scolastica
Dal lat. mediev. scholastica, femm. sostantivato dell’agg. scholasticus. Il termine, in questa accezione sostantivata, ha la sua origine nel Rinascimento, e deriva dalla parola scholasticus, che indicava, già nel Medioevo, il maestro che dirigeva una scuola o semplicemente vi insegnava; questo senso ‘professionale’ della parola fu dagli umanisti preso a indicare tutto un orientamento di pensiero, quello appunto che nasce dalle scholae medievali rappresentate dagli scholastici. Va anche detto che nella sua origine umanistica il termine s. ha un significato tendenzialmente spregiativo, in quanto indicherebbe una filosofia istituita tradizionalmente nelle scuole e legata a un’impostazione metafisico-teologica; significato questo che è restato anche in molta storiografia moderna, soprattutto ottocentesca. Gli studiosi hanno discusso sulla possibilità di raccogliere attorno ad alcuni principi comuni la filosofia medievale, che in realtà è estremamente complessa, includendo posizioni speculative diversissime: platonismo e aristotelismo, accettazione o repulsa delle tecniche logiche applicate al dogma, misticismo affettivo o speculativo, ecc. Così pure si è discusso se con il termine «filosofia medievale» debbano intendersi tutte le varie forme di pensiero dell’età media – quindi anche la speculazione propriamente ‘teologica’ – o solo quelle impegnate in problemi di pura filosofia, indipendentemente dalla rivelazione e dalla tradizione dogmatica. Si può notare tuttavia che indubbiamente la s. presenta dei motivi fondamentali comuni: un atteggiamento di ossequio di fronte alla fede, che può manifestarsi sia come repulsa di ogni speculazione puramente razionale, sia come approfondimento, attraverso la filosofia, dei dati rivelati; una tradizione filosofica comune, che trova il suo fondamento nella speculazione platonico-agostiniana e successivamente (ma con varie posizioni comuni a quella), nell’aristotelismo; infine una tecnica di studio e d’insegnamento, che, formatasi lentamente attraverso le scuole monastiche e cattedrali, giunge poi a piena maturità nelle università (struttura piramidale del sapere che dalle arti del trivio e del quadrivio giunge al suo coronamento nella teologia; procedimento sillogistico; organizzazione dei trattati come commento agli «autori» e summae; insegnamento mediante la lectio e la quaestio, ecc.). Quanto poi al senso da dare al termine «filosofia scolastica», può notarsi che questa si svolge in intima connessione all’insegnamento della fede e al magistero ecclesiastico: di qui il prevalere dei problemi metafisici, e soprattutto il continuo sforzo di elaborare una giustificazione filosofica dei dati rivelati, non con la pretesa di rendere razionale il dogma, ma piuttosto di prendere il dogma come fondamento del filosofare. La filosofia scolastica non s’intende se si muove da una definizione puramente razionalistica della filosofia (tale cioè che respinga i problemi dell’esperienza religiosa), e neppure può considerarsi come pura esplicazione di tecniche filosofiche mutuate dall’antichità, relegando nel campo della teologia le speculazioni sul dogma: è invece necessario intendere la filosofia nella sua più larga accezione, cioè come riflessione sui dati dell’esperienza, e quindi anche sui dati dell’esperienza religiosa che nutre l’animo del pensatore cristiano. Del resto va ricordato che la distinzione – che a volte diviene contrapposizione – di filosofia e teologia è estranea alla speculazione cristiana fino a tutto il 12° sec., che intendeva la teologia come il momento più alto della riflessione filosofica; quella distinzione si viene formulando invece nel corso del 13° sec., quando, per l’introduzione nell’Occidente latino del grande sistema aristotelico e dei commentatori arabi, s’intenderà per «filosofia» l’insegnamento di Aristotele, e per «teologia» la riflessione speculativa sui dati dell’esperienza cristiana: e da questo momento sarebbe erronea prospettiva storica ridurre la filosofia scolastica alla ripresa dell’opera e dei temi dello Stagirita, mentre è più aderente alla complessità della cultura medievale considerare come «filosofia» tutta la speculazione, anche quella che si organizza attorno ai dati rivelati come preparazione o esplicazione di questi. Si può tentare, secondo la comune opinione degli storici, la seguente periodizzazione della s., il cui inizio, nell’uso corrente, si pone alla fine della patristica (➔).
