scuola
Termine derivante dal lat. schŏla (dal gr. scholé), che in origine significava (come otium per i latini) tempo libero, piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico, e più tardi il luogo dove si attende allo studio, accezione quest’ultima nella quale è tuttora in uso.
Le più antiche civiltà orientali conoscono solo una s. sacerdotale, che trasmette la dottrina e le norme del culto, e che ha finalità religiose, ma che a volte attende anche alla preparazione di alti funzionari pubblici, come nell’antico Egitto. Presso i fenici la s. obbedisce già a scopi non religiosi ma eminentemente pratici e presso gli ebrei si affiancano all’insegnamento religioso anche altri insegnamenti. È però soltanto in Grecia (già nel sec. 6° e ancor più nel sec. 5° a.C.) che noi troviamo una scuola libera da preoccupazioni sia religiose sia pratiche, cioè che sia strumento di un’educazione liberale. Questo si verifica specialmente ad Atene, dove l’organizzazione scolastica (privata, ma controllata e talora sovvenzionata dallo Stato) assume un notevole grado di specificazione e articolazione. I giovani erano guidati (dal settimo al diciottesimo anno) prima dal grammatista (che insegnava a leggere e scrivere e a far di calcolo), poi dal citarista (che insegnava a suonare la cetra e li indirizzava all’apprendimento della poesia melica) e dal pedotriba (che presiedeva all’educazione fisica). A questi insegnamenti ne seguivano spesso altri, non organizzati sistematicamente, di geometria, tattica ecc. Nella seconda metà del sec. 5°, per opera dei sofisti, fondatori della pedagogia teoretica, si presenta l’ideale della paideia, della formazione mediante la cultura. Si determinano quindi, nell’ambito dell’educazione superiore, indirizzi diversi, l’uno rivolto prevalentemente alla formazione filosofica e politica, l’altro a quella retorica (quello di Platone, da un lato, quello di Isocrate, dall’altro); essi preannunciano la costituzione, che si realizzerà solo in epoca alessandrina, di istituti di alta cultura paragonabili alle università (il Liceo di Aristotele rappresenta una s. superiore di ricerca ad altissimo livello). Il periodo ellenistico comporta delle innovazioni anche in ordine al carattere dell’istruzione elementare e secondaria; mentre infatti in epoca classica le s. avevano per lo più carattere privato, in età ellenistica si diffonde la s. pubblica, anche se spesso a finanziarla provvedono le fondazioni dei privati (come è attestato a Teo, Mileto, Rodi, Delfi); la s. è fisicamente individuabile in un solo edificio (il ginnasio). In Roma, per il prevalere dell’interesse pratico-politico e il conseguente disinteresse per gli studi liberali, l’educazione rimane a lungo nell’ambito familiare e con destinazione eminentemente pratica. Anche se sono ricordate nella tradizione letteraria s. di città vicine a Roma (non posteriori al sec. 4° a.C.), una vera e propria s. pubblica si sviluppa solo sotto l’influsso greco, e in seguito al formarsi di una letteratura romana, cioè solo a cominciare dai secc. 3°-2°. Le nozioni elementari erano impartite dai ludimagistri o litteratores, la varia cultura dai grammatici, nelle s. dette appunto di grammatica; in un secondo tempo, separandosi da queste, si costituirono le più elevate s. di retorica. Il processo di statizzazione iniziò alla fine della repubblica. Le prime s. di retorica sono attestate già nel sec. 1° a.C., ma avranno un incremento notevole in età imperiale; Vespasiano istituisce a Roma la prima cattedra retribuita di retorica greca e latina; Marco Aurelio istituisce ad Atene una cattedra di retorica, accanto a quattro di filosofia. Nel complesso il processo di statizzazione può dirsi interamente compiuto al principio del sec. 4° d.C.
