SALERNITANA, SCUOLA
La scuola medica di Salerno dev'essere considerata la più antica istituzione medievale nell'Occidente europeo per l'esercizio e per l'insegnamento della medicina. A essa si diressero la maggior parte di coloro che vollero apprendere l'arte medica e da essa si diffusero per ogni parte d' Europa i suoi insegnamenti, che, fino all'avvento in Italia di Costantino l'Africano, mantennero alta la tradizione, quantunque in alcuni particolari imbastardita, delle cognizioni teoriche e pratiche della medicina greco-romana. Nell'alto Medioevo vi furono altri centri d'insegnamento medico in Italia prima del sorgere delle universitates studiorum, ma nessuno di essi passò alla posterità quale seminario di sanitarî per tutta Europa come Salerno, che poté così inserire sul suo sigillo il motto Civitas Hippocratica.
Oscurissime sono le origini della scuola. Nel periodo del suo più grande splendore circolò una leggenda che raccontava com'essa fosse stata fondata da quattro maestri: uno latino, uno greco, uno arabo e uno ebreo. La leggenda ha forse voluto tramandarci, che dalle sue cattedre gl'insegnamenti erano stati in tempi diversi e forse nelle diverse materie impartiti in queste lingue, che erano conosciute nell'Italia meridionale, o forse anche, e con maggiore probabilità, dato il periodo in cui la leggenda sbocciò, cioè durante il regno di Manfredi di Svevia, che le opere di testo appartenevano alla medicina greca, latina, araba ed ebraica. Ma in Salerno, antecedentemente al costituirsi della scuola come collegio medico e anche nel primo periodo di essa, lo studio della medicina fu eminentemente pratico e questa fu esercitata esclusivamente dai monaci, i quali con molta probabilità anche ne tramandarono l'insegnamento.
Per ben comprendere la giustezza di quest'asserto bisogna riportarsi alla storia dell'epoca. In Italia nel sesto secolo il passaggio graduale della scienza nelle mani del clero era una cosa compiuta. Durante le guerre desolatrici fra Ostrogoti e Bizantini, le incursioni e lo stabilirsi dei Longobardi (568-744) e le epidemie devastatrici, specie la peste al tempo di Giustiniano (543), la scienza e la cultura scesero rapidamente. Il sistema delle scuole laiche fu scosso dalle fondamenta e pian piano esse scomparvero, salvo rare eccezioni. Lo zelo religioso e l'esaltazione ascetica furono la ragione naturale di questo stato di cose. Troviamo nell'Italia meridionale, in mezzo a questa marea distruttrice e che tutto sommerse, due uomini di eccezione, che con le loro istituzioni impedirono il completo passaggio della medicina nelle mani dei conciaossi, dei venditori di specifici, dei ciarlatani girovaghi da fiera e degli esercenti la medicina popolare. Questi uomini furono S. Benedetto da Norcia e Cassiodoro che era stato ministro del re goto Teodorico. Il secondo di questi salvò la cultura latina sotto l'insegna della croce nel Vivariense, il suo ritiro laico di Squillace modellato però su regole monastiche, affidandola a uomini di generosi pensieri e di caldi sentimenti. Dai suoi scritti sappiamo che la biblioteca da lui raccolta per la cultura sua e dei suoi compagni possedeva 231 codici di 92 autori diversi fra i quali vi erano 5 codici di medicina delle opere d'Ippocrate, Galeno; Dioscuride, Celso e Celio Aureliano.
