Scuola
Nella sua accezione originaria, schola è termine latino che designa sia il concetto sia il luogo dello studio, nonché più genericamente una sede di riunione a uso della cittadinanza tutta, di corporazioni civili o ancora di gruppi religiosi, di frequente fornita di un banco per i presenti. Per estensione, nel latino medievale schola, come poi universitas, viene impiegato anche per indicare comunità e società che si riconoscono nell'esercizio di una comune attività. Attualmente con il termine scuola s'intende sia l'istituzione di carattere sociale che attraverso un'attività didattica organizzata e strutturata tende a dare un'educazione, una formazione umana e culturale, una preparazione specifica, sia l'edificio nel quale ha sede l'istituto scolastico.
Se l'esperienza dell'apprendimento può verificarsi in modo spontaneo dall'osservazione di fatti, dalla ripetizione di atti altrui, dall'esame di testimonianze scritte o verbali, anche senza la mediazione di una figura consapevole del proprio ruolo, l'insegnamento, sia esso praticato attraverso l'esempio oppure mediante la trasmissione di capacità o di nozioni, ha carattere intenzionale e svolge un'azione sociale ben precisa: in questa chiave di lettura, la scuola costituisce una necessità che si manifesta allorché il sapere non risulta più trasmissibile nell'ambito familiare o del gruppo sociale ristretto. In linea generale, nel mondo occidentale è possibile ravvisare i caratteri di una lenta evoluzione dell'istituzione scolastica da fasi di oligopolio culturale ‒ in cui modelli e contenuti, fortemente espressivi di società a sfondo rituale, sono rivolti ai pochi destinati agli uffici pubblici più elevati e all'esercizio del culto ‒ verso fasi di diffusione dell'istruzione a strati della popolazione sempre più estesi. Questi processi vanno tuttavia analizzati con riferimento al contesto storico. Sono rari i casi in cui l'apprendimento viene a far parte di una vicenda esistenziale a carattere globale, come nell'esperienza delle comunità di matrice filosofica o religiosa, in cui il maestro è innanzitutto e soprattutto maestro di vita e il suo insegnamento testimonianza e trasmissione di valori. Pur in assenza di un coinvolgimento totale del giovane, si è però verificato poco di frequente che gli strumenti formativi a sua disposizione fossero in grado di addestrarlo alla vita in senso lato, ossia capaci di affrancarlo dal pregiudizio e da altri idola tribus: più spesso l'insegnamento si è espresso in forma acritica, con un'accentuazione degli aspetti rituali o mnemonici, sotto l'attenta regia del potere civile o religioso. Con il generale processo di secolarizzazione, la cura del giovane tende a sottrarsi alle finalità esclusive di una rigida educazione religiosa e a consegnarsi a istanze di ordine pratico, di formazione di abilità manuali o di capacità intellettuali, o a prospettive del tutto nuove connesse alla costruzione dell'uomo sociale in tutte le sue gamme: dal formalismo di cui sono intessute alcune norme istituzionalizzate di comportamento sin verso spunti di vera e propria educazione civica. Accanto ai contenuti ispirati dalle ideologie prevalenti, ben prima che la pedagogia si affermi come scienza dell'uomo, le tecniche di apprendimento rappresentano un elemento inscindibile dall'organizzazione complessiva dello studio, determinante nei riguardi di una fase comunque significativa della crescita della persona. Meno rilevante è invece il discrimine tra educazione collettiva e individuale: quest'ultima è fenomeno generalmente circoscritto nel tempo e nello spazio, rivolto a strati sociali privilegiati e destinato ad attraversare momenti di rinnovata fortuna presso le classi intellettuali in quelle fasi, come l'Umanesimo e l'Illuminismo, in cui l'educazione viene a proporre un modello ideale di vita.
Nella Grecia arcaica, come lungamente poi nella Roma repubblicana, l'istruzione viene impartita in famiglia. Alla fine del 5° secolo a.C. iniziano a diffondersi i ginnasi, complessi pubblici sorti per l'esercizio dell'atletica, all'interno di un parco o bosco recintato, con una palestra e spesso un rudimentale impianto balneare, dove tuttavia non è infrequente la presenza di locali per l'insegnamento teorico collettivo. La massima espressione culturale del mondo greco è però rappresentata dall'Accademia fondata da Platone nell'età classica: l'edificio, di cui si conserva soltanto una descrizione, era inizialmente collocato all'esterno della città di Atene, circondato da un grande parco con un santuario dedicato alle Muse. Attraverso alterne vicende che ne registrano tra l'altro lo spostamento all'interno della città, l'istituzione sopravvive per quasi mille anni sino alla soppressione per ordine di Giustiniano (6° secolo d.C.). Il modello dell'Accademia, consacrata alla ricerca del 'vero' in opposizione alle forme di sapere rituale, troverà una singolare consonanza con la cultura umanistica che tenterà di riviverne i fasti attraverso esperienze di comunità tra uomini eletti, ma soprattutto attraverso un vivido immaginario architettonico cui non è estranea la suggestione del trattato De architectura di Vitruvio che proprio nel Rinascimento conosceva una nuova diffusione. Il ginnasio ellenistico descritto da Vitruvio al tempo di Augusto si presta come scenario ideale per l'incontro e per il confronto dialettico tra retori, filosofi e allievi; esso ha il suo fulcro in una corte circondata per tre lati da colonnati; la palestra con i suoi annessi collocata sul quarto lato del complesso sembra voler anticipare le soluzioni planimetriche degli edifici termali monumentali.