Nel Medioevo, in un mondo in cui l’unica luce di spiritualità veniva dalla Chiesa, le istituzioni educative si ridussero a finalità morali e religiose in genere e in particolare ecclesiastiche, pur operandosi la riassimilazione di una parte del retaggio culturale dell’antichità. Troviamo, al principio del sec. 6°, s. parrocchiali, s. cattedrali (per la preparazione alla vita ecclesiastica) e s. claustrali o cenobiali. Queste ultime si distinguevano per lo più in una schola interna (per gli oblati, cioè coloro che erano destinati alla vita monastica) e una schola exterior (per i laici e per il sacerdozio secolare). Il 5° canone del 6° Concilio di Costantinopoli (680-681), che è ricordato abitualmente in tutti i documenti di fondazione di s., faceva obbligo ai sacerdoti di impartire insegnamento senza richiedere espressa mercede. Notevole fu l’impulso che impresse alle istituzioni educative Carlomagno al principio del sec. 9°, ma si trattò di un’opera destinata a vanificarsi già nel sec. 10°. In seguito, tuttavia, col fiorire della vita sociale ed economica, non tardò a farsi sentire presso i ceti più abbienti il bisogno di una s. propria che obbedisse a finalità mondane e non più religiose ed ecclesiastiche. Si assiste così a una fioritura di s. private (da cui deriveranno le università) delle quali la Chiesa tuttavia conservava un controllo in quanto esse dovevano essere autorizzate mediante una licentia docendi concessa appunto dall’autorità ecclesiastica, ma che coll’affermarsi, specialmente nei comuni italiani, dello spirito laico, dovettero rispondere sempre più all’esigenza di dare ai figli della borghesia la preparazione necessaria alla vita pratica e agli affari. Di conseguenza si moltiplicarono da principio le s. private laiche (per cui non si richiede più la licentia docendi) e successivamente, nel sec. 14°, le vere e proprie s. comunali (con o senza latino o con poco latino) diffuse in tutti i centri di intensa vita economica e politica.
L’umanesimo non poteva non contribuire al processo di laicizzazione della s. e, con l’arricchirsi del materiale culturale, alla sua specificazione in gradi. Sorgono numerose le s. che si ispirano alle istituzioni di Guarino Veronese e di Vittorino da Feltre, e si diffonde particolarmente il tipo di s.-convitto o s.-famiglia. La Chiesa, adattandosi alle esigenze del tempo, seppe assimilare questi organismi e con tanto maggiore intensità e impegno quanto più si dilatò il movimento della Riforma; cosicché fino al sec. 19°, nei Paesi non interessati dalla Riforma, essi rimasero sotto il controllo ecclesiastico. Naturalmente si tratta in generale di istituti di educazione superiore per classi socialmente elevate; la s. elementare fu invece nel complesso trascurata, salvo che nei Paesi riformati. Particolarmente in Inghilterra le s. pubbliche prendono a modello la s. umanistica di S. Paolo fondata da Giovanni Cobet (1512) con l’intento di preparare gli alunni ai collegi; esse, col nome di s. di grammatica, si diffondono più tardi nel mondo anglosassone. In Germania si costituì, per opera di Giovanni Sturm a Strasburgo, il ginnasio umanistico (in 8 classi più 2 preparatorie), in cui nel 1566 fu fatto anche posto agli studi scientifici e che diventò poi istituzione di Stato. In Francia e in Italia invece l’indirizzo si mantenne più unilateralmente umanistico, anzi, se mai, accentuò questo carattere rispetto al primo umanesimo; tutta la s. secondaria era rappresentata da collegi e licei fondati da ordini religiosi: il corso di studi era ordinato (e tale restò, senza sostanziali mutamenti, in Italia, fino al 1859) in 6 classi, numerate a rovescio secondo il sistema tedesco: la quarta, con cui si cominciava il greco, era chiamata di grammatica, la terza di umanità, la seconda di retorica, la prima di filosofia; quest’ultima