Scritti di governo
Nome dato alle oltre cinquemila lettere ufficiali che M. scrisse ai rappresentanti dell’autorità militare e amministrativa nei vari luoghi della provincia della Repubblica di Firenze fra il 1498 e il 1512, e durante il biennio 1526-27, prevalentemente a nome dei Dieci di libertà e pace e dei Nove dell’ordinanza e milizia, ma anche dei signori e dei provveditori delle mura di Firenze. I registri di cancelleria con le minute autografe delle lettere sono conservati nell’Archivio di Stato di Firenze, in cui è confluito l’antico Archivio delle Riformagioni, nella sezione Archivi della Repubblica, per lo più fra le filze dei Dieci di Balìa, dei Signori e dei provveditori delle mura.
M. viene eletto il 19 giugno 1498 a capo della seconda cancelleria della Repubblica e il 14 luglio viene posto al servizio dei Dieci di libertà e pace, chiamati anche Dieci di Balìa, responsabili di tutte le questioni riguardanti la guerra e la sicurezza all’interno del territorio fiorentino. Questa sua nomina interviene poco dopo l’esecuzione di Savonarola ed è una conseguenza della vittoria degli antisavonaroliani, che hanno destituito il suo predecessore. La sua attività comincia appunto il giorno della sua entrata in servizio presso i Dieci. Per oltre quindici anni tutto il carteggio amministrativo della Repubblica di Firenze con la provincia sarà posto sotto il suo controllo e la sua responsabilità. Si tratta di un’esperienza di singolare importanza per la formazione del suo pensiero politico e storico, che viene più particolarmente documentata dai dispacci che scrive di suo pugno. Tale attività sarà interrotta solo dalla cinquantina di missioni (Legazioni e commissarie) che compirà per il governo all’interno e all’esterno dello Stato, e, a partire dal 1505, prima ufficiosamente poi ufficialmente, dal suo impegno nella creazione e nell’amministrazione della milizia d’ordinanza, che rappresenta un’attività più specifica e più tecnica.
I carteggi del secondo semestre del 1498 rendono conto del rilancio della campagna contro Pisa, sfuggita all’autorità fiorentina nel 1494 in occasione della spedizione di Carlo VIII alla conquista del Regno di Napoli; gli ordini sono precisi e le ingiunzioni forti e taglienti. Il tentativo però fallisce, come tanti altri, di fronte alla resistenza dei pisani e al forte appoggio dei veneziani. Questi ultimi poi aprono un nuovo fronte in Casentino, conquistandone addirittura una parte e minacciando direttamente Firenze: ciò che richiede da parte dell’amministrazione un grande sforzo di riorganizzazione del fronte e dello spostamento dei mercenari verso il settore nord-orientale dello Stato. Costante deve essere inoltre, con ordini precisi e lo sguardo rivolto a tutti i punti deboli, l’attenzione verso le altre zone del territorio come Pistoia o Arezzo, sempre pronte alla ribellione in caso di indebolimento del potere centrale. Importante è anche tutto lo sforzo di sostegno logistico che l’amministrazione deve coordinare accanto a quello militare, per ognuna di queste campagne. Il successo fiorentino si concretizza l’anno seguente con la ritirata dei veneziani dal Casentino e da Pisa; ma la ripresa del lento accerchiamento di Pisa si conclude con un disastro totale e con l’arresto e l’esecuzione di Paolo Vitelli, accusato di tradimento. Anche in questa fase, fino alla sua tragica conclusione, l’attività della cancelleria è determinante. Sebbene le prime vittorie di Cesare Borgia in Romagna, poi il ritorno del Moro a Milano costringano i fiorentini ad allentare la morsa e a rafforzare il fronte settentrionale, nella primavera del 1500 l’amministrazione deve organizzare l’accompagnamento di un contingente di migliaia di mercenari francesi e svizzeri, destinati a riconquistare la città ribelle. Il fallimento della campagna, che mette in pericolo la sicurezza stessa dello Stato fiorentino, rafforza in M. i dubbi sull’efficacia dei mercenari nelle campagne militari. Nel 1501 la minaccia del Borgia si fa più impellente, anche tramite i suoi luogotenenti, e occorre rafforzare il fronte orientale dello Stato, da Castrocaro a Borgo San Sepolcro. Ma, come accade nei momenti di indebolimento, a Pistoia scoppia la rivolta e la guerra civile, che occorre reprimere con interventi puntuali ma non risolutivi, a causa dei pericoli alle frontiere.
