SCLAFANI, Matteo conte di Adernò
– Nacque, con ogni probabilità, dal miles Berardo Sclafani, secreto di Sicilia, nel 1280/1281, che potrebbe identificarsi con Berardo Artarino, signore di Sclafani e Chiusa e del casale di Rachalsusi. Non si conosce invece il luogo preciso di nascita.
Ereditò, anteriormente al 31 luglio 1309, un ricco patrimonio dallo zio materno Matteo di Termini, personaggio di spicco degli anni del Vespro, maestro razionale e maestro giustiziere del Regno di Sicilia.
Sposò in prime nozze Bartolomea Incisa, dalla quale ebbe una figlia, Margherita; in seconde nozze Agata Pellegrino, dalla quale non ebbe figli (ma grazie a questo matrimonio acquisì il castello e la terra di Adernò, oltre a Centorbi); in terze nozze, ante 1333, Beatrice Calvellis dalla quale ebbe Luisa. Quattro furono le figlie naturali: due di cui si ignora il nome, Francesca, avuta da una certa Rosa di Patti, e Giovannella.
Divenuto maestro razionale del Regno, mantenne la carica almeno dal 1326 al 1340. Operò a Palermo, ove sorgevano i suoi palazzi: quello ubicato nel Cassaro ereditato dallo zio, assieme a vigne, case e a un ingente patrimonio in città (ma anche a debiti), nonché a un giardino sito nei pressi del Castello a mare, fuori della porta S. Giorgio, dove sorgeva l’altro palazzo detto di Turri; inoltre, un hospicium magnum che egli stesso edificò vicino al Palazzo Reale.
Esponente della cosiddetta parzialità latina, contrapposta alla nobiltà catalana giunta in Sicilia al seguito di Pietro III d’Aragona, esercitò un ruolo di primo piano durante il conflitto angioino-aragonese. Partecipò, nel 1325, con la sua comitiva alla difesa di Palermo assediata dagli Angioini, su richiesta della stessa università. Nel 1333 fu chiamato a difendere la città dall’attacco di Roberto d’Angiò, e alcuni dei trabucchi predisposti per la difesa furono posizionati nel giardino sopra menzionato.
Ottenne il titolo di conte di Adernò, che gli fu conferito tra il 18 dicembre 1337 e il 20 gennaio 1338.
Alla terra e al castello di Adernò (odierna Adrano) si aggiungevano, a costituire un patrimonio imponente, il tenimento di Centorbi, il castello e la terra di Ciminna, il castello e la terra di Sclafani, il casale di Chiusa, il casale di Rachalminusa, un tenimento di terra definito Rocche de Chiminna, il feudo Modulus Campane in territorio di Adernò, il feudo Melinventri in territorio di Centorbi, il feudo Cavalera. Il patrimonio immobile dello Sclafani comprendeva anche terreni a Palermo, Baida, Misilmeri, case, giardini, masserie, taverne, fondaci, magazzini e botteghe (Russo, 2005, docc. I, II, III, IV).
Già nella Descriptio feudorum sub rege Federico del 1335 risultava titolare di una delle maggiori rendite feudali dell’isola con un reddito di 1200 onze. Nell’Imperatum Adohamentum sub rege Ludovico del 1345 venne tassato per 32 cavalli armati e mezzo.
La fedeltà ai sovrani aragonesi gli costò la scomunica comminata da Benedetto XII nel 1339, in seguito all’ennesimo rifiuto di Pietro II di consegnare la Sicilia a Roberto d’Angiò. La familiarità con i regnanti è testimoniata anche dalla nomina come esecutore testamentario di Guglielmo, duca di Atene e Neopatria nel maggio del 1338.