S. Benedetto (circa 480-543), dopo aver vissuto per parecchi anni vita ascetica negli eremitaggi di Subiaco, fondò nel 529, anno stesso della chiusura della scuola di Atene ordinata da Giustiniano, sulle rovine di un tempio di Apollo (divinità medica), il convento di Montecassino e dettò la regola del suo ordine monastico, le cui chiavi di vòlta furono la preghiera, lo studio e l'assistenza dei fratelli infermi. Ogni monastero doveva avere un medico che attendesse alle loro cure in un luogo ben distinto del cenobio, dove i malati potessero essere assistiti. In conseguenza fu necessario che uno o più monaci raccogliessero il materiale didattico medico, lo studiassero e lo trasmettessero a coloro che in appresso li avrebbero dovuti sostituire. Venne così a formarsi quell'insegnamento pratico trasmesso oralmente e per iscritto, desunto dai codici medici greco-romani, specie del periodo dei compilatori. Da questi testi i monaci medici fecero dei transunti e traduzioni a vantaggio di coloro, che, forniti di minori studî o per mancanza di tempo, non fossero stati capaci di leggere gli autori nei loro testi originali. Il medico in questi conventi aveva un'alta figura morale. Qualche volta al difuori del monastero si trovava un ospedale per il ricovero e l'assistenza dei borghesi infermi. È certo che fra questi monaci medici, che avevano il titolo di clericus, se ne trovano anche parecchi con il titolo di presbiter. Essi curavano prescrivendo i medicamenti, preparandoli da loro stessi, o servendosi di quelli conservati nell'Armarium pigmentorum. Un orto di semplici, di cui ogni monastero era fornito, permetteva di avere sottomano le piante medicinali. I discepoli che il medico veniva formando nel monastero lo coadiuvavano nell'assistenza e cura dei malati. Il monaco medico ricopiava anche gli antichi testi di medicina. L'infermeria accoglieva anche i laici che richiedevano l'assistenza medica. Tutte le prestazioni erano gratuite. In ogni grande centro monastico benedettino si venne quindi a formare un vero studium, dal quale i medici venivano distribuiti ai centri minori. I personaggi d'importanza richiedevano spesso per essi o per la loro famiglia l'assistenza del monaco medico, che liberalmente veniva concesso dall'abate o dal priore del monastero. Nell'Italia meridionale anche i monasteri basiliani contribuirono a tener viva la fiaccola del sapere medico con la traduzione dei testi greci. Il loro fondatore, S. Basilio Magno, aveva istituito in Cesarea la Basiliade, il più grande ospizio e ospedale del tempo. Ma pian piano l'esercizio della medicina fuori dei chiostri ingenerò nei monaci abitudini e tenore di vita non rispondenti ai loro voti religiosi, tanto che i romani pontefici intesero la necessità in diversi concilî, durante tutto il sec. XII e parte del XIII, di vietarlo assolutamente sotto gravi pene ecclesiastiche prima ai monaci e in appresso anche ai chierici secolari. In conseguenza di questa proibizione, che veniva a diminuire grandemente il numero dei medici per l'esercizio della medicina fuori dei monasteri, i medici laici cominciarono a ingrandire la loro sfera di azione, a riunirsi in corporazione aumentando di numero, finché i liberi comuni e i governanti intesero la necessità di disciplinare l'insegnamento della medicina nelle universitates studiorum.
Per tutto ciò che finora è stato esposto si può asserire quasi con certezza, che la scuola medica di Salerno ai suoi esordî nell'alto Medioevo si confonde con l'esercizio della medicina monastica in questa città, al quale, come altrove, in seguito s'innesta la medicina esercitata dai canonici e chierici delle cattedrali e delle sedi vescovili a vantaggio anche della popolazione laica. Lentamente, ma progressivamente, succede la medicina laicale, a mano a mano che i concilî (a partire da quello di Reims, 1131) proibivano ai religiosi l'esercizio medico fuori dei chiostri, fulminando gravi sanzioni contro i trasgressori. La medicina laicale aumentò e perfezionò l'insegnamento medico, forse già iniziato dal clero, costituì un collegio di maestri e una corporazione di medici per la tutela dei loro interessi materiali e fece di Salerno un centro di studio per la medicina di fama mondiale. La scuola medica favorita da Roberto Guiscardo, il primo dei principi normanni di Salerno, dai suoi successori e dagl'imperatori svevi, arrivò al suo acme quando i maestri della scuola erano già per la massima parte laici. Essa cominciò a diminuire d'importanza dopo l'ingrandimento dell'università di Napoli favorito dai re angioini, diminuzione che nei secoli a noi più vicini andò aumentando con l'aumentare dell'importanza degli studî universitarî fino a determinarne la fine.
