentale) e in Curia. La famiglia dovette aspettare la fine del XVI secolo per vedere affermato il suo prestigio e riconosciuta la propria nobiltà, anche grazie alla posizione economica e alla visibilità sociale raggiunta dai figli di Orazio, e dal L. in modo particolare.
Ancora giovanissimo, il L. completò gli studi di diritto civile e canonico a Bologna (tra i suoi maestri vi era il futuro cardinale G. Paleotti) e fu nominato da Paolo III, all'età di diciotto anni, avvocato concistoriale. Furono le premesse per una lunga e prestigiosa carriera, che culminò con l'elevazione al cardinalato e si concretizzò nella designazione alle più rilevanti cariche curiali e diplomatiche in ambito italiano ed europeo.
La prudenza con cui seppe districarsi nel complesso quadro politico-religioso fu riconosciuta e lodata dai suoi contemporanei e ne fece, nel giro di qualche anno, una figura di grande rilievo.
Fu in Romagna e a Venezia per conto di Paolo IV e a Milano, presso Carlo Borromeo, per volontà di Pio IV. Fu inviato papale al concilio Tridentino e a lui i legati pontifici affidarono, ai primi del 1563, il delicato compito di sollecitare l'arrivo a Trento di Claudio Fernandez de Quiñones conte di Luna, ambasciatore del re di Spagna, investito anche della qualità di rappresentante imperiale. Nel 1565 fu designato da Pio IV uditore della Sacra Rota romana, che il pontefice aveva riformato tra il 1561 e il 1562 ampliandone al massimo la competenza territoriale, da considerarsi illimitata, e semplificandone le procedure. Il nuovo incarico non gli impedì tuttavia di entrare nel vivo della risoluzione delle più spinose questioni religiose e politiche. Il 13 marzo 1566 giunse ad Augusta, latore delle istruzioni romane per il cardinale G.F. Commendone, legato presso la Dieta imperiale, dove si trattenne fino al giugno successivo, in qualità di canonista, tra i consiglieri del legato, sostenendo in netta minoranza posizioni di intransigente chiusura contro il riconoscimento romano della pace di Augusta del 1555.
Nel 1572 ebbe occasione di sperimentarsi sul terreno diplomatico di un'altra area difficile d'Europa, la Francia delle guerre civili: il 2 ott. 1572, su incarico di Gregorio XIII, entrò a Parigi al seguito del legato Fulvio Orsini (a cui era unito da rapporti di amicizia personale e familiare), poco più di un mese dopo il massacro della notte di S. Bartolomeo.
Quello con la monarchia francese fu per il L. un legame preferenziale, che coltivò pur attraverso le intricate relazioni tra la Francia e la Chiesa romana nel venticinquennio successivo; la fama di "francesissimo" gli procurò la ferma ostilità del partito spagnolo in Curia e motivò il fallimento della sua candidatura alla legazione in Francia nel 1589, alcuni anni dopo l'elevazione al cardinalato.
Il L. era stato fra i diciannove cardinali creati da Gregorio XIII nel concistoro del 13 dic. 1583. Fu cardinale prete del titolo di S. Simeone fino all'aprile del 1587, quando la chiesa stessa perse il titolo, trasferito da Sisto V, con il suo detentore, alla chiesa di S. Salvatore in Lauro.
Nel 1584 il L. entrò a far parte (e vi restò fino alla morte) della congregazione del Concilio, istituita da Pio IV nel 1564 per assicurare la piena esecuzione e la giusta interpretazione dei decreti tridentini e confermata con la riforma sistina. L'anno seguente Sisto V, alla cui elezione il L. aveva contribuito, lo designò per la successione del cardinale M. Contarelli alla carica di segretario ai brevi, che comportava l'appartenenza alla congregazione per la Segnatura di grazia. Nel 1586 il pontefice lo volle, con i cardinali G. Paleotti, I. Aldobrandini, P.E. Sfondrati e F. Borromeo, come membro della commissione da lui istituita per la riforma della Chiesa. Fu membro, a partire dalla sua creazione nel 1588, della congregazione per il Governo e l'amministrazione dell'Università di Roma. Nel 1589 fu nominato membro della congregazione per le Cose di Francia, nata nel 1585 per giudicare delle più scottanti questioni sollevate dagli avvenimenti francesi, sulle quali la congregazione operò e si pronunciò parallelamente e talvolta congiuntamente con quella del S. Uffizio; continuò a farne parte anche negli anni che seguirono, sostenendo posizioni di apertura verso l'assoluzione di Enrico IV e il suo riconoscimento come re di Francia. Coltivò, in appoggio alla causa francese, le sue relazioni, già attive, con il Granducato di Toscana.
