siciliana, scuola
Con questa indicazione storiografica (nei primi secoli tuttavia si diceva solo ‛ i Siciliani ' forse con maggiore precisione e proprietà), viene designato complessivamente un gruppo di rimatori, i quali, alle origini della letteratura italiana, elaborano il primo linguaggio lirico amoroso nell'ambito di una comune poetica.
L'attributo di ‛ siciliano ' non è da intendersi in senso limitatamente geografico, dacché partecipano del gruppo non soltanto Iacopo da Lentini, Guido delle Colonne, Stefano Protonotaro, Mazzeo di Ricco, Tomaso di Sasso, Cielo d'Alcamo e altri, che furono siciliani, ma anche Rinaldo d'Aquino, Paganino da Serzana, Pier della Vigna, Iacopo Mostacci, Giacomino Pugliese, Percivalle Doria, Compagnetto da Prato e altri, che non lo furono, per quanto è dato sapere dalle notizie biografiche, che su molti di costoro sono pervenute scarsissime fino a noi, e per quanto lo permettono gli assai sfumati e labili confini tra questa ‛ scuola ' e l'altro gruppo di rimatori cosiddetti siculo-toscani, che si affollano intorno alle preminenti figure di Guittone d'Arezzo e di Bonagiunta da Lucca.
Il periodo entro il quale ebbero vita i Siciliani è da fissare, con un certo margine d'approssimazione, negli anni trenta e quaranta del sec. XIII, con qualche sporadico sconfinamento verso il decennio precedente; mentre valore più probante possiede il termine del 1250 come indicativo del suo concludersi, perché in quell'anno morì l'imperatore Federico II, centro ideale di questa sparsa curia letteraria, e cominciò la rovinosa decadenza della dinastia sveva. La scuola s. infatti trova la sua giusta collocazione storica nell'ambito di quel vasto e unitario movimento di cultura che fu promosso da Federico II, il quale contribuì, seppur in piccola parte, alla produzione in versi entro quella poetica, così come vi contribuì con un discordo il suocero suo, Gualtiero di Brienne, e con rime tutt'altro che spregevoli anche il figlio Enzo, re di Sardegna. Della Magna Curia infatti fecero parte e alla persona dell'imperatore furono vicini, idealmente e ideologicamente, se non fisicamente, molti rimatori della scuola s., anche per gli uffici e le cariche che ricopersero o di cui furono insigniti (Pier della Vigna, Iacopo Mostacci, Percivalle Doria, Ruggieri d'Amici; notai furono Iacopo da Lentini e Stefano Protonotaro; giudice, Guido delle Colonne). D'altra parte, nel quadro della coeva letteratura europea, e in relazione alla precedente produzione dei poeti di Provenza, la scuola si apparenta all'attività dei trouvères della Francia settentrionale, al Minnesang della Germania renano-danubiana, alla lirica galiziano-portoghese delle cantigas de amor, pur se cronologicamente con qualche decennio di ritardo.
La poetica dei Siciliani va dunque riportata al comune ceppo provenzale, anche se in modi autonomi e considerato il particolare adattamento a precise condizioni culturali e politiche; è notevole, per esempio, che presso di loro avvenga la dissociazione tra musica e poesia, essendo i loro versi destinati esclusivamente alla lettura o alla recitazione, e che scompaia la figura, per così dire, corporativa del verseggiatore, non più trobador o trouvère o Minnesänger, ma uomo colto e spesso notaio o funzionario di corte, edonisticamente e dilettantisticamente dedito al godimento del comporre versi per rima in volgare. Di qui l'estenuata raffinatezza del loro dire, il decorativismo compiaciuto, la stilizzazione calligrafica delle loro immagini, l'esilità cantabile di tanti loro ritmi, che sembrano contrastare con l'impegno politico e con i grandi avvenimenti storici dei quali è stimolo e protagonista quello stesso imperatore che sta al centro della loro ideologia, e contrastare anche con quella nuova, multiforme, vivacissima cultura da lui sollecitata, e che costituisce probabilmente il suo merito più alto. Manca, per esempio, nella scuola s. la poesia satirica politicamente impegnata, mancano aggrondature morali o moralistiche, nonché, d'altra parte, atteggiamenti beffardi, burleschi, giocosi atti a far colpo e a suscitar meraviglia; il tema preferito è quello d'amore, nei suoi molteplici aspetti già fissati dalla tradizione recente, anche se affiorano talora considerazioni teoriche sulla virtù, sulla nobiltà, sulla fortuna, ecc.