Scomparsi Boezio e Cassiodoro – che tentarono con la loro opera di trasmettere parte della cultura ellenistica e patristica ai secoli futuri – tramonta l’ultima luce della civiltà classica: i secoli successivi sono caratterizzati dall’estrema povertà di ogni espressione culturale, e le scuole monastiche impartiscono un magro insegnamento elementare, fondato sul manuale di Marziano Capella (De nuptiis Mercurii et Philologiae) e sulle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, mentre le poche opere di esegesi si fondano sui commenti di Ambrogio, Agostino, Gregorio Magno, che spesso addirittura riassumono e trascrivono; abbiamo poi le «enciclopedie» di Beda e Rabano Mauro. I primi tentativi di una speculazione filosofico-teologica si hanno nel 9° sec., durante la rinascita carolingia, nutrita soprattutto da Boezio (che non è solo maestro di dialettica, ma di filosofia e teologia tramite la Consolatio philosophiae e i trattati teologici, opere da allora più volte commentate nel Medioevo) e da Agostino, che è il maestro di tutta la speculazione medievale e, ben più, di tutta la spiritualità cristiana. Alcuino s’impegna in procedimenti dialettici per spiegare il dogma trinitario (De fide sanctae et individuae Trinitatis), mentre il primo vigoroso affermarsi della dialettica si ha nel caso della controversia eucaristica tra Pascasio Radberto e Ratramno di Corbie, e di quella sulla predestinazione cui intervennero Ratramno, Gotescalco d’Orbais, Scoto Eriugena, Incmaro di Reims e altri. Ma indubbiamente il primo grande lavoro filosofico di questa età – uno dei monumenti speculativi del Medioevo – fu il De divisione naturae di Scoto Eriugena. Nutrito alla filosofia neoplatonica tramite la lettura dello pseudo-Dionigi, di Gregorio di Nissa e Massimo il Confessore (autori tutti che allora per la prima volta venivano «scoperti» dall’Occidente latino), egli costruisce un complesso sistema che spiega la derivazione del molteplice dall’uno e il ritorno di quello a questo secondo il tipico ritmo procliano della πρόοδος (descensus) e dell’ἐπιστροφή (reversio), così da sfumare i concetti di creazione e di grazia in quelli platonici di emanazione e partecipazione. Tuttavia il sistema di Scoto Eriugena non è – come alcuni storici hanno creduto – immanentistico o panteistico, perché egli resta sempre ancorato ai fondamentali principi della rivelazione (trascendenza, creazione, redenzione, grazia). Dopo l’età carolingia, la speculazione sembra ricadere in una grigia mediocrità fino ai primi decenni dell’11° sec. anche se non mancarono uomini di cultura come, per es., Gerberto di Aurillac e Fulberto di Chartres.
Alcune grandi controversie che esplodono alla metà dell’11° sec. (problema delle investiture, questione degli universali, controversia berengariana) segnano il trapasso a questo nuovo periodo, che è caratterizzato dall’affermarsi della dialettica e dal suo progressivo predominio sulle altre arti liberali. E ben presto la dialettica passò facilmente anche sul terreno delle controversie teologiche: se ne ha la più cospicua manifestazione nell’opera di Berengario di Tours e nella sua dottrina eucaristica che Lanfranco di Pavia – suo grande avversario – denunciava appunto come fondata esclusivamente sul procedimento dialettico contro l’argomento di autorità. Questa controversia, che vede porsi il problema dei rapporti tra ragione e fede (risolto da Pier Damiani con l’assoluto predominio di questa su tutte le pretese dell’umana speculazione), s’interseca con l’altra sorta attorno al valore degli universali. S’incontrano qui due orientamenti opposti: da un lato, l’universale è concepito solo come «parola» (flatus vocis) senza alcuna realtà oggettiva e senza valore extramentale, pura costruzione del soggetto (nominalismo: Roscellino di Compiègne); dall’altra (è la posizione platonica, trasmessa soprattutto da Agostino