SPINA, Scipione
– Nacque nel 1542 da Marco Antonio e da Feliciana Galeota, entrambi di famiglia nobile: quella paterna originaria di Amalfi e ascritta al seggio di Nido, quella materna dei baroni di Montestarace. Lo stesso Spina è definito da Ferdinando Ughelli «nobilis Patritius Neapolitanus» (Italia sacra, Venetiis 1721, pp. 85 s.) Dal matrimonio tra Marco Antonio e Feliciana erano nati anche Annibale, Tommaso Angelo e Lelio (De Lellis, 1671, p. 109).
Scipione conseguì il dottorato in utroque (Hierarchia catholica..., 1923, p. 225) e, benché primogenito, fu avviato alla carriera ecclesiastica. Alla corte romana entrò nella familia del potente cardinale inquisitore Giulio Antonio Santori del quale divenne «coppiero e poi maestro di camera» (G.A. Santori, Autobiografia, in Archivio della R. Società romana di storia patria, XIII (1890), p. 198). Essendo vacante la diocesi di Lecce per la rinuncia del vescovo Annibale Saraceno, l’influenza di Santori in Curia fu determinante nella nomina vescovile di Spina. Il cardinale di S. Severina dovette infatti neutralizzare l’azione concorrente e malevola verso Spina di Vincenzo Guarino abate di Centola e di Giovanni Battista di Costanzo. Superate le difficoltà, Gregorio XIV nominò Spina vescovo il 10 maggio 1591 (Ricci, 2002, p. 28; Fiorelli, 2009, pp. 193 s.). Insediato nel dicembre dello stesso 1591, per lunghi anni dovette difendersi presso i tribunali romani e napoletani dalle obtrectationes che lo colpivano e questa fu una delle ragioni della sua assenza dalla diocesi che tuttavia resse per 48 anni.
Anche i periodi di governo del suo predecessore Saraceno e del suo successore Luigi Pappacoda, rispettivamente vescovi a Lecce dal 1560 al 1591 e dal 1639 al 1670, furono caratterizzati da lunga durata, determinando una peculiarità dell’episcopato leccese rispetto alla fisionomia dell’episcopato dell’intera provincia di Terra d’Otranto. L’attività dei tre presuli investì le trasformazioni che la città capoluogo, Lecce, visse proprio nell’arco dei cento e più anni coincidenti con la durata dei tre governi episcopali.
A Spina in particolare toccò di confrontarsi con l’eccezionale fenomeno di inurbamento che caratterizzò la città nel crinale tra Cinquecento e Seicento dovuto al rifluire della ricchezza dalla campagna alla città e all’investimento nell’edilizia urbana soprattutto a opera degli ordini religiosi vecchi e nuovi. All’esplosione barocca che caratterizzò la città Spina contribuì anche direttamente con la ristrutturazione dell’episcopio portata a termine nel 1632. Il presule fece addossare alla vecchia fabbrica il loggiato, realizzando una somiglianza con il palazzo Senatorio romano, un aspetto non insignificante anche sul piano simbolico per una città (Lupiae) che già dal Cinquecento amava confrontarsi con la ‘lupa’ romana.
Nel corso del suo governo Spina, in ossequio all’obbligo triennale della consegna alla congregazione del Concilio della relatio sulle condizioni della città e della diocesi, presentò a Roma direttamente, o tramite procuratore, 13 relationes dalla prima, del 28 giugno 1594, a quella del 17 maggio del 1638, solo eccezionalmente saltando la scadenza del 1621 per motivi di salute e quella del 1630 per la particolare situazione determinatasi in seguito a uno dei tanti conflitti giurisdizionali.
