austriaca, scuola
Corrente fondata nel 1871 da C. Menger a Vienna. Nacque come uno dei filoni della rivoluzione marginalista, collocandosi poi al di fuori della teoria economica ortodossa. Il suo approccio venne sviluppato da F. von Wieser e da E. von Böhm-Bawerk, che lo trasmisero a esponenti della generazione successiva, tra cui J.A. Schumpeter e L. von Mises. Quest’ultimo, a sua volta, esercitò grande influenza su altri giovani economisti, il più noto dei quali, F.A. von Hayek, premio Nobel per l’economia nel 1974, ebbe un ruolo chiave nel diffondere le idee della scuola a. nel resto del mondo.
Menger ritenne fondamentale trattare l’economia con un approccio puramente teorico basato sulla convinzione che fosse possibile individuare in ambito economico, con un ragionamento deduttivo, leggi valide in ogni epoca e in ogni contesto. A tale metodo fu più tardi dato il nome di prasseologia. La scuola a. adottò l’individualismo metodologico, che vede nell’individuo il solo fondamento della teoria economica. Se fin qui le idee della scuola a. sono analoghe a quelle degli altri filoni del marginalismo, è da segnalare un’importante differenza rispetto a essi: mentre i primi erano tutti caratterizzati da un impiego massiccio della matematica, Menger e i suoi discepoli non esposero mai le loro teorie in forma di modelli formalizzati.
La scuola a., come gli altri filoni marginalisti, si basava sul concetto di utilità marginale, quella cioè che il consumatore trae dall’uso o dal consumo di un’unità addizionale di un bene o servizio. Mentre altri marginalisti consideravano rilevanti, nella determinazione del valore, anche i costi di produzione, gli economisti della scuola a. riconducevano questi ultimi all’utilità dei beni finali (teoria dell’imputazione). Quei costi, inoltre, erano rappresentati dall’utilità che i fattori produttivi avrebbero procurato se fossero stati impiegati nella migliore delle produzioni alternative (costo-opportunità). Secondo la teoria del valore propria della scuola a., quindi, l’utilità costituiva l’unica grandezza rilevante. Si tratta di un approccio fortemente soggettivo, del tutto opposto a quello della teoria economica classica, secondo cui il valore era determinato esclusivamente dalle condizioni oggettive della produzione. La scuola a. è nota anche per aver fornito una teoria del capitale e dell’interesse, basata essa stessa sull’utilità, e più tardi una spiegazione del ciclo economico alternativa a quella keynesiana.
I suoi esponenti, presenti in ogni parte del mondo, studiano il mercato come luogo in cui si svolgono processi di scoperta e di raccolta di informazioni, e sottolineano l’importanza del ruolo dell’imprenditore, inteso come colui che organizza la produzione, assumendosi rischi in un contesto caratterizzato da incertezza. La situazione di disequilibrio implicita in questa analisi rende inutile e senza fondamento, secondo i seguaci di questa corrente, la nozione di equilibrio, che è invece essenziale nella teoria economica ortodossa. Da sempre antimarxista, di orientamento decisamente liberista sul piano della politica economica, la scuola a. vede nell’intervento pubblico un’interferenza che disturba i processi spontanei delle economie di mercato.