MAFFEI, Scipione
Nacque a Verona il 1 giugno 1675, terzogenito maschio e ultimo degli otto figli del marchese Giovanni Francesco e della marchesa Silvia Pellegrini.
Dal 1689 al 1693 il M. studiò nel collegio dei nobili di Parma; poi per un quinquennio viaggiò per l'Italia, soggiornando a Firenze, Roma e Napoli. A Roma, dal 1698, entrò in contatto con letterati, antiquari e scienziati, decisivi per la sua formazione, e fu accolto in Arcadia dove si fece apprezzare come verseggiatore, autore di testi per musica e poemetti encomiastici. A questo periodo risalgono probabilmente le Annotazioni sull'arte di compor musica, oltre alla prima stesura del dramma La fida Ninfa, più volte ripreso e rimaneggiato, ma rappresentato con successo a Verona, grazie alla musica di A. Vivaldi, solo nel 1732.
Le prime esperienze militari del M. risalgono invece alla fine del 1701, quando N. Catinat, comandante dell'armata franco-spagnola, pose il suo quartier generale a Rivoli Veronese per bloccare la Val d'Adige. Nel gennaio del 1704 - per incarico del fratello primogenito Antonio, implicato in una contesa cavalleresca con il veronese conte E. Emilei - il M. redasse un trattatello anonimo su La vanità della scienza cavalleresca (Trento 1704), critica di una pratica che condizionava profondamente la cultura e il comportamento della nobiltà italiana; da un approfondimento di quel testo sarebbe poi nata la prima fra le sue opere di fama nazionale. All'inizio dello stesso anno il M. raggiunse in Germania il fratello secondogenito Alessandro, generale al servizio dell'elettore di Baviera, e combatté per un anno nell'armata franco-bavarese, partecipando il 1 luglio 1704 alla battaglia di Donauwörth, vinta dagli Imperiali, e successivamente alla difesa di Monaco. Rimpatriato dopo l'occupazione austriaca della Baviera, nel 1705 fu fra i fondatori della colonia arcadica di Verona, tenendo l'orazione inaugurale. In questi anni il M. si dedicò alla filosofia leggendo Aristotele, Cicerone, s. Tommaso, P. Gassendi e L.A. Muratori saggista, elaborando una propria concezione fondata sulla ragione. Il riferimento alla morale degli antichi fu la premessa della proposta di una rigorosa separazione fra etica pubblica e religione privata, che spiega la sua successiva, tenace ostilità verso i giansenisti. Fra il 1708 e il 1709 il M. progettò, con A. Zeno e A. Vallisneri, il Giornale de' letterati d'Italia, pubblicato regolarmente a Venezia per quattordici anni (1710-24) e poi, fra lunghe interruzioni, fino al 1740.
Lungi dall'essere l'espressione di un gruppo compatto e di un preciso progetto culturale, il Giornale riuscì tuttavia a essere una voce fuori dal coro, dichiaratamente ostile ai gesuiti e non aliena da simpatie eterodosse; vi collaborarono le personalità più rappresentative della cultura e della scienza dell'Italia settentrionale. Sebbene al M. vada attribuito il progetto originario, la sua collaborazione al periodico - diretto per molti anni dai fratelli Apostolo e Pier Caterino Zeno - non fu costante.
Dopo un breve soggiorno a Firenze nel 1710, nel 1711 il M. si recò a Torino dove incontrò Vittorio Amedeo II e ne visitò la biblioteca, riferendone poi in una Relazione sulla Biblioteca ducale di Torino, diretta ad A. Zeno (apparsa nel Giornale de' letterati d'Italia, II [1711], t. 6), e in una Lettera al reverendiss. p. abate Bacchini sopra i frammenti greci dati in luce nel tomo 16. del Giornale de' letterati d'Italia (s.l. né d., ma in fine lettera datata: Verona, 30 apr. 1716), origine di una polemica con il teologo tedesco Chr.M. Pfaff, autore di un'edizione di alcuni frammenti di s. Ireneo dal M. considerati apocrifi. Frattanto, nel 1710 era uscito a Roma il trattato Della scienza chiamata cavalleresca, sviluppo dello scritto del 1704, che ebbe successo malgrado le reazioni suscitate negli ambienti nobiliari: "attraverso l'impietoso esame di circa due secoli di libri sull'onore e il duello, Maffei distruggeva la mentalità rissosa e antisociale del ceto cui lui stesso apparteneva e proponeva una morale nuova e differente, costruita sulle virtù civiche degli antichi" (Ulvioni, 1998, p. 401). A Roma egli aveva avviato anche ricerche tese a smentire l'antichità dell'Ordine Costantiniano, istituito nel 1699 dal duca di Parma Francesco Farnese sulla base delle millanterie di G.A. Comneno, preteso discendente dell'imperatore bizantino Isacco Angelo, e poi approvato dal papa e dall'imperatore.