Per lo studio dei diversi periodi dello svolgimento dell'attività della scuola salernitana sono state proposte diverse classificazioni. Dopo quella di Salvatore de Renzi, che classificò i periodi della scuola cronologicamente, abbiamo le classificazioni di Modestino del Gaizo, di Max Neuburger e di Karl Sudhoff, che con la sua scuola ha portato molti lumi per lo studio e la critica dei manoscritti salernitani. Il Sudhoff divide tutta l'attività scientifica della scuola in tre periodi; 1. dalle origini alla venuta in Salerno di Costantino l'Africano; 2. periodo aureo, quello cioè della maggiore attività letteraria, in cui dopo la conquista normanna della città l'insegnamento della medicina si avvicinò molto a un insegnamento universitario; 3. periodo di decadenza o tardo salernitano dal 1224 in appresso. Max Neuburger dà questa divisione: 1. periodo monastico o latinizzante; 2. salernitano (sec. XI e XII); 3. principio di rinascenza per l'inserirsi della cultura araba sulla latina (sec. XIII); 4. di prerinascimento nel quale la cultura divenne predominante. Modestino del Gaizo invece divide l'attività scientifica della scuola in 5 periodi: 1. cenobitico-ospitaliero e forse scolastico (avanti il 1000); 2. periodo della rinascenza dell'antica medicina (fra il 1000 e il 1150); 3. periodo di una medicina igienico-popolare (sec. XII); 4. periodo della creazione delle scuole chirurgiche; 5. periodo di decadimento (dal sec. XIV al 1811). Seguiremo in questa illustrazione della scuola la divisione del Sudhoff, nei cui tre periodi si possono bene adattare quelli delle altre classifiche.
Periodo dalle origini alla venuta in Salerno di Costantino l'Africano. - In Salerno nell'alto Medioevo vi furono importanti monasteri benedettini. Fin dal secolo VIII (30 novembre 795) Grimoaldo principe longobardo fonda il monastero di S. Benedetto, che nel 930 viene eretto in abbazia indipendente. La cattedrale di S. Matteo nel 1040 era diretta per il culto dall'abate benedettino Giovanni capo di una comunità monastica. Nella prima metà del sec. XI esistevano in Salerno i monasteri di S. Massimo, di Santa Maria de Domno, di S. Gregorio. I monaci basiliani ne possedevano uno nelle vicinanze di Vietri. Dal principio del periodo monastico fino a qualche secolo dopo la maggior parte degli scritti medici sono anonimi. Seguendo i precetti di Cassiodoro (490-575 d. C.) e del fondatore dell'ordine S. Benedetto, i monaci benedettini dell'alto Medioevo compilarono sommarî delle opere classiche greche e latine di medicina, per porle alla portata di tutti (Summae medicinae). Gli autori dai quali più facilmente questi sunti furono ricavati sono: Plinio, Sereno, Sammonico, Celio Aureliano, Sorano, Apuleio, Teodoro Prisciano. Alcune di queste summae, mascherate coi nomi di Dioscuride o di Oribasio, erano un miscuglio di fonti differenti. La maggior parte degli erbarî dell'alto Medioevo, che costituivano le summae più preziose, giacché riguardavano la farmacologia e la terapeutica, erano estratti dai pseudo-Plinio e dai pseudo-Dioscuride. La biblioteca di Montecassino ne conserva. Vi è un Dioscuride longobardo in cui sono descritti 71 semplici. Questi testi di storia naturale applicata alla medicina furono chiamati bestiarî, erbarî, lapidarî a seconda che trattavano degli animali, delle piante o dei minerali il cui uso nella totalità o in parte era prescritto dalle farmacopee del tempo. Certo è difficilissimo valutare quali degli scritti di quest'epoca siano veramente stati compilati a Salerno, chi ne sia stato l'autore, dove questi autori vissero e dove li composero. Certo è che scritti autentici salernitani non risalgono oltre il principio del sec. XI. Ma se ancora non è possibile accertare scritti di autori salernitani anteriori a questa data, ci sono stati invece tramandati i nomi di medici salernitani, quasi certamente monaci, anteriori al sec. XI. Da ricordare un medico salernitano che nell'anno 904 esercitava medicina alla corte del re di Francia; i medici salernitani che curarono Adalberone vescovo di Verdun (984), dei quali si parla nella cronaca di Ugo Flaviniacense. Altri monaci medici sono ricordati nell'obituario della Confraternita dei crociati della cattedrale di Salerno quali: Cicero clericus et medicus, Amatus physicus, Petrus clericus et medicus, più i medici riportati dal De Renzi e cioè Ragenefrido, Jaquintus, Pietro vescovo di Salerno nel 950 e un Giovanni Plateario seniore. Ma i nomi dei medici più distinti di questo periodo sono quelli di Warimpotus (Garioponto), di Alfano I, arcivescovo di Salerno, e di Trocta, la sapiente mulier salernitana, ostetrica e specialista delle infermità delle donne.
