scritti militari minori
Gran parte degli s. m. m. si collocano nella congiuntura storica tra il 1506 e la fine della carriera politica di M., ovvero tra la promulgazione dell’Ordinanza e il ritorno dei Medici a Firenze. Si tratta quindi di testi che per molti versi specificano e chiariscono il modello militare che M. aveva delineato con l’Ordinanza, e che andava soggetto ad aggiustamenti, via via che il suo ideatore si trovava a confrontarsi con la realtà della guerra (Guidi 2009). La riflessione militare di M. proseguirà, in maniera continua, anche dopo il 1512, quando l’ormai ex Segretario cercherà di proporre al nuovo interlocutore, i Medici, gli stessi concetti chiave che avevano presieduto alla definizione del progetto (Marchand 2001a, pp. XI-XII): la stessa Arte della guerra del 1521 rappresenta una rielaborazione degli schemi abbozzati negli anni 1506-12 (Bausi 2005, pp. 226-45); il cambiamento è soprattutto nelle modalità argomentative, che ora adottano un serrato confronto con l’antichità classica in contrasto con i riferimenti prevalentemente ‘contemporanei’ degli scritti del periodo repubblicano (Hörn qvist 2002). In definitiva, quindi, le opere militari minori sono la testimonianza di un pensiero che M. mantenne nei suoi punti fondamentali per tutta la vita (Hörnqvist 2010), anche attraverso rovesci politici e personali drammatici, fino agli ultimi incarichi nel 1526 e 1527.
La prima in ordine di tempo delle opere qui considerate sono i Provvedimenti per la riconquista di Pisa, redatti con ogni probabilità alla fine di marzo del 1509, quando il lungo conflitto stava per concludersi (Marchand 1975, pp. 190-201 e 482-84). Il breve testo, di cui non si è conservato l’autografo, ma solo una copia nella Biblioteca Apostolica Vaticana (cod. Vat. Barb. lat. 5368), non consente a M. grandi digressioni, limitandosi a una esposizione molto asciutta delle possibilità tattiche per l’ultimo assalto alla città ormai stremata, che si sarebbe arresa meno di tre mesi dopo; nondimeno può esser preso a esempio dell’abilità argomentativa dell’autore, che ‘accompagna’ il lettore alla soluzione tecnica prospettata, pur dando mostra di esporre in maniera assolutamente impersonale le varie alternative con i rispettivi pro e contro. Era del resto un passaggio politico che, al di là del tecnicismo della tattica, aveva in sé tutto il destino della carriera del Segretario: in effetti la riconquista di Pisa segnò l’acme della fortuna politica di M. (Hörnqvist 2002, pp. 163-64), le cui milizie avevano dato prove positive nel reclutamento e anche in alcuni momenti delle operazioni militari vere e proprie. Non a caso il testo militare più importante tra quelli qui considerati giunse l’anno successivo: il Discorso sulla milizia a cavallo fu composto alla fine di ottobre del 1510, e comunque prima del 7 novembre, quando i Consigli cittadini provvidero alla delibera vera e propria. Anche in questo caso non si dispone dell’autografo: lo si conosce in forma frammentaria perché Giuliano de’ Ricci ne trasse una copia ora presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, cod. Palatino E.B. 15.10 (Marchand 1975, pp. 213-20, 487). M. procedeva in questo caso a un secondo passo rispetto alla riforma militare del 1506: l’introduzione di una cavalleria leggera reclutata con lo stesso meccanismo dell’Ordinanza. Il Segretario tributò grande attenzione anche teorica al soggetto, che aveva avuto un impulso politico ad altissimo livello quando Luigi XII, re di Francia e principale interlocutore della Repubblica fiorentina, aveva dato un parere positivo alle prove militari dei fiorentini e quindi richiesto un contingente a cavallo. M. era ben consapevole delle difficoltà e delle tenaci resistenze che già nel 1506 si erano manifestate contro la riforma militare; in particolare, il tradizionale argomento oligarchico, secondo cui la creazione di una milizia di comitatini avrebbe potuto servire da braccio armato per un tentativo autocratico da parte del regime, era ora reso più