classe (a cui si accedeva a 14 anni) era annessa all’università e comportava anche l’insegnamento delle discipline fisico-matematiche. Lo schema gesuitico era invece ordinato in 5 classi, di cui 3 di grammatica, una di retorica e una di umanità. In Germania il ginnasio fu poi profondamente riformato dal movimento neoumanistico: si introdusse l’insegnamento obbligatorio del greco e si diede più spazio agli insegnamenti moderni e scientifici; in Italia con la legge Casati del 1859 si costituì il liceo-ginnasio in 8 anni, fondendo l’organismo tradizionale italiano con quello del ginnasio tedesco. L’offensiva contro l’indirizzo umanistico della s., a favore di quello «realistico» (tecnico-scientifico), contro le «parole» in nome delle «cose», era cominciata dal sec. 17°, condotta da varie parti (da Comenio, dai portorealisti, dagli oratoriani ecc.), partendo da premesse anche diversissime. Si verrà quindi facendo posto gradatamente, nei programmi d’insegnamento, alla geografia, alle scienze naturali, alla fisica, alla storia moderna, alle lingue moderne; ma le esigenze della nuova scienza e della tecnica non potranno trovare soddisfazione nei vecchi schemi scolastici. Così in Inghilterra, per influenza di J. Milton, e poi in America sorsero, dopo il 1662, le accademie, che pur non escludendo le lingue classiche facevano largo posto alle discipline realistiche. In Germania, C. Semler fondava nel 1708 una s. realistica di meccanica e matematica, ma il primo istituto duraturo del genere fu la s. economico-matematica di J.-J. Hecker a Berlino (1747). Però l’esigenza di una s. pratica sì, ma nello stesso tempo di cultura, fu espressa dapprima da F. Gabriel Resewitz e poi da L. Wiese, con cui sorge nel 1859 la vera Realschule prussiana detta di primo ordine (Oberrealschule), che costituì poi il vero e proprio Realgymnasium (col latino). Nel 1882 furono costituiti tre tipi di istituto: la vecchia Realschule, che diventò novennale, il Realgymnasium e il Gymnasium, che nel 1900 dopo lunga lotta furono parificati come via d’accesso all’università. In Francia la Convenzione sostituì nel 1795 la tradizionale s. secondaria, rappresentata dai collegi dell’antico regime, con le s. centrali di carattere enciclopedico: ma queste diedero cattiva prova e furono soppresse nel 1802 per dar luogo ai licei e alle s. secondarie che diventarono poi i collegi comunali. Nel 1833 F.-P.-G. Guizot istituì le écoles supérieures municipales, che furono in realtà s. professionali. Attualmente, alla Realschule germanica corrisponde in Francia l’école primaire supérieure, e alla Oberrealschule la sezione «scienze e lingue moderne» del liceo. L’ordinamento della s. italiana rimase sostanzialmente, per parecchi decenni ancora, quello delineato dalla legge Casati del 1859, nonostante modifiche parziali apportate con leggi successive. Tuttavia, sul finire del sec. 19° e nei due primi decenni del 20°, le istituzioni nel frattempo maturatesi nella realtà del Paese diedero luogo a un ampio dibattito sui problemi della riforma scolastica, che però, anche a causa delle pronunciate divisioni ideologiche tra le diverse parti, non riuscì concretamente a promuovere l’auspicata revisione del sistema. Una vasta riforma di strutture e di ordinamenti fu attuata comunque nel 1923-24 a opera del filosofo G. Gentile, chiamato da Mussolini a far parte del suo primo governo; con una serie di provvedimenti, Gentile (che si avvalse della collaborazione di G. Lombardo Radice e di E. Codignola) diede un’organica disciplina sullo stato giuridico e il trattamento economico e di carriera dei maestri, degli insegnanti e dei presidi. Con altri regi decreti pose mano alla riorganizzazione amministrativa, che prevedeva, tra l’altro: un consiglio superiore tutto di nomina regia; il riordinamento della funzione ispettiva