Screening genetico
Lo screening genetico è una metodologia che ha lo scopo di identificare individui la cui costituzione genetica (genotipo) sia causa determinante di malattia nell’individuo oggetto dello screening e/o nei suoi discendenti. A seconda dei soggetti interessati, gli screening vengono suddivisi in tre categorie: prenatali, neonatali, dell’età adulta. Oggetto dello screening può essere tutta la popolazione oppure una subpopolazione specifica. Tale metodologia è profondamente differente da altri screening medici, poiché in questo caso l’identificazione di un soggetto a rischio ha implicazioni rilevanti non solo per la persona interessata ma anche per i suoi familiari, i quali tra l’altro non hanno chiesto di conoscere la loro costituzione genetica specifica. Lo screening genetico, oltre a benefici può comportare effetti negativi. I principali benefici sono: la diagnosi presintomatica di una malattia o di una predisposizione a sviluppare una malattia genetica; la definizione di una tendenza a manifestare effetti negativi per fattori ambientali (farmaci, fumo, dieta); l’identificazione dello stato di portatore sano di una malattia genetica, con relative implicazioni per la sfera riproduttiva. Effetti negativi possibili sono le ripercussioni psicologiche, tra cui stato di ansia, perdita di stima di sé e senso di colpa, tutti elementi dovuti alla difficoltà incontrata nel comprendere e interpretare la consultazione genetica, e infine stigmatizzazione sociale e discriminazione, sia sul piano occupazionale sia su quello assicurativo.
Lo screening genetico è pertanto un atto medico estremamente delicato, per il successo del quale devono essere rispettate le seguenti condizioni: razionalità del disegno, beneficio superiore al danno potenziale, educazione della popolazione, esistenza di laboratori attrezzati in modo appropriato, precedenti programmi pilota a esito positivo, importanza e serietà della malattia, inserimento dello screening nel sistema sanitario pubblico, capacità di seguire longitudinalmente i soggetti identificati, specificità e sensibilità dei metodi usati, partecipazione volontaria, consultazione genetica pre- e post-test, consenso informato (eventualmente evitabile se lo screening è essenziale per la vita e la salute dell’individuo in questione), riservatezza assoluta. L’eventuale uso per scopi diversi da quelli concordati dei campioni di sangue raccolti per lo screening necessita per lo più di un consenso informato addizionale specifico. I campioni di sangue devono essere conservati in modo che venga garantito lo stesso riserbo comunemente utilizzato per ogni atto medico.
Screening prenatale
Lo screening genetico prenatale si fonda su tre metodologie diagnostiche: a) determinazione della compatibilità Rh; b) analisi ecografica del feto; c) analisi biochimiche sul sangue materno con lo scopo di rilevare feti a rischio per aberrazioni cromosomiche e/o difetti del tubo neurale.
Accanto a queste metodologie, nelle gravidanze a rischio di produrre feti affetti da specifiche malattie monogeniche viene stabilito il genotipo del feto, per quanto riguarda un gene specifico, tramite l’esame del liquido amniotico, dei villi coriali o di uno dei quattro blastomeri dell’embrione, in fase iniziale dopo fecondazione in vitro o in fase preconcezionale con l’analisi del primo corpuscolo polare.
Determinazione della compatibilità Rh
La malattia fetale emolitica da isoanticorpi anti-Rh si verifica quando la madre è Rh negativa e il feto Rh positivo. Quest’ultimo carattere è dominante, per cui un soggetto che ne sia dotato può essere omozigote o eterozigote. In queste condizioni, gli eritrociti fetali che raggiungono il circolo materno attraverso la placenta stimolano la produzione di anticorpi verso l’Rh. L’immunizzazione può avvenire durante una gravidanza, soprattutto al momento del parto (in particolare se cesareo o complicato da gestosi o rimozione manuale della placenta), o di un aborto, oppure in seguito a manovre diagnostiche sul feto (amniocentesi, villocentesi, fetoscopia). Gli anticorpi anti-Rh raggiungono il feto attraverso la placenta e provocano un’emolisi dei globuli rossi e quindi una grave anemia. Si distinguono a seconda della gravità tre quadri clinici: anemia emolitica del neonato, ittero grave del neonato, idrope feto-placentare.
La prevenzione si fonda sulla somministrazione nelle donne a rischio di immunoglobuline anti-Rh, per lo più dopo il parto, l’aborto o manovre diagnostiche. La dose di immunoglobuline viene decisa in base all’entità dell’emorragia feto-materna, ed è stabilita con il conteggio dei globuli rossi fetali (contenenti un’emoglobina specifica, HbF, Fetal Hemoglobin) nel sangue materno.
Ecografia del feto
L’ecografia fetale permette di identificare sia gravi malformazioni sia anomalie minori, rilevanti come indice di sospetto di anomalie genetiche o di sindromi malformative multiple associate a insufficienza mentale. Attualmente vengono eseguite durante la gravidanza due ecografie, di cui una all’11a-13a settimana per la datazione della gravidanza e per l’analisi della traslucenza nucale (NT, Nuchal Traslucency), e una alla 20a settimana per valutare la crescita del feto e fare un’analisi sistematica accurata delle malformazioni.
Tra le anomalie congenite evidenziabili con l’ecografia ricordiamo: i difetti del tubo neurale (anencefalia e spina bifida), l’idrocefalia, l’oloprosencefalia, le malformazioni cistico-adenomatose del polmone, l’ernia diaframmatica, i difetti della parete addominale e quelli morfologici gastrointestinali, le anomalie renali, le cardiopatie congenite, le displasie scheletriche, l’oligoidramnios, il poliidramnios e l’idrope fetale, che possono indicare la presenza di complesse anomalie fetali. Fra le principali anomalie minori, indicative di specifiche o generiche aberrazioni cromosomiche, vi sono l’aumento di spessore di quella regione del collo posta tra cute e colonna vertebrale (NT, il cui aumento è dovuto a linfangectasia o igroma cistico), l’accorciamento relativo del femore, l’assenza delle ossa nasali e il ritardo intrauterino di crescita. In modo specifico, l’aumento della NT, l’ipoaccrescimento del femore e l’assenza delle ossa nasali pongono il sospetto dell’esistenza della sindrome di Down o di altre anomalie cromosomiche; peraltro la NT può essere riscontrata anche in altre condizioni, tra cui le cardiopatie congenite.
