SCORTE
. Con questo termine si designano quelle cose mobili che, in quanto sono destinate allo sfruttamento agricolo di un fondo, si considerano a esso organicamente collegate. La legge annovera le scorte fra i beni immobili per destinazione (art. 413 cod. civ.) e sotto varî riguardi le prende in considerazione (articoli 1615, 1629, 1956, n. 5 cod. civ.). In dottrina e in pratica le scorte sono altresì indicate col nome di "dotazione del fondo", "capitale di esercizio".
Per il diritto romano, a cui fu ignota la nozione di immobili per destinazione, la dos o l'instrumentum fundi non è pars fundi. Sennonché, in vista di una più efficace tutela degl'interessi dell'agricoltura, una costituzione di Costantino del 315, riprodotta nel codice giustinianeo, dichiarava impignorabili gli strumenti agricoli e i buoi addetti alla coltura del fondo (boves aratorii). Concetto questo dell'impignorabilità ulteriormente esteso, per es., alle sementi, accolto nel diritto feudale, nella legislazione statutaria e in prammatiche, editti, capitoli dei varî stati italiani. Di contro a questa imponente tradizione romanistica si venne generalizzando nelle coutumes francesi il criterio dell'immobilizzazione, che ispirò i compilatori del codice napoleonico e fu seguito anche dal legislatore italiano del 1865 (cfr. N. Stolfi, Diritto civile, Torino 1931, I, 11, n. 589 seg.).
Si sogliono distinguere le scorte vive e morte. Alla prima categoria appartengono: gli animali addetti alla coltura del fondo (da tiro, da soma, da trasporto) o per produzione di concime: non invece gli animali da ingrasso o allevati a scopo industriale o gli animali da cortile costituenti il capitale circolante o prodotti del fondo, eccezione fatta per gli animali connessi al fondo (in speciali locali in esso impiantati: conigli nelle conigliere, piccioni nelle colombaie, alveari, ecc.). Alla seconda categoria appartengono: gli attrezzi e macchine usati per la lavorazione o sfruttamento del fondo, per la coltura delle piante, per la conservazione o trasformazione dei prodotti e in genere per i varî bisogni dell'azienda rurale (capitale agrario a logoro parziale); le sementi, i concimi, i foraggi, lo strame, la paglia, sempre che siano destinati alla coltivazione del fondo e non alla vendita (capitale a logoro totale).
Le scorte, sia vive sia morte, sono quindi una speciale categoria di pertinenze (pertinenze rurali). Anche per esse, quindi, sono richieste tutte le condizioni perché si attui l'immobilizzazione e cioè che si tratti di cosa destinata al fondo "per il servizio e la coltivazione del medesimo"; che la destinazione sia attuata dal proprietario o anche dall'enfiteuta, dal possessore di buona fede, dall'usufruttuario (non anche dall'affittuario, come la commissione senatoria aveva proposto); che la destinazione abbia carattere durevole; che la volontà di compiere la destinazione risulti concretamente dall'aver posto il proprietario le scorte nel fondo a servizio o per la coltivazione o utilizzazione di esso; che infine colui che opera la destinazione sia proprietario della cosa mobile.
Fino a che la destinazione perduri (e la cessazione può avvenire soltanto per fatto e volontà del proprietario), le scorte seguono la condizione giuridica del fondo e tutti i suoi mutamenti, né contro la volontà del proprietario possono esserne distaccate: in particolare i creditori del proprietario del fondo non potranno esperire azioni esecutive sulle scorte separatamente dal fondo stesso (sola eccezione quella dell'art. 586 cod. proc. civ.). Sulla questione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza circa la restituzione delle scorte alla fine dell'usufrutto, l'orientazione è nel senso di ritenere l'usufruttuario e i suoi eredi tenuti a restituire le scorte vive per capi e per qualità e non ad valorem secondo il prezzo della stima iniziale; quanto alla restituzione di bestiame consegnato a stima nel contratto di locazione o dato a soccida semplice o di ferro si ritiene che essa vada fatta nella stessa qualità e quantità senza tener conto dell'aumento o diminuzione dei prezzi mercato. Quando alla restituzione delle scorte alla fine della mezzadria le norme generali per la disciplina di tale contratto, approvate dal Consiglio nazionale delle corporazioni il 13 maggio 1933, hanno risolto il problema stabilendo che le scorte vive siano riconsegnate o per qualità, specie, quantità, peso o ad valorem, le scorte morte circolanti per quantità e qualità, le scorte fisse (macchine e attrezzi) per quantità, specie, qualità e stato d'uso. Già nella giurisprudenza italiana era fermo il principio che il mezzadro dovesse restituire al termine del contratto le scorte morte poderali nell'identica qualità e quantità ricevuta senza poter pretendere nulla per il loro aumento di valore (Cassazione del regno, 14 aprile 1930, in Sent. Cass., 1930, 741). Ogni divergenza in proposito è deferita agli arbitri (con mansioni di amichevoli compositori e senza formalità) e in caso d'impugnativa alla magistratura competente (art. 33).
Bibl.: Grego, Delle scorte di un fondo in relazione al diritto civile, in Arch. giur., XLVI; P. Bonfante, in B. Windscheid, Pand., I, ii, p. 575 segg.; G. Carrara, Corso di diritto agrario, Roma s. a., I, p. 180 segg.; A. Cicu, Corso di dir. agrario, Bologna 1935, p. 119 segg.