Il M. mostrò nel trattatello De fabula Equestris Ordinis Constantiniani, stampato anonimo e con la falsa data Tiguri 1712, che nessun ordine cavalleresco era anteriore alle Crociate e che l'imperatore Costantino non aveva nulla a che fare con l'impostura del Comneno. Le autorità ecclesiastiche si mossero compatte contro di lui, ottenendo il sequestro del trattatello, posto all'Indice nel 1714, come irrispettoso dell'autorità papale. A distanza di anni il M. subì ancora intimidazioni e minacce a causa di quella pubblicazione.
Nell'ottobre 1712, frattanto, egli aveva scoperto, sopra un armadio della Biblioteca capitolare di Verona, alcuni preziosi codici greci - segnalati da eruditi del XV e del XVI secolo ma dati per dispersi da J. Mabillon e B. Montfaucon -, il cui ritrovamento costituì una fra le principali scoperte della cultura italiana del primo Settecento; per l'occasione il M. iniziò a studiare paleografia, greco ed ebraico, rivolgendosi a B. Bacchini. Interruppe l'esame dei codici solo all'inizio del 1713, quando compose di getto e fece rappresentare davanti alla corte di Modena la tragedia Merope, che riscosse un trionfale successo grazie anche all'attrice Elena Balletti.
Il tema della tragedia, derivato da Euripide, aveva ispirato numerosi autori tra il XVI e il XVIII secolo e altri ne avrebbe ispirati in seguito, fino a V. Alfieri. Ma il M. seppe adattarlo al gusto dell'epoca, esaltando la drammaticità delle scene e introducendo una serie di contaminazioni testuali. Rappresentata ripetutamente a Modena, a Verona e a Venezia, e presto tradotta in sette lingue, la tragedia entrò nel repertorio delle principali compagnie teatrali italiane e straniere e fu sulle scene ancora per anni. Nel 1736 Voltaire avrebbe composto una propria Merope, diversa dalla maffeiana, ma a quella ispirata, corredata da una lettera al marchese nella quale polemizzava garbatamente con il naturalismo del teatro italiano. Il M. avrebbe risposto con assai meno garbo, suscitando l'acida risposta del francese, coperta dallo pseudonimo di Monsieur de la Lindelle.
Tornato ai codici della Capitolare, nel 1714 il M. progettò una "Bibliotheca Veronensis Manuscripta", mai realizzata ma che testimonia l'ambizione di realizzare un completo catalogo dei più antichi testi conservati nelle biblioteche italiane. Nel 1715, su richiesta del savio grande F. Grimani Calergi, consegnò al governo della Repubblica un Parere intorno all'Università di Padova (pubblicato solo nel 1808 a Milano): un articolato progetto di razionalizzazione degli insegnamenti, che privilegiava le discipline storiche e filologiche e la filosofia sperimentale rispetto al vecchio modello tomistico.
Il progetto, rimasto inattuato, era in linea con le più avanzate proposte italiane ed europee di riforma degli studi. Tre anni dopo il M., consultato dal governo sabaudo, fornì un Parere sull'Università di Torino (pubblicato solo nel 1871 a Verona), che riprendeva i contenuti di quello su Padova, con alcuni elementi di novità. Il legame con la tradizione restò tuttavia forte: interi settori della cultura moderna - dal giusnaturalismo al newtonianesimo - rimanevano infatti estranei al progetto. Egli prefigurava un'Università destinata a formare non solo eruditi, ma studiosi in possesso di strumenti critici in grado di essere utili allo Stato: "uno squadrone preparato a sostener con la penna, in ogni materia ed in ogni incontro" la gloria e le ragioni del sovrano. Anche tale progetto rimase sulla carta, ma le riforme universitarie degli anni Venti avrebbero realizzato a Torino un modello non privo di elementi nuovi.
Constatato il fallimento dei suoi progetti di riforma degli studi e dopo esser stato nel primo semestre del 1718 provveditore del Comune di Verona, perorando invano l'istituzione di una "Pubblica libreria" e di un museo cittadino, alla fine dell'anno il M. decise di pubblicare a Venezia una scelta delle proprie opere, con un'ampia introduzione, sotto il titolo di Rime e prose, avviando così una politica di autocelebrazione che proseguì fino alla morte, non senza aspre polemiche.