con conseguente riduzione del numero complessivo di ispettori ministeriali; la trasformazione in regionali dei provveditorati agli studi e la suddivisione del territorio in circoscrizioni ispettive e circoli didattici relativamente al settore dell’istruzione primaria; una nuova normativa dei rapporti tra Stato ed enti locali in materia scolastica ecc. Il maggiore impegno fu tuttavia messo nella riforma degli ordinamenti e dei programmi. Al riordinamento della s. primaria provvide il r.d. 1° ott. 1923, n. 2185: al grado preparatorio, della durata di tre anni, seguiva la s. elementare vera e propria, distinta in un grado inferiore di tre anni e in un grado superiore di due anni; dopo il corso elementare poteva seguire un corso integrativo di avviamento professionale destinato al completamento dell’obbligo scolastico. L’istruzione secondaria, con r.d. 6 maggio 1923, n. 1054, fu differenziata secondo le diverse finalità formative attribuite ai singoli istituti: era privilegiato il ginnasio-liceo; istituiva il liceo scientifico, dopo il quale si poteva accedere alle facoltà scientifiche; col nuovo istituto magistrale, di sette anni, si voleva assicurare anche ai futuri maestri una formazione generale umanistica e filosofica più che specificamente tecnico-pedagogica; si prevedeva pure un liceo femminile per le «giovinette che non aspirano né agli studi superiori né al conseguimento di un diploma professionale»; soppressa la sezione fisico-matematica, l’istituto tecnico veniva riordinato in otto anni, distinti in un corso inferiore e in uno superiore, quest’ultimo articolato nelle due sezioni di commercio-ragioneria e di agrimensura; infine, si istituiva la s. complementare come un più modesto tipo di s. media inferiore, destinata ai ceti popolari cittadini. Tra i punti caratterizzanti della riforma sono da ascrivere: il rilancio della s. privata; l’introduzione dell’esame di Stato con lo scopo di porre sullo stesso piano gli alunni dell’una e dell’altra s.; l’adozione di programmi indicativi di esame al posto dei tradizionali programmi d’insegnamento, per meglio assicurare iniziativa didattica agli insegnanti; l’accentuazione delle finalità formative su quella meramente informativa, anche se a scapito degli indirizzi professionali e pratici degli studi; l’introduzione dell’insegnamento della religione cattolica nella s. elementare e la prevalenza accordata alla cultura umanistico-letteraria nella s. media. L’intento conservatore della riforma del 1923 risultava dall’espresso proposito di contenimento della scolarità, dall’adozione di un rigido sistema di selezione interna, dall’accentuata separazione tra s. destinate alla formazione dei ceti dirigenti e s. con specifici compiti professionali, dalla sopravvalutazione formativa delle discipline letterarie rispetto a quelle scientifiche e tecniche, dallo scarso collegamento delle strutture scolastiche alle esigenze sociali ed economiche del Paese. Pur con tali limiti, peraltro legati ai tempi in cui fu concepita, la riforma di Gentile rivela una delle più elevate concezioni moderne della s. e dell’unità del sapere di cui l’istruzione deve farsi tramite. Negli anni successivi, per via di resistenze e circostanze diverse, la riforma del 1923 fu variamente ritoccata, in parte elusa in alcuni suoi punti significativi o resa più rispondente agli scopi del regime. Un nuovo riordinamento del sistema scolastico italiano era preannunciato dalla Carta della scuola del febbraio 1939, elaborata da Giuseppe Bottai. Le ultime vicende del fascismo non consentirono uno sviluppo legislativo delle enunciazioni contenute nella Carta, se non limitatamente alla creazione della s. media inferiore, che, istituita con legge 1° luglio 1940, unificava i corsi inferiori del ginnasio, dell’istituto magistrale e degli istituti tecnici.