Naturalmente, amor cortese in una struttura ideologica di tipo feudale che si riflette nel linguaggio (‛ servire ', ‛ uomo ligio ', ‛ leanza ', ‛ omaggio ', ‛ signore ' e ‛ signoria ', ‛ inchinarsi ', ‛ ritenere in servidore ', ‛ corteare ', ecc.); amore gerarchicamente inteso, da servo innamorato a madonna troppo spesso altera d'orgoglianza, e ovviamente extraconiugale, come del resto era già nei Provenzali. E a questa uniforme fenomenologia corrisponde un'altrettanto uniforme psicologia, ove ai lamenti s'intrecciano i conforti e le speranze, alla disperata delusione l'esplosione della gioia compita, e così via. Tutto, in verità, nell'alveo della tradizione risalente alle radici dell'età ovidiana e alla trattatistica amorosa rappresentata principalmente dal De Amore di Andrea Cappellano e ben documentata in taluni componimenti, talora sotto la forma della tenzone fra vari autori, d'andamento teorico sulla natura d'amore. Ciò non deve però far pensare a una condizione indifferenziata di temi e di personaggi; che anzi nella corale concordia spiccano, per esempio, le voci del notaio Giacomo da Lentini, il creatore del sonetto, la cui importanza non può essere limitata al fatto di essere stato iniziatore e maestro; del giudice Guido delle Colonne, il rimatore che appare maggiormente proteso verso le successive esperienze guinizzelliane e stilnovistiche; del logoteta Pier della Vigna, raffinato manierista, efficacissimo nella strumentalizzazione della retorica.
A prescindere da un breve passo della Vita Nuova (XXV 4), nel quale D. fornisce un'indicazione genericamente cronologica dell'inizio della poesia in volgare, con palese allusione anche ai Siciliani (se volemo cercare in lingua d'oro e in quella di sì, noi non troviamo cose dette anzi lo presente tempo per cento e cinquanta anni), seguito immediatamente da un altro (§ 5), nel quale non sembra illecito leggere un primo giovanile e polemico atteggiamento verso quegli antichi rimatori (E la cagione per che alquanti grossi ebbero fama di sapere dire, è che quasi fuoro li primi che dissero in lingua di sì), è nel De vulg. Eloq. che compaiono i primi meditati giudizi atti a enucleare il senso storico della scuola, secondo una prospettiva che si prolungherà fin nel c. XIII dell'Inferno e nel c. XXIV del Purgatorio (Pier della Vigna e Bonagiunta da Lucca). D. distingue ben nettamente la Sicilia dalla Puglia, cioè dal Regno, e a questa distinzione geopolitica fa corrispondere una differenza linguistica: lingue confinanti la siciliana e la pugliese (VE I VIII 5), ma sostanzialmente diverse. Eppure è notevole come egli apparenti i poeti siciliani ai pugliesi quasi per un'ideale comunanza politico-letteraria.
