SCORCIO
. Un oggetto si pone di scorcio davanti al nostro occhio, quando i suoi elementi, anziché su un piano parallelo o normale a quello del nostro sguardo, siano disposti obliquamente, sì che alcuni si avvicinino ed altri si allontanino nello spazio, aggruppandosi e coprendosi in parte. La rappresentazione d'una figura che si presenti in tal modo esprimerà questo aggrupparsi e allontanarsi nello spazio delle sue parti, in modo che, pur rimanendo talune di queste celate e altre raccorciate, la figura conservi in tale complessa molteplicità l'unità, la coerenza fondamentale del suo agire e del suo essere. Dato che un perfetto prospetto o profilo si effettuano solo in rari casi, si può dire che la maggior parte delle figure e dei corpi sono da noi percepiti obliquamente o di scorcio; pertanto questo è modo frequentissimo e normale del nostro apprendimento.
In una considerazione naturalistica dell'arte lo scorcio, come qualità della rappresentazione, è stato considerato e valutato a parte, astratto dal valore artistico in sé. Raramente l'arte può riprodurre l'ente esterno con tutto il suo volume; più spesso si apportano alla realtà delle modificazioni, delle deformazioni, determinando un'immagine che non è più della realtà, ma una sua traduzione secondo determinate leggi della nostra percezione. Si pensi alla rappresentazione con il disegno, su un piano, di un volume solido, di un corpo pieno in azione. È lo stesso principio per il quale nasce la prospettiva, considerata come regolata da un principio scientifico universale e assoluto, che si conquista progressivamente.
Ma mentre la prospettiva è relativa a uno sfondo spaziale, in cui pur siano collocate figure e cose, o a un'architettura, lo scorcio invece è relativo ai solidi, ai volumi di forma complessa; non si parlerà di scorcio di un paesaggio, mentre invece se ne parlerà per la rappresentazione di un corpo o figura.
Dato un punto di vista, e i modi della nostra percezione ottica, si potrebbe determinare la qualità della deformazione, dell'alterazione nel rappresentare corpi solidi; deformazione che approda a una verità apparente, per la vista. Si tratterebbe quindi di una qualità istintiva, che lo studio può individuare, rendere cosciente e aiutare, dandone la formulazione generale, quasi rendendola legge di carattere universale.
Per quanto lo scorcio sia percettibile anche nelle immagini a tutto tondo, cioè dotate di volume effettivo, essa è particolare delle arti del piano: pittura, disegno, rilievo, in cui domina la deformazione dei volumi e dei corpi, la loro rappresentazione con una verità apparente e illusiva. Da un punto di vista naturalistico, allora, lo spessore dell'oggetto viene ad essere ridotto e contratto variamente, a seconda del punto di vista, e l'oggetto stesso contorto per esprimere efficacemente il moto e la distensione obliqua nello spazio.
C'è uno scorcio errato e uno esatto; di qui l'opinione di una sapienza da conseguire, di una conoscenza da maturare in un campo tecnico, estraneo al valore espressivo delle opere; la credenza di un'insufficienza e inscienza iniziali, da cui si è partiti nella conquista delle leggi e dei modi dello scorcio; la coscienza del problema e la sua soluzione sarebbero merito dell'arte greca, ma anche dopo, molte altre espressioni, specie popolari, avrebbero ripetuto gli errori degli inizî.
Il problema dello scorcio ha interessato soprattutto durante la prevalenza della concezione naturalistica dell'arte, quando la storia dell'arte si considerava come un cammino alla conquista di qualche cosa di definitivo, che si spostava sempre più in là, né mai diventava una realtà da poter fermare una volta per sempre. Era il desiderio di codificare leggi inesistenti. Né senza una ragione esso è stato formulato prevalentemente nei riguardi dell'arte antica, nella quale, in specie prima dell'età greca, è più notevole ed evidente l'irrealtà e l'antinaturalità della rappresentazione di fronte al nostro attuale modo di vedere e di rappresentare, e in cui il concetto di progresso ha trovato maggiore applicazione.
