scriba
Latinismo; compare una sola volta, in Pd X 27 a sé torce tutta la mia cura / quella materia ond'io son fatto scriba. L'espressione appare analoga ad altre che s'incontrano nel latino della Monarchia (II VIII 14 scriba Cristi Lucas, e III IV 11 quanquam scribae divini eloquii multi sint, unicus tamen dictator est Deus, qui beneplacitum suum nobis per multorum calamos explicare dignatus est), le quali ci sembrano particolarmente utili per determinare il valore semantico del termine nel passo ora considerato.
Infatti Luca e tutti coloro che hanno scritto il Vecchio e il Nuovo Testamento non erano veri e propri " scrittori ", nel senso di " autori ", ma " scrivani " (scribae) della parola di Dio; allo stesso modo, D., anche a prescindere da quanto è detto nell'epistola XIII, ci presenta, nella stessa Commedia, la materia del suo poema come direttamente ispirata da Dio, e, sebbene in lui sia sempre viva la coscienza del proprio impegno tecnico-stilistico, si definisce trascrittore di un dettato divino (per questo problema cfr. G.R. Sarolli, Dante " scriba Dei ", in " Convivium " XXXI n. s. [1963] 385-422, 513-544, 641-671). Pertanto, a parte la considerazione del fatto che qui il sostantivo è usato in rima, ci sembra si possa concludere che esso non vale, semplicemente, " narratore " (Mattalia) e che D. ha inteso conferirgli il senso proprio di " scrivano " (Casini-Barbi, Chimenz), ovvero " diligente e devoto trascrittore ", come parafrasa il Sapegno, il quale aggiunge: " l'espressione umile accenna, ancora una volta, al carattere trascendente dell'ispirazione ". Cfr. anche Pd XXIX 41 li scrittor de lo Spirito Santo.