SCUOLA (XXI, p. 249; App. II, 11, p. 801)
Condizioni attuali della scuola. - Lo sforzo di caratterizzare sinteticamente le condizioni attuali e le tendenze evolutive della s. non può non concentrarsi su tre punti o aspetti essenziali: il suo processo di espansione, il suo processo di rinnovamento interiore, il suo processo di sempre più intensa e profonda funzione e articolazione sociale. Ma, mentre questi tre processi sono intimamente legati fra di loro, è poi indiscutibile che su tutti prevale oggi, come caratterizzante e determinante, il senso d'una funzione e d'una responsabilità sociale della scuola. La concezione intellettualistica - e non diciamo solo nozionistica - della s. è ormai superata ed è anzi in contrasto con tutta l'evoluzione pedagogica e con tutta la coscienza comune, che vede nella s. un organo essenziale e insostituibile di compiuta educazione e non di semplice istruzione. Che questo, poi, debba portare a un accentramento esclusivo dell'educazione nella s., sicché la pedagogia debba ridursi a una dottrina della s., come vorrebbero certe correnti positivistiche o certe forme di sociologismo, che sembrano ignorare l'esistenza di altri essenziali e insostituibili organi e circoli vitali di educazione, è un ricadere nell'intellettualismo d'un tempo o un negare la varietà unitaria o la unità molteplice del processo educativo che, uno in tutte le forme e organismi varî in cui si attua, in ciascuno si diversifica senza perdere in nessuno (famiglia, s., Chiesa, associazione, ecc.) l'integralità del compito che gli è proprio.
D'altra parte, è certo che proprio la sempre più decisa e vasta socializzazione della s. accresce le difficoltà che essa deve affrontare e determina lo stato di crisi, più o meno acuta, che dappertutto la s. presenta. L'irrompere delle masse nella s., che prima era loro preclusa, e le responsabilità nuove che ad essa incombono di fronte a esigenze sociali che si allargano dalla particolare comunità politico-sociale o Stato all'umanità tutta, spezzano i cancelli e i muri in cui essa era rinchiusa, ne travolgono le strutture, la rendono incapace di vivere secondo i suoi antichi schemi e di trovare facilmente strutture e schemi nuovi, idonei alle nuove necessità. Perciò dappertutto le riforme sono stentate, complicate, difficili e lente.
Espansione orizzontale e verticale. - Il processo di espansione è chiaro presso tutti i popoli, nei più civili come in quelli presso i quali un'organizzazione della s. è appena agli inizî. È espansione verticale, che tende a completare e sviluppare tutti i piani dell'edificio scolastico, ed è espansione orizzontale, che tende a diffondere il più largamente possibile e ad accrescere numericamente gl'istituti scolastici d'ogni grado. Anche la politica dell'istruzione universitaria, che in Italia, con la riforma Gentile, pareva ancorata al principio del numerus clausus delle università, oggi pare capovolta col riconoscimento della necessaria moltiplicazione di università e d'istituti superiori. All'estremo opposto, la scuola materna, l'ultima a comparire nell'evoluzione della s., è oggi considerata come un primo grado indispensabile e se ne cura dappertutto la diffusione e il perfezionamento strutturale e metodologico. Il lavoro extra-domestico della donna, sempre maggiore, influisce notevolmente nel promuovere questa diffusione.
L'espansione in atto dei gradi successivi di s. è ugualmente notoria. Non vi opera soltanto un processo automatico, quale quello dello sviluppo demografico, quello del generalizzarsi del desiderio d'istruirsi e d'elevarsi socialmente ed economicamente, il moltiplicarsi delle esigenze tecniche, il bisogno di sempre maggior numero d'esperti e di professionalmente capaci da preparar nelle scuole idonee, ecc., ma vi opera una nuova, profonda coscienza etico-giuridica che fa dell'istruzione un elementare diritto-dovere di tutti, della s. un bene di cui tutti devono partecipare. L'Organizzazione delle Nazioni Unite all'art. 26 della solenne dichiarazione dei diritti dell'uomo, proclamata il 10 dic. 1948, ha affermato tra i fondamentali diritti dell'uomo il diritto all'istruzione, e a tutta l'istruzione di cui ciascuno è capace e che la società è in grado, occorrendo, d'aiutarlo a conseguire. L'esperienza poi dimostra che l'investimento di capitali nella s. è il più redditizio, perché non c'è sviluppo di lavoro, di attività produttive, di organizzazione amministrativa o sociale di qualsiasi genere che sia possibile senza che tutti, a qualsiasi livello, siano preparati nelle loro generali capacità umane e in quelle specifiche di determinate attività. E l'assemblea generale dell'UNESCO del nov.-dic. 1960 ha approvato un testo di raccomandazione o di convenzione a scelta fra tutti gli Stati, che definisce e condanna tutte le forme - parventi o latenti, volute o no, legali o di fatto - di violazione, parziale o totale, del diritto di tutti all'istruzione e all'accesso a ogni grado di scuola (secondo le capacità e le possibilità), indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla religione, dalla condizione economico-sociale o politica, ecc.