Nel mese di giugno 1502, mentre Cesare Borgia conquista Urbino in una fulminea spedizione, Arezzo e la Valdichiana si ribellano sfuggendo totalmente all’autorità centrale. Di nuovo M. deve correre ai ripari con misure straordinarie, che però si rivelano incapaci di riportare l’ordine, al quale dovranno provvedere le truppe francesi. La ribellione dei luogotenenti contro Cesare Borgia dà un attimo di tregua a Firenze, ma la vittoria e la cattura dei ribelli a Senigallia alla fine del 1502 segna l’accerchiamento della Toscana da parte delle forze del Valentino. Nel mese di aprile 1503, Firenze tenta una nuova stretta contro Pisa, che esige la mobilitazione e lo spostamento sul fronte di importanti mezzi in uomini (guastatori e militari), in materiale (armi, artiglieria, carriaggi), in cavalli e bestie da soma e in rifornimenti vari (pane, vino, paglia, fieno ecc.), nonché l’invio di denaro, il reclutamento di mercenari e la mobilitazione dei guastatori nelle province limitrofe: tutte attività coordinate da Machiavelli. La morte di Alessandro VI e la simultanea grave malattia del figlio capovolgono la situazione, lasciando un attimo di requie alla città. Ma l’amministrazione deve comunque compiere uno sforzo notevole per fronteggiare tutti i pericoli, tanto che M., nel semestre maggio-ottobre 1503, scrive più di 800 lettere, esigendo che nessuno «perdoni alla penna».
All’inizio del 1504, crollata in pochi mesi la minaccia di Cesare Borgia, Firenze riprende la solita campagna contro Pisa, ma l’amministrazione deve affrontare un altro problema: i rifornimenti che giungono alla città ribelle via mare. Occorre perciò prendere tutte le misure per dotare la Repubblica di una flotta rapida ed efficiente, capace di intervenire per mare, completando il blocco della città ribelle. Contemporaneamente, le autorità fiorentine devono affrontare due minacce: una militare, quella di Rinieri della Sassetta, che va fermata a costo di allentare la stretta attorno a Pisa, e l’altra, di ordine personale, quella della rivalità fra i capitani delle truppe mercenarie sulla tattica da seguire nelle operazioni, che M. deve sopire, con un compromesso faticosamente negoziato. Nell’anno 1504, M. e i suoi collaboratori dispiegano un’intensa energia nella redazione di migliaia di lettere per organizzare sfibranti scaramucce e sterili tentativi di assalto alle mura di Pisa, nonostante la scarsezza di mezzi finanziari e umani. Due problemi maggiori vengono a complicare le operazioni: la faraonica impresa di deviazione dell’Arno e le minacce d’invasione del potente capitano Bartolomeo d’Alviano.