Il ruolo raggiunto dovette, inevitabilmente, portare al mutare dei rapporti con i Chiaromonte che, negli anni Trenta e Quaranta del Trecento, stavano consolidando il loro potere a Palermo. Nelle vicinanze del territorio della università palermitana si trovavano Ciminna – che assieme a Sclafani gli consentiva di controllare Caccamo, feudo dei Chiaromonte – e Chiusa che Sclafani aveva fondato, popolato e fortificato tra il 1333 e il 1345 rafforzando il controllo territoriale nella zona a sud di Palermo. E proprio dal suo castello di Ciminna, seguì gli eventi che in quegli anni si svolgevano a Palermo evitando di prendere posizione anche quando, nel 1351, scoppiò l’ambigua rivolta antichiaromontana di Lorenzo Murra.
Manfredi Chiaromonte l’avrebbe favorita celatamente per smascherare i suoi nemici; tra questi, secondo il cronista Michele da Piazza, vi era proprio Sclafani. La rivolta seguiva un decennio in cui a Palermo si erano registrate scorrerie perpetrate da bande armate, tra cui gli stessi cavalieri di Matteo che partivano da Ciminna. Allo scoppio della rivolta, Lorenzo Murra e Roberto de Pando avevano invitato a Palermo Sclafani, che non era caduto nella trappola ma «discretus et sagax» era rimasto a Ciminna, lasciando che Murra si insediasse nel suo palazzo e mantenendo rapporti epistolari con le autorità cittadine (Michele da Piazza, Cronaca, a cura di A. Giuffrida, 1980, pp. 128-133). Il sostegno dato ai rivoltosi avrebbe portato, comunque, all’inevitabile e definitiva frattura con la città.
L’avvicinamento di Sclafani alla parte catalana era stato rafforzato dai matrimoni contratti dalle figlie: la primogenita, Margherita, aveva sposato Guglielmo Raimondo Moncada, futuro conte di Augusta; la secondogenita, Luisa, Guglielmo Peralta, figlio del conte di Caltabellotta, Raimondo.
Qualche anno dopo la rivolta, il 6 settembre 1354, in punto di morte Sclafani espresse le sue ultime volontà, come aveva già fatto oltre tre volte, nel 1333, nel 1345 e nel 1348.
L’ossessione per i testamenti da parte di Sclafani esprime, oltre al mutare delle condizioni politiche e dei rapporti familiari, la necessità di salvaguardare il patrimonio accumulato nella speranza che arrivasse l’erede più degno, obbligato, in mancanza del desiderato figlio maschio, a perpetuare il nome e le armi del testatore. Così il 6 agosto 1333 Matteo nominò suoi eredi la figlia Luisa e il nipote Matteo Moncada, figlio di Margherita, a condizione che si chiamasse in perpetuo Matteo Sclafani e portasse le sue armi «pura et sine aliqua immissione aliorum armorum» (Russo, 2005, doc. I, pp. 523 s.). La ripartizione dei beni tra Luisa e Matteo Moncada si mantenne nei testamenti del 2 aprile 1345 e del 28 maggio 1348 in cui il conte impose agli eredi il mantenimento delle sue armi e delle insegne.
Nel testamento del 1354, gli orientamenti circa la successione mutarono radicalmente: Sclafani dispose che eredi fossero i due figli di Luisa, Guglielmo e Matteo. Questa scelta dipese, oltre che dalla predilezione per la secondogenita, dalla stipula del contratto matrimoniale di quest’ultima con Guglielmo Peralta, figlio di Raimondo, conte di Caltabellotta, cancelliere del Regno e gran camerario.
Da questo atto, redatto non più a Palermo ma a Chiusa, risulta evidente il mutato rapporto con la città: il testatore non menzionò più i beni esistenti a Palermo, ormai confiscati, e mutò le disposizioni relative alla sepoltura. Se nel 1333, nel 1345 e nel 1348 aveva scelto le chiese di S. Francesco o di S. Chiara di Palermo, nel 1354, temendo probabilmente che il corpo non potesse rientrare intatto nella città per essere sepolto, dispose di essere inumato nella chiesa di S. Francesco a Palermo, «dissoluto primo corpore suo sepelito» nel castello di Chiusa (docc. I, II, III, IV).
Sclafani morì tra l’8 settembre e il 20 dicembre 1354.
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