A Roma, le prime forme di insegnamento collettivo venivano praticate in locali chiusi che potevano essere destinati anche ad altre funzioni, come le tabernae, oppure all'aperto nei cortili o in spazi recintati, le pergulae. Si assiste al loro sviluppo a partire dalla tarda età repubblicana: esse corrispondono a un insegnamento di tipo primario, al quale dal 1° secolo d.C., su iniziativa e con il sostegno economico degli stessi imperatori, si affiancheranno scuole di grado medio, destinate alla formazione di gramatici e geometrae, e di grado superiore, per rhetores, architecti, notarii, mentre il diritto rimane oggetto di un insegnamento individuale, ad personam. Successivamente alla disgregazione dell'Impero Romano, il monopolio della cultura passa lentamente nelle mani della Chiesa, che si avvale di una omogenea presenza territoriale scandita dalla ripartizione delle diocesi ed è già organizzata per un'opera capillare di catechesi. Finalità di queste 'scuole parrocchiali' è la preparazione, entro le mura del chiostro o all'interno della chiesa, di addetti al culto addestrati da maestri provvisti di regolare licenza. L'insegnamento si svolge secondo una prassi imperniata sulla ripetizione e sulla memorizzazione in latino dei testi sacri (il Libro d'ore e il Salterio). In genere si tende a trascurare l'apprendimento della lettura e si ignora del tutto la pratica dello scrivere. La consuetudine di una scuola di tipo primario a contenuto religioso si protrae lungo tutto l'arco del Medioevo; tuttavia con il passare del tempo essa tende, per un verso, a perdere il carattere di gratuità, per l'altro, a consolidare la propria presenza nei centri urbani a scapito delle campagne da cui richiama quegli allievi che sono in grado di avere mezzi propri di sussistenza o si mantengono in virtù di lasciti o borse di studio. Le lezioni possono allora svolgersi anche fuori dai luoghi consacrati, presso l'alloggio dell'insegnante, come pure in locali in affitto sprovvisti di arredi (scholae), oppure addirittura in strada, coram pueris in angulis, come riferisce con toni di aperta critica s. Tommaso nel 13° secolo.
Nel 14° secolo l'istruzione primaria diviene quasi impercettibilmente appannaggio esclusivo delle città: benché il diritto di insegnare sia ancora sottoposto alla licenza dell'autorità religiosa, in molti casi sono i liberi comuni a nominare i maestri e a stipulare contratti che prevedono compensi variabili secondo il grado più o meno elevato dell'insegnamento. Sono sempre i comuni, poi, a provvedere alle necessità del locale, dove la popolazione scolastica, ancora eterogenea, inizia a suddividersi in gruppi separati in base al grado di preparazione. Nelle città maggiori, come Firenze, conquista gradualmente terreno una suddivisione delle scuole secondo il livello di istruzione impartita; da quanto sappiamo dalla testimonianza del cronista fiorentino G. Villani, risulta per es. come scrittura e lettura, in quanto attività ben distinte, siano oggetto di insegnamento separato. In un quadro così eterogeneo, emergono i primi criteri atti a reperire sedi funzionali all'esercizio dell'insegnamento. Una rara testimonianza in questo senso proviene da Erasmo da Rotterdam, il quale in una lettera del 1519 a Justus Jonas descrive la scuola di S. Paolo a Londra fondata dall'umanista J. Colet dietro sua ispirazione: essa consiste in un unico ambiente circolare gradonato che può essere suddiviso mediante un sistema di tendaggi in quattro parti secondo le esigenze didattiche; ogni classe ha sedici allievi: il primo della classe occupa un piccolo pulpito al di sopra degli altri. Appare evidente che la scelta di tale configurazione planimetrica è in grado di contribuire, in misura notevolmente più efficace di qualsiasi provvedimento disciplinare, a scoraggiare le pratiche correnti di bivacchi con tavoli e giacigli addossati lungo i muri dei locali di studio. Ma ancora in pieno Medioevo, dal primitivo nucleo di istituzioni con finalità religiose, senza alcuna gradualità o suddivisione per età o preparazione, nelle principali sedi di elaborazione culturale, come i monasteri e le cattedrali delle città, si delineano progressivamente due filoni di insegnamento comunque imperniati sulla dottrina cristiana, distinti in interior per oblati, ed exterior per secolari e laici. Da un'infarinatura di storia sacra in latino si tende a passare a un'organizzazione che si richiama a quella classica, benché gli insegnamenti superiori siano incentrati sul sapere religioso: viene infatti sancita una separazione tra studi filosofici, o artes et scientiae naturales, i quali preparano i maestri di scuola, insigniti del titolo di magistri artium, e studi specialistici in medicina, diritto canonico e civile, teologia, a cui è possibile accedere solo in un momento successivo.