A partire dagli anni Cinquanta, i processi di istruzione in molti Paesi hanno avuto uno sviluppo inusitato, richiedendo politiche di intervento ad ampio spettro. Il primo problema postosi all’attenzione dei governi fu quello dell’analfabetismo, dalle dimensioni e caratteristiche differenti nelle diverse aree geografiche. Nelle regioni più avanzate (Europa, America Settentrionale, Giappone), l’analfabetismo e il semianalfabetismo riguardavano soprattutto frange di popolazione adulta, specie delle zone rurali e delle periferie urbane. In questo caso il fenomeno fu in parte risolto nel giro di qualche decennio attraverso forme differenziate di recupero. Molto più consistente il fenomeno nei Paesi del Terzo mondo. Programmi di alfabetizzazione di grande rilievo furono quindi attuati in India e in Cina: in quest’ultima, nei decenni successivi al 1949 l’analfabetismo fu ridotto dall’80 al 34% circa; in India fu costruita una rete di centri di istruzione permanente e programmi di formazione a distanza (mission), rivolta agli abitanti delle zone rurali, alle donne, agli appartenenti a caste e tribù disagiate. Altrove, come in varie regioni africane, asiatiche e dell’America Latina, sono stati attivati con il contributo dell’UNESCO programmi di scolarizzazione di vario tipo. Negli Stati industrializzati o in via di industrializzazione, si assisteva intanto al fenomeno della scolarizzazione di massa, effetto di una serie di fattori concomitanti, dall’accresciuto tenore di vita della popolazione all’incremento demografico, dallo sviluppo crescente dei settori più avanzati della produzione e dei servizi ai bisogni formativi di nuovi strati sociali, al più incisivo ruolo degli Stati nel favorire l’istruzione pubblica. Tale scolarizzazione di massa, iniziata nel corso degli anni Cinquanta e proseguita negli anni Sessanta e Settanta, ha riguardato inizialmente i primi livelli dell’istruzione formale (s. primaria e primo ciclo di s. secondaria) e poi anche i gradi superiori (s. secondaria superiore e, in misura più contenuta, università). Di fronte all’espansione della domanda di formazione, si è posto quindi il problema dell’adeguamento delle strutture scolastiche e di una loro diffusione capillare. Lo sforzo finanziario sostenuto dagli Stati non sempre è riuscito a corrispondere ai bisogni, tanto che persino nei Paesi più progrediti si sono sviluppati movimenti di protesta. La contestazione studentesca, diffusasi dalla metà degli anni Sessanta negli Stati Uniti, poi in Europa, in Giappone e in altri Paesi, prese di mira l’autoritarismo annidatosi nelle strutture educative, e pose l’esigenza di profondi rinnovamenti per aprire la s. ai problemi delle società complesse. La protesta studentesca è poi periodicamente riaffiorata nel corso degli anni, traendo spunto da tematiche diverse come il sovraffollamento degli edifici scolastici, le mancate riforme, l’insufficienza di sbocchi professionali per diplomati e laureati, le riduzioni della spesa pubblica per l’istruzione. Motivi di insoddisfazione si sono avuti anche nei corpi docenti, costretti ad aggiornare continuamente la loro preparazione professionale e ad ampliare lo spettro dei propri compiti, con un peso crescente dell’attività di programmazione; tutto ciò a fronte di un netto calo di prestigio sociale del ruolo degli insegnanti. Negli anni Sessanta e Settanta, in aderenza al criterio delle «pari opportunità formative», furono avviati interventi organizzativi e finanziari per dare concretezza al diritto allo studio, specie con riguardo ai primi gradi dell’istruzione (gratuità dei corsi, borse di studio, servizi-mensa, doposcuola ecc.); si provvide ad allungare i tempi-scuola, si avviarono forme d’integrazione di alunni diversamente abili; si curò l’organizzazione di servizi e strutture per attività integrative, sportive, culturali. Innovazioni rilevanti riguardarono anche le metodologie di apprendimento-insegnamento. Tuttavia ampie riserve sull’efficacia dell’istruzione impartita dalle s. affiorarono, a partire dagli anni Ottanta, in molti ambienti, specie là dove l’intervento educativo risultò troppo sbilanciato sul versante della semplificazione delle procedure didattiche, lasciando sullo sfondo l’impegno relativo ai contenuti basilari dell’istruzione, alla padronanza delle strutture conoscitive e operative dei diversi saperi. Negli ultimi anni del sec. 20° si è iniziato a dare maggiore importanza alla s. pre-primaria o materna, individuata dalla ricerca psicopedagogica come uno dei fattori più efficaci per combattere le situazioni di svantaggio socioculturale. Condizioni