stringente dalla profonda divaricazione apertasi tra Piero Soderini e le grandi casate ottimatizie (Marchand 2001b, pp. 407-08). M. affronta qui senza infingimenti l’obiezione, osservando che in definitiva sarebbe preferibile il pericolo di un tiranno ‘interno’ al regime, piuttosto che la certezza di un crollo militare, preludio di un dominio ‘esterno’ sulla debole Repubblica: «quando pure il tiranno venisse, egli è manco male stare a discrezione de’ suoi che delli esterni, come stanno le città prive dell’armi che sieno loro, come è la vostra» (§ 6). Era lo stesso argomento che Fabrizio Colonna avrebbe espresso nell’Arte della guerra (I 171) undici anni dopo, ormai nel contesto di un avvicinamento di M. all’ambiente mediceo (Martelli, Bausi 1996, p. 265). Chiaramente, i caratteri più arditi del testo non si trovano nell’Ordinanza de’ cavalli, cioè nel provvedimento vero e proprio adottato dalla Repubblica, e conservato in redazioni diverse con alcune varianti d’autore (Marchand 1975, pp. 235-45 e 491-506): qui non mancano cautele quanto al controllo delle milizie, affidato ai Nove ma sotto uno stretto controllo del Consiglio degli Ottanta. Autenticamente ‘machiavelliana’ è comunque l’ispirazione del testo: basti pensare alla sottolineatura delle circoscrizioni amministrative del contado come cardine dell’organizzazione militare; e del resto non mancano dettagli di revisione dell’Ordinanza per la milizia a piedi, che aggiungevano correttivi grazie a qualche anno di esperienza diretta. Lo stesso problema delle resistenze interne è implicitamente al centro del Ghiribizzo circa Iacopo Savello, redatto all’inizio di maggio 1511 e ritrovato nel suo autografo solo in tempi recenti (Marchand 1969). Il problema del comando delle nuove milizie era stato al centro dell’ostilità degli ottimati verso M. già al tempo dell’Ordinanza, quando il Segretario volle fortemente la scelta di Miguel Corella da Valencia, famigerato uomo d’arme già a servizio del Valentino (N. Machiavelli, Arte della guerra e scritti politici minori, a cura di S. Bertelli, 1961, p. 85). Ora l’autore argomenta abilmente contro le scelte più gradite ai patrizi, per suggerire la preferenza di un condottiero vicino alle aristocrazie romane da sempre presenti negli eserciti fiorentini; ma soprattutto, sostiene la scelta di un personaggio non di primo piano politico e molto ben accetto ai soldati, che avrebbe percorso una carriera militare tutta ‘interna’ alla Repubblica, e proprio per questo sarebbe riuscito più affidabile per il regime (Marchand 1975, pp. 221-34 e 488-90).
Come accennato, la svolta politica del 1512 con le sue drammatiche conseguenze non interruppe il lavorio di M. sui temi militari. I Ghiribizi d’Ordinanza, il cui autografo si conserva diviso in due diversi spezzoni (Marchand 1971) furono redatti nel 1515 nella forma di lettera a un autorevole amico, probabilmente Paolo Vettori (Ridolfi 1954, 19787, pp. 522-23), e quindi di fatto rivolta all’ambiente romano di Leone X, cioè alla famiglia Medici presso cui M. cercava di accreditarsi come esperto di cose militari – come del resto avrebbe continuato a fare ancora nell’Arte della guerra (Senesi 1988). Lo spunto era la decisione di Lorenzo de’ Medici di ricostituire una nuova Ordinanza fiorentina, con caratteri per vari aspetti affini a quelli machiavelliani. L’ex Segretario quindi sottolineava alcuni punti strettamente tecnici dell’Ordinanza, sul numero dei coscritti e la loro connessione con le circoscrizioni amministrative, ma allo stesso tempo riproponeva con forza i contenuti e quindi la filosofia di fondo dell’Ordinanza del 1506, tanto che l’avvio della lettera («Io lascerò indreto el disputare se questo ordine è utile o no, e se fa per lo stato vostro come per un altro, perché voglio lasciare questa parte ad altri», § 2) ripete quasi parola per parola le prime celebri righe della Cagione dell’Ordinanza: «Io lascerò stare indreto el disputare se li era bene o no ordinare lo stato vostro alle armi: perché ognuno sa [...]» (§ 2).
