storica, scuola
Indirizzo di pensiero, prevalentemente tedesco, nato in opposizione alla teoria economica classica (➔ classica, economia) sulla natura e sul metodo dell’economia.
Ebbe origine in Germania nel 1843, con la pubblicazione dell’opera di W. Roscher, Grundriss zu Vorlesungen über die Staatswirtschaft nach geschichtlicher Methode, e durò sino alla fine del secolo. La prima scuola s., oltre a Roscher, comprendeva B. Hildebrand (➔) e K. Knies (➔), quest’ultimo più radicale degli altri. Essa sosteneva che non si può comprendere l’economia reale senza un approccio storico; e che le leggi economiche non sono universalmente valide, ma si applicano in modi diversi nei differenti contesti storici e nazionali. Dava quindi importanza alle rilevazioni statistiche e allo studio delle specificità storico-culturali delle varie società. ● Tale approccio era la naturale continuazione del cameralismo tedesco, sorto fin dal 18° sec.; che vedeva l’economia come una branca, non isolabile, della scienza dell’amministrazione; ma anche del romanticismo di A. Müller e altri, per i quali i processi economici erano espressioni dello spirito nazionale e delle tradizioni di un popolo; e, infine, del pensiero di F. List (che concepiva lo sviluppo come un processo guidato dallo Stato, e che rivalutava per questo i mercantilisti).
Guidata da G. Schmoller, la nuova scuola s. accentuò la diffidenza verso le leggi economiche universali, applicate deduttivamente a qualsiasi situazione. Essa elaborò un programma (Verein für Sozialpolitik) per la raccolta sistematica dei dati empirici, su cui costruire l’analisi economica. Questo approccio si scontrò inevitabilmente con i primi rappresentanti della nascente scuola neoclassica (➔ neoclassica, economia), i marginalisti. In questa nascente s. gli elementi deduttivi e la fede in leggi economiche universali, simili a quelle fisiche, erano molto più forti che nella scuola classica. ● Nel 1883 C. Menger (➔), fondatore della scuola austriaca (neoclassica), attaccò il metodo e la visione scientifica di Schmoller. Ne nacque la famosa Methodenstreit (‘battaglia sul metodo’). Menger non negava gli argomenti principali della scuola s.: ossia che i comportamenti reali degli individui non tendono solo all’utile economico; che l’economia reale ha specificità storiche; che i dati empirici sono importanti. Egli però obiettò che il procedimento scientifico deve necessariamente astrarre dai moventi non economici e dalle specificità storiche, locali e individuali, per poter isolare il comportamento proprio dei fenomeni economici. Il metodo deduttivo è quindi indispensabile per trovare il senso economico della realtà. La disputa si protrasse a lungo, in modo aspro, e senza risultati. Nell’economia ufficiale l’approccio di Menger si affermò sempre più.
Da parte sua, la scuola s. disseminò stimoli fecondi: ispirò gli economisti anglosassoni J.K. Ingram, W. Cunningham, W. J. Ashley; spinse a ribaltare il giudizio negativo sui mercantilisti (G. Kautz, E. F. Heyking, H. Eisenhart, A. Oncken e lo stesso Schmoller; seguiti da altri nel sec. 20°); influenzò i grandi storici economici tedeschi di inizio 1900 (M. Weber, W. Sombart, G. Simmel), ma anche lo statunitense T. Veblen e la corrente istituzionalista.