Urbano VII lo delegò, insieme con i cardinali G. Paleotti, G.A. Facchinetti e I. Aldobrandini, alla riforma della Dataria.
Fin dal 1591 Gregorio XIV volle beneficiare dell'esperienza del L. per la risoluzione della spinosa questione della successione ad Alfonso II d'Este nel Ducato di Ferrara, chiamandolo a far parte della commissione incaricata di dirimere gli aspetti giuridici della vicenda e di valutarne le conseguenze politiche. In più occasioni il L. invocò un atteggiamento cauto da parte romana tanto nell'interpretazione della bolla di Pio V sull'alienazione dei feudi della Chiesa quanto, alla morte di Alfonso nel 1597, verso Cesare d'Este.
All'inizio degli anni Novanta il L. avviò la realizzazione di un progetto destinato a consolidare l'immagine e il prestigio della sua famiglia: nel 1591, su disegno di Francesco Capriani da Volterra, iniziò la costruzione di un palazzo in via dei Coronari, il cui intento celebrativo fu compiuto, all'inizio del secolo successivo, dopo la sua morte, dai nipoti Tiberio e Orazio, suoi eredi, che incaricarono C. Maderno di ultimare il progetto architettonico e il Guercino di affiancare A. Tassi nella realizzazione della decorazione affrescata.
Il 2 giugno del 1598 il L. morì a Roma e fu sepolto, nella basilica di S. Giovanni in Laterano, nella cappella di S. Francesco da lui fondata per sé e per la famiglia.
Fonti e Bibl.: Nuntiaturberichte aus Deutschland 1560-1572, s. 2, III, Nuntius Delfino 1562-1563, a cura di S. Steinherz, Wien 1903, p. 173; V, Nuntius Biglia 1565-1566 (Juni). Commendone als Legat auf dem Reichstag zu Augsburg, a cura di I.P. Dengel, Wien-Leipzig 1926, pp. 66, 95-99, 130, 190-194; Nunziature di Venezia, XI, (18 giugno 1573 - 22 dic. 1576), a cura di A. Buffardi, Roma 1972, pp. 321, 339; Correspondance du nonce en France Antonio Maria Salviati, 1572-1578, I, 1572-1574, a cura di P. Hurtubise, Rome 1975, p. 69; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1924; IX, ibid. 1925; X, ibid. 1928; XI, ibid. 1929; XVII, ibid. 1963, ad indices; R. De Maio, Alfonso Carafa cardinale di Napoli (1540-1565), Roma 1961, p. XIV; S. Tromp, De cardinalibus interpretibus s. concilii Tridentini annis 1564-1600, in La sacra congregazione del Concilio. Quarto centenario dalla fondazione (1564-1964), Roma 1964, pp. 256-259, 262; D. Caccamo, Commendone, Giovanni Francesco, in Diz. biogr. degli Italiani, XXVII, Roma 1982, p. 610; E.C. Davila, Storia delle guerre civili di Francia, a cura di M. D'Addio - L. Gambino, Roma 1990, p. 671; P. Cavazzini, Palazzo Lancellotti ai Coronari, cantiere di Agostino Tassi, Roma 1998, ad ind.; O. Poncet, Innocenzo X, in Enc. dei papi, III, Roma 2000, p. 244; Hierarchia catholica, III, p. 52.