Le prime università, che dal 13° secolo raccoglieranno i frutti di questa evoluzione maturata nel solco della tradizione cristiana, costituiscono un fenomeno prettamente urbano, concomitante con l'affermazione delle libertà comunali, ma non sempre in sintonia con queste: se può accadere che il nucleo primigenio sia costituito da maestri liberi associati tra di loro con l'appoggio di un'autorità civile o religiosa, spesso la comunità di docenti e allievi si consolida anche in aperto dissidio con il governo della città. Questi gruppi di 'intellettuali', secondo l'espressione di J. Le Goff, hanno conquistato terreno in virtù di una forte coesione interna che li porta a essere una controparte temibile per l'autorità civile nell'ambito della nascente economia di mercato: essi hanno affermato il loro statuto di corporazione, garantendosi il diritto di sospendere l'attività didattica, con ripercussioni non indifferenti per i centri urbani ormai largamente dipendenti dagli introiti delle comunità universitarie, e assicurandosi il monopolio del conferimento dei gradi accademici, coronati dalla licentia ubique docendi, che corrisponde a un controllo di fatto del futuro ceto dirigente. Nel clima di rinnovata apertura allo scambio e al mercato che appare caratterizzare questa fase del Medioevo, gli statuti che regolano l'organizzazione degli studi, il programma dei corsi (ratio studiorum) e le condizioni di accesso, fanno registrare di volta in volta particolari soluzioni di compromesso tra atteggiamenti laici e posizioni di rigoroso conformismo: la posta in gioco è la libertà di insegnamento, che tutela l'aspetto professionale, corporativo dunque, del lavoro intellettuale, anche in contrasto con il monopolio culturale della Chiesa e con quelle posizioni intransigenti e dogmatiche secondo le quali la scienza, in quanto dono di Dio, deve essere aliena da qualsiasi risvolto venale. Il ruolo del clero benedettino nella trasmissione della cultura viene offuscato nel corso del 14° secolo dall'affermazione degli ordini mendicanti, introdotti nelle università allo scopo di combattervi le eresie e in crescente opposizione con il corporativismo laico dei magistri. La celebre Scuola di Salerno di medicina, già nota prima del 1000, si era sviluppata in virtù dell'esperienza e della pratica elaborata dai monaci della vicina Abbazia di Montecassino dove, accanto all'attività di assistenza agli infermi, era in vigore lo studio dei testi dei maestri latini, greci e arabi. Qui, dopo l'esclusione dei monaci dall'esercizio della medicina oltre le mura conventuali, sancita dal Concilio di Reims nel 1148, la Scuola si afferma e consolida con una fisionomia prevalentemente laica sotto la protezione di Roberto il Guiscardo, primo principe normanno a Salerno, accogliendo e favorendo l'insegnamento di docenti di chiara fama di qualsiasi provenienza.
A Bologna, l'Archiginnasio è attivo dal 1088: riconosciuto dall'imperatore Federico Barbarossa, ottiene una costituzione corporativa con l'esplicitazione dei privilegi di scolari e maestri nei confronti della città. La popolazione scolastica, organizzata in nationes con proprie rappresentanze presso le istituzioni cittadine - la citramontana e l'ultramontana secondo la provenienza degli studenti - sfiora in alcuni periodi le 10.000 unità. Da questa esperienza di convivenza con la città, che conosce peraltro fasi alterne, gemmeranno altri importanti centri universitari, come, per es., quello di Padova sorto in conseguenza dell'allontanamento di comunità di docenti e studenti indesiderati. L'autorità papale tiene a battesimo istituzioni prestigiose come l'Università di Parigi (1198) o lo Studium urbis ('La Sapienza'), promosso a Roma nel 1303 da papa Bonifacio VIII per affiancare il più antico Studium curiae, destinato alla formazione dei funzionari o dei prelati di curia. Vi si svolgono corsi di teologia, diritto canonico e civile, e vi si insegna il greco, l'ebraico e persino l'arabo, accanto al latino. La Sapienza tiene testa alle istituzioni prestigiose di Bologna e Perugia con la creazione di privilegi per studenti e professori, nonché con un finanziamento attivato dall'entrata fissa dei proventi delle gabelle sul vino introdotto a Roma. In questa fase di consolidamento non è ancora avvertita la necessità di una sede deputata che sottolinei la presenza materiale dell'istituzione nella città: le lezioni si svolgono in locali adattati, seppure in settori urbani ben definiti, come nella celebre rue du Fouarre a Parigi, o presso le chiese e i conventi degli ordini mendicanti. La presenza territoriale dell'università è comunque ben percepita, come testimonia il domenicano Tommaso d'Irlanda alla fine del 13° secolo: "La città di Parigi è, come Atene, divisa in tre parti: una, quella dei mercanti, degli artigiani e del popolino, che vien detta la grande città; l'altra, quella degli uomini nobili, dov'è la corte del re e la chiesa cattedrale, che vien chiamata la Cité; la terza, quella degli studenti e dei collegi, che vien chiamata l'Università" (Le Goff 1957, trad. it., p. 76).
