scorie radioattive
Rifiuti derivanti dalla produzione di energia da fonte nucleare. Tale creazione di energia, al pari di ogni altra attività simile, genera rifiuti in tutte le fasi della filiera, anche se il quantitativo maggiore proviene dall’esercizio e dallo smantellamento (decommissioning) delle centrali a fine vita.
La radioattività è un fenomeno fisico che consente ad alcuni atomi instabili (radionuclidi) di raggiungere uno stato di stabilità mediante l’emissione dell’energia in eccesso sotto forma di particelle Alfa (nuclei di elio), Beta (elettroni, positroni), protoni, neutroni e di radiazione elettromagnetica (raggi X e Gamma). Le radiazioni emesse interagiscono con la materia circostante, depositando in essa la loro energia. Se l’interazione avviene con i tessuti organici, la radiazione provoca un danno biologico la cui entità dipende dalla quantità di energia depositata. È opportuno quindi che i rifiuti radioattivi vengano isolati dalla biosfera per il tempo necessario affinché la radioattività non sia decaduta al livello del fondo naturale. Tutti gli organismi viventi sulla Terra sono, infatti, esposti alla radioattività naturale che deriva dalla radiazione di origine terrestre, prodotta da radionuclidi presenti nel terreno e nelle rocce (radon, potassio, uranio, torio) e dalla radiazione di origine extraterrestre (raggi cosmici).
In Italia i rifiuti radioattivi sono classificati in 3 categorie a seconda del contenuto di radioattività e del tempo necessario per consentirne lo smaltimento come rifiuti convenzionali. Sono classificati di 1ª categoria le s. con basso contenuto di radioattività (bassa attività) e che decadono in tempi dell’ordine di mesi o di qualche anno. Sono di 2ª categoria le s. a bassa e media attività, che hanno tempi di decadimento che vanno da qualche decina fino ad alcune centinaia di anni. Sono classificati di 3ª categoria tutte le s. che non rientrano nelle categorie precedenti, in particolare i rifiuti che richiedono tempi dell’ordine di migliaia di anni e oltre per raggiungere livelli di radioattività comparabili con quelli ambientali, i rifiuti ad alta attività, gli emettitori alfa e di neutroni, indipendentemente dal tempo di decadimento. Il 95% in volume dei rifiuti provenienti dall’esercizio e dal decommissioning delle centrali è costituito da rifiuti di 1ª e di 2ª categoria (parti e componenti degli impianti nucleari). Il restante 5% è rappresentato da rifiuti di 3ª categoria ad alta attività e a lunga vita: si tratta di combustibile esausto in cui è concentrato il 95% della radioattività totale.
Per i rifiuti di 1ª categoria è sufficiente la conservazione in sicurezza per il tempo necessario al decadimento radioattivo. Per i rifiuti di 2ª categoria la soluzione più idonea è il confinamento delle s., opportunamente condizionate, cioè immobilizzate in matrici cementizie e sigillate in moduli di calcestruzzo armato, in depositi superficiali o subsuperficiali a bassa profondità. L’isolamento dalla biosfera è realizzato mediante barriere artificiali in grado di garantire il confinamento per alcune centinaia di anni, necessarie al decadimento degli elementi radioattivi. In Europa sono state implementate sia tecnologie di depositi superficiali (Francia, Spagna) sia tecnologie di depositi sotterranei (Germania, Svezia, Finlandia).
Il combustibile esausto richiede invece specifici processi di trattamento e di stoccaggio. Esso è costituito da uranio leggermente arricchito (96%), da prodotti di fissione (3%), da plutonio e attinidi minori (1%). Viene inizialmente stoccato in piscine presenti nelle centrali per un tempo che va da qualche mese ad alcuni anni fino a che non si sia sufficientemente raffreddato e si sia ridotto il livello di radioattività (in 3 mesi la radioattività si riduce del 50%, in 10 anni del 90%). Dopo la permanenza nelle piscine di raffreddamento, le s. r. devono essere trattate e messe in sicurezza. Alcuni Paesi (Francia, Gran Bretagna, Giappone, Russia e India) hanno optato per il riprocessamento del combustibile irraggiato al fine di estrarre l’uranio e il plutonio ivi contenuti e per minimizzare la produzione di scorie. In questo modo i rifiuti si riducono al 3-4% del combustibile esausto (prodotti di fissione e attinidi minori), e vengono vetrificati, condizionati e stoccati in depositi temporanei per essere successivamente smaltiti in uno definitivo. Altri Paesi, invece, procedono al trattamento del combustibile indifferenziato mediante stoccaggio presso la centrale stessa per alcune decine di anni in attesa di decisioni sullo smaltimento finale. La soluzione più idonea e condivisa a livello internazionale sembra essere il confinamento tramite barriere naturali in depositi realizzati all’interno di formazioni geologiche con adeguate caratteristiche di stabilità e impermeabilità (giacimenti di salgemma, formazioni argillose e granitiche). Nell’Unione Europea è in discussione la possibilità di individuare un sito comune, sebbene questa via presenti difficoltà a causa dell’accettabilità pubblica di un’eventuale localizzazione. Dato il volume limitato di rifiuti ad alta attività e a lunga vita, molti Paesi hanno assunto una politica di attesa adottando, quale soluzione temporanea, lo stoccaggio a lungo termine.