Da un punto di vista storico, la conquista cosciente dello scorcio o di una piena unità di rappresentazione occupa un lungo cammino; ma non mancano anticipazioni, ritorni a posizioni superate o prevalenza di unità di puro carattere decorativo; sì che è difficile fornire dei lineamenti sintetici validi per tutti i casi, e soprattutto uno di carattere ascendente e continuo, quali solitamente cerca di tracciare lo studio.
Le arti più antiche hanno cercato di adeguare le loro rappresentazioni, di pieno profilo o prospetto, a un piano normale alla visuale, e hanno preferito di annullare la rappresentazione del volume nel disegno. Così è di ogni primitivismo: basti pensare alla pittura del periodo quaternario, la prima apparsa nel mondo, alle sue opere mirabilmente efficaci, il segreto della cui coerenza e unità sta nell'assoluta elementarietà, che annulla particolari e descrizioni analitiche; in alcune di esse sono affrontati i primi problemi di rappresentazioni di scorcio, specie in certe figure di bovini, torcenti il capo all'indietro e con una certa obliquità impressa alla parte in movimento; anche in questo caso si tratta sempre di intuizioni immediate di entità semplicissime; il superamento del semplice profilo avviene di intuito, inconsciamente; così, nella scultura, le plastiche quaternarie e del primo neolitico escono dalla frontalità e sono immerse nello spazio con il loro pieno volume.
Con le arti orientali si costituisce una visione quasi canonica delle figure, rappresentate di puro profilo o prospetto; e si determina quella rappresentazione dello scorcio della figura umana, nota soprattutto per il disegno e la pittura dell'Egitto antico, durata millennî, in cui il corpo si presenta costituito di svariati elementi sovrapposti di profilo e di prospetto: di solito la parte inferiore di profilo, il tronco di prospetto e la testa di profilo; esempio caratteristico di prima soluzione al problema della rappresentazione dello scorcio, e di mancanza di unità di visione tra i varî elementi della figura. Nell'arte egizia però non mancano superamenti di tale posizione; abbiamo qualche caso di figure umane rappresentate sui tre quarti, obliquamente, in cui il problema è risolto e l'unità efficace raggiunta. Si tratta però di eccezioni; e anche il periodo di Amenhótpe IV, tanto importante per il fiotto di realtà entrato nell'arte, non si è sciolto da quella rappresentazione canonica dominante.
Lo stesso si deve dire per le arti babilonese e assira, e per quella minoica; alle rappresentazioni di prospetto e profilo si unisce l'altra, in cui le figure sono parte di fronte e parte di fianco, come a frammenti sovrapposti; forse solo alcuni casi si potrebbero additare, eccezioni in cui il problema della rappresentazione dello scorcio è affrontato; più efficaci e riuscite le più semplici. La tazza aurea micenea di Vafiò offre la nota figura del toro torcentesi su sé stesso, ma non per un vero e proprio scorcio, sibbene per una contorsione innaturale, in cui il corpo è diviso in due elementi di profilo collocati in direzione contraria; anche in questo caso l'unità non è conquistata e il piano non è stato superato dalla rappresentazione spaziale.
Si attribuisce all'arte ellenica la conquista dello scorcio; è effettivamente essa che realizza una complessa e conscia unità di visione, dopo l'atomica molteplicità del mondo orientale. Anch'essa agl'inizî è legata alle convenzioni precedenti: il rilievo e il disegno dell'arcaismo ne forniscono esempio. Ma nel periodo della maturazione dei valori maggiori, concluso con la trionfale compiutezza del secolo V, dall'atomismo dell'arcaismo si è, a mano a mano, levata la possibilità della visione unitaria e vitale, l'intuizione dell'unità delle sostanze e il superamento dell'angustia del piano reale. Pur nella modicità degli sforzi, si capisce che esiste la possibilità di rappresentare figure proiettate nello spazio, in qualsiasi obliquità di posizione, o nella torsione sul proprio asse. Questo si afferma anzitutto nei disegni ceramici e nei rilievi, in cui di decennio in decennio possiamo additare le tappe della cosciente conquista; mentre nelle metope del Tesoro degli Ateniesi a Delfi la torsione e lo scorcio non riescono a liberarsi da un descrizionismo analitico, e da un residuo di legame al piano, in quelle, circa un ventennio posteriori, del tempio di Olimpia, le figure sono già complete, libere nell'espressione dei movimenti, e talune si collocano oblique al nostro sguardo. Ed è stato intuito il rapporto di queste rappresentazioni abbreviate con quelle in pieno volume del tutto tondo.