Sindrome di Down o trisomia del cromosoma 21
La sindrome di Down è la causa più frequente di insufficienza mentale. I soggetti presentano diverse anomalie morfologiche minori, tra cui taglio obliquo della rima palpebrale, cute nucale sovrabbondante, macroglossia, incurvamento del mignolo con ipoplasia della seconda falange che determina la presenza di un singolo solco di flessione, presenza di un unico solco palmare. Frequenti (in un terzo dei casi) sono le cardiopatie congenite, le anomalie renali e gastrointestinali e la tendenza a sviluppare leucemie. Nel 50% dei casi la sindrome di Down ha come esito l’aborto. La vita media è pari a 60 anni circa; molti casi sviluppano precocemente a 40 anni una demenza progressiva (morbo di Alzheimer).
Il fattore principale associato a questa sindrome è l’età materna: il rischio è di 1/1500 nati vivi sotto i 25 anni e diventa 1/6 sopra i 50 anni (tab. 1).
Per tutte le gravidanze, anche in età giovanile (circa il 50% del totale), sono state sviluppate analisi biochimico-sierologiche del sangue materno che consentono, affiancate alla misura della NT, di identificare le gravidanze a rischio. I parametri biochimici del sangue materno usati sono: la subunità libera β della gonadotropina corionica umana (β-hCG, human Chorionic Gonadotropin), le gonadotropine corioniche totali (hCG), la proteina plasmatica A associata alla gravidanza (PAPP-A, Pregnancy-Associated Plasma Protein-A), l’α-fetoproteina (una globulina specifica fetale), l’estriolo non coniugato e l’inibina A. La determinazione quantitativa della β-hCG e della PAPP-A e la misura della NT vengono usate per lo screening in fase precoce (11a-13a settimana di gravidanza). Nella sindrome di Down, le β-hCG sono aumentate, mentre la PAPP-A è ridotta (Godard, ten Kate, Evers-Kiebooms, Aymé 2003). La valutazione di α-fetoproteina, estriolo non coniugato, hCG e inibina A (test quadruplo) viene impiegata per lo screening nella 15a-18a settimana. Nella sindrome di Down, i livelli di α-fetoproteina e di estriolo non coniugato sono ridotti, mentre quelli di β-hCG e inibina A sono aumentati. Il test combinato ecografico e sierologico (test combinato) precoce (11a-13a settimana) ha un potere predittivo dell’85%, con una percentuale di falsi positivi del 5%. Il test quadruplo nel secondo trimestre (15a-18a settimana) ha un potere predittivo del 76%, con falsa positività del 5%. L’associazione del test combinato al 1° trimestre con il test quadruplo nel 2o trimestre (test integrato) ha un valore predittivo del 96%, con falsa positività del 5% (fig. 1). La valutazione del rischio associato all’età materna e i risultati dei test sierologici consentono di definire la probabilità di comparsa della sindrome di Down: un rischio di 1/150 nel 1° trimestre e uno di 1/300 nel 2° trimestre sono giudicati positivi. Dopo la valutazione del rischio viene discussa l’opzione di procedere con ulteriori accertamenti diagnostici: cariotipo nelle cellule amniotiche dopo la 18a settimana o nei villi coriali già dall’11a settimana, analisi che consentono una diagnosi definitiva (Malone, Canick, Ball et al. 2005).
Difetti del tubo neurale
I difetti del tubo neurale, dovuti a un’imperfetta chiusura della doccia neurale primitiva, comprendono l’anencefalia e le varie categorie di spina bifida (meningocele, mielomeningocele e spina bifida occulta). Le cause sono sia ambientali (tra queste ha un ruolo preponderante la carenza di acido folico) sia genetiche. Tra i fattori genetici ha un ruolo definito una variante del gene codificante per la 5,10-metilentetraidrofolatoreduttasi. L’incidenza della patologia, pari a 1/1000 nati vivi, è in continua riduzione grazie alla prevenzione primaria, consistente nella supplementazione con acido folico nella dieta delle donne sia nella fase che precede una gravidanza programmata sia durante la gravidanza stessa. Il quadro clinico delle diverse forme conclamate di spina bifida è variabile: si manifesta per lo più con paralisi flaccida degli arti inferiori, incontinenza fecale e urinaria e idrocefalo. Esistono forme occulte con manifestazioni tardive e subdole, consistenti in spasticità, turbe sensitive del piede e della gamba, piede equino varo e incontinenza degli sfinteri. I segni cutanei indicativi per turbe della chiusura del tubo neurale sono ciuffi di peli, angiomi e lipomi sulla linea mediana lombosacrale. La prevenzione secondaria dei difetti del tubo neurale si basa sulla loro identificazione, per lo più nel 2° trimestre, tramite ecografia e/o dosaggio dell’α-fetoproteina nel siero, che risulta aumentata e consente l’identificazione nel 90% dei casi. Un aumento di α-fetoproteina sierica si riscontra anche nella gastroschisi, nell’encefalocele, nella sindrome nefrosica congenita e nelle gravidanze gemellari.
Nei casi dubbi può essere eseguita l’amniocentesi, con relativo dosaggio nel liquido amniotico sia dell’α-fetoproteina (aumentata) sia della acetilcolinesterasi di origine neuronale (ridotta).
Consulenza genetica negli screening fetali
Gli screening fetali devono essere preceduti da una consultazione genetica non direttiva, durante la quale vengono fornite informazioni sulle aberrazioni cromosomiche, sulle malformazioni fetali e sui test di screening, sottolineando come questi ultimi non forniscano diagnosi ma solo indicazioni probabilistiche di rischio con possibilità di falsi positivi (test positivo e feto normale) e falsi negativi (feto affetto e test negativi). La consultazione deve essere diretta a entrambi i genitori, presi singolarmente. Se il test risulta positivo occorre una seconda consultazione, durante la quale vengono discussi i pro e i contro della diagnostica fetale sia per le aberrazioni cromosomiche sia per i difetti del tubo neurale e le altre malformazioni congenite. La diagnosi delle aberrazioni cromosomiche, inclusa la sindrome di Down, viene eseguita tramite analisi del cariotipo nelle cellule amniotiche o nelle cellule dei villi coriali.