Warimpotus o Garioponto, forse longobardo e monaco, fiorito verso la metà del sec. XI, scrisse un Passionarius o silloge delle malattie con un trattato sulle febbri (circa 1040), tratto dalle opere di Teodoro Prisciano, Alessandro di Tralles e Paolo d'Egina. Dal contesto chiaramente risulta che l'opera fu scritta a scopo didattico. Non essendovi alcun infiltramento di medicina araba, è anteriore all'arrivo a Salerno di Costantino l'Africano. Vi troviamo innestate parole tolte dalla viva voce del popolo (gargarizzare, cicatrizzare, cauterizzare, polverizzare, medicare, ecc.).
Alfano I arcivescovo di Salerno (nato circa il 1010, morto il 9 ottobre 1085), dottissimo nella musica, nella grammatica, nella poesia e nella medicina, guarì da grave esaurimento nervoso l'abate di Montecassino Desiderio (poi papa Vittore III), recatosi a Salerno per farsi curare. Ebbe parte grandissima negli avvenimenti politici del tempo suo. Tradusse il Περὶ ϕύσεωσ ἀνϑρώπου di Nemesio vescovo di Emesa del sec. V. Due opere d'Alfano (De quattuor humoribus corporis humani e Tractatus de pulsibus), che il De Renzi dava come perdute, sono state ritrovate da P. Capparoni. Disgraziatamente non sono gli scritti originali, ma trasunti fatti da scolari sulla fine del sec. XIII o all'inizio del XIV, che ci mostrano però come a più di duecento anni dalla morte dell'autore i suoi scritti fossero ancora usati quali libri di testo. Queste opere di Alfano sono assolutamente precostantiniane.
Trocta o Trotula, che il De Renzi dice appartenere alla famiglia de Ruggiero, e moglie di Nicolò Plateario il Vecchio, appartiene a quella schiera di mulieres salernitanae medichesse, ostetriche, infermiere, molte delle quali ebbero rilevanti cognizioni di medicina. Nei periodi posteriori le donne furono ammesse ai corsi di medicina in Salerno e ricevettero il diploma di laurea. Trocta ha scritto un libro sulle malattie delle donne: De mulierum passionibus ante in et post partum, ma disgraziatamente il testo che possediamo è anch'esso un sunto fatto nel sec. XIV dallo scritto originale.
Pietro Clerico o Petrocello, contemporaneo di Warimpotus, scrisse una Practica (circa 1035), dove troviamo molti elementi presi dal Passionarius. È anteriore all'avvento di Costantino, mancando il suo testo di nozioni o citazioni arabe. Forse a questo periodo deve appartenere il ricettario anonimo, il cui originale è andato perduto, e che ha costituito la falsariga su cui è stato redatto l'Antidotarius di Nicolaus salernitanus.
Periodo aureo. - È caratterizzato da due avvenimenti importanti: 1. l'arrivo a Salerno di Costantino l'Africano, poi monaco cassinese, che introdusse e diffuse nella scuola le sue traduzioni latine di opere arabe di medicina; 2. il passaggio graduale nel sec. XII dell'esercizio della medicina dal clero ai laici, dovuto principalmente alla proibizione per i monaci dell'esercizio medico fuori dei chiostri. Malgrado l'introduzione degli elementi della medicina araba, che alla fin dei conti manteneva, benché travisati, gli antichi precetti dell'arte medica greco-romana, la medicina salernitana mostrò il lato tutto suo peculiare, di rimanere sempre fedele alla medicina classica.