L'insegnamento primario, spesso controllato da quello superiore, sta attraversando nel frattempo un lungo processo di transizione dal metodo pedagogico simultaneo del Medioevo a quello di tipo progressivo, il cui portato sarà una sorta di regolamentazione dei programmi di studio. La serie di innovazioni più significative di questa fase è forse imputabile alla 'invenzione' di una nuova istituzione: il collegio. Dall'originaria funzione di asilo gratuito per studenti poveri presso gli ospedali grazie a generose sovvenzioni e donazioni, esso conquista rapidamente terreno nell'Europa continentale e in Inghilterra, drenando a partire dal 15° secolo ampi strati di gioventù pagante cittadina e rurale cui tende via via a offrire, oltre all'alloggio, anche una formazione di livello elementare o intermedio entro le proprie mura. Nel Settecento, all'apice della sua evoluzione, il collegio è istituzione con una forte presenza territoriale rivolta prevalentemente agli adolescenti della borghesia, eventualmente attrezzata ad accogliere con particolari riguardi i figli dell'aristocrazia. Le tipologie edilizie rispondenti alle nuove esigenze andranno conformandosi sui principi organizzativi delle convivenze religiose, mutuandone più o meno fedelmente la disciplina negli orari e nei programmi educativi, sotto il controllo di reggenti dapprima eletti dagli studenti stessi e successivamente nominati dall'autorità civile o religiosa. Ed è proprio all'interno dei collegi che nel Cinquecento il termine classe soppianta quello più antico di lectio, utilizzato per designare una comunità omogenea di alunni piuttosto che un'aula destinata a ospitarli: le distinzioni per età e preparazione, già menzionate come 'classi' da Quintiliano, indicheranno poi con uno slittamento progressivo di significato pure la sede specifica in cui si svolge l'insegnamento, per assumere infine anche l'accezione di ciclo di studi a periodicità annuale che è invalsa nell'uso corrente. Il Collegio Romano, voluto nel 1551 dal fondatore della Compagnia di Gesù, s. Ignazio di Loyola, costituisce per eccellenza un modello e uno strumento della Controriforma volto a garantire una formazione sacerdotale e intellettuale di sicura ortodossia in una fase di estrema difficoltà per la Chiesa. Il programma didattico e propagandistico, sperimentato nella capitale della cristianità per poi venire esportato nei territori delle lontane missioni, trova sin dall'inizio un riscontro nella possibilità di collocare l'edificio in posizione baricentrica rispetto alle altre principali istituzioni urbane, salvaguardando tuttavia l'esigenza di una sorta di isolamento meditativo e di un'introversione degli spazi su modello delle altre convivenze religiose. Il Collegio, quale ci appare nella sua attuale consistenza, è il frutto di una impegnativa ristrutturazione della prima sede romana dei gesuiti, realizzata su alcuni lotti di un isolato del Campo Marzio resi disponibili in virtù di una donazione. Il nuovo complesso edilizio, iniziato nel 1582 ad appena venti anni di distanza dalla prima realizzazione, si estende all'intero isolato grazie a un motu proprio di papa Gregorio XIII che consentì l'espropriazione delle abitazioni comprese nel suo perimetro. Esso articola le aule delle scuole intorno a un cortile, riserva un giardino interno alla distribuzione delle parti residenziali e raggruppa gli ambienti e i cortili di servizio negli spazi più sacrificati, in una sostanziale fedeltà alla logica distributiva dei numerosi schizzi e progetti preparatori su cui si era già avviata la prima realizzazione. La variante di rilievo è rappresentata dalla chiesa dedicata al fondatore, in sostituzione della cappella dell'Annunziata, incorporata nel perimetro del complesso, in posizione privilegiata e accessibile anche agli esterni dal lato opposto rispetto alla facciata principale. Questa presenta una compassata semplificazione del linguaggio architettonico, con un'allusione agli ordini classici attraverso delle semplici partiture geometriche. La gratuità rappresenta uno dei punti qualificanti dell'insegnamento, la cui offerta copre per intero il ciclo di studi ed è aperta anche a laici (forasteri): nel suo primo anno di vita, l'istituzione conta 520 esterni, a fronte dei 22 destinati agli uffizi sacerdotali.