Prospettive di screening fetale tramite analisi del sangue materno
Numerosi studi sono alla ricerca di metodiche di diagnosi prenatale tramite l’analisi di quel numero limitato di cellule fetali che sono presenti nel sangue materno; tra queste, rivestono una particolare importanza le cellule trofoblastiche (derivate dalla placenta) e i globuli rossi nucleati. Su queste cellule, isolate da quelle materne con diverse metodiche, vengono eseguite analisi del cariotipo, con sonde molecolari specifiche per le più frequenti aberrazioni cromosomiche, o con analisi genomiche (microarray). Sono in corso anche esperimenti di diagnosi di malattie monogeniche come la β-talassemia e la fibrosi cistica. Tali metodologie sono promettenti, ma non hanno ancora raggiunto il livello di sicurezza necessario per l’applicazione alla pratica clinica.
In base alla presenza nel plasma materno di DNA e RNA fetali, essenzialmente di provenienza trofoblastica, è stato possibile identificare feti Rh negativi di padri eterozigoti per il carattere Rh (Rh+/Rh−) e feti che hanno ereditato dal padre il gene di malattie dominanti (per es., acondroplasia e distrofia miotonica). In malattie autosomiche recessive sono stati fatti anche tentativi di diagnosticare feti a rischio di malattia per avere ereditato il gene paterno in gravidanze in cui la madre e il padre hanno differenti mutazioni. Anche queste ricerche tuttavia non hanno raggiunto il livello di applicabilità alla pratica clinica (Sekizawa, Purwosunu, Matsuoka et al. 2007).
Screening genetico dei neonati
Lo screening genetico neonatale ha lo scopo di identificare in fase preclinica malattie genetiche che, se non trattate opportunamente, conducono a danni irreparabili (soprattutto a carico del sistema nervoso centrale) ma del tutto prevenibili con trattamento dietetico o farmacologico iniziato precocemente. La fenilchetonuria (PKU, PhenylKetonUria), una patologia dovuta al difetto del metabolismo dell’amminoacido fenilalanina, è stata la prima malattia oggetto di screening (a partire dagli anni Sessanta del 20° sec.). Negli anni Settanta, allo screening per la PKU venne associato quello per l’ipotiroidismo congenito.
Attualmente, le linee guida per gli screening neonatali sono notevolmente variabili nei diversi Paesi sviluppati, ma non sono operativi nei Paesi in via di sviluppo, ove al massimo esistono programmi-pilota per malattie specifiche. Il programma minimo nei Paesi europei riguarda l’ipotiroidismo e la PKU. In Svizzera e Germania sono oggetto di screening anche numerosi altri errori metabolici. Di recente l’American college of medical genetics (ACMG) ha raccomandato per lo screening neonatale l’uso della gascromatografia associata con spettrometria di massa (GC-MS, Gas Chromatography-Mass Spectrometry), che consente di identificare numerosi errori metabolici, tra cui amminoacidopatie, acidurie organiche e difetti del ricambio degli acidi grassi. Negli Stati Uniti le raccomandazioni attuali riguardano 29 errori congeniti del metabolismo, dei quali solo il difetto della deidrogenasi degli acidi grassi a media catena ha un’incidenza rilevante (1 su 6000÷50.000 nati vivi) e un’elevata mortalità se non curato in fase preclinica (L.L. McCabe, Therrell, E.R. McCabe 2002; Wilcken, Wiley, Hammond, Carpenter 2003).
Per numerose altre malattie genetiche, tra cui l’anemia falciforme, il difetto di α1-antitripsina, l’iperplasia surrenale congenita, le distrofinopatie, l’insufficenza mentale legata all’X fragile e il difetto di glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD, Glucose-6-Phosphate Dehydrogenase), è in corso un dibattito per stabilire quali siano meritevoli di uno screening neonatale. Negli Stati Uniti, in gran parte dei diversi Stati federati esistono i programmi più estensivi. La tabella 2 riporta l’elenco delle malattie oggetto di screening da parte dell’ACMG. Le riserve per tali programmi sono costituite dalla rarità della malattia, dalla marcata eterogeneità sia clinica sia genetica, dalla mancanza di studi sul vantaggio di diagnosi precoce e dall’assenza di un rapporto positivo costi/benefici (Botkin 2005; Natowicz 2005).
Durante lo screening neonatale possono essere identificati portatori sani di malattie autosomiche recessive. In questi casi occorre una consultazione per stabilire se i genitori desiderino approfondire lo studio e verificare, in particolare, se uno solo o entrambi i membri della coppia siano portatori sani.
Iperfenilalaninemia
Si tratta di un gruppo di difetti congeniti del metabolismo della fenilalanina. La forma più comune (incidenza di 1/12.000 nati vivi) è la PKU, legata a una difettosa attività della fenilalaninaidrossilasi, enzima che trasforma la fenilalanina in tirosina. La PKU si trasmette come carattere autosomico recessivo. Numerose lesioni molecolari producono il difetto di fenilalaninaidrossilasi. Lo screening neonatale operativo si fonda sull’analisi quantitativa della fenilalanina in una goccia di sangue raccolta su carta da filtro (limite normale 2 mg/dl). L’analisi viene fatta con metodi microbiologici o fluorimetrici o con GC-MS. La PKU non trattata precocemente provoca grave ritardo mentale, che può essere prevenuto tramite l’identificazione neonatale, seguita da una dieta povera di fenilalanina che deve essere adottata per tutta la vita. I figli di donne affette da PKU non in terapia dietetica possono avere gravi danni prenatali dovuti all’iperfenilalaninemia materna, anche se sono semplici portatori del gene.