Tra 1716 e 1720 pose le basi per l'impresa che lo rese più noto a Verona e di cui rimane ancor oggi più visibile testimonianza: la grande collezione epigrafica allestita presso il teatro Filarmonico, nota come Museo Maffeiano. Sistemata provvisoriamente nel 1720, grazie al contributo di un sodalizio di privati cittadini, giunse a compimento solo intorno al 1745, corredata dal catalogo descrittivo (Museum Veronense, Verona 1749). Se il lapidario di Torino si inseriva in un progetto museale pubblico, voluto dal sovrano e centrato sulle collezioni universitarie, quello veronese rimase l'impresa di un singolo, sostenuta solo parzialmente dalle magistrature cittadine, ma destinata a creare un modello.
Concluso senza grandi successi l'intenso decennio dell'impegno riformatore, il M. decise di lasciare Verona (agosto 1720), stabilendosi dall'inizio di ottobre a Firenze, accolto festosamente da Cosimo III e da Giangastone de' Medici. Per due anni studiò codici e lapidi antiche, intraprendendo anche lo studio delle antichità etrusche. Identificava infatti gli Etruschi con i veri "Itali primitivi", dai quali i Romani avrebbero derivato gran parte delle istituzioni civili e religiose; a loro volta gli Etruschi sarebbero stati assimilabili agli antichi Cananei, donde l'origine biblica della civiltà italica. A questo periodo risale uno scritto Del governo de' Romani nelle provincie, rimasto inedito fino al 1977 (a cura di G. Ramilli: anche se in parte rifuso nella Verona illustrata) nel quale il M. dibatteva i problemi del rapporto fra centralismo e autonomie municipali nell'antica Roma, con evidenti riferimenti all'attualità politica della Repubblica di Venezia. Durante il soggiorno fiorentino, nel 1721, iniziò anche un trattato di epigrafia, Ars critica lapidaria, completato nel 1724 ma pubblicato solo postumo; ancora a Firenze nel 1721 pubblicò le Complexiones di Cassiodoro, estratte dai codici della Biblioteca capitolare di Verona, con una prefazione in latino che trattava della scoperta dei codici veronesi senza velare la sua scarsa considerazione per i canonici della cattedrale.
Nel 1722 il M. rientrò per breve tempo a Verona, dove il canonico F. Muselli, nuovo bibliotecario della Capitolare, gli impose di restituire i codici che tratteneva da oltre dieci anni e giunse a vietargli l'accesso alla Biblioteca. Solo nel 1728, grazie all'intercessione in suo favore del patrizio veneziano M. Morosini, il M. poté di nuovo consultare i codici. Alla fine del 1723, dopo un breve soggiorno a Venezia, si spostò a Torino per risolvere questioni legate alla soppressione della rendita del feudo di Farigliano. Nella capitale sabauda, dove allestì una rappresentazione della Merope, venne accolto benevolmente a corte ed entrò in relazione con l'architetto F. Juvarra, col quale collaborò per sistemare le collezioni epigrafiche dell'Università, dando vita a uno dei primi musei archeologici pubblici d'Italia.
Rientrato a Verona alla fine del 1724 e costretto a rinunciare allo studio dei codici della Capitolare, il M. si dedicò alla stesura di un trattato di paleografia e diplomatica, la Istoria diplomatica, pubblicata a Mantova nel 1727 con dedica a Vittorio Amedeo II; nella capitale sabauda tornò brevemente nell'estate del 1726 e nel 1727, ma i suoi interessi erano ormai altrove. Nel 1728 pubblicò nella ristampa veneziana, curata da N. Coleti, dell'edizione Labbe-Cossart dei Sacrosancta Concilia (V, coll. 180-207), un Supplementum Acacianum contenente testi tratti dai codici della Capitolare: due lettere di papa Felice III e una di papa Gelasio, risalenti al V secolo, contro gli errori teologici del patriarca di Costantinopoli Acacio. Nello stesso anno stampò e mandò in scena a Venezia la commedia Le cerimonie - satira dell'affettazione di gusto francese - e pubblicò a Verona il trattato Degli anfiteatri e singolarmente del Veronese, poi confluito nella Verona illustrata. A riprova della sua antipatia per la cultura d'Oltralpe è il silenzio che mantenne sempre su un incontro con Montesquieu, avvenuto a Verona alla metà del settembre 1728. L'anno seguente, nel viaggio di ritorno, questi sarebbe passato nuovamente da Verona, ma è probabile che non incontrasse il M., da lui descritto un po' sbrigativamente come "l'intelligence de l'Académie de Vérone" e "chef de secte" (frase successivamente interpretata come indizio di un'affiliazione massonica).
Fra 1728 e 1732 il M. lavorò alla sua opera più famosa, la Verona illustrata, che riprendeva e intrecciava i fili di molte ricerche storiche e antiquarie avviate nei decenni precedenti.