Di qui non solo l'aumento progressivo del volume della scuola, quindi dei bilanci dei singoli paesi (quello dell'Italia è oggi intorno al 13% di tutto il bilancio delle spese dello Stato), ma lo sviluppo della scuola dell'obbligo nel senso della diffusione come della durata. Tutti i paesi tendono a prolungare il periodo dell'obbligo, anche fino a 16 anni (ad es. Inghilterra, URSS), 17 (ad es. S. U. A.), 18 (ad es. Germania Occ. e Germania Or.); per l'Italia dalla Costituzione l'obbligo è fissato in 8 anni (dai 6 ai 14 anni d'età). Il prolungamento può compiersi così mediante un prolungamento dell'istruzione elementare come mediante una scuola secondaria inferiore comune a tutti (tale è la soluzione prospettata in Italia con la legge in discussione sulla scuola per l'età 11-14 anni, e coi corsi in esperimento di scuola triennale), sia con scuole diverse, di cultura o professionali, che accompagnano l'allievo fino al termine dell'obbligo, com'è oggi. Ma la tendenza e l'esigenza generale delle classi popolari è appunto quella di avere non già una scuola elementare prolungata, ma di accedere, nel secondo periodo dell'obbligo, proprio a una scuola secondaria, che sia di per sé preparazione a studî più elevati e apra la via alle professioni superiori. Per dare un'idea dell'espansione in Italia, si tenga presente: che il numero dei maestri, da 66 mila nel 1907-08 è salito a 200 mila nel 1960-61 (tra scuole statali, non statali e sussidiate). Nel 1953-54 su 38 mila e 400 s. elementari, 28 mila erano a corso completo (di 5 anni), 4 mila con 4 anni, 5 mila con 3 anni di corso. Nel 1958-1959, il totale è passato da 38.400 a 40.000, le scuole complete da 28.000 a 34.000, le scuole con 4 anni di corso sono scese a 2500, quelle con 3 anni sono scese a 2800. Quanto alle scuole secondarie, le statistiche di quelle statali ci danno, per l'anno scolastico 1957-1958, 4310 scuole rispetto alle 1367 del 1926, e allievi, negli stessi anni, 1.314.376 e rispettivamente 322.806, mentre il totale degli insegnanti, che erano 15.660 nel 1926, è salito nel 1957 a 97.197. Naturalmente, l'incremento è continuo e, ai nostri giorni, enormemente accelerato per il facilitato afflusso di popolazione scolastica al secondo grado della scuola dell'obbligo, soprattutto alla scuola media, con conseguenti difficoltà determinate dall'insufficientissimo aumento di scuole, classi, aule, insegnanti in rapporto all'assai maggiore aumento del numero degli allievi. Inevitabilmente, la necessità di dare la s. a tutti crea problemi tecnici nuovi: necessità del trasporto di allievi al centro scolastico dai piccoli agglomerati dove una s. non può istituirsi, ovvero di semiconvitti dove i fanciulli passino qualche giorno e qualche notte lontano dalla famiglia (soluzione in genere non accetta); istituzione nel settore elementare di scuole pluriclassi, come si chiamano in Italia (le francesi écoles à maître unique), del quale sistema si rilevano da alcuni gli svantaggi, da altri i relativi vantaggi o almeno le possibilità educative e le capacità di rendimento non trascurabili. È da notare a tal proposito il sistema che va sotto il nome di s. concentrata (consolidated school) degli S.U.A. e dell'Australia, ad es., per cui, dove distanze e mezzi di trasporto lo consentano, si crea una s. completa in un centro più importante, assorbendovi quelle pluriclassi di piccoli agglomerati; talvolta, sull'esempio della Tasmania imitato anche in Inghilterra, allargando la consolidated school fino ad abbracciare due o tre anni della scuola secondaria, e designandola col termine speciale di area school.