All’arrivo in diocesi aveva ricevuto in eredità dal predecessore Saraceno una situazione di debolezza dell’organizzazione ecclesiastica secolare costituita in città da una sola parrocchia, quella della cattedrale, a fronte dei 10.000 e più abitanti, e dall’assenza del seminario, indispensabile per la formazione di un clero preparato secondo i canoni tridentini. L’incremento dell’organizzazione parrocchiale della città è forse l’unica realtà sulla quale il lungo episcopato di Spina ottenne un risultato positivo, peraltro raggiunto non immediatamente, se si tiene conto che il primo decreto per l’erezione di altre tre parrocchie cittadine fu del 1594, ma che la loro effettiva attivazione avvenne solo nel 1606. Il percorso delle parrocchiali di S. Maria della Luce, di S. Maria della Porta e di S. Maria della Grazia, che andavano ad aggiungersi a quella cattedrale, era stato avversato dal clero capitolare di quest’ultima e condizionato dalle difficoltà inerenti alla formazione del loro asse patrimoniale. Con la realizzazione di nuove e organiche giurisdizioni parrocchiali Spina cercava di adeguare l’istituzione ecclesiastica al crescente sviluppo demografico della città, ma rispondeva anche all’esigenza di regolamentare e inquadrare una pletorica presenza di ecclesiastici che, secondo la relatio del 1594, era costituita per il solo capitolo della cattedrale da tre dignità (arcidiacono, tesoriere e cantore) e da ben 21 canonici; nella stessa cattedrale erano incardinati decine di beneficiati che negli anni Trenta del Seicento avrebbero raggiunto le 60 unità, una «massa crescente di cappellani e di semplici beneficiati, in continuo aumento per lasciti, legati pii, donazioni propter animam, se dagli 83 sacerdoti e 233 chierici del 1594 si passa, dopo una lieve flessione a 80 sacerdoti e 133 chierici del 1622, a ben 110 sacerdoti il 1615» (Paone, 1995, pp. 178 s.).
La pletoricità non fu la sola preoccupazione che Spina ebbe sul versante del clero, trovandosi con lo stesso più volte in condizioni di conflittualità, cui egli cercava di ovviare con ripetuti avvicendamenti dei vicari generali. All’avversione e all’indisciplina del clero capitolare e cittadino si aggiungeva talvolta l’insolenza di quello rurale. Gli editti conclusivi delle visite pastorali della città e della diocesi già sullo scorcio del Cinquecento e di quelle del 1613, del 1620 e del 1625, avviate e spesso non concluse, non riuscivano a riordinare gli apparati ecclesiastici né a ottenere un corretto comportamento dei fedeli. Non andavano incontro alla ripresa del prestigio e dell’autorità vescovile, venuti meno con il predecessore Saraceno, le continue contestazioni provenienti dalle autorità laiche, vuoi impegnate a negare la giurisdizione feudale goduta dal vescovo su alcuni casali della diocesi, vuoi a violare le immunità ecclesiastiche con episodi di violenza spesso cruenti, i cui autori , regolarmente colpiti dalla scomunica, ricorrevano all’azione protettrice del viceré, affinché a Spina ne fosse chiesta la revoca. Del 1599 è il tentativo delle autorità cittadine di imporre tasse agli ecclesiastici; dello stesso anno è l’occupazione del monastero dei celestini da parte di una folta pattuglia di soldati per arrestare due assassini. Perdurando lo stesso clima, un quarto di secolo dopo, nel febbraio del 1626 – secondo quanto egli stesso ne scrisse – Spina fu assediato dai soldati nel palazzo vescovile. All’isolamento in cui venne a trovarsi non giovarono, per risolvere le questioni pendenti, i suoi soggiorni a Napoli e a Roma che, già praticati nel primo decennio di governo, lo portarono, in particolare per tutto il secondo decennio del Seicento e per parte del terzo, a una presenza in diocesi assai discontinua, di fronte alla quale la S. Sede inviò a Lecce, nel 1604, un primo visitatore apostolico, nella persona del vescovo di Polignano, Giovan Battista Guanzato. Anche perché arricchita dalla celebrazione di un sinodo, più incisiva risultò la presenza, nel 1627-28, del vescovo di Venosa, Andrea Perbenedetti, che, incaricato visitatore apostolico da Urbano VIII per più diocesi del Regno di Napoli, si ispirava al modello borromaico attuato nell’ambiente milanese dove era stato vicario generale del cardinale Federico Borromeo.