L’ultimo atto della riflessione militare di M. è testimoniato da alcuni brevi testi del 1526-27, quando l’autore tornò a esercitare incarichi pubblici nella Firenze medicea. La più impegnativa fu senza dubbio la Relazione di una visita fatta per fortificare Firenze, inviata a papa Clemente VII e giunta a noi attraverso il Copiario di Giuliano de’ Ricci: si tratta di una suggestiva e accurata disamina delle condizioni materiali delle difese di Firenze, nella quale M. suggerisce a più riprese impegnativi interventi di demolizione e ricostruzione, per consentire in particolare l’impianto di bastioni rotondi: una difesa tramite artiglieria pesante che avrebbe affrancato le fortificazioni fiorentine dal retaggio ormai ingombrante delle mura medievali. Sulla base della relazione venne redatta nei primi giorni del maggio 1526 la Provvisione per l’istituzione dei Cinque procuratori delle mura, la magistratura incaricata dei lavori, che poco dopo avrebbe nominato M. come provveditore e cancelliere: iniziava così una vera e propria ‘estate di san Martino’ della carriera politica del Segretario (Marchand 1978). Al tema dell’assedio sono riferiti anche alcuni tardi biglietti autografi: le Disposizioni militari per l’assalto di Cremona, scritte tra il 13 e il 23 settembre 1526, allorché M. venne inviato, forse su segnalazione di Francesco Guicciardini luogotenente pontificio, al campo della lega di Cognac; e la Distribuzione de’ nuovi ripari a Saminiato, redatta nel mese di gennaio del 1527, quando M. aveva ormai affidato al figlio Bernardo la concreta gestione dell’incarico di cancelliere.
Bibliografia: N. Machiavelli, Arte della guerra e scritti politici minori, a cura di S. Bertelli, Milano 1961; N. Machiavelli, L’Arte della guerra. Scritti politici minori, a cura di J.J. Marchand, D. Fachard, G. Masi, Roma 2001.
Per gli studi critici si vedano: R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954, Firenze 19787; J.-J. Marchand, L’autografo del Consulto per l’elezione del capitano delle fanterie di Niccolò Machiavelli, «La bibliofilia», 1969, 71, pp. 250-52; J.-J. Marchand, I Giribizi d’ordinanza del Machiavelli, «La bibliofilia», 1971, 73, pp. 135-50; J.-J. Marchand, Niccolò Machiavelli. I primi scritti politici (1499-1512). Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova 1975; J.-J. Marchand, Machiavelli cancellliere sotto i Medici (con un abbozzo di autografo inedito), «Italianistica», 1978, 7, pp. 235-48; M.E. Senesi, Niccolò Machiavelli, l’Arte della guerra e i Medici, «Interpres», 1988, 8, pp. 297-309; M. Martelli, F. Bausi, Politica, storia e letteratura: Machiavelli e Guicciardini, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, 4° vol., Il primo Cinquecento, Roma 1996, pp. 251-351; J.-J. Marchand, premessa a N. Machiavelli, L’Arte della guerra. Scritti politici minori, a cura di J.-J. Marchand, D. Fachard, G. Masi, Roma 2001a, pp. IX-XV; J.-J. Marchand, introduzione a Scritti politici minori, in N. Machiavelli, L’Arte della guerra. Scritti politici minori, a cura di J.-J. Marchand, D. Fachard, G. Masi, Roma 2001b, pp. 399-417; M. Hörnqvist, Perché non si usa allegare i Romani: Machiavelli and the Florentine militia of 1506, «Renaissance quarterly», 2002, 55, pp. 148-91; F. Bausi, Machiavelli, Roma 2005; A. Guidi, Un Segretario militante. Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere Machiavelli, Bologna 2009; M. Hörnqvist, Machiavelli’s military project and the Art of war, in The Cambridge companion to Machiavelli, ed. J.M. Najemy, Cambridge 2010, pp. 112-27.