Ipotiroidismo congenito
L’ipotiroidismo congenito (incidenza 1/4000 nati vivi) è dovuto a difetti non ereditari dello sviluppo della tiroide, a difetti congeniti ereditari del metabolismo degli ormoni tiroidei e, raramente, a difetti dell’ipotalamo o dell’ipofisi, con mancata produzione dell’ormone ipofisario che regola crescita e funzione della tiroide, denominato ormone tireotropo o tireotropina (TSH, Thyroid Stimulating Hormone). Per lo sviluppo fetale e infantile del sistema nervoso centrale è necessario l’ormone tiroideo (tiroxina). La sua carenza in questa fase della vita determina insufficienza mentale irreversibile associata agli altri sintomi da carenza di tale ormone. L’individuazione preclinica neonatale dell’ipotiroidismo e l’instaurazione della terapia sostitutiva consentono di prevenire questo effetto. Lo screening neonatale per l’ipotiroidismo congenito è operativo in tutti i Paesi sviluppati tramite l’analisi di campioni di sangue neonatale raccolti su carta da filtro. Negli Stati Uniti lo screening viene effettuato mediante la valutazione quantitativa della tiroxina (T4), e questo permette di identificare tutte le forme di ipotiroidismo eccetto i rari casi di resistenza periferica alla tiroxina. In Europa si misura il TSH e si arriva a identificare tutte le forme di ipotiroidismo da difetto della tiroide, mentre sfuggono i casi di origine ipotalamo-ipofisaria. La misura del TSH è un metodo molto più preciso rispetto alla quantificazione di T4. I migliori risultati si avrebbero con la misura di entrambi i parametri (T4 e TSH). I casi positivi allo screening devono essere rapidamente confermati con una valutazione completa della funzione tiroidea. Dopo la conferma si inizia il trattamento sostitutivo con tiroxina, che consente di evitare tutti i danni, inclusi quelli neurologici dell’ipotiroidismo congenito. Dopo alcuni anni si può sospendere il trattamento per una verifica diagnostica.
Sordità congenita
La sordità congenita è un difetto molto comune, con un’incidenza di 1÷3 su 1000 nati vivi. La mancata diagnosi precoce ha gravi conseguenze sullo sviluppo psicomotorio. In molti Paesi sviluppati viene effettuato uno screening con lo studio (sia singolarmente sia in combinazione) delle emissioni otoacustiche evocate (EOAE, Evoked OtoAcoustic Emissions) o con l’analisi dei potenziali acustici evocati (ABR, Auditory Brainstem Responses). Nei casi positivi si esegue un secondo screening dopo 30 giorni. Successivamente si esegue l’analisi molecolare del gene che codifica per la connessina 26, i cui difetti riguardano il 50% circa dei casi di sordità ereditaria. In Italia come in altri Paesi della zona mediterranea è presente un difetto molecolare dominante (50% dei casi).
Anemia falciforme
L’anemia falciforme è una delle più frequenti malattie genetiche. Particolare incidenza si verifica nelle zone a pregressa o attuale endemia malarica da Plasmodium falciparum (Africa equatoriale, penisola arabica e India). I fenomeni migratori e la tratta degli schiavi hanno diffuso questa malattia in tutto il mondo. La forma più comune trasmessa come carattere autosomico recessivo è dovuta all’omozigosi per l’emoglobina S (HbS, Hemoglobin S), provocata dalla sostituzione di acido glutammico con valina al codone 6 del gene che codifica per la β-globina, componente essenziale assieme alla α-globina dell’emoglobina adulta normale. Tra i diversi genotipi causa di anemia falciforme troviamo anche l’HbS/β-talassemia/(β0 o β+) – a seconda che la produzione di catene β della molecola emoglobinica sia ridotta (β+) o assente (β0) – e l’HbS/C; più raramente, l’HbS/D e l’HbS/O Arab (HbC, D e O Arab sono diverse emoglobine abnormi dovute a singole sostituzioni nucleotidiche), e infine l’HbS/δβ-talassemia (caratterizzata da assenza di produzione di catene δ e β globiniche). L’anemia falciforme è causa di emolisi, crisi di occlusione vasale e predisposizione allo sviluppo di grave sepsi da batteri capsulati (pneumococco, Hemophilus influentiae, meningococco), e crisi di sequestrazione splenica (per occlusione vasale). L’identificazione neonatale consente di effettuare le vaccinazioni appropriate contro i batteri in causa e la profilassi penicillinica, con il conseguente aumento del tasso di sopravvivenza. Lo screening viene effettuato con differenti metodiche di analisi globinica o molecolare, che portano anche all’identificazione di portatori sani dell’anemia falciforme stessa e di altre emoglobinopatie (tra cui β- e α-talassemia), che vengono avviati ad appropriata consultazione genetica. Lo screening per l’anemia falciforme viene effettuato in tutti i neonati negli Stati Uniti e a Cuba e nelle popolazioni a rischio in Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi.
Fibrosi cistica
La fibrosi cistica (FC) è la malattia autosomica recessiva più frequente (1 su 2000÷3000 nati vivi) nelle popolazioni europee o di origine europea. La FC è dovuta a un difetto di un canale di membrana per il cloro; è provocata da numerose (più di 1000) e diverse mutazioni popolazione-specifiche. Tra queste, la delezione di tre paia di basi codificanti la fenilanalina al codone 508 (F508) costituisce il 70% dei difetti molecolari nell’Europa settentrionale e il 50% in Italia. I sintomi sono malattia polmonare cronica ostruttiva, infezioni polmonari persistenti (Pseudomonas aeruginosa e Burkolderia cepacia), ileo da meconio, epato-colangiopatia e insufficienza pancreatica. La diagnosi si basa sull’aumento del cloro nel sudore (più di 60 mEq/l), e successivamente si procede con l’analisi genetica molecolare per l’identificazione delle mutazioni specifiche. La terapia si fonda su drenaggio posturale, cicli di antibiotici e somministrazione di enzimi pancreatici, con una sopravvivenza media di circa 30 anni. Studi randomizzati hanno dimostrato che l’individuazione neonatale, seguita dalla relativa terapia precocemente instaurata, consente di prevenire i difetti nutrizionali e cognitivi e forse di ritardare l’insorgenza delle complicazioni polmonari, di prolungare la sopravvivenza e di condurre a una precoce consultazione genetica. La tecnica in uso consiste nel dosare la tripsina immunoreattiva nel campione di sangue raccolto su carta da filtro; per i casi positivi si procede poi con l’analisi mutazionale del gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator) e infine con la determinazione del cloro nel sudore. L’analisi molecolare viene eseguita solamente per mutazioni popolazione-specifiche. L’aspetto negativo dello screening è costituito dall’incapacità di determinare in tutti i casi, a causa dell’eterogeneità genetica, il genotipo, cioè di definire entrambe le mutazioni presenti. Lo screening neonatale per FC è eseguito in Italia, negli Stati Uniti e in alcuni regioni di diversi Stati europei (Godard, ten Kate, Evers-Kiebooms, Aymé 2003).