Alla fine dell’estate 1504, un progetto, caldeggiato dal gonfaloniere a vita Piero Soderini e da tutta la sua amministrazione, mira a fare sfociare l’Arno in mare a sud di Pisa, privando la città ribelle di acqua e offrendo alle merci fiorentine uno sbocco in mare, di cui erano prive fin dal 1494. A questo progetto M. dedica non meno di 150 lettere. Consigliato probabilmente da ingegneri idraulici, ricorre anche a tutta una terminologia tecnica assai inconsueta. I dispacci rendono conto di un incredibile accanimento di tutti i collaboratori del gonfaloniere per attuare un progetto che appare presto irrealizzabile. Rovinata e amareggiata dall’insuccesso, Firenze non ha nemmeno più la forza di proseguire la campagna contro Pisa. Tuttavia, fin dai primi mesi viene prospettandosi il pericolo del potente Bartolomeo d’Alviano che, con il pretesto di difendere i pisani, mira all’invasione della Repubblica fiorentina, con l’appoggio del viceré di Napoli, Gonzalo Fernández de Córdoba. Occorre perciò ricostruire una difesa credibile, assoldando mercenari e capitani di ventura, facendoli collaborare con i commissari sui vari fronti. Tale attività cancelleresca non è solo d’ordine materiale o tattico; presuppone anche l’impegno di una forte componente psicologica. Possiamo osservare, per es., che in quei giorni M. si adopera non solo per far spostare le truppe al fine di ostacolare le mosse dell’Alviano, ma anche per sminuire la sua minaccia agli occhi di chi dovrà presto affrontarlo. In questa occasione, come nelle campagne dell’anno precedente, si manifesta la capacità di M. di creare una perfetta intesa tra l’amministrazione centrale e chi opera sul terreno, come è il caso in quei mesi con Antonio Giacomini, il vecchio servitore dello Stato e grande stratega, che viene richiamato per affrontare una situazione di emergenza. Con lui M. elabora una sorta di guerra psicologica, che consiste nell’arruolare dei soldati spagnoli e farli combattere con le truppe fiorentine per far credere a Bartolomeo d’Alviano che Gonzalo lo stia abbandonando o tradendo.
Un’altra funzione importante del cancelliere, che appare dalla lettura dei carteggi, è la messa in atto sul terreno delle decisioni politiche elaborate nelle consulte e negli organi decisionali, con un margine d’interpretazione talvolta non indifferente. Vediamo che M. ricorre anche al canale della lettera semiufficiale, come quella scritta il 27 agosto 1505 in nome proprio al Giacomini, per preparare l’accettazione della nomina di Ercole Bentivoglio a capitano generale:
Tenete secreto quello che io vi scrivo. La pratica ha deliberato questa mattina di dare el bastone a messer Ercole, ma vogliamo differire un dì o dua a significarlo, per vedere come gl’ànno a satisfare a Marco Antonio, dubitando che non facci el diavolo (Lettere, p. 113).
Si noterà come il passaggio alla lettera semiufficiale implichi l’uso di un livello più colloquiale del linguaggio. Ma, nonostante la vittoria contro l’Alviano, dovuta tanto all’abilità del Giacomini quanto al sostegno dell’amministrazione, il progetto di una fulminea campagna contro Pisa sulla scia di questo successo fallisce nuovamente. Anzi, la controffensiva dei pisani costringe le autorità fiorentine a numerosi spostamenti di truppe, fonte di non pochi attriti con la popolazione che M. deve cercare di sedare. In tutti questi mesi, vediamo il cancelliere tentare di coinvolgere gli abitanti delle regioni suddite nella difesa del territorio. E il 30 novembre 1505, con una delibera a sorpresa, redatta sotto forma di circolare da M. stesso, i Dieci incaricano il loro Segretario di iniziare il reclutamento di contadini nel Mugello, cioè nell’Appennino toscano a nord di Firenze. Il 17 aprile 1506, una patente di mano di M. conferma la nomina di don Miguel Corella, un ex uomo di mano di Cesare Borgia, a capitano di guardia del contado e distretto, incaricato di far rispettare l’ordine, più particolarmente fra le nuove milizie appena armate. Dalle lettere di quei mesi assistiamo a un cambiamento radicale, messo in atto da M. con l’accordo del gonfaloniere, nella tipologia delle truppe impegnate sul fronte contro Pisa: infatti ai mercenari, che si tenta di ridurre di numero, vengono già affiancati i nuovi soldati della milizia territoriale. Il mutamento implica ovviamente un grande sforzo da parte dell’amministrazione, che deve fronteggiare nello stesso tempo la ribellione dei capitani di ventura, i quali minacciano di recarsi di persona a Firenze per farsi pagare le condotte arretrate. Ma ancora una volta un importante evento esterno ritarda l’operazione: la spedizione militare di Giulio II contro Perugia e Bologna, che richiede tutta l’attenzione di Firenze, coinvolgendo M. in un’importante missione diplomatica.