Se la finalità dichiarata è quella di compendiare la cultura classica con la formazione cristiana del giovane, la pedagogia gesuitica continua ad affermare, in sintonia con la tradizione scolastica e in opposizione al rinnovamento avviato dagli umanisti, la preminenza di una razionalità logica di tipo applicativo su forme di pensiero diversamente strutturate. Il metodo impiegato tanto per l'apprendimento delle lingue classiche quanto per gli studi filosofici e teologici superiori risulta infatti mutuato dal modus parisiensis in vigore presso la facoltà di Teologia della Sorbona, ed è volto ad affinare le doti intellettuali sviluppando la capacità di assimilazione attraverso l'esercizio e l'applicazione continua della memoria. Il programma degli studi letterari - o humaniores litterae - si colloca all'inizio del ciclo formativo e prevede cinque classi, di cui tre di grammatica in latino, una di humanitas, in cui viene affrontato lo studio del greco, e una di rhetorica. Gli studi filosofici, o arti e scienze naturali, e quelli teologici forniscono le argomentazioni più propriamente destinate alla divulgazione della fede cattolica a opera dei giovani predicatori in terre ostili o contro l'eresia protestante: a essi si rivolge infatti la pubblicazione Disputationes de controversiis christianae fidei adversus huius temporis haereticos di s. Roberto Bellarmino da Lovanio, figura carismatica del Collegio dopo la morte del suo fondatore. In pochi decenni, il prestigio del Collegio Romano offuscherà La Sapienza, che nel frattempo ha realizzato la propria sede in un severo edificio progettato da G. Della Porta: il portale ne costituisce l'unica apertura in facciata al pianoterra, mentre all'interno un ampio cortile con logge su doppio ordine ha la funzione di distribuire gli ambienti didattici. La cappella di S. Ivo, capolavoro di F. Borromini, a chiusura della corte, ingentilirà l'austerità del complesso edilizio nel 1660, per volere di papa Alessandro VII, in un clima di generale rinnovamento dell'istituzione universitaria. In questa occasione sarà inaugurato anche il nucleo della Biblioteca Alessandrina e un nuovo orto botanico (hortus simplicium).
Se l'istituzione universitaria attraversa una fase di grave decadenza, registrata dai cronisti dell'epoca che stigmatizzano lo Studium caerimoniale per via del formalismo che ne cristallizza ogni vitalità, nel 17° secolo, e più ancora nel successivo, sono codificati nuovi modelli di insegnamento specialistico. Così presso le 'accademie' hanno libero corso la disciplina fisica e le scienze teoriche e applicate (matematica, fortificazione) che si affermano al fine di preparare all'arte militare la classe nobile, mentre nelle università l'insegnamento delle scienze esatte, come per il passato lo stesso diritto civile, continua a incontrare una lunga avversione, non solo in Italia o presso ambienti clericali. Tra Seicento e Settecento si manifestano nuovi indirizzi pedagogici riguardanti le fasi più delicate della formazione dell'individuo: prende forma, in opposizione al concetto medievale di educazione come preparazione della persona in senso religioso, un ideale educativo che ha per fine la costruzione di un uomo sociale equipaggiato per vivere 'nel secolo'; il francese civilité, che condensa principi e regole di buona creanza, ben rappresenta, al di là della formazione civile, militare o religiosa impartita presso collegi, seminari e accademie, questo spirito nuovo. Anche riguardo al versante dell'insegnamento elementare, si aprono nuovi fronti: l'impiego della lingua volgare, diffusa precocemente in Italia sulla scia della predicazione popolare, si afferma in tutta Europa con le cosiddette scuolette (petites écoles in Francia e petty schools in Inghilterra), in seno allo spirito religioso comune alla Riforma e alla Controriforma. I primi rudimenti di lettura, finalmente ancorata alla scrittura, sono forniti su manuali di buona condotta civile e cristiana predisposti espressamente allo scopo e sono affiancati da operazioni di calcolo elementare. Spesso i maestri trasmettono agli allievi anche nozioni pratiche, insegnando loro a copiare "formulari di quietanze, obbligazioni, affitti di fondi rustici [...] perché acquistino lo stile d'affari del loro tempo" (Ariès 1960, trad. it., p. 338).