ambientali come il lavoro femminile e il carattere mononucleare delle famiglie sono servite a incrementare sensibilmente la domanda di asili nido e s. materne. Con la progressiva estensione della scolarizzazione della fascia di età 3-6 anni, è avanzata anche l’idea della funzione della s. pre-primaria, che da luogo prevalentemente di custodia e di assistenza si sta ormai dappertutto configurando come istituto di educazione con i suoi obiettivi. Un altro importante fenomeno è quello relativo all’integrazione di bambini appartenenti a famiglie di immigrati. La Convenzione dei diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1989, impegna gli Stati a realizzare forme educative che possano promuovere le abilità fisiche e mentali e il talento dei bambini, la loro identità culturale, i valori del Paese di origine. La s. primaria o elementare e quella secondaria di primo grado o media, che ormai dovunque fanno parte dell’istruzione dell’obbligo, raggiungono nei Paesi industrializzati la piena scolarizzazione (e nei Paesi in via di sviluppo si stanno facendo notevoli sforzi in questa direzione). La s. media è stata per lo più rivista negli ordinamenti e nelle finalità per renderla comune a tutti gli scolari, specie là dove è stata oggetto di riforme incisive (in Italia nel 1962 e 1977). Il processo di unificazione dei corsi ha avuto la conseguenza di spostare in avanti la scelta degli indirizzi di studi secondari, tentando così di contrastare una selezione di tipo classista già nelle prime tappe del percorso formativo. Ma non sono pochi i Paesi che mantengono la differenziazione dei corsi successivi alla s. elementare, o quelli che ancora prevedono s. speciali o classi differenziali per gli alunni portatori di handicap. L’istruzione secondaria di secondo grado è il settore scolastico che ha fatto registrare le maggiori divergenze di vedute. In Europa, le strategie scolastiche dei maggiori Paesi prevedono una scolarizzazione tendenziale fino al diciottesimo anno di età in scuole mediamente di buon livello ma con istruzione superiore ancora limitata. In Italia, fra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, l’ordinamento scolastico è stato oggetto di diverse modifiche. Nel 1997 il ministro L. Berlinguer individuò come principi ispiratori della sua azione la necessità di superare la distinzione fra formazione culturale e formazione professionale. Tuttavia le sue proposte di riforma, che contemplavano anche l’ingresso dei privati nella s., non giunsero in porto, fatta eccezione per la riforma dell’esame di maturità (legge 425/1997). Intanto, nel 2001, il ministero della Pubblica istruzione veniva abolito e accorpato ad altri ministeri nel MIUR (ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca): un provvedimento revocato nel 2006 e tornato in vigore nel 2008. Nel 2003 anche i provveditorati agli studi sono stati aboliti, e sostituiti con uffici scolastici regionali (e dal 2006 provinciali). Nel 2006 lo stesso esame di maturità è stato modificato dal nuovo ministro, L. Moratti: non potevano accedervi, per es., gli studenti che avevano cumulato eccessivi «debiti formativi». Quest’ultima espressione rinvia a una concezione della struttura di valutazione, realizzata attraverso crediti e debiti formativi, di tipo «economico», che molti studiosi hanno sottoposto a critiche severe. Nel 2007 furono reintrodotti i rimandi estivi e gli esami di riparazione aboliti nel 1995. Nell’ott. 2008 il Parlamento ha convertito in legge il decreto del ministro M.S. Gelmini, reintroducente la figura del maestro unico nella scuola elementare, suscitando numerose proteste di genitori e insegnanti precari. Nel giugno 2009 il Consiglio dei ministri ha approvato il progetto di riforma Gelmini relativo alla scuola media superiore, che prevede sei licei: oltre ai quattro già esistenti (artistico, classico, scientifico, linguistico), quello di scienze umane (che sostituisce le vecchie magistrali) e il liceo musicale-coreutico. L’elemento chiave delle proposte di riforma rimane peraltro, accanto ai tagli della spesa motivati con ragioni di bilancio, il nesso sempre più stretto stabilito tra la s. e il mondo imprenditoriale, e dunque la possibilità per i privati di esercitare un ruolo sempre più importante nella stessa istruzione pubblica. Tali progetti non hanno mancato di suscitare nuove proteste, sia da parte degli studenti (il movimento dell’Onda del 2008-2009, le proteste dell’autunno 2010), sia da parte di genitori, docenti e precari della scuola, la cui critica riguarda in primo luogo i tagli alla spesa e la riduzione di cattedre e orari.