L’entrata in vigore della nuova magistratura dei Nove dell’Ordinanza, di cui M. viene nominato segretario, all’inizio del 1507, sposta gli interessi amministrativi per vari mesi sul tema della leva: nei rari periodi in cui non è sul terreno a reclutare soldati, i dispacci che redige sono di ordine più pratico e più tecnico, volti all’organizzazione militare più che alla politica interna; siamo in questi scritti più nella fucina dell’Arte della guerra che in quella del Principe, dei Discorsi o delle Istorie.
Nei tre anni seguenti, gli impegni diplomatici (legazioni presso l’imperatore, Luigi XII e alcuni signori italiani) e le innumerevoli missioni nel territorio, spesso legate all’ordinanza, lasciano molto meno spazio alla stesura degli Scritti di governo. Va anche rilevato che la riconquista di Pisa, nel giugno 1509 (a cui fanno seguito alcuni dispacci sulla riorganizzazione della città e la ricostruzione delle fortificazioni), nonché l’attenuazione delle minacce immediate all’integrità territoriale di Firenze rendono meno urgente l’intervento dello stesso M., che può delegare l’ordinaria amministrazione alla cura dei suoi dipendenti. Di ritorno dalla legazione in Francia nell’ottobre 1510, M. prende coscienza che il rovesciamento delle alleanze messo in atto da Giulio II porrà Firenze, alleata dei francesi, fra due fuochi nemici (lo Stato della Chiesa e le truppe pontificie opposte al re di Francia in Lombardia), e che per cercare di salvare la Repubblica da un ritorno dei Medici, Firenze dovrà contare essenzialmente sulle proprie milizie, vista anche la scarsezza di mezzi finanziari per retribuire i mercenari. Occorre perciò completare la fanteria con una cavalleria d’ordinanza. I primi reclutamenti cominciano verso la fine del 1510, in seguito a un decreto dei Dieci, mentre l’amministrazione viene fortemente riattivata per preparare tutto il territorio a questo nuovo vasto progetto organizzativo (censimento, reclutamento, scelta dei cavalli e dei cavalieri, esercitazioni). L’altra missione importante affidata a M. che compare negli scritti di governo del 1511 è il rafforzamento delle fortificazioni di Pisa, Arezzo, Poggio Imperiale, che richiede un ingente sforzo di coordinamento di tutte le forze del contado. Il 1512 è quasi interamente dedicato al disperato tentativo di arruolare e armare il maggior numero possibile di soldati nel territorio. Ma questi mesi, che precedono la caduta di Firenze in mano alle truppe spagnole e ai Medici (settembre 1512), sono quasi tutti trascorsi da M. fuori dall’ufficio in tutte le zone settentrionali dello Stato.
Dopo essere stato cassato dal suo impiego di cancelliere in seguito al ritorno dei Medici, M. ritroverà solo una parvenza di funzione amministrativa nella primavera del 1526, quando verrà nominato Segretario dei provveditori delle mura di Firenze. Ma la quindicina di dispacci scritti tra maggio 1526 e febbraio 1527 vertono essenzialmente sulla requisizione di materiale e il reclutamento di manovali per l’esecuzione delle nuove fortificazioni della città.
Sebbene M. scriva queste lettere a nome delle autorità fiorentine, responsabili del contenuto delle missive, varie sono le prove dell’autonomia redazionale di cui disponeva. Con ogni probabilità il Cancelliere-Segretario assisteva alle riunioni degli organi politici, quelle dei Dieci in particolare, informando i partecipanti delle risposte ricevute dalle varie parti del territorio e prendendo nota del contenuto dei dispacci da inviare. Sono stati conservati infatti alcuni suoi appunti, più o meno ampi, in cui compaiono annotazioni come: «Patentes a Noferi di Giovanni Ridolfi, che possa gastigare chi assassinassi la strada tra Ponte a Sieve e Casentino». D’altra parte, abbiamo prove di interventi, seppur rarissimi, dell’autorità politica volti a cassare o far modificare alcune missive già scritte nei minutari, che M. segnala con formule quali «non ambulavit» o «frustra». Questo ci dà la misura della relativa autonomia di cui disponeva l’amministrazione, e il cancelliere in particolare, nella redazione delle istruzioni alle autorità territoriali. Ma di questa autonomia non mancano nemmeno le prove a livello redazionale. Molti sono i casi di rifacimenti parziali o totali di missive, che rendono conto di un lavoro di scrittura e riscrittura interamente affidato al Segretario. Sono testimonianze di una grande libertà redazionale nella sostanza del testo e di una quasi totale indipendenza dal punto di vista formale.