Tali iniziative si allineano con una pratica di aperta concorrenza con le scuole a pagamento per scrivani e contabili in lingua volgare introdotte già nel Tardo Medioevo nelle città commerciali dell'Europa settentrionale per iniziativa di mercanti e uomini d'affari, e successivamente diffuse nel nostro paese. Il principio di utilità, rinnegato dalla scuola primaria, si fa lentamente strada al suo interno, sia pur con molte cautele, nella forma di propedeutica all'esercizio di un mestiere, di apprendistato con finalità pratiche. Nell'ambito di questa vera e propria rivoluzione dei modelli culturali anche il ruolo femminile, generalmente sacrificato, assume un rilievo particolare: tale emancipazione filtrata da una rigorosa formazione religiosa, si impone via via attraverso forme di militanza che portano la donna consacrata a operare, con l'autorizzazione del vescovo, anche fuori dalle mura conventuali in favore di malati, indigenti ed emarginati. Precorritrice del nuovo corso era stata, già nella prima metà del Cinquecento, s. Angela Merici, fondatrice della Congregazione delle orsoline, e ispiratrice di un ciclo di studi di livello elementare destinato a ragazze del popolo. Nel Seicento, a Parigi, si afferma la figura di L. de Marillac, attiva nelle opere di carità con una comunità di donne laiche, e ideatrice di un catechismo elementare in lingua volgare da impiegare come testo di lettura. La donna diviene così finalmente destinataria, al pari dell'uomo, di una formazione scolastica riconosciuta e sancita in qualche modo dall'autorità civile o religiosa.
Nel 1698 Luigi XIV, intervenuto per riordinare la legislazione scolastica e ospedaliera del territorio francese, avverte la necessità di porre le basi per un insegnamento primario obbligatorio rivolto a tutta la popolazione; a tale scopo egli decide di avvalersi, per la fondazione di scuole e ospedali nel territorio di Chartres, della capacità organizzativa di donne appartenenti al terzo ordine domenicano, e in particolare di M. Poussepin, promotrice, nella fabbrica di sua proprietà, di un'esperienza di formazione professionale che non ha precedenti: il rinnovamento delle tecniche produttive secondo procedimenti industriali di tessitura provenienti dall'Inghilterra mediante una forma di apprendistato salariato per gli operai riuniti in associazione. Qui come altrove, le donne iniziano timidamente a costruirsi uno statuto professionale attraverso la frequentazione di scuole che promuovono abilità specifiche. L'eredità di Angela Merici è raccolta dagli istituti 'secolari' che hanno conosciuto un notevole impulso in tutti i campi: "assistenza infermieristica negli ospedali, fondazioni di scuole sganciate dai monasteri e particolarmente dedicate all'istruzione femminile, sia delle ragazze ricche sia di quelle povere; laboratori per la preparazione ai mestieri ritenuti adatti alle donne: cucito, ricamo, tessitura. Infine l'opera più ardita: le missioni" (Magli 1995, p. 269).
L'Illuminismo, con la sua critica al monopolio della cultura classica attraverso la mediazione della Chiesa, dà finalmente impulso anche allo studio delle discipline scientifiche e tecniche, affrancandole da una lunga soggezione: il clima di generale rinnovamento dell'istruzione superiore si diffonde in tutta Europa in seguito allo scossone provocato dalla Rivoluzione francese. E se negli ultimi anni del Settecento l'École polytechnique inaugurerà in Francia regolari corsi di formazione universitaria, sempre improntati peraltro allo studio delle discipline militari, nello Stato Pontificio sarà Pio VII ad avviare in piena Restaurazione una riforma degli ordinamenti didattici in linea con lo spirito dei tempi. La Sapienza vedrà così l'istituzione della scuola di Ingegneria, con insegnamenti di statica, idraulica, architettura, e la creazione di due cliniche annesse ai corsi di medicina. Nell'arco temporale che abbraccia il Medioevo e l'Età moderna, il processo di diversificazione dell'insegnamento ha conosciuto diverse tappe che hanno perfezionato l'offerta didattica in funzione di indirizzi sempre più mirati e specifici; però sono soprattutto le istituzioni di tipo superiore, che hanno codificato da tempo le modalità organizzative dei cicli di studi, a esprimere più chiaramente le proprie esigenze di funzionalità e rappresentatività e a conoscere una definitiva consacrazione tipologica e spaziale nelle pagine della manualistica di matrice illuminista. Scriverà infatti F. Milizia nel 1781: "I primi edifizi di utilità pubblica debbono essere quelli destinati agli studi pubblici, all'educazione della gioventù che deve formare la felicità dello Stato. Questi edifici principalmente sono le Università, le Biblioteche, le Accademie, i Collegi. Il maggior comodo pubblico richiede, che questi edifizi sieno situati non molto lungi dal centro della città e distribuiti intorno a una grandiosa piazza comune". Contestualmente, si assisterà al rafforzamento del prototipo di aula a pianta circolare già incontrato, "coi sedili a guisa di anfiteatro, affinché gli studiosi spettatori veggano tutti ugualmente" (Principi di architettura civile, tomo II, ed. veneta, 1825, pp. 186-87).