Distrofinopatie
Le distrofinopatie sono un gruppo di malattie trasmesse come carattere recessivo legato al cromosoma X, la più comune delle quali è la distrofia muscolare progressiva di Duchenne (DMD), che ha un’incidenza di 1/3500 nati vivi. È caratterizzata da insufficienza muscolare a livello degli arti inferiori e del cingolo pelvico, a carattere progressivo, associata a miocardiopatia e insufficienza mentale. Nei maschi affetti, la malattia conduce a morte entro i trent’anni di età. Lo screening neonatale si effettua valutando l’aumento di creatinfosfochinasi (CPK, Creatine PhosphoKinase) serica, e successivamente con analisi molecolare del gene codificante la distrofina; è operativo in pochi Paesi, tra cui la Gran Bretagna. La giustificazione razionale dello screening sarebbe l’individuazione precoce delle donne portatrici sane su cui fare la consultazione genetica. Va ricordato in proposito che per questo tipo di metodologia, non essendoci vantaggi per il neonato, occorre richiedere il consenso informato.
Iperplasia surrenalica congenita da difetto di 21-idrossilasi
Questo tipo di patologia è dovuto al difetto dell’enzima 21-idrossilasi (chiamato anche CYP21), che interviene nella sintesi del cortisolo a livello della corteccia surrenalica. Il difetto di CYP21, trasmesso come carattere autosomico recessivo, risulta avere un’incidenza di 1 su 8000÷10.000 nati vivi, e si manifesta con quadri clinici di variabile gravità. Si ha una ridotta produzione di ormoni glucocorticoidi, con conseguente aumento di ormone adrenocorticotropo (ACTH, AdrenoCorticoTropic Hormone), che determina iperplasia surrenalica associata ad aumento di produzione di steroidi androgeni surrenali, con mascolinizzazione prenatale delle femmine e virilizzazione postnatale in entrambi i sessi. Nelle forme gravi si associa un difetto di mineralcorticoidi, con grave crisi neonatale da insufficienza surrenalica (iposodiemia e iperpotassiemia). Questi aspetti clinici hanno indotto a introdurre lo screening neonatale per il difetto di CYP21, che si effettua tramite determinazione quantitativa nel siero di 17-OHP (idrossiprogesterone), che aumenta. Questo screening, la cui utilità non è universalmente riconosciuta, viene eseguito nei Paesi Bassi e in alcuni Stati degli Stati Uniti.
Difetto di FMR-1 o sindrome dell’X fragile
Il difetto del gene FMR-1 (Fragile Mental Retardation-1), che viene trasmesso come carattere recessivo legato al cromosoma X, è la causa più comune di insufficienza mentale ereditaria dopo la sindrome di Down. L’incidenza è di 1/4000 maschi e 1/7000 femmine. La proteina FMR-1 è cruciale per l’apprendimento e la memoria. In base al grado di espansione del codone localizzato nel gene FMR-1 si parla più esattamente di premutazione e di mutazione completa, che a loro volta determinano i rispettivi quadri clinici. Un’espansione del codone inferiore a 55 volte si riscontra nei soggetti normali; la premutazione, allo stato eterozigote, consiste in un’espansione modesta (55-200 volte), e non è per lo più associata a ritardo mentale, ma può determinare nella donna lievi note dismorfiche tipiche della sindrome, turbe della personalità e insufficienza ovarica prematura; nei maschi emizigoti e nelle donne eterozigoti dopo i 50-60 anni la premutazione può determinare l’insorgenza di una sindrome neurologica progressiva caratterizzata da tremori, atassia e demenza. La mutazione completa, dovuta a un’espansione superiore alle 200 volte della premutazione nelle donne portatrici, determina nei figli maschi emizigoti ritardo mentale, lievi note dismorfiche e macrorchidismo. Il rischio di espansione varia in funzione del numero di sequenze ripetute nella portatrice. La diagnosi e l’identificazione dei portatori si fonda sull’analisi del DNA dopo amplificazione. Nella maggior parte dei Paesi occidentali lo screening viene limitato a individui con sintomi sospetti per la sindrome, a persone con storia familiare di insufficienza mentale specie se trasmessa come carattere legato all’X, a coppie appartenenti a famiglie con casi accertati. Discusso è lo screening di tutte le donne in gravidanza.
Difetto di G6PD
Il difetto di G6PD è la più comune enzimopatia ereditaria, con elevata frequenza nelle zone a pregressa o attuale endemia malarica da Plasmodium falciparum, in quanto il difetto rappresenta un vantaggio selettivo per il soggetto eterozigote; esso viene trasmesso come carattere legato al cromosoma X. I maschi emizigoti e le femmine omozigoti affetti hanno un difetto completo, le femmine eterozigoti un difetto parziale (di grado variabile) e quelle omozigoti un difetto completo. Le manifestazioni cliniche sono l’ittero neonatale e l’anemia emolitica scatenata da assunzione di fave, farmaci ossidanti e particolari infezioni. Alcuni rari difetti di G6PD provocano un’anemia cronica (anemia emolitica cronica non sferocitica). In questo caso, lo screening neonatale è effettuato in alcune popolazioni a rischio (Sardegna, Malaysia e Thailandia). Si tratta di un procedimento controverso, il cui unico vantaggio è l’informazione per evitare i fattori scatenanti. Nei Paesi in cui lo screening è operativo si è verificata una notevole riduzione della frequenza delle crisi emolitiche. Lo screening dovrebbe limitarsi all’identificazione dei maschi carenti (emizigoti) e delle femmine omozigoti, poiché non esistono metodiche semplici per l’identificazione delle femmine eterozigoti. In futuro, l’uso dell’analisi mutazionale potrebbe consentire l’identificazione di soggetti sia omozigoti sia eterozigoti.