Le lettere seguono uno schema preciso determinato dalla tradizionale prassi cancelleresca. In una sorta di intitolazione scritta per lo più in latino, compaiono il nome e il cognome, al dativo, latinizzati del destinatario (per es., «Andreae de Pazis»); il titolo (commissario, vicario, capitano, podestà...) e il luogo, di solito connessi («Commissario Forlivii»); spesso, ma non sempre, la data («Die 31 octobris 1498»), sostituita talvolta da formule come «Die quo supra» o «Dicta die», o semplicemente omessa quando è facilmente ricavabile dalla successione cronologica delle missive nel minutario. Spesso il dispaccio comincia con la conferma della ricezione di una lettera del funzionario e prosegue con la risposta che le autorità fiorentine intendono darvi; ma sono frequenti i casi in cui è l’autorità centrale a prendere l’iniziativa del carteggio per impartire un ordine o per recapitare un’informazione. Secondo l’uso latino, viene dato del tu al destinatario, anche se di rango piuttosto alto, come il «Commissario generalissimo» Antonio Giacomini. Redatte in uno stile più nobile ed elevato, che si rifà all’oratoria e all’epistolografia classica, sono le poche lettere destinate a condottieri di nobile casato, come Ercole Bentivoglio, governatore di Bologna, ai quali le autorità si rivolgono usando il voi.
Gli Scritti di governo riguardano anche attività annesse del cancelliere, che richiedono tipi diversi di codificazione e di registro linguistico. Che ciò facesse parte o no del suo mandato, M. era uso inviare lettere semiufficiali, con firma propria, ma con il titolo di cancelliere, a personalità di spicco, come membri della Signoria, dei Dieci o più generalmente dell’oligarchia, in missione nel dominio. Queste lettere non contengono ordini o istruzioni, ma informazioni succinte di politica interna ed estera, in forma di regesto. Anche in questo caso viene usato il voi, che l’amministrazione usa rivolgendosi alle autorità politiche e a personaggi di rilievo della Repubblica. Abbiamo un esempio di questa tipologia in alcune lettere inviate a Pier Francesco Tosinghi, chiamato «magnifico», commissario generale «in agro Pisano», nei mesi di aprile-luglio 1499. Questi regesti di notizie ci informano anche su tutta un’attività di compilazione diaristicostorica richiesta dai cancellieri, di cui sono rimaste alcune tracce sotto forma di sintesi, rapporti, discorsi e saggi, che rientravano nell’attività non epistolare dei funzionari, incaricati di mettere a disposizione delle autorità le informazioni necessarie a una decisione politica (e che nella tradizione editoriale sono confluiti negli scritti politici minori e nei frammenti storici). Fanno parte integrante invece degli Scritti di governo altri due settori di attività, che sono confluiti nei relativi settori di Archivio. Da una parte, i verbali delle Consulte e Pratiche, cioè di quell’organo consultivo della Repubblica, formato da savi, che doveva dare un parere a proposito di decisioni difficili da prendere; sono appunti, spesso rapidamente presi, che riportano, con alcune espressioni non prive di vivacità e di spontaneità, in stile diretto o indiretto, i discorsi dei singoli partecipanti. Sebbene l’intervento del Segretario – a M. si alternavano vari funzionari dell’amministrazione – sia minimo, tali verbali sono una testimonianza interessante di quanto M. abbia potuto assimilare del modo di ragionare e del linguaggio politico del ceto medio-alto fiorentino. L’altra attività, pure di impegno personale minimo sul piano concettuale e redazionale, è quella di stesura di atti ufficiali (conservati nei registri di «Deliberazioni, condotte e stanziamenti») come ordini di missione, patenti, credenziali, fino a casi particolari di patenti o ordini di missione scritti dal M. segretario dei Dieci per il M. inviato in missione all’interno o all’esterno del territorio. Un’ultima tipologia di tali scritti è quella, confluita nell’Archivio delle Tratte, che consiste nell’elencazione dei cittadini eleggibili, sorteggiati o eletti; senza contenere alcun valore informativo sul pensiero e la lingua di M., queste carte ci permettono di conoscere il coinvolgimento del Segretario, che pure non era un notaio, nella supervisione o nella registrazione di alcune votazioni negli organi legislativi e direttivi della Repubblica.