Pubblicata nel 1732 in quattro tomi, con una dedica "all'inclita Repubblica Veneta unica discendenza della romana", l'opera era essenzialmente volta a dimostrare la piena autonomia di Verona fin dall'età romana. Le motivazioni addotte dal M. sono in parte false, ma dettero l'occasione per ripercorrere le vicende storiche della sua città dalle origini all'età moderna, dedicando ampie schede a siti e monumenti di età romana e a manufatti e palazzi di età medievale e moderna. Con un'ottima conoscenza delle fonti, nel primo libro ricostruì i principali aspetti dell'amministrazione delle province, dall'età medio-repubblicana a quella tardo-antica, paragonando la volontaria dedizione dei Veneti antichi a Roma con la pacifica dedizione quattrocentesca di Verona e delle altre città venete a Venezia, giudicandole tappe importanti di un comune processo di incivilimento, ma ribadendo anche l'antichità delle autonome istituzioni di governo delle città suddite. In particolare, assimilando i Reti agli Etruschi e i Veneti agli Euganei, il M. sostenne l'origine etrusca delle città venete, attribuendo loro origini altrettanto libere e spesso più antiche della Dominante, che aveva però sempre conservato la propria libertà. Più della rivendicazione dell'antica libertà dei Veneti, però, fu interessato allo studio e alla valorizzazione dell'impronta lasciata da Roma nella "Venetia". Il secondo e il terzo libro ripercorrono la storia intellettuale di Verona e la sua condizione presente. Pur animato da spirito "di patria", il M. critica la propria città per molti aspetti, come la decadenza della nobiltà e lo scarso spirito d'iniziativa degli abitanti. Egli considerò Verona come esempio della situazione italiana del tempo, cui contrappose la laboriosità e il diverso stile delle aristocrazie straniere, in particolare di quella inglese. Il quarto libro, infine, riproduce il precedente trattato Degli anfiteatri, centrato sulla storia e descrizione dell'Arena di Verona confrontata con i principali anfiteatri romani esistenti.
Pubblicato il frutto delle sue decennali fatiche, non senza le consuete polemiche, alla fine del 1732 il M. lasciò Verona per un viaggio in Europa durato quattro anni. Il suo scopo iniziale era di raccogliere e trascrivere il maggior numero di epigrafi per realizzare l'ambizioso progetto - anticipato in un Prospectus - di pubblicare in una decina di volumi un corpus di tutte le antiche iscrizioni d'Europa. Passato da Torino, proseguì per Ginevra e la Francia, sostando a Lione, Avignone, Arles e Nîmes, dove studiò gli anfiteatri romani e incontrò il naturalista e antiquario F. Séguier, "gentiluomo francese di molto nobil famiglia, benché povera, e molto stimato e onorato" (lettera a B. Pellegrini, 20 dic. 1732, in Epistolario, a cura di C. Garibotto, I, p. 630), destinato a restare al suo fianco per oltre vent'anni. Nell'inverno toccò Avignone, Tolone, Marsiglia, Aix e Montpellier, trascrivendo circa duemila iscrizioni. Nel gennaio 1733 giunse a Parigi e il 23 aprile, introdotto dall'ambasciatore veneto F. Morosini, venne ricevuto a Versailles da Luigi XV. Nel settembre uscirono a Parigi in prima edizione francese le Galliae Antiquitates, raccolta con commento delle epigrafi della Provenza. Nella capitale francese, dove incontrò Voltaire e rivide Montesquieu, oltre a curare un allestimento della Merope, il M. si fermò tre anni e mezzo, dedicandosi però - più che alle epigrafi - alle dispute tra gesuiti e giansenisti che dividevano la Francia. Per almeno due anni lavorò infatti a un trattato sulle "opinioni corse nei primi cinque secoli della Chiesa in proposito della Divina Grazia, del libero Arbitrio e della Predestinazione": di fatto uno scritto contro la dottrina giansenista della grazia. Il libro, concepito e redatto interamente a Parigi, dopo molte difficoltà vide la luce solo nel 1742 a Trento, col titolo di Istoria teologica e dedica a Carlo Emanuele III. Nel 1734, su proposta del cardinale M. de Polignac, il M. divenne socio onorario dell'Académie des belles lettres, dove tenne un ragionamento Del pensare italiano (inedito fino al 1909) in difesa della letteratura nazionale. Dalla biblioteca benedettina di Reims si fece inviare un codice contenente i sermoni di s. Zeno, che trascrisse interamente e pubblicò nel 1739 a Verona. Nel maggio 1736, in attesa che l'opera teologica fosse rivista dalle autorità ecclesiastiche, lasciò Parigi per un viaggio in Inghilterra, dove si trattenne fino al 5 agosto, ospite di R. Bentley; passò poi in Olanda, e a fine mese nel Belgio. Tornò quindi in patria attraversando la Germania fino a Vienna, dove fu nell'ottobre-novembre. Nel dicembre soggiornò due settimane a Venezia, riannodando i rapporti con A. Zeno. Alla fine del 1736 - accompagnato dal Séguier - fu di nuovo a Verona. Nelle prime settimane dopo il rimpatrio redasse il Suggerimento per la perpetua preservazione della Repubblica di Venezia attraverso il presente stato d'Italia e dell'Europa, oggi noto come Consiglio politico finora inedito presentato al governo veneto nell'anno 1736: il più importante testo politico del M., inizialmente sottoposto a una ristretta cerchia di patrizi veneziani suoi protettori, elaborato fra la fine del 1736 e le prime settimane del 1737, ma edito solo nel 1797 a Venezia.