e riaffermata nel modo più radicale da Scoto Eriugena), l’universale è concepito come una realtà oggettiva, extramentale (realismo platonico): l’universale esiste separato, e le cose sensibili ne sono pallida imitazione o partecipazione (prima posizione di Guglielmo di Champeaux, Oddone di Cambrai, Anselmo d’Aosta, ecc.). Si fa intanto avanti, sotto l’influenza degli scritti logici di Boezio e di Aristotele, una soluzione intermedia (concettualismo), secondo la quale gli universali non esistono separati, ma negli individui dai quali il soggetto può trarli (experientia collecta: Abelardo). Per il progresso del metodo scolastico hanno particolare valore in questo periodo Anselmo d’Aosta e Abelardo. Il primo – ancorato al realismo platonico-agostiniano – tenta la trattazione filosofica dei grandi problemi teologici e metafisici: esistenza di Dio, trinità, libertà e grazia (già questa assunzione monografica di problemi teologici staccata dal diretto riferimento alla Scrittura è fatto di notevole importanza nello sviluppo del metodo scolastico). Su questi argomenti egli cerca le «rationes necessariae», volutamente prescindendo dall’auctoritas scritturale che offre pur sempre i temi alla sua speculazione («fides quaerens intellectum»): in questo senso non solo vanno ricordati il Proslogion e il Monologion (che elaborano le prove dell’esistenza di Dio, sul piano ontologico il primo, sulla via del realismo platonico il secondo), ma soprattutto il De trinitate, perché prende a oggetto di riflessione filosofica una verità rivelata (ma andrà ricordato che per Anselmo, così come per Abelardo, coerentemente alla tradizione agostiniana, non vi è eterogeneità tra la ratio dell’uomo e la ratio che è a fondamento della rivelazione, perché l’una e l’altra, sia pur diversamente, sono espressioni del Verbo, ratio veritatis). Abelardo, d’altro lato, è il primo a tentare una trattazione sistematica dei problemi teologici, con il sussidio della logica alla quale egli dedica molteplici opere (commenti ad Aristotele), e nella convinzione della possibilità di utilizzare le dottrine filosofiche (soprattutto platoniche) nel discorso teologico per la loro affinità agli insegnamenti cristiani a causa della revelatio di cui anche i pagani furono partecipi. Sicché Anselmo e Abelardo possono ben essere considerati come i padri del metodo scolastico; la loro opera fu poi continuata soprattutto da Gilberto Porretano e Alano di Lilla, del quale sono da ricordare in partic., da questo punto di vista, le Regulae theologicae e le Distinctiones. Frattanto, nella prima metà del 12° sec., tutto l’orizzonte culturale si fa più vasto: mentre sorgono le nuove scuole e assistiamo al fiorire delle scuole cattedrali e al nascere delle università, entrano nell’Occidente latino le prime traduzioni di autori greci e arabi (da Aristotele a Tolomeo, da al-Fārā΄bī ad Avicenna), che si fanno sempre più numerose nel corso del secolo e si coronano nella prima metà del 13° sec. con la traduzione – tra gli altri – di Averroè e l’ingresso dei suoi commenti nelle università. La prima testimonianza del nuovo impegno culturale dell’Occidente latino si ha nella prima metà del 12° sec., che, accanto alla scuola di Abelardo – e a quelle di Orléans, Montpellier, Bologna, ecc. – vede fiorire la scuola di Chartres, centro di cultura platonica in cui si congiungono gli studi letterari a quelli filosofici e scientifici (Bernardo di Chartres, Teodorico di Chartres, Guglielmo di Conches, Bernardo Silvestre, Giovanni di Salisbury); è anche l’epoca delle prime summae o raccolte sistematiche di sentenze teologiche che si formano parallelamente alle prime organiche raccolte canonistiche (tra le raccolte di sentenze avranno poi importanza fondamentale, perché adottate per secoli come libro di testo, le Sentenze di Pietro Lombardo, opera per sé di scarsissimo impegno speculativo).