Con l'Ottocento, negli Stati dell'Europa e nell'America Settentrionale si pongono le premesse dell'ultima grande conquista nell'evoluzione dei modelli didattici. Il progresso culturale viene percepito come veicolo di prosperità, ed emerge la questione dell'istruzione come valore in sé: come diritto, come strumento di apertura sul mondo e di sua autonoma interpretazione. A tale proposito, J.-F. Lyotard ha insistito su "due grandi versioni di narrazione legittimante del sapere, la prima più politica, la seconda più filosofica, entrambe di grande importanza nella storia moderna" (1979, trad. it., pp. 58-59). Nell'ambito della prima versione è possibile ravvisare una distinzione tra politica dell'insegnamento primario, esemplificata dai provvedimenti della Terza Repubblica in Francia (1870), in relazione all'assunto che 'tutti i popoli hanno diritto alla scienza', i cui naturali corollari sono l'obbligatorietà e la gratuità, e politica dell'insegnamento superiore, che a partire dall'intervento razionalizzatore di Napoleone ambisce a produrre le competenze amministrative e professionali necessarie alla stabilità del regime, designando le università come veri e propri vivai dei quadri dello Stato e solo accessoriamente della società civile. Nella seconda versione, espressa dall'idealismo tedesco per voce di W. von Humboldt al momento della fondazione dell'Università di Berlino (1807-10), l'istituzione scientifica non ha vincolo né finalità determinata, vive e si rinnova continuamente da sé stessa. La grande funzione cui le università devono adempiere consiste nell'esporre l'insieme delle conoscenze, esplicitando contemporaneamente i principi e i fondamenti di ogni sapere. Se sotto l'influenza del movimento idealistico il primato dell'istanza di conoscenza e l'autonomia del sapere si accompagnano a una forte motivazione etica che vede nell'insegnamento il veicolo privilegiato per la trasmissione di valori, la pressante esigenza di formazione di tipo professionale e specialistico insidia questo modello di cultura; più precisamente, le riforme degli ordinamenti didattici, portando a compimento quei processi di lunga durata il cui esito è la necessaria scissione tra discipline umanistiche e scientifiche, hanno definitivamente infranto il mito di una formazione di tipo olistico o, più semplicemente, eclettico. Una riflessione sulla missione dell'insegnamento alla luce di questi elementi alimenterà lungamente, soprattutto in Germania, il dibattito intellettuale trovando in M. Weber uno strenuo sostenitore della neutralità del docente, ma solleciterà anche la costruzione di affascinanti utopie nel segno di una rinnovata concezione universale del sapere: in Il gioco delle perle di vetro (1943) H. Hesse darà vita a una comunità consacrata alla ricerca di una sintesi originale tra le multiformi espressioni dello spirito in grado di contenerle e di farle interagire.
Il nascente Stato italiano, defilato dal dibattito sui rapporti tra scienza e società, pone alla base della propria legislazione scolastica un provvedimento varato dal Regno di Sardegna (legge Casati) alla vigilia della proclamazione dell'Unità. Il testo, che trascura la questione dell'organizzazione tipologica e distributiva degli edifici, impone una suddivisione della popolazione scolastica per sesso e per classi, corrispondenti finalmente a una periodicità annuale. L'onere dell'istruzione primaria è demandato ai singoli comuni, che secondo la propria dimensione demografica scandiscono il ciclo di studi in due o quattro anni, a fronte dei sette previsti in quegli stessi anni in Francia. I poteri locali incontrano tuttavia notevoli difficoltà a imporre l'obbligo scolastico, se ancora nel 1911 un'inchiesta fornisce il dato sconfortante di una media nazionale di alfabetizzazione pari soltanto al 38% della popolazione in età superiore ai 6 anni. Al 1888 risalgono le prime prescrizioni dello Stato in materia di edilizia scolastica: conformemente al modello tedesco si consiglia la disposizione lineare delle aule lungo un corridoio sufficientemente ampio da consentire l'incontro e la ricreazione degli allievi; gli edifici non devono superare i due piani di altezza. Le scuole superiori, di competenza statale, si distinguono per una maggiore rappresentatività sulla scena urbana.
