Scritti d'arte del Cinquecento – Introduzione
L'interesse sempre più vivo per la «retorica», stimolato dalle riflessioni strutturali, ha avuto anche in campo figurativo un'eco sensibile. Le poetiche, non più considerate come il gelido riflesso di esperienze creative, ma come importanti testimonianze razionali, cariche di tradizione e comprensive di un'area extra-individuale, nella quale appunto l'artista ha operato, esercitano oggi, grazie anche alla tormentosa sperimentazione visiva, un'attrazione nuova. In tale prospettiva s'inserisce la nostra raccolta di scritti d'arte del Cinquecento, la quale si offre al lettore in un'articolazione inconsueta.
Ad una scelta di autori motivata in senso cronologico o ambientale, e comunque in chiave monografica, abbiamo preferito una chiara e vasta esegesi di problemi. Ad essa ci ha indotto il presente corso degli studi, nel quale i più qualificati scrittori d'arte del Cinquecento sono in certo modo sotto revisione - se ne pubblicano facsimili (ad esempio, dello Zuccari, del Lomazzo, di Raffaele Borghini ecc.) e riedizioni ampiamente commentate (Varchi, Pino, Dolce, Danti, Sorte, Gilio, Paleotti, Aldrovandi, Borromeo, Ammannati, Bocchi, Romano Alberti, Comanini, Gaurico, Doni) -, e lo stesso Vasari diventa finalmente leggibile nelle affrontate stesure del 1550 e del 1568 e viene corredato da indici analitici che documentano il farsi del suo linguaggio critico e propongono fecondi confronti coi contemporanei. Una messa a fuoco dei temi in discussione e della loro parabola nel corso del secolo ci è parso che meglio consentisse di porre in evidenza nessi, divergenze, svolgimenti, e di accogliere anche scritti brevi o frammentari, ma puntuali e significativi, finora del tutto trascurati.
Il piano del nostro lavoro si distribuisce in tre tomi: i primi due riservati ai problemi della pittura, della scultura e affini, il terzo a quelli dell'architettura intesa nel modo più lato. Il primo tomo si apre con una scelta delle più importanti rassegne del secolo in senso sia storico-critico che bibliografico, ed affronta poi il rapporto arte-scienza, la gerarchia delle arti, l'ut pictura poesis esteso anche alla scultura e alla musica, il paragone tra pittura e scultura, la definizione della pittura e delle sue parti. Il secondo offre il punto di vista degli scettici e dei riformatori nei confronti della scultura, le varie versioni dell'artista ideale e della imitazione, l'opposizione tra misure e giudizio e tra bellezza e grazia, l'evoluzione del disegno, del colore, dell'invenzione, delle grottesche, del ritratto, dell'ut pictura poèsis nelle imprese; infine testimonianze sul collezionismo e sulla moda. Il terzo tomo, dopo due rassegne preliminari, l'una vitruviana e l'altra albertiana, tratta l'evoluzione della fortezza, della città ideale, della villa, del palazzo, della chiesa.
Questa intelaiatura ha reso possibile allargare notevolmente la rosa degli autori (ben quaranta solo nel primo tomo) e di rivalutare voci inedite o neglette. Le famose Vite di Paolo Giovio, ad esempio, e i suoi lucidi scorci critici sull'arte italiana, non più pubblicati dopo il Tiraboschi, tornano alla luce e si possono leggere a riscontro del celebre Proemio della terza parte delle Vite vasariane. Il gesuita Antonio Possevino fornisce, dal suo canto, una rassegna devozionale degli scritti figurativi del secolo, dove non compare, si noti, proprio il Vasari. L'ingenua lettera di Iacopo de' Barbari del 1501 (pubblicata solo dal Kirn nel 1925) fa qui coro con le più consapevoli riflessioni di Luca Pacioli sulle arti e sulle scienze, mentre lo scettico Cornelio Agrippa tutto avvilisce credendo solo nella mirabile integrità dell'asino (1530). Sperone Speroni dà sulla gerarchia delle arti un rapido e acuto parere (1542), mentre Giulio Camillo Delminio illustra la loro collocazione nel suo macchinoso Teatro. La singolare esperienza di Giovanni Battista Paggi (edita dal solo Giovanni Bottari) mette a confronto l'arretrata società genovese con quella fiorentina.
Per l'ut pictura poesis segnaliamo, con l'importante lettera di Bernardino Cirillo del 1549, la quale presenta un suggestivo parallelo tra le licenze del Giudizio Finale di Michelangelo e quelle delle Messe in musica contemporanee, le testimonianze del Gelli e dei musicisti Vincenzio Galilei e Orazio Vecchi. Per il paragone tra pittura e scultura siamo lieti di ripubblicare, dopo la inchiesta del Varchi, la ripresa della polemica in occasione del funerale di Michelangelo (1564), tra Benvenuto Celimi e Vincenzio Borghini. Del primo abbiamo ricomposta, dopo il ritrovamento documentario di Piero Calamandrei, la Disputa infra la Scultura e la Pittura, del secondo offriamo, sia pure in seconda visione (perché già apparsa in Un augurio a Raffaele Mattioli, Firenze 1970), la brillante Selva di notizie, reperita nel Kunsthistorisches Institut di Firenze. Per la pittura, il raro Lancilotti (1509) svela i plagi del mediocre Biondo (1549), la lettera del Dolce al Ballini smentisce, a confronto coi dialoghi del Pino e dello stesso Dolce, l'erronea datazione 1544, e il venosino Bartolomeo Maranta, difendendo prima del 1571 l’Annunciazione di Tiziano in San Domenico di Napoli, attesta la penetrazione veneziana nel mezzogiorno ed un onesto ma anche ironico aggiornamento sulla recente trattatistica controriformistica. Il suo amico Ulisse Aldrovandi, infine, in uno scritto inedito del 1582 insiste sulla necessaria documentazione scientifica del pittore e la raccomanda al cardinale Paleotti.
