SCIPIONE
. Pseudonimo del pittore Gino Bonichi, nato a Macerata il 25 febbraio 1904, morto ad Arco il 9 novembre 1933. Cominciò ad essere più largamente noto e apprezzato dopo la mostra ch'egli tenne delle sue opere, insieme con M. Mafai, nel 1930 alla "Galleria di Roma". In quell'anno il suo grande Ritratto del cardinale Vannutelli figurò alla Biennale di Venezia. L'anno seguente, alla Iª Quadriennale romana, si affermò ancora con alcuni dipinti, tra i quali il Ritratto di Ungaretti. Intanto L'Italia letteraria diffondeva i suoi disegni, taluni d'ordine più spiccatamente descrittivo e satirico, altri di schietto sapore lirico, d'un linearismo che farà presto dei seguaci.
Morto giovanissimo, la IIª Quadriennale romana volle onorarne la memoria ordinando una mostra di pitture e disegni che confermò il suo valore. I suoi scritti di carattere fra lirico e autobiografico sono stati raccolti in un volume pubblicato postumo Le civette gridano (Milano 1938).
Artista fra i più genuini della sua generazione, d'una cultura e d'un gusto, d'un atteggiamento psicologico e morale dove entrerebbero facilmente i nomi di Mallarmé, Rimbaud, D'Annunzio, Barrès, De Chirico, De Montherlant, Chagall, Barilli, Ungaretti; d'una virtù disegnativa esperimentatasi sulle opere di Tiepolo come di Rubens, di Jordaens e di Ingres come di Piero della Francesca, nonché sulla pittura vascolare greca ed etrusca; d'un talento pittorico che potrà suggerire talvolta - s'intende timidamente - il nome di un Corot o d'un Goya; cresciuto in quel fervore della pittura europea che, sulle astrattezze cubistiche e sui ritorni neoclassici, si svolse col nome di espressionismo e surrealismo: rivalutazioni, in senso decadentistico, dell'immediatezza del sentimento, ma un sentimento che si accende in un clima simbolistico, e vuol essere lo specchio d'un mondo irrazionale, il pittore S. manifestò, nel breve corso della sua vita, una sua realtà poetica di squisiti accenti, nella quale egli fuse, con il sensuale e l'erotico in lui prorompenti, il gusto ironico dell'iperbole, delle descrizioni ed evocazioni a fondo drammatico e doloroso; nella quale svolse terni tradizionali e accennò a racconti di costume. Una realtà pittorica, questa di S., tutta neri di pece, gialli ardenti, grigi, azzurri e bruni dominati da un rosso, in quei rapporti, funereo e patetico; un linguaggio fluido, ma senza facondia, anzi nervoso, quando non si fa allucinato, ansioso e sfuggente (vedi l'Apocalisse), e dove le immagini, figure o cose hanno un che di larvato e pure fisicamente vivo tormentato e guizzante; un linguaggio, nelle cose migliori - le nature morte, il Risveglio della sirena, La meticcia, il Ritratio della madre (Roma, Gall. d'arte moderna), Il cardinale Vannutelli sul letto di morte, e in molti disegni a penna e a seppia (ma specie in quelli a solo contorno) .- sempre immediato, rapido, espressivo d'un animo sottile, d'una allarmata umana sofferenza, d'una carnale esaltazione e inquietudine. Altre pitture: Donna che si pettina, Asso di spade (1929), Pranzo del lupo di mare, Castel Sant'Angelo, Piazza San Giovanni, Piazza Navona, Cavallino, Cavalli davanti al mattatoio, Le Monache.
Bibl.: v. L'Italia letteraria, 19 nov. 1933; C. E. Oppo, in Catalogo della II Quadriennale, Roma 1935; id., in Forme e colori nel mondo, Lanciano 1938; V. Guzzi, in Nuova Antologia, febvbraio 1935; E. Cecchi, in Circoli, marzo 1935; L. Vitali, in Domus, giugno 1935; A. Mezio, in Il Rubicone, giugno 1935; C. L. Ragghianti, in La Ruota, aprile-maggio 1937.