L'acquisizione di una visuale italiana è pregiudiziale alla più esatta comprensione, nella discettazione dantesca, della nozione di ‛ siciliano ' (v. SICILIA: Lingua; SICILIANISMI), anche perché ancora una volta D. pone sé stesso, ostentatamente, come arbitro e legge tra il passato e il futuro, tra coloro che egli indica come nostri praedecessores, e gli altri che a lui seguiranno: posteri nostri (infatti in VE I XII 4 et quia regale solium erat Sicilia, factum est ut quicquid nostri praedecessores vulgariter protulerunt, sicilianum voc [ar]etur; quod quidem retinemus et nos, nec posteri nostri permutare valebunt). Si sa bene che il regale solium di Federico II e di Manfredi è tutt'altro che un concetto topografico; anzi per D. esso ha il valore di un mito ed è il sentimento di una nostalgia; già per lui Federico II è l'ultima, grande, possente incarnazione dell'Impero. Per regale solium egli intendeva un centro di storia e di civiltà, del quale la poesia curiale in volgare è la letteraria emanazione, il più luminoso e spirituale documento. La parola sicilianum, dunque, in D. non nasce solo da ragioni linguistiche, pur se tale sia da considerare il movente immediato della sua discettazione; la lingua dei doctores illustres e degli Apuli praefulgentes non è per D. lingua siciliana, bensì -com'egli la desumeva dai codici toscanizzati -vulgare latium, poiché nichil differt ab illo quod laudabilissimum est (VE I XII 6). E, considerato che al tempo di D. tutta la poesia d'arte composta in volgare in Italia si chiamava ‛ siciliana ' (quicquid poetantur Ytali sicilianum vocatur, § 2), se ne può agevolmente dedurre che non soddisfa neppure sentire in quell'aggettivo un'indicazione puramente geografica. Occorrerà allora fare appello a quelle complesse ragioni ideologiche, per le quali l'attributo di siciliano si carica di un complesso contenuto politico-letterario, e diremmo anche più politico che letterario.
Tutta la poesia d'arte prestilnovistica (nostri praedecessores) è per D. ‛ siciliana ' (sicilianum vocatur); ed è ‛ siciliana ' perché regale solium erat Sicilia; non dunque per ragioni linguistiche, ma perché la capitale era Palermo, perché il centro dell'Impero era la Sicilia, perché Federico II e Manfredi vissero in Italia, e furono re di Sicilia, e perché di quel glorioso periodo storico la poesia siciliana è luminoso documento. Ed è proprio questa universalità ideologica che si proietta, per la prima volta in volgare, nel carattere sovraregionale del linguaggio dei poeti siciliani, come D. veniva a conoscerli. Spenta l'aula, smembrata la curia, tramontato l'Impero, alla realtà metempirica e sovraregionale decisamente politica espressa dall'aggettivo ‛ siciliano ', D. sostituisce l'altra di vulgare latium, di lingua d'arte ‛ italiana ', nella quale la primigenia poesia siciliana s'inserisce per una nuova e diversa fenomenologia letteraria e politica; e qui ormai alla Sicilia spetterà non ancora l'accomunamento generico a tutte le altre esperienze letterarie prestilnovistiche (respinte poi in blocco in Pg XXIV 55-57), ma un nostalgico ricordo di passata grandezza e un elevato posto gerarchico per i suoi riconosciuti meriti e per il suo valore emblematico. Si ricordi la commozione di D. quando rievoca quei tempi gloriosi degli illustres heroes, Fredericus caesar et bene genitus eius Manfredus, tempi ormai simbolicamente racchiusi nella memoria, mentre le trombe dell'ultimo Federico, di Carlo II, di Giovanni di Monferrato e di Azzo d'Este risuonano di violenza, d'inganno e di avarizia (VE I XII 3-5). Così nel trattato latino l'esaltazione dei Siciliani e dei Pugliesi, apparentemente dovuta a una meditazione linguistica, rivela infine la sua natura di elezione politica, di scelta civile, di approdo autobiografico e sentimentale e preannunzia da lontano l'appassionata e drammatica celebrazione di Pier della Vigna nel c. XIII dell'Inferno.
Proprio da queste sollecitazioni e con questa ricca, interiore articolazione semantica è nata per sempre, e per merito di D., la nozione di ‛ scuola s. ', primo capitolo di una storia della letteratura ‛ italiana '.