Screening genetico degli adulti
I progressi realizzatisi in questi ultimi anni nel campo della genetica molecolare consentono di individuare in fase preclinica, tramite l’analisi mutazionale, soggetti affetti da malattie dominanti autosomiche, tra cui l’ipercolesterolemia familiare (fattore proaterosclerotico), la distrofia miotonica, la corea di Huntington, il rene policistico ereditario tipo adulto, l’emocromatosi ereditaria e la trombofilia dovuta al difetto del fattore V di Leyden (Burke, Coughlin, Lee et al. 2001). L’individuazione preclinica è giustificata per alcune di queste malattie, per es. l’ipercolesterolemia familiare, poiché l’individuazione precoce consente di attuare provvedimenti preventivi, come dieta e regimi di vita, che permettono di limitare il decorso progressivo dell’affezione. Per altre malattie, come la corea di Huntington, l’individuazione preclinica non presenta alcun vantaggio, ma è invece in grado di determinare effetti psicologici negativi nel soggetto individuato come affetto e di creare la possibilità di discriminazione sociale. Per tali motivi lo screening per queste affezioni deve essere preceduto da adeguata consultazione genetica per valutarne gli effetti positivi o negativi; esso, in linea di massima, è controindicato nel bambino, non comportando alcun beneficio. Lo screening consigliato, specie per ragioni di costo-beneficio, è quello a cascata nell’ambito familiare dopo l’individuazione di un caso indice.
Lo screening di popolazione è stato suggerito per l’emocromatosi ereditaria di tipo 1 (HFE1) e per la trombofilia ereditaria da difetto del fattore V di Leyden. La HFE1 è una malattia autosomica recessiva frequente, con un’incidenza di 1/300 individui di origine europea. Essa determina un progressivo accumulo di ferro con consecutivi danni dell’organo colpito, tra cui miocardiopatia, endocrinopatie e cirrosi epatica. L’individuazione in fase preclinica, possibile con metodi molecolari, consente di impedire, attraverso un programma preventivo di salassi, lo sviluppo di questa complicazione. Tuttavia, per la penetranza variabile (proporzione degli individui affetti che sviluppano la malattia), allo stato attuale non si ritiene utile lo screening di popolazione ma è invece raccomandato lo screening a cascata.
Nella trombofilia ereditaria è presente una mutazione del fattore V che ne impedisce il clivaggio da parte della proteina C, con conseguente riduzione dell’effetto anticoagulante di quest’ultima e quindi tendenza allo sviluppo di trombosi venosa, fino a 7 volte la norma. La frequenza degli eterozigoti è del 5% negli individui di origine europea. Per ridurre il rischio di trombosi nelle donne che usano contraccettivi ormonali, è stato proposto di escludere da tale trattamento le donne portatrici di questa mutazione individuate tramite screening. Nel complesso, lo screening per il fattore V di Leyden, in donne che programmano l’assunzione di contraccettivi orali, non viene attualmente eseguito, perché escluderebbe dall’uso di questi farmaci il 5% delle donne, con vantaggi minimi.
Predisposizione allo sviluppo di tumori ereditari
La possibilità dell’esistenza di una predisposizione allo sviluppo di un tumore ereditario (tab. 3) in una famiglia viene suggerita (Petersen, Codori 20018) dalla presenza delle seguenti condizioni in uno o più membri: a) insorgenza precoce per quel tipo di tumore; b) sviluppo di tumore bilaterale o multifocale in un organo singolo; c) sviluppo di più di un tumore primario di tipo differente in un singolo individuo; d) sviluppo di tumore in un individuo o in una famiglia in cui ci siano membri con anomalie congenite; e) famiglie in cui è presente un membro con tumore ereditario definito molecolarmente.
I tumori ereditari sono dovuti a mutazioni di geni specifici. L’identificazione della mutazione in un membro della famiglia implica lo screening dei familiari per quella specifica mutazione. Ovviamente, come per le altre malattie ereditarie, prima di eseguire il test è necessaria un’accurata consultazione genetica che illustri i vantaggi (applicazione di metodi preventivi) e gli svantaggi (stigmatizzazione, perdita di autostima). Lo screening di bambini e adolescenti deve essere limitato ai tumori a insorgenza precoce in età pediatrica, come il retinoblastoma e il carcinoma poliposico del colon.
Predisposizione allo sviluppo di malattie complesse
Di recente, tramite gli studi di associazione genomica, si vanno definendo i geni le cui mutazioni predispongono allo sviluppo di malattie complesse, come coronaropatie, diabete di tipo I e II, malattia infiammatoria cronica intestinale, artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico e diverse malattie psichiatriche (la schizofrenia e la sindrome bipolare). Il problema è estremamente complesso, poiché per ogni malattia sono in causa variazioni della sequenza di un numero elevato di geni (probabilmente nell’ordine di 80-100 circa per ciascuna patologia), che combinate tra loro producono la malattia solamente sotto l’influsso di determinate condizioni ambientali (fumo di sigaretta, dieta errata, mancanza di movimento ecc.). Sotto il profilo tecnologico non vi sono ostacoli allo sviluppo di questo tipo di screening, poiché la tecnologia dei microarray consente lo studio di numerose variazioni nucleotidiche nel genoma con relativa facilità. È ragionevole ritenere che con ogni probabilità questo tipo di screening verrà applicato su larga scala in un prossimo futuro. Per queste applicazioni occorrerà tuttavia un consenso informato dopo estesa e accurata consultazione genetica (Khoury, L.L. McCabe, E.R. McCabe 2003).
Farmacogenomica
Screening simili a quelli delineati sopra, con molta probabilità, verranno sviluppati in futuro per evidenziare a priori la possibilità di risposta positiva di ciascun individuo nei confronti di una specifica terapia nonché la possibilità di reazioni avverse. Questo approccio potrebbe portare allo sviluppo di una medicina personalizzata (Ewans, Relling 2004).
Malattie autosomiche recessive
Lo screening a livello di popolazione per identificare i portatori sani (eterozigoti) di malattie autosomiche recessive tende a definire coppie a rischio nelle quali entrambi i membri siano portatori e pertanto a rischio di produrre figli malati nel 25% dei casi. I criteri universalmente accettati per applicare a una malattia questo tipo di screening sono: a) malattia frequente, grave, per la quale non esiste una cura; b) disponibilità di metodi semplici per identificare correttamente i portatori sani; c) esistenza per le coppie a rischio di alternative riproduttive.
Questo screening è stato fino a ora condotto per la malattia di Tay-Sachs, la β- e la α-talassemia, l’anemia falciforme e la fibrosi cistica. Di recente è stata proposta l’inclusione dell’atrofia muscolare spinale (SMA, Spinal Muscular Atrophy), nella quale il portatore ha una frequenza di 1/50 (McGinniss, Kaback 20024; Godard, ten Kate, Evers-Kiebooms, Aymé 2003).