Nel seguito dell'arte greca, per quanto, specie nel rilievo, la preferenza vada sempre al movimento di figure perpendicolari al nostro sguardo, e a una loro disposizione su piani sempre paralleli all'anteriore, anziché all'obliquità e ai gesti che traversino lo spazio verso la profondità, le rappresentazioni di scorcio spesseggiano e l'arte ha conquistato la disinvoltura di rappresentare le forme complesse con i loro elementi allontanantisi e abbreviantisi nello spazio, e l'abilità di adattarle alle condizioni del nostro occhio anche superando l'unico punto di vista a cui erano legate le opere più antiche. Le sculture del Partenone costituiscono l'esempio migliore di questa coscienza.
Rappresentazioni di prospettive e di scorci dominano infine nell'arte romana, soprattutto nella pittura, in cui è in atto la conquista del paesaggio; l'illusione pittorica offre il campo più vasto a simili invenzioni, e in essa le figure di scorcio e oblique sono disinvolte e frequenti; talvolta è per mezzo di esse, allontanantisi nella profondità, che l'artista avvalora le sue invenzioni spaziali e dà allo spazio la più decisiva realtà.
Lo scorcio, strettamente connesso con la composizione prospettica dello spazio, implica necessariamente un'esperienza plastica. Ciò spiega perché, nei musaici ravennati e nella pittura bizantineggiante dal sec. VI al XII, la predominante ricerca di valori cromatici elimini ogni preferenza per lo scorcio, che pure aveva avuto largo sviluppo nell'arte classica ed ellenistica; anzi, le figure si appiattiscono sul fondo fino a ridursi a semplici superficie di colore brillante. Né si possono considerare effetti di scorcio certi brevi suggerimenti di profondità, che si ritrovano talora nella scultura del periodo romanico e la cui funzione è limitata alla determinazione di una rapida sintesi di visione, del tutto indipendente da un'organica successione di piani in profondità. Il problema dello scorcio non interessa neppure l'arte gotica, il cui linearismo si risolve in arabesco senza realizzare valori di spazio.
Nell'arte del Rinascimento, invece, lo scorcio è un elemento essenziale del linguaggio figurativo. Se nella pittura di Masaccio i non frequenti effetti di scorcio valgono essenzialmente come un accento drammatico, che esalta l'intensità della rappresentazione abbreviandone lo svolgimento descrittivo - come, ad es., nel Tributo, la figura di Pietro che toglie la moneta dalla bocca del pesce -, in Paolo Uccello e in Andrea del Castagno lo scorcio vale a risolvere sul piano il rapporto fra figure e spazio e a proiettare sulla superficie, in perfetta unità di visione, la successione dei piani prospettici; con funzione analoga, sebbene con diversi risultati artistici, nelle sculture di Donatello, lo scorcio abbrevia bensì lo svolgimento descrittivo delle figure, ma allo scopo di intensificare, nel più serrato accostamento degli elementi plastici, il contrasto dell'ombra e della luce. Da queste premesse, varî sono gli sviluppi dello scorcio in rapporto alle varie esigenze artistiche. Il Pollaiolo concepisce lo scorcio in funzione di movimento; ed è il movimento che determina il collegamento tra la figura umana e lo spazio prospettico; lo scorcio è dunque attuato essenzialmente attraverso un più rapido e sintetico raccordo delle linee di contorno; né a Firenze, per tutto il Quattrocento, l'interpretazione pollaiolesca dello scorcio subisce notevoli varianti. Il Mantegna, partendo dalle premesse donatelliane, si vale dello scorcio - allo studio del quale si dedicò con un interesse che basterebbe il Cristo morto della Pinacoteca di Brera a documentare - per attuare il raccordo tra figura eroica e spazio infinito; e attraverso questa più che mai complessa congiunzione dei valori formali delle figure con lo spazio paesistico, il Mantegna prepara lo sviluppo pittorico del gusto veneto; nel quale, dunque, lo scorcio ha implicitamente una notevole importanza, anche prima che Tiziano se ne servisse per far emergere alla superficie della luce o per immergere nell'ombra dei fondi le forme delle sue figure.