La s. del 13° sec. ha due tratti caratteristici: l’accoglimento del materiale aristotelico e neoplatonico, che affluiva da fonti arabe e greche; la costruzione sistematica di un nuovo sapere che fa tesoro della cultura greco-araba recentemente scoperta, e che in vari modi risolve il problema del rapporto tra questo nuovo sapere e la tradizione speculativa cristiana. È in questo momento infatti che viene a confermarsi il problema del rapporto tra la filosofia (in genere identificata con l’aristotelismo) e la teologia, cioè con un sapere fondato sulla rivelazione e sulla tradizione speculativa cristiana. La prima metà del secolo si caratterizza per la progressiva assimilazione dell’aristotelismo, che, malgrado le condanne, entra rapidamente nelle facoltà delle arti (nel 1255 entra negli statuti) e si impone, con i suoi metodi, nell’insegnamento della teologia. Tuttavia, troppe erano le differenze tra la filosofia cristiana quale si era venuta sviluppando nei secoli precedenti e la filosofia aristotelica; sicché, anche dopo l’adozione delle opere di Aristotele nei programmi universitari, forti furono le opposizioni alla sua filosofia, soprattutto sui problemi dell’origine del mondo, della provvidenza, della forma sostanziale e dell’immortalità dell’anima. Si vennero così delineando varie correnti all’interno della filosofia scolastica: l’agostinismo, che, pur differenziandosi dall’agostinismo tradizionale per l’accettazione della fisica aristotelica, sottolineava le insanabili divergenze tra aristotelismo e filosofia cristiana e respingeva le varie forme di concordismo, mentre ciò che utilizzava di Aristotele lo sottoponeva a una interpretazione platoneggiante, aiutato in ciò dai commenti di Avicenna (onde si è anche parlato di agostinismo avicennistico); l’averroismo, caratterizzato dall’accettazione dell’interpretazione di Aristotele data da Averroè, che faceva proprie in sede «filosofica» (cioè all’interno della filosofia aristotelica) le tesi peripatetiche, senza preoccuparsi della loro divergenza dal pensiero cristiano, anzi spesso sottolineando tale divergenza (l’averroismo fu condannato da Stefano Tempier nel 1277); il tomismo, che tentava invece il più completo concordismo tra Aristotele e cristianesimo, sottoponendo lo Stagirita a un processo di reinterpretazione, in polemica soprattutto con Averroè: per questo atteggiamento concordistico, il tomismo non andò esente da condanne da parte di coloro che denunciavano in esso il tentativo «de Aristotele haeretico facere omnino catholicum». Tuttavia il tomismo non tardò a conquistare molte scuole teologiche, soprattutto domenicane, sì da essere considerato più tardi, con parziale prospettiva storica, come la migliore espressione della filosofia scolastica. Queste varie correnti, che nella seconda metà del 13° sec. giunsero alla loro piena maturazione (ne sono massimi esponenti, rispettivamente, Bonaventura da Bagnoregio, Sigieri di Brabante, Tommaso d’Aquino), rappresentano un punto saliente della speculazione scolastica impegnata, sia pure con prospettive diverse, in un vasto sforzo di sintesi che si manifesta nei grandi commenti alle Sentenze, nelle summae e nei commenti ad Aristotele. Ma se l’impegno di questi pensatori si orientò soprattutto sul piano metafisico-teologico, non va dimenticato che le opere di filosofia naturale di Aristotele e degli Arabi promossero un movimento scientifico di notevole significato, che, se trova i suoi primi cenni nelle farraginose opere di Alberto Magno, si afferma più chiaramente in Roberto Grossatesta e R. Bacone. Il 14° sec., in cui le varie correnti del secolo precedente trovano i loro continuatori ma anche i critici più acuti, è spesso presentato come epoca di decadenza e dissoluzione: è prospettiva fallace, che parte dal presupposto che il punto culminante della s. sia rappresentato dalla «sintesi tomistica» di aristotelismo e cristianesimo. In realtà, se si osserva l’effettivo sviluppo del pensiero filosofico nel 14° sec., vi si troverà una revisione critica delle prospettive elaborate nel 13° sec. e un approfondimento delle antinomie che in quelle prospettive erano insite. Lo sviluppo e la critica avvengono su un piano prevalentemente logico-metafisico (solo più tardi, con il Rinascimento, si avrà il definitivo superamento dell’aristotelismo con gli strumenti delle nuove scienze): è l’opera dei maestri francescani, e in partic. di Giovanni Duns Scoto, di Guglielmo di Occam e, non ultimo, di Nicola di Autrecourt. Questi pensatori portarono la loro critica su alcuni principi fondamentali della gnoseologia e della metafisica aristotelico-tomistica: contro la dottrina della conoscenza astrattiva dell’universale sostennero il primato