Gli Scritti di governo, oltre a costituire un vasto laboratorio di riflessione e di elaborazione storico-politica durato ben quindici anni, sono un banco di prova linguistico e stilistico di particolare importanza, in cui M. mette a punto tutta una serie di strategie narrative e argomentative: che si tratti del sistema ipotetico, di quello concessivo, di quello causale o di quello valutativo. Notevole è anche il perfezionamento del lessico, che parte dagli stereotipi cancellereschi per giungere, da una parte, a tecnicismi e, dall’altra, a termini carichi di affettività.
Bibliografia: Fonti: Edizione nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli, V. Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, 1° t., 1498-1500, a cura di J.-J. Marchand, Roma 2002; 2° t., 1501-1503, a cura di E. Cutinelli-Rendina, D. Fachard, Roma 2003; 3° t., 1503-1504, a cura di J.-J. Marchand, M. Melera-Morettini, Roma 2005; 4° t., 1504-1505, a cura di E. Cutinelli-Rendina, D. Fachard, Roma 2006; 5° t., 1505-1507, a cura di J.-J. Marchand, A. Guidi, M. Melera-Morettini, Roma 2008; 6° t., 1507-1510, a cura di E. Cutinelli-Rendina, D. Fachard, Roma 2011; 7° t., 1510-1527, a cura di J.-J. Marchand, A. Guidi, M. Melera-Morettini, Roma 2011.
Per gli studi critici si vedano: D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910; F. Chiappelli, Nuovi studi sul linguaggio del Machiavelli, Firenze 1969; F. Chiappelli, Machiavelli as secretary, «Italian quarterly», 1970, 14, pp. 27-44; G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 1° vol., Il pensiero politico, Bologna 1993, pp. 25-324; G. Ferroni, La struttura epistolare come contraddizione (carteggio privato, carteggio diplomatico, carteggio cancelleresco), in Niccolò Machiavelli politico, storico, letterato, Atti del Convegno, Losanna 27-30 settembre 1995, a cura di J.-J. Marchand, Roma 1996, pp. 247-69; F. Grazzini, Lettere cancelleresche di Machiavelli nel fondo Machiavelli Serristori e nell’Archivio di Stato di Firenze, «Bullettino dell’Istituto storico per il Medio Evo», 2000-2001, 103, pp. 295-345; D. Fachard, Gli scritti cancellereschi inediti di Machiavelli durante il primo quinquennio a Palazzo Vecchio, con appendice di testi, in La lingua e le lingue di Machiavelli, a cura di A. Pontremoli, Firenze 2001, pp. 87-121; Machiavelli senza i Medici (1498-1512), Atti del Convegno, Losanna 18-20 novembre 2004, a cura di J.-J. Marchand, Roma 2005; J.-L. Fournel, Retorica della guerra, retorica dell’emergenza nella Firenze repubblicana, «Giornale critico della filosofia italiana», 2006, 85, pp. 389-411; D. Fachard, «A maggiore vostra cognizione mi farò un po’ da lato [sic], e voi arete pazienza a leggerla». Appunti su inediti machiavelliani riguardanti la milizia, «Filologia italiana», 2009, 6, pp. 129-45; A. Guidi, ‘Esperienza’ e ‘qualità dei tempi’ nel linguaggio cancelleresco e in Machiavelli, «Laboratoire italien», 2009, 9, pp. 233-72; A. Guidi, Un Segretario militante. Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere Machiavelli, Bologna 2009; R. Black, Machiavelli in the chancery, in The Cambridge companion to Machiavelli, ed. J.M. Najemy, Cambridge 2010, pp. 31-48.