Vi riprese molte tematiche già affrontate nel Governo de' Romani e nella Verona illustrata: in particolare il giudizio critico sulla costituzione veneziana, da sottoporre a revisione per consentire una maggior rappresentatività delle aristocrazie delle città suddite. Il Suggerimento era infatti destinato ai patrizi della Dominante, i quali dovevano "prevedere piccole correzioni come l'aggiunta, ad esempio, di non più di venti nobili della Terraferma nel Maggior Consiglio, rappresentanti non tanto della nobiltà della propria casata bensì delle città di origine, depositarie esse di uno statuto di nobiltà" (Pii, 1998, pp. 94 s.). Anche sulla scorta delle recenti esperienze europee il M. si fece portavoce di un repubblicanesimo aristocratico fondato più sui principî che sui concreti meccanismi costituzionali. La "cosa pubblica" si identificava per lui con gli interessi dei cittadini, che dovevano essere convinti di agire "non più per interesse altrui, ma per proprio ancora, e per un corpo" di cui ciascuno di loro era membro. Muovendo dal principio "dell'interessare tutti al governo", il M. costruiva un'immagine idealizzata del mondo romano, non lontana da quella del primo Montesquieu, con immediate ricadute politiche nell'ambito della Repubblica veneta. Non a caso il modello costituzionale inglese era implicitamente proposto come il più vicino agli antichi ideali della Roma repubblicana.
Nel 1737 il M. curò, rielaborò e pubblicò a Verona le Memorie postume del fratello Alessandro, aggiungendo in appendice i profili delle più illustri personalità militari della sua famiglia: il fratello generale e il prozio A. Da Monte. Contemporaneamente decise di dar vita a un nuovo periodico, che redasse materialmente da solo per quattro anni sotto il titolo di Osservazioni letterarie (1737-40).
Non si trattava di una riproposta del modello del Giornale de' letterati (del quale nel 1740 uscì l'ultimo fascicolo, per cura di P.C. Zeno), quanto del tentativo di far circolare uno strumento di critica della cultura contemporanea fortemente caratterizzato e al limite autoreferenziale, ma decisamente orientato al "buon senso" e al "buon gusto", contro ogni "trivialità" e "pusillanimità". Collaborarono con lui alcuni fra gli animatori iniziali del Giornale, in primo luogo il ginevrino L. Bourguet - in questa stagione interlocutore privilegiato del M. - e numerosi italiani, soprattutto scienziati, come G. Poleni, G. Torelli, E. Manfredi, B. Zendrini, F.M. Zanotti e G.J. Marinoni.
Sempre nel 1737 il M. avviò una fitta corrispondenza con l'erudito pesarese A. Abati Olivieri, che lo spinse a intraprendere l'anno successivo un nuovo viaggio per l'Italia alla ricerca di epigrafi e antichità. Nell'estate del 1739 si fermò a Roma, per raccogliere materiali epigrafici e per ottenere dal papa l'autorizzazione a pubblicare l'Istoria teologica. Venne ricevuto da eruditi e alti prelati e tenne una prolusione in Arcadia sulle antichità romane. Mentre era a Roma, all'indomani della pubblicazione dei Sermoni zenoniani ricavati dal codice di Reims, vennero sollevati dubbi sia sull'autenticità di alcuni di quei sermoni, sia sulla cronologia del vescovo veronese; ne seguirono nuove e aspre polemiche erudite. Sulla via del ritorno, nell'autunno del 1739, il M. si trattenne a Volterra presso mons. M. Guarnacci, studioso di cose etrusche, evitando però di incontrare il rivale A.F. Gori. Fino al 1741 il M. curò soprattutto l'edizione della Istoria teologica (Trento 1742), finalmente autorizzata.