Del secondo tomo segnaliamo, per la scultura, i dimenticati Lupano (1540) e Zonca (1553) e le poesie in lode del Ratto delle Sabine del Giambologna (1583); per l’artista, la ricomparsa del Memoriale di Baccio Bandinelli e un pittoresco inedito di Pirro Ligorio sull'ambiente romano; per l'imitazione, un altro inedito di Vincenzio Borghini; per le misure e il giudizio, la ristampa dei famosi Dispareri di Martino Bassi (1572); per la bellezza e Ingrazia, oltre il trattatello del Varchi, scritti dell'Equicola, del Nifo e di Leone Ebreo; per il disegno, l'inedito trattato di Alessandro Allori (1590); per il colore, le dimenticate disquisizioni simboliche del Morato (1545), dell'Occolti (1557), del Calli (1591); per la invenzione, le proposte del Biondo, del Doni, del Girardi, dell'Armenini; per le imprese, le meditazioni del Giovio (1556), del Contile (1574), del Ruscelli (1584) ecc.
Del terzo tomo ci limitiamo a segnalare una rassegna dei più importanti commenti di Vitruvio, la famosa lettera di Claudio Tolomei sul programma dell'Accademia vitruviana (1542), una breve antologia delle introduzioni alle edizioni cinquecentesche di Leon Battista Alberti. Per la fortificazione riproponiamo i dimenticati De' Zanchi (1554), Lanteri (1557), Maggi (1564), Girolamo Cataneo (1571), Lupicini (1582) ecc.; per la città ideale, oltre Leonardo, Pietro Cataneo, il Gilio e l'inedito Discorso dell'Architettura di Pellegrino Tibaldi; per la villa, oltre il Doni, il Lollio (1544), il Della Porta (1592) ecc.
Ma il raro e l'inedito non mirano in questa esegesi a preziosità marginali; essi collaborano ad un contrappunto più largo e il più possibile articolato. Ad ogni sezione, seguendo l'esempio dei Poeti del Duecento di Gianfranco Contini, abbiamo premessa una nota introduttiva che orienta immediatamente il lettore sui limiti della scelta e sulla qualità delle testimonianze, le quali poi sono debitamente illustrate da un commento puntuale che ne suggerisce le fonti e le peculiarità rispetto ai testi contemporanei. Chiude ogni tomo una Nota ai testi, che fornisce i dati biobibliografici essenziali. Infine un indice analitico generale, sintetizzando i dati dell'intera ricerca, potrà, insieme con gl'indici della vasariana Vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568, Milano-Napoli, Ricciardi, 1962, dei Trattati d'arte del Cinquecento, Bari, Laterza, 1960-62, e soprattutto delle Vite del Vasari in corso di pubblicazione (Firenze, Sansoni, 1966 sgg.), procurare la chiave di gran parte della letteratura artistica del Cinquecento attraverso confronti linguistici e critici che, in fase tuttora preparatoria, non è possibile perpetrare.
Per il trattamento filologico dei testi ci siamo regolati nel modo seguente.
I testi già da noi editi nella citata raccolta dei Trattati d'arte del Cinquecento sono stati riprodotti immutati, salva la correzione di qualche menda allora sfuggita. Chi voglia conoscere i criteri ecdotici che allora seguimmo può trovarli nella Nota filologica apposta al volume 1 di quella raccolta, pp. 330-5.
Per gli altri testi, data la loro varietà cronologica, geografica e stilistica, e data la loro frequente riproduzione parziale, ci siamo astenuti da ogni normalizzazione che potesse configurarsi come livellamento sul fiorentino bembesco o sull'italiano odierno, e che comunque presupponesse una considerazione totale dell'usus scribendi dei singoli autori o correttori. Abbiamo perciò rispettato il costume grafico delle edizioni originali, anche al di là del riguardo alla realtà fonetica; limitandoci, per una opportuna facilitazione della lettura, a eliminare 'h superflua, a convertire in z il tj seguito da vocale, a distinguere I'u dal v, a operare certe separazioni indispensabili all'evidenza, a normalizzare l'uso delle maiuscole e l'interpunzione. Salvo per il caso di svarioni banali, il nostro intervento per integrazione di lacune, espunzioni, rettificazioni è stato sempre denunciato, quando possibile già nel testo mediante segni diacritici (parentesi quadre per l'integrazione, parentesi uncinate per l'espunzione), oppure nella Nota ai testi. In conclusione, siamo stati assai più conservatori di quanto non fummo nei Trattati laterziani, dove curavamo pochi testi valutati nella loro interezza.
Il modo con cui abbiamo pubblicato i manoscritti inediti è esposto minutamente nella Nota ai testi del presente tomo, a proposito della Selva di notizie di Vincenzio Borghini (pp. 611-73): quegli stessi princìpi, con gli opportuni adattamenti, abbiamo applicati al manoscritto del Maranta.