Malattia di Tay-Sachs
La malattia di Tay-Sachs, a eredità autosomica recessiva, è dovuta a un accumulo intralisosomiale di ganglioside GM2 (un glicolipide) per difetto di un enzima: l’esosoamminidasi. Si tratta di una patologia degenerativa progressiva del sistema nervoso centrale e degli organi di senso, che conduce a morte entro i 4 anni di età, ed è molto frequente negli ebrei ashkenaziti (l’incidenza della malattia è di 1/4000 nati vivi e quella dei portatori di 1/30). Non esiste una cura efficace. L’identificazione dei portatori e del feto malato viene eseguita con analisi enzimatiche o con studio mutazionale del gene codificante. Programmi di screening per questa malattia sono operativi nelle comunità di ebrei ashkenaziti. Discussa è l’estensione in queste comunità dello screening per altre due malattie lisosomiali in esse frequenti: la malattia di Gaucher e quella di Canavan (McGinniss, Kaback 20024).
β-talassemia
La β-talassemia (a eredità autosomica recessiva) è dovuta a mutazioni del gene della β-globina. Nello stato omozigote si sviluppa una grave anemia, per la quale sono necessarie trasfusioni continuative che comportano un progressivo accumulo di ferro, come si verifica nell’emocromatosi ereditaria. La cura, senza grandi rischi, è possibile solo con il trapianto di midollo, o di cellule staminali emopoietiche nel solo caso in cui sia presente un donatore familiare HLA-identico (Human Leucocyte Antigen). L’omozigote malato presenta, oltre ad anemia ed epatosplenomegalia, l’espansione del midollo che provoca le tipiche modificazioni facciali. Nel sangue si riscontra in prevalenza HbF, oltre a tracce di HbA2 (una frazione emoglobinica presente nell’adulto normale in bassissima quantità) e quantità variabili di HbA (l’emoglobina maggiore dell’adulto), dal 30% sino alla mancanza totale. Il portatore sano è riconoscibile agevolmente per il ridotto volume dei globuli rossi (MCV, Mean Corpuscolar Volume), la riduzione della concentrazione emoglobinica media del globulo rosso (MCH, Mean Corpuscolar Hemoglobin) e l’aumento della HbA2. I portatori vengono identificati con analisi ematologiche seguite da analisi mutazionali. La β-talassemia è frequente nelle aree del mondo a pregressa o attuale endemia malarica: bacino del Mediterraneo, Medio Oriente, Transcaucasia, Estremo Oriente. La tratta degli schiavi e le correnti migratorie hanno portato la malattia in tutto il mondo occidentale. Programmi di screening sono operanti in Italia, Grecia, Cipro, Malta e nelle minoranze etniche a rischio in diversi altri Paesi europei. Screening limitati a coppie in gravidanza sono in corso in Thailandia, Malaysia, Cina meridionale, alcune regioni indiane, Turchia, Iran ed Emirati Arabi (Cao, Rosatelli, Eckman 2001).
α-talassemia
L’α-talassemia è un’anemia dovuta a difetto (per lo più delezione di uno o più dei quattro geni α-globinici). Si distinguono quattro condizioni di gravità crescente: portatore silente con un gene affetto, portatore manifesto con due geni affetti, malattia da HbH (per la presenza di questa emoglobina anomala) dovuta a difetto di tre geni, e idrope fetale con mancata funzione di tutti e quattro i geni α-globinici. Programmi di screening di portatori manifesti con lo scopo di identificare feti affetti da idrope fetale sono in corso limitatamente alle donne in gravidanza in alcuni Paesi del Sud-Est asiatico (Thailandia, Malaysia) ove la malattia è molto frequente.
In alcuni Stati degli Stati Uniti e del Canada lo screening si effettua sia sui portatori silenti sia su quelli manifesti, e ha lo scopo di identificare le coppie a rischio di produrre sia feti con idrope fetale sia feti con malattia da HbH.
Anemia falciforme
Programmi di screening di portatori limitatamente a donne in gravidanza appartenenti a minoranze specifiche (africani, asiatici o mediorientali) sono operanti in diversi Paesi europei, negli Stati Uniti e in Canada.
Fibrosi cistica
L’identificazione dei portatori che si fonda sull’analisi mutazionale del gene è resa difficile dall’estrema eterogeneità molecolare (superiore a 1000 mutazioni), che mostra una distribuzione popolazione-specifica. L’analisi viene condotta ricercando per ciascun individuo le mutazioni più frequenti della popolazione cui appartiene. L’efficienza diagnostica è limitata essenzialmente dall’impossibilità di trovare tutte le mutazioni del gene CFTR, e varia in maniera consistente da popolazione a popolazione: in quella italiana, utilizzando i sistemi diagnostici capaci di identificare più di 50 mutazioni, l’efficienza varia dal 60% in Lombardia al 92% in Sardegna. Lo screening viene attualmente offerto ad adulti con familiarità positiva, allo sposo/sposa di pazienti con fibrosi cistica, a coppie di origine europea che programmano o hanno una gravidanza in atto, alle coppie in cui il marito presenti agenesia bilaterale dei vasi deferenti (un sintomo tipico della malattia). Sono disponibili due approcci allo screening della coppia: studio di entrambi i componenti contemporaneamente; studio di un singolo componente della coppia e analisi del secondo solo se il primo membro è risultato positivo. Per le ragioni su indicate, lo screening per FC non fornisce per lo più risultati certi, ma solo valori probabilistici in base alla percentuale di mutazioni identificabili in quella specifica popolazione (tab. 4). Ne consegue che la consultazione deve essere molto accurata e condotta da esperti (Watson, Cutting, Desnick et al. 2004).
Caratteristiche comuni di screening degli eterozigoti
I programmi di screening sopra menzionati sono risultati efficaci, in quanto hanno portato a realizzare una procreazione consapevole e informata nelle coppie consultate con la conseguente riduzione del numero di omozigoti affetti. Particolarmente efficaci sono risultati i programmi per la malattia di Tay-Sachs nelle comunità ebraiche e quelli per la β-talassemia nelle comunità a rischio italiane, greche e cipriote. Per la riuscita di tali programmi, dalle esperienze sino a ora realizzate si può ritenere siano utili e necessari i requisiti seguenti.