Bibl. - L'edizione più ampia dei poeti siciliani ha fornito B. Panvini, Le rime della Scuola s., in due volumi, Firenze 1962 e 1964, secondo certe linee editoriali tracciate in Studio sui manoscritti dell'antica poesia italiana, in " Studi Filol. Ital. " XI (1953) 5-135. Ancora utili tuttavia G. Lazzeri, Antologia dei primi secoli della letteratura italiana, Milano 1942, 463-702; C. Guerrieri-Crocetti, La Magna Curia, ibid. 1947; M. Vitale, Poeti della prima Scuola, Arona 1951. Larga scelta in Contini, Poeti I 45-185, II 799-819, in edizione critica e con ampio commento, secondo criteri precisati in Questioni attributive nell'ambito della lirica s., in Atti del Convegno internaz. di Studi federiciani, Palermo 1952, 367-395, e in Esperienze d'un antologista del Duecento poetico italiano, in Studi e problemi di critica testuale, Bologna 1961, 241-272.
Fra le opere di carattere generale sulla scuola s. ricorderemo solo per completezza il troppo invecchiato e ormai inutile Duecento, di G. Bertoni, Milano 1960³, 92-134, accanto ad A. Gaspary, Die Sicilianische Dichterschule des XIII Jahrunderts, Berlino 1878 (trad. di S. Friedmann, Livorno 1882). Sempre fondamentale G.A. Cesareo, Le origini della poesia lirica e la poesia italiana sotto gli Svevi, Milano-Palermo 1924, insieme con F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, 89-234 e 343-377. Fra i contributi più recenti: M. Apollonio, Uomini e forme nella cultura italiana delle Origini, Firenze 1934 (1943²) 170-222; S. Pellegrini, La poesia della Scuola s., in Appunti di storia letteraria e civile italiana, Torino 1939, 5-24; S. Santangelo, Le origini della lirica provenzaleggiante in Sicilia, Catania 1949; D. Mattalia, La Scuola s., in Letteratura italiana, Minori, Milano 1961, I 47-97; G. Folena, Cultura e poesia dei Siciliani, Storia della letteratura italiana, a c. di E. Cecchi e N. Sapegno, I, Milano 1965, 271-347; A.E. Quaglio, I poeti della " Magna Curia " siciliana, in Letteratura italiana. Storia e testi, I, Bari 1971, 172-242; G. Folena, La poesia dei siciliani e le origini della tradizione lirica italiana, in Dizionario critico della letteratura italiana, a c. di V. Branca, III, Torino 1973, 385-396.
Per alcuni particolari aspetti e problemi: E. F. Langley, The extant repertory of early Sicilian poets, in " P. M. L. A. " n. s., XXI (1913) 454 ss.; S. Santangelo, Le tenzoni poetiche nella letteratura italiana delle Origini, Ginevra 1928; B. Nardi, Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in D., in D. e la cultura medievale, Bari 1949², 1-92; W. T. Elwert, La dietologia sinonimica nella poesia lirica romanza delle Origini e nella Scuola poetica siciliana, in " Boll. Centro Studi Filol. e Ling. Siciliani " II (1954) 152-177; W. Pagani, Repertorio tematico della Scuola s., Bari 1968.
Sui rapporti tra i Siciliani e la coeva poesia europea: A. Jeanroy, Les origine: de la poésie lyrique en France au Moyen Age, Parigi 1889 (1925²); V. Cian, I contatti italo-provenzali e la prima rivoluzione poetica della letteratura italiana, Messina 1900; E. Monaci, Elementi francesi nella più antica lirica italiana, in Scritti di storia di filologia e d'arte, Napoli 1907, 237-248; G. Bertoni, L'imitazione francese nei poeti meridionali della Scuola poetica siciliana, in " Romanische Forschungen " XXIII (1907) 819-824; ID., Le origini della lirica italiana, in Poesie, leggende, costumanze del Medio Evo, Modena 1917, 41-62; R. R. Bezzola, Abbozzo di una storia dei gallicismi italiani nei primi secoli, Heidelberg 1924; G. Baer, Zur sprachliche Einwirkung der altprovenzalischen Troubadour Dichtung auf die Kunstsprache der frühen italienische Lyriker, Zurigo 1939; V. De Bartholomaeis, Primordi della lirica d'arte in Italia, Torino 1943; P. L. M. Rizzo, Elementi francesi nella lingua dei poeti siciliani della " Magna Curia ", in " Boll. Centro Studi Filol. Ling. Siciliani " I (1953) 115-129; II (1954) 95-151; F. Ribezzo, L'elemento normanno nella letteratura e nella lingua della Sicilia e della Puglia, ibid. I (1953) 107-114; A. Pagliaro, Riflessi di poesia araba in Sicilia, ibid. II (1954) 29-38 (rist. in Poesia giullaresca e poesia popolare, Bari 1958, 233-246); I. Frank, Poésie romane et Minnesang autour de Frédéric II, ibid. III (1955) 51-83; E. Li Gotti, Sopravvivente delle leggende carolinge in Sicilia, Firenze 1956; A. Pagliaro, I primordi della lirica popolare in Sicilia, in " Boll. Centro Studi Filol. e Ling. Siciliani " V (1957) 152-182.