Nel Cinquecento Michelangelo riprende lo scorcio pollaiolesco e lo impegna a ingigantire le forme, a dar loro una determinazione plastica esasperata, insofferente dello spazio finito, contratta in torsioni che riassumono tutto lo spazio. Nel Correggio lo scorcio, linearisticamente attuato, vale a elidere i limiti della figura nello spazio, a proiettarla in lontananze atmosferiche, a dare alla rappresentazione un valore d'instabilità e quasi di fugacità.
A Venezia, lo scorcio giunge con l'esperienza del disegno di Michelangelo e assume funzione opposta nel Tintoretto e nel Veronese. Nel primo è abbreviazione, contrazione delle forme, pretesto a flettere la struttura plastica delle figure al violento luminismo che le rivela; nel secondo determina effetti di "sotto in su", pretesto a evidenze cromatiche di primissimo piano e a tenuità coloristiche e atmosferiche di orizzonte, pur nei limiti di una stessa figura.
La concezione michelangiolesca dello scorcio, sebbene presto tradotta in arida esercitazione tecnica e poi in artificio scenico, predomina nel manierismo e nel barocco. Certo allo scorcio michelangiolesco si riferisce la definizione vasariana dello scorcio, il quale "fa apparire le figure di più quantità ch'elle non sono; cioè una cosa disegnata in faccia corta, che non ha l'altezza o lunghezza ch'ella dimostra, tuttavia la grossezza de' dintorni, l'ombre, i lumi fanno parere ch'ella venga innanzi o si tiri indietro".
Lo scorcio che nell'arte di Michelangelo era un modo della visione e un superamento, attraverso l'esasperazione delle masse e dei volumi, dell'esigenza plastica, diventa nel barocco pretesto a rettorici atteggiamenti o a estrinseche drammaticità compositive o ad artificiosi illusionismi spaziali; solo nel Caravaggio, lo scorcio ha diretta funzione di espressione artistica. Nel Barocco, lo scorcio è essenzialmente applicato nelle pitture decorative - cupole affrescate di Pietro da Cortona, del Baciccio, del padre Pozzo -; ciò che favorisce lo studio delle leggi e delle regole prospettiche e geometriche dello scorcio e il sorgere di una teoria dello scorcio, che sempre più lo allontana da una concreta e reale funzione artistica.
Ben altro scopo. e altro valore ha lo scorcio nella pittura del Settecento, particolarmente del Piazzetta e del Tiepolo: nel Piazzetta, lo scorcio elide ogni inutile nesso formale tra le zone di ombra e le zone di luce direttamente contrapposte, nel Tiepolo proietta le figure nell'infinito luminoso dei fondi, permettendo ai tocchi di colore e di luce di definire le figure, per rapidi suggerimenti, senza insistenze plastiche.
Nell'arte moderna lo scorcio è variamente applicato, senza che tuttavia sia possibile determinarne il particolare carattere e la precisa funzione: è ormai acquisito alla coscienza degli artisti che lo scorcio, in sé, non ha valore artistico e che, superata la teoria plastica che lo giustificava nel gusto del Rinascimento, il ritrarre di scorcio piuttosto che di prospetto vale quanto il ritrarre di profilo, piuttosto che di fronte. (V. tavv. XXI e XXII).
Bibl.: Per l'arte antica v.: E. Loewy, Die Naturwiedergabe in der älteren griechischen Kunst, Roma 1900; A. Della Seta, La genesi dello scorcio nell'arte greca, in Memorie dei Lincei, XII (1906), pp. 121-239.