A partire dagli anni Venti del 20° secolo, in tutta Europa, e successivamente anche in America, il Movimento Moderno farà propria la tradizione funzionalista tardo ottocentesca approfondendo la ricerca sulle condizioni di esposizione e soleggiamento dei complessi scolastici, sul dimensionamento degli spazi e l'ottimizzazione dei percorsi interni; il lessico figurativo sarà volutamente scarno allo scopo di sottolineare la rispondenza immediata delle forme alle funzioni. L'aula destinata all'insegnamento di tipo tradizionale diventa la cellula di un processo aggregativo indefinitamente ripetibile, in un aggiornamento del modello a corridoio cui si riconducono quasi ovunque le scelte planimetriche. L'eccessivo schematismo di questa impostazione viene mitigato dall'affacciarsi di indirizzi pedagogici legati alle elaborazioni di R. Steiner e di J. Dewey e, in Italia, di M. Montessori, che prefigurano, particolarmente nel caso di scuole elementari e materne, modelli insediativi di ispirazione organica. Lo sviluppo della creatività nel bambino e la sua autoeducazione devono essere incoraggiati da un orientamento formativo che rigetta ogni forma di coercizione e che trova espressione formale attraverso il criterio della massima flessibilità dello spazio didattico: l'aula tradizionale tende, anche attraverso l'impiego di tramezzature mobili, ad ampliarsi per contenere settori semindipendenti demandati ad attività particolari, o a prolungarsi all'esterno in giardini e porticati attrezzati anche per ospitare l'insegnamento. Nel secondo dopoguerra, l'Italia si allinea con le legislazioni di altri paesi europei, portando l'obbligo della frequenza scolastica a otto anni. Lo sviluppo senza precedenti dell'edilizia per l'istruzione di questa fase viene contrassegnato da una ricerca progettuale che appare ricca di sperimentazioni e prodiga di soluzioni planimetriche - a corridoio, a padiglioni, a piastra -, largamente differenziate in relazione alla localizzazione dei complessi scolastici e dei vincoli posti dall'ambiente circostante, oltre che evidentemente al grado e al tipo di insegnamento. Nelle scuole di livello medio e superiore viene istituzionalizzata la dotazione di locali per il disegno e di aule che richiedono particolari accorgimenti di sicurezza, in cui gli studenti si trasferiscono per seguire lezioni ed esercitazioni di fisica e chimica. Analogamente, gli istituti industriali dispongono di officine attrezzate, gli istituti agrari si avvalgono di aziende agricole per la sperimentazione. E l'educazione fisica, respinta nel Medioevo come elemento perturbatore della disciplina e della concentrazione, tollerata poi dai gesuiti e portata in auge dalle accademie militari, trova finalmente un locale adatto più o meno attrezzato al coperto: la palestra.
Sul piano legislativo, l'esigenza di una programmazione razionale ed efficiente dello sviluppo delle istituzioni formative, nella prospettiva del pieno esercizio del diritto allo studio e della crescita culturale e civile delle comunità locali, conduce, negli anni Settanta, a una ripartizione territoriale secondo aree ottimali di gravitazione didattica e culturale: i distretti scolastici, su base regionale, sono le strutture cui compete la funzione di proposta e programmazione per ciò che attiene l'organizzazione e lo sviluppo dei servizi scolastici, delle attività di sperimentazione e di quelle integrative alla didattica, dei presidi di assistenza scolastica e medica e di educazione permanente. In termini di pianificazione territoriale, le prime prescrizioni relative all'individuazione di aree per l'istruzione primaria e secondaria sono contenute nel cosiddetto decreto sugli standard (d.m. 2 aprile 1968), che riguarda tanto le zone di espansione urbana, secondo indici commisurati alla popolazione da insediare, quanto le parti di città consolidate in relazione al fabbisogno pregresso. Parallelamente, l'edilizia scolastica è oggetto di un approccio normativo che si astiene da formulazioni prescrittive in termini di tipologie e indici numerici (d.m. 18 dicembre 1975). Così, i parametri dimensionali non hanno valore cogente, ma sono un riferimento di massima per la progettazione e un sussidio per verificare la funzionalità dell'impianto. Per contro, il provvedimento reca puntuali indicazioni sull'ubicazione dei complessi scolastici nella città in funzione delle dimensioni del bacino di utenza, variabile secondo il tipo e il grado dell'insegnamento e delle condizioni di accessibilità, e fornisce criteri sulle caratteristiche dei lotti da destinare a servizi scolastici, per privilegiare una visione degli edifici nella loro interezza e nell'insieme dei loro rapporti. Le parti libere da costruzioni vanno attrezzate per attività educative, ginnico-sportive e ricreative. Infine, sulla falsariga di esperienze innovative condotte in Italia e all'estero, si affronta il tema della pianificazione di percorsi protetti che consentano, specialmente ai più piccoli tra gli allievi, di raggiungere l'istituto senza rischio.
Se la scuola non è più al centro della città come avrebbe voluto Milizia, essa risulta talvolta l'unico edificio rappresentativo per la comunità in tessuti urbani periferici e non di rado degradati. La conquista della libertà tipologica può facilitare l'impostazione di un dialogo spesso difficile con l'ambiente circostante. L'espressione 'unità pedagogica' rinnova oggi un concetto che sembrava accantonato: essa torna ad alludere alla 'comunità scolastica' e fa riferimento alle esigenze di impostazione didattica che di volta in volta si presentano, rivendicando una flessibilità degli spazi che consenta la suddivisione del gruppo 'classe' in sottogruppi indipendenti, sotto la guida di diversi insegnanti. Ma non si tratta di una comunità chiusa: l'utopia di un dialogo tra scuola e città, inseguita a più riprese come modello culturale, rivive più modestamente e pragmaticamente mediante un coordinamento nell'uso dei servizi generali, come palestre, impianti sportivi, mense, auditorium, e dei veri e propri spazi civici, ispirato ai criteri di una convincente interazione sociale.
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