di quella intuitiva del particolare; contro la teoria dell’individuazione tramite la materia signata esaltarono in ogni individuo un principio interno, autonomo, d’individualità; contro la pretesa di dimostrare con l’aristotelismo le verità del cristianesimo vollero limitare la portata della sillogistica aristotelica. Duns Scoto avvia la critica al tomismo con la sua dottrina dell’haecceitas, che costituisce il principio d’individuazione proprio di ciascun individuo; d’altro lato, la sua valorizzazione della volontà si contrapponeva al rigido intellettualismo aristotelico. Ma è soprattutto Guglielmo di Occam che si pone come uno dei più acuti critici dell’aristotelismo; egli insiste sull’assoluta priorità dell’individuale, nega ogni valore metafisico e gnoseologico agli universali, da lui ridotti a schemi pratici per ordinare la realtà concreta, limita le possibilità della ragione aristotelica, e – sul piano politico – nega l’assoluta teocrazia papale. Sulla linea di questo pensiero, come suo critico sviluppo, si trova Nicola di Autrecourt, che mostra l’assurdità della dottrina aristotelico-tomistica (in parte accettata ancora dai maestri francescani) della specie intenzionale e nega la validità dei concetti metafisici di sostanza e di causa: in loro vece pone, come unico fondamento di certezza, l’esperienza e i giudizi analitici. Si supera così lentamente l’edificio della filosofia-teologia aristotelico-tomistica e si apre una nuova problematica. Frattanto si sviluppano nuove importanti dottrine scientifiche, come quelle dell’impetus e del calcolo matematico applicato ad alcuni fenomeni: via che sarà ripresa e allargata dalla scienza del Rinascimento. Né di minore interesse è, nel 14° sec., il ritorno della dialettica neoplatonica, tramite soprattutto le opere di Proclo, tradotte nel 13° sec. da Guglielmo di Moerbeke: il platonismo trova la sua prima affermazione nell’ambiente della scuola di Colonia, in Teodorico di Vriberg, in Bertoldo di Moosburg (che scrisse un largo commento alla Elementatio theologica) e in Eckhart di Hochheim che tocca i vertici della speculazione parmenidea; la loro influenza, larga in Johannes Tauler e Dionigi il Certosino, alimenta poi la potente sintesi di Niccolò da Cusa. L’importanza di questa corrente neoplatonica – dal punto di vista del metodo scolastico – sta nella polemica contro la logica aristotelica del finito e nel tentativo di elaborare una dialettica dei contrari capace di attingere l’infinito, mentre si supera la metafisica aristotelica che aveva organizzato il mondo in una rigida e chiusa gerarchia di esseri finiti. Così tutti questi orientamenti del 14° sec., lungi dal rappresentare una «decadenza», significano il travaglio critico dello spirito che a un metodo e a una sintesi quale si può vedere maturata nella seconda metà del 13° sec. viene sostituendo altri metodi, avanzando su nuove prospettive che i secoli seguenti riprenderanno, inverandole e superandole.
Tuttavia le scuole nate dall’insegnamento dei maggiori maestri della s. (in partic. Tommaso d’Aquino e Duns Scoto), spesso identificantisi con ordini religiosi (per es., i domenicani più legati al tomismo, i francescani allo scotismo), garantiscono la prosecuzione dei problemi caratteristici della s. aristotelica nell’età moderna. In partic. la s. fiorisce nel 16° sec. (cosiddetta nuova scolastica) per opera di alcuni autori che riprendono direttamente dai grandi maestri medievali i temi fondamentali della loro speculazione e ne proseguono la tecnica espositiva: ne è uno dei massimi esponenti il cardinal Tommaso de Vio, detto il Gaetano, che commentò Aristotele e Tommaso (celebre è appunto il suo ampio commento alla Summa theologiae) non senza però rivedere varie posizioni tomistiche (concetto di analogia, principio di individuazione, possibilità di dimostrare filosoficamente l’immortalità dell’anima) avvicinandosi a posizioni scotistiche. Ma una vera e propria restaurazione della s. si ebbe per opera di alcuni spagnoli: Domingo Soto, Fonseca, Suárez, autore quest’ultimo delle Disputationes metaphysicae, che costituiscono il frutto maturo di tale movimento. Il quale peraltro, malgrado la sua acutezza speculativa, resta un po’ ai margini della cultura rinascimentale orientata verso nuovi – e più critici – atteggiamenti di pensiero, alimentati dal patrimonio filosofico antico ormai più largo del solo peripatetismo e soprattutto nutriti delle nuove scienze che allargano l’orizzonte all’umano pensiero. Una ripresa e un rinnovamento della filosofia scolastica (sia come temi speculativi sia come oggetto di studi storici) si sono avuti alla fine del 19° sec. con la restaurazione del tomismo per opera di Leone XIII (➔ neoscolastica).