Il visitatore non mancò di riprendere la questione dell’istituzione del seminario, senza tuttavia riuscire a risolverla. Il problema della formazione del clero attraverso l’istituzione dei seminari, esigenza avvertita dappertutto, ma in molte diocesi non soddisfatta per difficoltà finanziarie, aveva trovato soluzione a Lecce nel collegio dei gesuiti presenti già dagli ultimi decenni del Cinquecento, guidati dal 1595 dalla personalità carismatica di Bernardino Realino. Alla morte di quest’ultimo nel 1616 si attivò una devozione spontanea che il vescovo fu richiamato dal S. Uffizio nel 1625 a regolare secondo le recenti più rigorose direttive in materia di culti imposte da papa Urbano VIII.
Una sorta di bilancio della lunga attività pastorale di Spina è ravvisabile nella relatio che sottoscrisse il 17 maggio 1638, a meno di un anno dalla scomparsa e a mezzo secolo quasi compiuto di lavoro, dove si coglie il turbamento e lo sconforto per non aver potuto ottenere i risultati desiderati: «in templis divini cultus reverentia prolapsa est in hac civitate, [...] hic ludi in vilioribus locis vetiti publice exercentur, scurriles cachinni profanae et impudicae cantiones audiuntur, hic denique enormissima quaeqe peccata committuntur» (relatio, 1638). Si tratta di un bilancio carico di amarezza per i numerosi momenti e le frequentissime occasioni che avevano visto limitata la sua attività ed emarginato il suo impegno, ostacolato dal clima di perenne conflittualità con la giurisdizione civile; una costante della sua biografia.
Dopo la morte di Spina, avvenuta il 3 marzo 1639 (Notizie..., 1991, p. 40), giunse a reggere la diocesi un altro aristocratico napoletano, Luigi Pappacoda, giovane, di tutt’altra tempra e di capacità di governo tali da riuscire a imporre la centralità e il prestigio del potere vescovile nella città e a consacrare anche architettonicamente il volto barocco di Lecce.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Congr. Concilio, Relat. dioec., Lycien. Visitatio sacrorum liminum et relatio status Ecclesiae Lycien. et dioecesis anni 1594, 1638; Lecce, Biblioteca provinciale N. Bernardini, ms. 37: N. Fatalò, Serie de’ vescovi di Lecce, cc. 163-165.
C. De Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, parte III, Napoli 1671, p. 109; Hierarchia catholica Medii et Recentioris Aevi, III, a cura di G. Van Gulik - C. Eubel, Monasterii 1923, p. 225; M. Rosa, Geografia e storia religiosa per l’Atlante storico italiano, in Nuova rivista storica, LIII (1969), 1-2, pp. 1-43; G.M. Viscardi, Andrea Perbenedetti: un vescovo borromaico nel Mezzogiorno secentesco, in San Carlo e il suo tempo. Atti del Convegno..., Milano... 1984, II, Roma 1986, pp. 1185-1205; M. Spedicato, Episcopato e processi di tridentinizzazione a Lecce nel XVII secolo, in Società, congiunture demografiche e religiosità in Terra d’Otranto nel XVII secolo, a cura di B. Pellegrino - M. Spedicato, Galatina 1990, pp. 229-276; Notizie della città di Lecce ricavate da un manoscritto di Andrea Panettera leccese, a cura di A. Laporta, Lecce 1991, p. 40; M. Paone, Lecce al tempo dei vescovi S. S. e Luigi Pappacoda, in Id., La lupa sotto il leccio, Galatina 1995, pp. 170-206; M. Spedicato, La città e la Chiesa, in Storia di Lecce dagli spagnoli all’Unità, a cura di B. Pellegrino, Roma-Bari 1995, pp. 113-130; F. Gaudioso, Lecce in età moderna. Società amministrazione e potere locale, Galatina 1996, pp. 38 s.; S. Ricci, Il sommo inquisitore. Giulio Antonio Santori tra autobiografia e storia 1532-1602, Roma 2002, p. 28; F. De Luca, La visita apostolica di Andrea Perbenedetti nella città e diocesi di Lecce, in Kronos, 2005, n. 8, pp. 31-68; V. Fiorelli, I sentieri dell’inquisitore. Sant’Uffizio, periferie ecclesiastiche e disciplinamento devozionale (1615-1678), Napoli 2009, pp. 193 s.; B. Pellegrino - O. Confessore, Breve storia di Lecce, Pisa 2009, pp. 62-65.