1) Individuazione della popolazione bersaglio ideale, costituita da coppie in età riproduttiva prima di una gravidanza per consentire la possibilità di utilizzare differenti approcci preventivi.
2) Screening degli eterozigoti volontario e condotto dopo aver ottenuto un consenso informato in seguito alla consultazione genetica.
3) Programmi educativi per i medici e i paramedici della popolazione oggetto dello screening e per gli alunni della scuola superiore, nei quali peraltro è controversa l’esecuzione di questo tipo di screening (Borry, Fryns, Schotsmans, Dierickx 2006).
4) Diffusione in punti critici (studi medici, uffici matrimoniali e di pianificazione familiare) di materiale informativo (poster, dépliants) contenente messaggi fondamentali sulle caratteristiche della malattia e sulle modalità di prevenzione.
5) Rapidità ed efficienza del processo tecnico di screening, in modo da evitare il più possibile esami inconclusivi che generano ansietà.
6) Riconoscimento del ruolo cruciale della consultazione genetica nei programmi di screening. Essa deve essere non direttiva e basata su incontri riservati con la coppia e/o il singolo portatore. Gli elementi essenziali da discutere nel corso della consultazione genetica sono: storia naturale della malattia, trattamenti disponibili, prognosi, prospettive della ricerca e informazioni sulle opzioni disponibili (interrompere il rapporto, mantenere il rapporto non avendo figli, ricorrere alla diagnosi prenatale, a quella preimpianto o preconcezionale, o all’inseminazione in vitro da donatori sani). Su queste diverse tecnologie devono essere fornite accurate informazioni sui rischi e sui vantaggi.
7) Necessità di informare i parenti sul rischio, una volta che sia stato individuato un portatore di una malattia autosomica recessiva. Questa informazione non deve avvenire in maniera diretta ma tramite il portatore identificato.
8) Revisione critica continuativa dei programmi di screening degli eterozigoti.
9) Necessità di diffondere questi programmi anche nei Paesi in via di sviluppo. Questo concetto è particolarmente valido per la β-talassemia e l’anemia falciforme, estremamente frequenti in tali contesti.
Conclusioni
Lo screening genetico nei suoi vari aspetti qui delineati si è rivelato un atto medico di notevole validità, perché può impedire l’evoluzione di una malattia genetica potenzialmente grave e/o può consentire di evitare la nascita di neonati affetti da malattie fatali. Nei prossimi anni è prevedibile che lo screening genetico venga esteso alla prevenzione primaria e secondaria delle malattie complesse e all’identificazione dell’efficacia e dei possibili effetti collaterali dei farmaci, consentendo in tal modo la realizzazione di una medicina personalizzata. Affinché questo atto medico continui ad avere successo e non comporti effetti negativi spiacevoli è necessario che sia preceduto e seguito da un’accurata consultazione genetica che ne illustri i vantaggi e gli svantaggi.
Bibliografia
N.J. Wald, H.C. Watt, A.K. Hackshaw, Integrated screen for Down’s syndrome on the basis of tests performed during the first and second trimesters, «The New England journal of medicine», 1999, 341, 7, pp. 461-67.
W. Burke, S.S. Coughlin, N.C. Lee et al., Application of population screening principles to genetic screening for adult-onset conditions, «Genetic testing», 2001, 5, 3, pp. 201-11.
A. Cao, M.C. Rosatelli, J.R. Eckman, Prenatal diagnosis and screening for thalassemia and sickle cell disease, in Disorders of hemogoblin. Genetic, pathophysiology and clinical management, ed. M.H. Steinberg, B.G. Forget, D.R. Higgs, R.L. Nagel, Cambridge 2001, pp. 958-78.
G.M. Petersen, A.M. Codori, Genetic testing for familial cancer, in The metabolic and molecular basis of inherited diseases, ed. Ch.R. Scriver, A.L. Beaudet, W.S. Sly, D. Valle, New York 20018, 1° vol., pp. 1063-76.
L.L. McCabe, B.L. Therrell Jr, E.R. McCabe, Newborn screening. Rationale for a comprehensive, fully integrated public health system, «Molecular genetics and metabolism», 2002, 77, 4, pp. 267-73.
M.J. McGinniss, M.M. Kaback, Heterozygote testing and carrier screening, in Emery and Rimoin’s principles and practice of medical genetics, ed. D.L. Rimoin, J.M. Connor, R.E. Pyeritz, New York 20024, pp. 752-62.
B. Godard, L. ten Kate, G. Evers-Kiebooms, S. Aymé, Population genetic screening programmes. Principles, techniques, practices, and policies, «European journal of human genetics», 2003, 11, suppl. 2, pp. 49-87.
M.J. Khoury, L.L. McCabe, E.R. McCabe, Population screening in the age of genomic medicine, «The New England journal of medicine», 2003, 348, 1, pp. 50-58.
B. Wilcken, V. Wiley, J. Hammond, K. Carpenter, Screening newborns for inborn errors of metabolism by tandem mass spectrometry, «The New England journal of medicine», 2003, 348, 23, pp. 2304-12.
W.E. Ewans, M.V. Relling, Moving toward individualized medicine with pharmacogenomics, «Nature», 2004, 429, 6990, pp. 464-68.
M.S. Watson, G.R. Cutting, R.J. Desnick et al., Cystic fibrosis population carrier screening. 2004 revision of American college of medical genetics mutation panel, «Genetics in medicine», 2004, 6, 5, pp. 387-91.
J.R. Botkin, Research for newborn screening. Developing a national frame work, «Pediatrics», 2005, 116, 4, pp. 862-71.
F.D. Malone, J.A. Canick, R.H. Ball et al., First-trimester or second-trimester screening, or both, for Down’s syndrome, «The New England journal of medicine», 2005, 353, 19, pp. 2001-11.
M. Natowicz, Newborn screening-setting evidence-based policy for protection, «The New England journal of medicine», 2005, 353, 9, pp. 867-70.
P. Borry, J.-P. Fryns, P. Schotsmans, K. Dierickx, Carrier testing in minors. A systematic review of guidelines and position papers, «European journal of human genetics», 2006, 14, 2, pp. 133-38.
A. Sekizawa, Y. Purwosunu, R. Matsuoka et al., Recent advances in non-invasive prenatal DNA diagnosis through analysis of maternal blood, «The journal of obstetrics and gynaecology research», 2007, 33, 6, pp. 747-64.