Costantino l'Africano, grande conoscitore di lingue orientali, fuggito alla persecuzione da Cartagine, sbarcò a Salerno. Lo troviamo poi verso il 1072 monaco a Montecassino, dove terminò la vita. La sua storia è frammista alla leggenda. Tradusse in latino il Liber Regius (o Pantegni) di ‛Alī ibn al-‛Abbās, gli Aforismi, i Prognostici e il Regimen d'Ippocrate; da traduzioni arabe i Megategni, i Microtegni, il De locis affectis e altri trattati minori di Galeno. Queste traduzioni in Italia furono poi limate dal suo allievo Atto. Un altro discepolo di Costantino, Afflacio (circa 1040-1100), compose un Liber aureus e un Tractatus de febribus et urinis.
Giovanni Plateario il Giovane, appartenente a una famiglia di medici salernitani, è l'autore di una Practica brevis. A questo periodo appartiene Nicolaus Salernitanus (sec. XII), che ha redatto il suo antidotario, conosciuto sotto il nome di Circa instans. È un errore credere che questi sia stato preside della scuola (Nicolaus praepositus), errore secondo Wickersheimer nato dallo scambio con un medico francese, Nicolò Prevost (sec. XVI), autore anch'egli di un antidotario. È in questo periodo che vediamo sorgere fra i medici della scuola taluni specialisti in oftalmiatria. Il collegio medico salernitano è ben costituito. Esso conferisce diplomi, e il laureato in medicina a Salerno può esercitare ovunque nel mondo. La fama della scuola si sparge dappertutto, tanto che, reduci dai luoghi santi, i crociati feriti o convalescenti si fermavano a Salerno per ristoranti dalle privazioni sofferte e per esser curati dei postumi delle loro lesioni. E molti nel partire richiedevano un vade mecum per mantenersi sani. Infatti il collegio, anonimo, ma con il contributo di tutti i suoi membri, aveva già raccolto per un Robertus rex o per un Anglorum rex (non ben definiti) una collezione di precetti igienico-dietetici e sull'azione di medicinali, eminentemente pratici, da usarsi in mancanza del sanitario. Il Flos medicinae Salerni infatti o Regimen sanitatis salernitanum, poema popolare medico in versi leonini, è stato il testo sul quale poi sono stati foggiati tutti i manuali De sanitade tuenda. Il primo nucleo di versi (363) venne in appresso pian piano aumentando, per tutte le aggiunte fatte di ricordi mnemonici in versi a uso degli studenti. Conta circa 300 edizioni ed è stato tradotto in quasi tutte le lingue. Il suo primo commentatore Arnaldo da Villanova fu allievo della scuola. Accanto a questo poema anonimo va posto il più grande trattato anonimo anch'esso composto nella scuola e ritrovato da Henschel nella biblioteca di Breslavia, pubblicato dal De Renzi sotto il titolo De aegritudinum curatione e nel quale è manifesta l'influenza della corrente arabistica. È una silloge del sec. XII di scritti di differenti medici ed è divisa in due parti. La prima tratta della dottrina delle febbri, la seconda riporta la cura delle malattie a capite ad calcem, dove vengono riferiti precetti e opinioni di maestri anteriori o contemporanei all'estensore del trattato e che avevano tutti goduto un posto eminente nella scuola: Afflacio, Bartolomeo, Cofone, Ferrario, Giovanni Plateario e Trotula. Appartengono a quest'epoca ancora il trattato di oculistica di maestro Zaccaria e l'altro di maestro Davide Armenio. L'autore più recente del periodo aureo salernitano è il Magister Urso (1225), medico, filosofo, teologo. Recentissime ricerche hanno potuto assicurargli i seguenti scritti: De commistionibus elementorum, De practica, De diebus criticis, De pulsibus, De urinis, Aphorismi e De effectibus qualitatum. A lui il Sudhoff attribuisce anche una dimostrazione dell'anatomia del porco (quarta). In una miniatura del Carmen de motibus siculis di Pietro da Eboli, Urso apparisce vestito da monaco. Un allievo della scuola, Pierre Gilles de Corbeil (sec. XIII), medico di Filippo il Bello re di Francia, scrisse due poemi medici in versi: De pulsibus e De urinis tratti dagli scritti di Teofilo protospatario e di Alfano. Nel periodo aureo della scuola le cognizioni anatomiche provennero da una sola-sorgente, dalla traduzione cioè dell'al-Malakī (II, 2,3) di ‛Alī ibn al-‛Abbās. Vi si aggiunge in appresso l'Anatomia porci di Cofone, forse presa da una simile dimostrazione di Matteo Plateario (Sudhoff), poi una seconda dimostrazione dell'Anatomia porci, il cui testo fu scoperto da Henschel (1846) e in appresso l'Anatomia Mauri (III). Il grande scrittore di chirurgia di questo periodo è Ruggiero Frugardo allievo e poi maestro a Salerno, il quale scrisse una Practica (circa 1170), riedita da Rolando de' Capezzuti da Parma (Sudhoff) e sulla quale fecero commenti quattro maestri della scuola (Glossulae quatuor magistrorum). Il manuale di chirurgia di Ruggiero ha fatto testo per molti anni. In esso troviamo nozioni sul cancro e forse vi è un accenno alla lue, un caso di ernia polmonare, la cura iodica nelle adeniti scrofolose, metodi speciali per suture intestinali, ecc. In questo periodo la scuola è ancora considerata come il centro dell'insegnamento medico. Federico II stabilisce che nessuno possa conseguire la licenza della pratica in chirurgia, se non abbia fatto un corso regolare d'anatomia nello Studio di Salerno e a questo solo è dato diritto di rilasciare la licenza di esercizio nella medicina pratica.
Periodo tardo o di decadimento. - Col sorgere delle università l'esclusività di Salerno quale il più rinomato centro dell'insegnamento medico diminuisce. Il fiorente Studio di Napoli costituì sotto gli Angioini il concorrente più temuto e maggiore per la vecchia scuola medica. L'insegnamento lentamente decadde per scarso valore di maestri e per defezione di scolari. Allo Studio salernitano altro privilegio non rimane che quello del conferimento delle lauree. Qualche nome di medico celebre o di chirurgo spunta attraverso i secoli nel mare magnum degl'innumeri Carneadi laureati da Salerno. Nardo Antonio Recco, Marco Aurelio Severino, Donato Antonio Altomare, Domenico Cotugno, e pochi altri sono meteore, che non valgono a rompere il buio di una notte senza stelle. L'ultimo priore dello Studio salernitano fu Matteo Polito. Il 29 novembre 1811 Gioacchino Murat emanò il decreto della chiusura della scuola.
S. De Renzi, Collectio Salernitana, voll. 4, Napoli, 1852-59; id., Storia documentata della Scuola medica di Salerno, Napoli 1857; C. Daremberg, La médecine: histoire et doctrines, Parigi 1865, pp. 123-171; H. E. Handerson, The School of Salerno, New York 1883; K. Sudhoff, in Arch. f. Gesch. d. Med., VIII, Lipsia 1913, p. 360; VIII, 1914-15, pp. 292, 352; IX, 1915-16, p. 221; X, 1916-17, p. 91; XII, 1919-20, p. 140; 1927, p. 136; id., Prometheus, Lipsia 1921; M. Del Gaizo, La scuola medica di Salerno studiata nella storia e nella leggenda, in Atti e memorie dell'Accademia Pontaniana, XXV (1896); P. Giacosa, Magistri salernitani nondum editi, Torino 1901; Sterling, Med. chron., Manchester 1904-05, VIII, pp. 67-93; F. R. Packard, The School of Salerno, New York 1920; P. Capparoni, Magistri salernitani nondum cogniti, Londra 1923; id., in Bollettino dell'Istituto storico italiano dell'arte sanitaria, IV (1924), nn. 1-2, 3-4; P. Capparoni, Il "De quattuor humoribus corporis humani" di Alfano I Arcivescovo di Salerno (Sec. XI). Roma 1928; C. e D. Singer, Sudhoff Festschr., Zurigo 1924, pp. 121-128.