L'opera era una dottissima e puntigliosa confutazione delle tesi gianseniste sulla grazia, intessuta di citazioni da s. Agostino e dai testi sacri. Un lavoro imponente e sproporzionato allo scopo, ma comprensibile come sforzo di affermare non solo l'ortodossia cattolica ma l'idea filosofica dell'assoluta libertà dell'agire umano, insofferente a qualsiasi limitazione, fosse rappresentata dal fato, dalla predestinazione o dall'agostiniana grazia rielaborata dai giansenisti. Non a caso l'opera fu accusata di "semipelagianesimo" e "molinismo".
Le polemiche più aspre e le battaglie intellettuali più gravose per l'ormai anziano marchese vennero però nel decennio 1744-54. L'esordio si ebbe nella primavera del 1744 con la pubblicazione a Verona del trattato Dell'impiego del danaro, dedicato a Benedetto XIV, nel quale il M. difendeva con citazioni dai padri della Chiesa la legittimità di un moderato interesse nel prestito del denaro e incoraggiava l'attività feneratizia dei cristiani.
Nulla era più benefico per un popolo che un'ampia circolazione del denaro: "Gran male adunque fa chi cerca difficoltare al sommo l'uso del dare con discrete condizioni a interesse, perché, con questo, moneta infinita nelle casse de' più facoltosi si rimarrà giacente ed inutile", mentre "gli industriosi non otterrebbero più quattrini dai danarosi per migliorare di stato; il che produrrebbe in molti deplorabil miseria". Vollero dimostrare, contro il M., l'illiceità del prestito a interesse i teologi veronesi P. e G. Ballerini, sostenuti dal vescovo G. Bragadin, e il domenicano D. Concina. Fra i difensori si schierò invece subito Muratori, incurante dei dissidi precedenti. L'asprezza della polemica indusse gli Inquisitori di Stato veneziani a intimare il silenzio delle parti; nel 1745 fu lo stesso Benedetto XIV a intervenire, con l'enciclica Vix pervenit. Nel luglio 1746 il M. ristampò a Roma il suo trattato, violando l'imposizione del silenzio e provocando un nuovo intervento degli Inquisitori di Stato che lo confinarono per alcuni mesi nella tenuta di Cadalora, presso Cavalcaselle. Solo l'intervento del papa gli consentì di far ritorno a Verona nel dicembre. Prigioniero in casa propria, lavorò alle Graecorum siglae lapidariae, pubblicate a Verona nello stesso anno, che riunivano parte del materiale epigrafico preannunciato nel prospetto del 1732.
Nel 1747 il M. tornò al teatro con la commedia Raguet - ancora una volta diretta contro i francesismi nella moda e nel linguaggio - scritta per il carnevale di Venezia. I suoi interessi per i fenomeni naturali si espressero invece in undici lettere Della formazione dei fulmini (Verona 1747), nelle quali si occupò di elettricità, insetti e fossili. Nel 1748 intervenne nel dibattito sulla soppressione delle feste religiose con la Lettera sopra le feste dei gentili (Pesaro), indirizzata dieci anni prima all'amico Abati Olivieri in sostegno alla politica riformatrice avviata da Benedetto XIV e sollecitata da Muratori. Nel 1749 pubblicò a Verona il Museum Veronense, catalogo delle lapidi del museo epigrafico da lui allestito nell'arco di un decennio nel giardino antistante il teatro Filarmonico e composto di pezzi (non sempre autentici) acquistati, scambiati con collezionisti, o raccolti nel corso dei numerosi viaggi per l'Italia.
L'ultima battaglia del M. fu quella, notissima, contro la credenza nella stregoneria, che lo vide dapprima sostenere le posizioni riformatrici dell'abate roveretano G. Tartarotti, quindi separarsene polemicamente per la convinzione che ogni tipo di magia e di stregoneria nascesse da illusione o impostura.
Laddove Tartarotti negava l'esistenza della magia nera e della stregoneria, ma non quella della magia bianca, il M. - riferendosi ancora una volta all'autorità degli antichi - negò con forza ogni intervento soprannaturale non proveniente da Dio. Ribadì e sviluppò le sue posizioni nel 1749 con l'Arte magica dileguata, nel 1750 con l'Arte magica distrutta e, infine, nel 1754 con l'Arte magica annichilita (la prima e terza apparse a Verona, la seconda a Trento). Il suo pensiero sulla magia ruotava intorno a una semplice tesi: fin dall'antichità il volgo aveva creduto nel soprannaturale ma i "più svegliati" lo avevano deriso, perché il disprezzo delle superstizioni non derivava dal sentimento religioso ma dall'uso della ragione.
