megarica, scuola
Locuz. con la quale si designa il gruppo di pensatori che – secondo uno schema dossografico delineato già dagli antichi e ormai per lo più considerato artificioso – seguirono l’indirizzo inaugurato da Euclide di Megara, dal quale la scuola, fiorita nel 4° sec. a.C., prende nome. Essi avrebbero interpretato la dottrina socratica del bene nei termini della metafisica eleatica dell’unico essere: se il bene, in quanto essere, è uno, tutto ciò che non è il bene, cioè il molteplice, è irreale. Ne seguiva la negazione del movimento, il rifiuto dei dati sensibili, la dimostrazione dell’inconcepibilità del concetto di possibile (dal momento che tutto ciò che è non può non essere, ed è dunque necessario; mentre ciò che non è non può essere, ed è quindi impossibile) e la validità dei soli giudizi identici, nei quali il soggetto è identico al predicato. Particolarmente vicino al procedere zenoniano si rivela il metodo di confutazione per assurdo adottato dai megarici: dalla loro dialettica nacque una serie di argomenti ‘eristici’, i cosiddetti argomenti megarici (‘il mentitore’, ‘il velato’, ‘il sorite’, ‘il calvo’, ‘il dominatore’), che divennero celeberrimi già nell’antichità, influenzando profondamente sia la dialettica stoica sia la battaglia antidogmatica dello scetticismo. Tuttavia, l’idea che Euclide sia stato il fondatore di una vera e propria scuola, che nel tempo e nella successione degli scolarchi conservò un pensiero omogeneo e unitario, è stata rimessa ampiamente in discussione dalla storiografia moderna, che tende a distinguere, per es., i cosiddetti dialettici (tra i quali Diodoro Crono e Filone), dai megarici e sostiene il carattere artificioso e tardo della διαδοχή della scuola. Euclide non sarebbe dunque il fondatore di una vera e propria scuola filosofica, ma una figura del circolo socratico alla quale gli autori di successioni credettero di poter ricondurre, ipotizzando un legame di scuola, una serie di pensatori che in realtà non condividevano un indirizzo filosofico unitario, probabilmente nel tentativo di rintracciare una linea di continuità tra Socrate e gli sviluppi successivi della filosofia. Inoltre, quel poco che si conosce dei suoi scritti non fa supporre nessuna trattazione di problemi ontologici e metafisici nei termini della tradizione eleatica. Oltre a Euclide (che, stando a Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, II, 106, e al proemio del Teeteto, ebbe assiduità di rapporti con Socrate – della cui morte fu con ogni probabilità testimone – e fu in amicizia con Platone), vanno ricordati tra i membri della scuola Eubulide (al quale la tradizione fa risalire molti degli argomenti megarici sopra ricordati), Alessino, Diodoro Crono e Stilpone (360-280 a.C. ca.), del quale Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, II, 113) ricorda l’abilità sofistica grazie alla quale «primeggiò tanto sugli altri che quasi tutta la Grecia volse lo sguardo verso di lui e seguì la scuola m.». Secondo le testimonianze di Plutarco (Socratis et socraticorum reliquiae, II O 29) e di Simplicio (II O 30) Stilpone negò la validità di ogni forma di logica discorsiva, sostenendo la validità del solo giudizio di identità; nel suo ideale di apatia e di autosufficienza una parte di storiografia ha creduto di rintracciare un elemento di contatto con la scuola cinica (➔ cinici).