Sulla questione della lingua dei Siciliani, toccata per altro in molte delle voci bibliografiche finora registrate: C. N. Caix, Le origini della lingua poetica italiana, Firenze 1880; I. Sanesi, Il toscaneggiamento della poesia siciliana, in " Giorn. stor. " XXXIV (1899) 354-367; ID., Intorno alle questioni sulla lingua nella lirica italiana delle Origini, in " Studi Medievali " I (1905) 580-593; O. J. Tallgren (Tuulio), Sur la rime italienne et les Siciliens du XIII siècle, in " Mémoires de la Société Neo-philologique de Helsingfors " V (1909) 235-374; E. G. Parodi, Rima siciliana, rima aretina e bolognese, in " Bull. " n. s., XX (1913) 113-142 (rist. in Lingua 152-188); S. Santangelo, Il volgare illustre e la poesia siciliana del sec. XIII, in " Atti R. Accad. Scienze Lettere Belle Arti Palermo " s. 3, XIII (1926) 3-28; G. A. Cesareo, Siciliano illustre, in " Giorn. stor. " CVII (1936) 224-236; S. Santangelo, Il primato linguistico dei Siciliani, Palermo 1938; A. Pagliaro, Tradizione sicula e poesia toscana, in " Convivium " n. s., I (1947) 669-689; S. Santangelo, Il siciliano illustre lingua nazionale del secolo XIII, Catania 1948; ID., La scuola poetica siciliana del secolo XIII, in " Studi Medievali " XVII (1951) 21-45; A. Schiaffini, La prima elaborazione della forma poetica italiana, in Momenti di storia della lingua italiana, Roma 1953², 7-42; E. LI Gotti, La questione dei " Siciliani ", in Studi letterari, Miscellanea... Santini, Palermo 1955, 29-48; ID., Problemi della Scuola poetica siciliana, in Atti del Congresso internaz. per il VII centenario della poesia e della lingua italiana, ibid. 1953, 49-52; G. Bonfante, Siciliano antico scritto e parlato, in Saggi e ricerche in memoria di E. Li Gotti, ibid. 1961 (e dello stesso, Il problema del siciliano, in " Boll. Centro Studi Filol. e Ling. Siciliani " I [1953] 45-64); e naturalmente B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1960, 130-137. Tra studio della lingua e revisione del testo: A. Menichetti, Contributi ecdotici alla conoscenza dei Siculo-toscani, in " Studi e Problemi di Critica Testuale " 2 (1971) 40-71.
Su D. e i Siciliani: F. Torraca, Il regno di Sicilia nelle opere di D., in Studi danteschi, Napoli 1912, 347-381; M. Marti, D. e i poeti della Scuola s., in Con D. fra i poeti del suo tempo, Lecce 1971², 7-28; B. Panvini, L'esperienza dei Siciliani e il volgare illustre di D., in Atti del Convegno di studi su D. e la Magna Curia, Palermo 1967, 236-249; e le introduzioni di A. Marigo e di P.V. Mengaldo alle rispettive edizioni del De vulg. Eloq. (Firenze 1957³; Padova 1958).
Rassegna delle interpretazioni critiche della scuola: L. De Vendittis, Linee d'una storia della critica sulla Scuola s., in " Belfagor " VII (1952) 290-307, 632-661.