Dopo aver ristampato a Verona nel 1752 le Poesie volgari e latine e le opere teatrali, nel 1753 il M. vi pubblicò il trattato De' teatri antichi e moderni, a difesa degli spettacoli teatrali contro le censure dei rigoristi. Nella primavera del 1754 cominciò a lamentare dolori al petto e gonfiore alle gambe, che lo costrinsero a una forzata inattività. Superata la crisi, nell'estate si recò prima a Brescia, ospite del conte G.M. Mazzuchelli, quindi a Bassano per osservare un fenomeno di fuochi fatui. Sotto lo pseudonimo di Desiderato Pindemonte pubblicò ancora una Risposta universale alle opposizioni fatte alle opere del marchese S. M. (Verona 1752), mentre trasse conforto dalla decisione dei riformatori dello Studio di Padova di autorizzare una nuova edizione dell'Impiego del danaro. Nell'inverno, colpito da nuovi e più gravi disturbi respiratori, fu costretto a letto.
Il M. morì, nella sua casa di Verona, il 12 febbr. 1755.
Opere: Fra le edizioni maffeiane pubblicate: Parere sul migliore ordinamento della R. Università di Torino (1718), a cura di G.B.C. Giuliari, Verona 1871; Un parere intorno allo Studio di Padova sui principi del Settecento (1715), introduzione e note di B. Brugi, Venezia 1910; Opere drammatiche e poesie varie, a cura di A. Avena, Bari 1928 (rist., a cura di C. Garibotto, Verona 1955); Verona illustrata (Verona 1732), con una nota introduttiva di L. Magagnato, Verona 1974-75; Dell'impiego del denaro, a cura e con studio introduttivo di G. Barbieri, app. documentale di G.P. Marchi, Verona 1975 (rist. anast. dell'edizione romana del 1746); Del governo de' Romani nelle provincie (1724), a cura di G. Ramilli, Verona 1977 (rist., Padova 1987); Consiglio politico, Napoli 1977 (rist. anast. dell'edizione veneziana del 1797); De' teatri antichi e moderni e altri scritti teatrali, a cura di L. Sannia Nowé, Modena 1988; Ristretto del "De Origine Juris Civilis" di Gianvincenzo Gravina, introd. e note di G. de Martino, Napoli 1999. L'unica raccolta di lettere pubblicata (se pur con molte imprecisioni e lacune) è l'Epistolario, I-II, a cura di C. Garibotto, Milano 1955; una nuova edizione, arricchita da moltissime lettere inedite, è da tempo in preparazione a cura di G.P. Marchi e C. Viola.
Fonti e Bibl.: La maggior parte dei manoscritti del M. si trova nella Biblioteca capitolare di Verona (bb. DCCCCXLIII-DCCCCLXXIV), insieme con la sua ricca biblioteca personale. Altri, riuniti dal Séguier, sono nella Bibliothèque municipale di Nîmes (si veda in partic. il ms. 129: Notes de son voyage en France, en Angleterre, en Hollande). Altri ancora si trovano a Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnham, 1835; Ibid., Biblioteca Marucelliana, Carteggio A. F. Gori, b. XVII-M. Una bibliografia completa degli editi e inediti è G.B.C. Giuliari, Bibliografia maffeiana, Bologna 1885, aggiornata in F. Doro, Bibliografia maffeiana, in Studi maffeiani, Torino 1909, pp. 5-114; la rassegna di studi di F. Forti, Studi maffeiani, in Giorn. storico della letteratura italiana, CXXXIII (1956), pp. 585-603, è ora aggiornata in S. Maffei, De' teatri antichi e moderni e altri scritti teatrali, a cura di L. Sannia Nowé, Modena 1988, pp. LIV-LXXIII.
La prima biografia attendibile del M. fu I. Pindemonte, Elogio di S. M., Verona 1784 (poi in Id., Elogi de' letterati italiani, I, Verona 1825, pp. 5-262). Altre biografie generali: G. Gasperoni, S. M. e Verona settecentesca. Contributo alla storia della cultura italiana, Verona 1955; G. Silvestri, Un europeo del Settecento. S. M., Treviso 1954 (rist., Vicenza 1968); G.P. Marchi, Un italiano in Europa. S. M. tra passione antiquaria e impegno civile, Verona 1992. Brevi profili in: F. Diaz, S. M., in Storia della letteratura italiana (Garzanti), Il Settecento, Milano 1968, pp. 94-104; M. Puppo, S. M., in Diz. critico della letteratura italiana, III, Torino 1973, ad nomen.
Al M. sono dedicati quattro volumi collettivi: Studi maffeiani, Torino 1909; Miscellanea maffeiana pubblicata nel II centenario della morte, Verona 1955; Nuovi studi maffeiani. S. M. e il Museo Maffeiano. Atti del Convegno, 1983, Verona 1985; S. M. nell'Europa del Settecento. Atti del Convegno, 1996, a cura di G.P. Romagnani, Verona 1998.
Inoltre: A. Momigliano, Gli studi classici di S. M., in Id., Secondo contributo alla storia degli studi classici, Roma 1960, pp. 255-271; S. Timpanaro, Postilla su M. e Muratori, in Classicismo e Illuminismo nell'Ottocento italiano, Pisa 1965, pp. 359-370; A. Momigliano, S. M. e H. Brenkmann: due progetti di collaborazione intellettuale italo-olandese del Settecento, in Terzo contributo alla storia degli studi classici, I, Roma 1966, pp. 179-196; F. Venturi, Settecento riformatore, I, Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 255-410; L. Parinetto, Magia e ragione. Una polemica sulle streghe in Italia intorno al 1750, Firenze 1974, ad ind.; K. Ringger, "La Merope" e il "furor d'affetti": la tragedia di S. M. rivisitata, in Modern Language Notes, XCII (1977), 1, pp. 38-62; C. Donati, S. M. e la scienza chiamata cavalleresca. Saggio sull'ideologia nobiliare al principio del Settecento, in Riv. storica italiana, XC (1978), pp. 30-71; L. Parenti, S. M. e Ottavio Alecchi, in Vita veronese, XXXII (1979), 5-6, pp. 161-170; F. Forti, L.A. Muratori fra antichi e moderni, Bologna 1981, pp. 1-127; E. Mosele, Un accademico francese del Settecento e la sua biblioteca, Verona 1981, ad ind.; F. Senardi, Alle origini del dramma borghese: Merope di S. M., in Tre studi sul teatro tragico italiano tra manierismo ed età dell'Arcadia, Roma 1982, pp. 83-117; L'Accademia Filarmonica di Verona e il suo teatro (1732-1982), Verona 1982, ad ind.; E. Pii, Il "Consiglio politico" di S. M.: una proposta attraverso il sistema rappresentativo, in Assemblee di Stati e istituzioni rappresentative nella storia del pensiero politico moderno (secoli XV-XX), in Annali della Facoltà di scienze politiche dell'Università di Perugia, XIX (1982-83), pp. 345-358; Id., Immagini dell'Inghilterra politica nella cultura italiana del primo Settecento, Firenze 1984, pp. 103-121; G. Folena, "Prima le parole e poi la musica": S. M. poeta per musica e "La fida ninfa", in L'italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino 1983, pp. 235-261; D. Generali, Il "Giornale de' letterati d'Italia" e la cultura veneta del primo Settecento, in Riv. di storia della filosofia, XXXIX (1984), 2, pp. 243-282; Séguier e M.: documenti raccolti in occasione del secondo centenario della morte di J.-F. Séguier, a cura di E. Mosele, Verona 1984; L. Sannia Nowé, Una voce sul melodramma nelle discussioni del primo Settecento (S. M.), in Metastasio e il melodramma, a cura di E. Sala di Felice - L. Sannia Nowé, Padova 1985, pp. 247-270; Il marchese S. M.: un mediatore tra letteratura e teatro, introd. a S. Maffei, De' teatri antichi e moderni, cit., pp. XI-XLVI; G. Borelli, La magia in Tartarotti e in M. rivisitata, in Il Trentino nel Settecento fra Sacro Romano Impero e antichi Stati italiani, a cura di C. Mozzarelli - G. Olmi, Bologna 1986, pp. 526-606; E. Pii, Due interpreti della storia di Roma antica: Montesquieu e S. M., in Storia e ragione, a cura di A. Postigliola, Napoli 1987, pp. 339-351; Un accademico dei Lumi fra due città: Verona e Nîmes, a cura di E. Mosele, Verona 1987; P. Ulvioni, Nota per una nuova edizione del Consiglio politico di S. M., in Studi veneti offerti a G. Cozzi, Venezia 1992, pp. 301-308; Girolamo Tartarotti (1706-1761). Un intellettuale roveretano nella cultura europea del Settecento. Atti del Convegno, Rovereto, 1995, in Atti della Acc. roveretana degli Agiati, s. 7, CCXLVI (1996), vol. 6; E. Pii, Il pensiero politico di S. M., in S. M. nell'Europa del Settecento, Atti, cit., pp. 93-117; P. Ulvioni, La filosofia morale di S. M., ibid., pp. 400-425; G.P. Romagnani, "Sotto la bandiera dell'istoria". Eruditi e uomini di lettere nell'Italia del Settecento: M., Muratori, Tartarotti, Verona 1999; P. Ulvioni, Dagli antichi ai moderni. Il pensiero civile di S. M. Con una nuova edizione del "Consiglio politico" (in corso di stampa).