L'espansione verticale si realizza sia nel senso delle istituzioni rivolte all'educazione degli adulti, ormai in via di grande incremento in tutti i paesi civili, sia nel senso della differenziazione e quindi moltiplicazione dei tipi di s. a ogni grado del sistema scolastico successivo a quello dell'obbligo e anche, talvolta, nel settore finale dello stesso periodo dell'obbligo: quindi, ad es., moltiplicazione dei tipi di s. secondaria di cultura (ora, ad es., anche i licei linguistici, non peraltro ancora regolati da una legge specifica, oltre ai licei classici e scientifici e licei magistrali, come già si suol chiamare gl'istituti magistrali); moltiplicazione di quelli d'istruzione tecnica, distinzione (già in atto in Italia) dell'istruzione tecnica da quella propriamente professionale; quindi moltiplicazione, anche e in maggior misura, delle s. e corsi professionali; creazione di nuove facoltà universitarie e di specializzazioni in seno a ciascuna di esse, in corrispondenza dell'evoluzione della scienza e degli sviluppi della tecnica sempre più specializzata; ecc. Per quanto, in particolare, riguarda gli adulti, vi può essere una s. che ha per oggetto la loro alfabetizzazione (anche con sussidî diversi, come radio e televisione), e s. e corsi, invece, che educano l'adulto come tale, dandogli cultura e orientamento sui problemi scientifici, economici, sociali, che ne sviluppino e ne allarghino l'umanità, le capacità di riflessione e di critica, la coscienza sociale e civile di là dai confini delle abilità professionali; talora anche con fini specifici, che non sono peraltro professionali, come le s. per genitori, fiorenti in Francia, ad es., e i corsi analoghi promossi anche in Italia, quelli per l'educazione civica, quelli di lingue, ecc. In Italia vi provvedono anche associazioni diverse, ma molte iniziative son dovute allo Stato, mediante l'opera dell'ufficio centrale per l'educazione popolare, che istituisce annualmente e autorizza e sorveglia corsi di tre tipi: A per analfabeti, B per semianalfabeti, C per promovimenti di cultura dei già alfabetizzati, e, oltre a ciò, moltiplica i mezzi di alfabetizzazione e di diffusione dell'istruzione elementare con corsi di rilancio scolastico, con corsi a domicilio, con scuole festive, di caserma, carcerarie, il personale delle quali ultime ha ormai un vero e proprio organico. In molti paesi, come oggi nella stessa Italia, è in via di studio e di attuazione anche una collaborazione organica tra l'università e le opere di promovimento della cultura e dell'educazione degli adulti, in conformità del principio che nei paesi anglosassoni ha dato luogo, con così importanti risultati, al movimento della University Extension. Da notare che qualche paese - l'Inghilterra propriamente - distingue e attua un'educazione che sta in mezzo tra quella obbligatoria e quella degli adulti, cioè la Further education (educazione di proseguimento e complemento), disciplinata dall'Educational Act del 1944, e che dura per tre anni dopo la fine dell'istruzione obbligatoria (cioè, fino al 18° anno d'età), comprendendo un'istruzione professionale, a tempo pieno, e una culturale per una giornata o due mezze giornate la settimana. Un così vasto complesso di provvedimenti e di problemi posti dal processo dell'espansione, soprattutto nei paesi più evoluti, porta naturalmente al bisogno d'una pianificazione, con previsione di sviluppi e di stanziamenti per un numero maggiore o minore di anni, nella quale occorre tener conto degl'incrementi e delle differenziazioni e spostamenti prevedibili per ogni ordine di s. e ogni servizio afferente, sulla base di tutti i fattori capaci di determinare l'intero dinamismo delle trasformazioni sociali nel periodo considerato. Così in Italia si è avuta nel 1958 la proposta d'un Piano decennale della scuola (1959-1969), a opera del ministro Fanfani, con una spesa prevista di 1386 miliardi: piano ch'è andato incontro a molte discussioni, e a cui si è rimproverato fra l'altro di prescindere dalle indispensabili riforme strutturali, ma che ha certamente il merito di aprire nuove possibilità e imprimere alla s. un fervore di movimento che comporterà anche delle riforme e a cui esso prepara prospettive e direttive.
Tendenze rinnovatrici nelle Strutture. La tendenza psicologica. - Sempre più netta è la preoccupazione psicologica, che si concreta nella ricerca d'una conoscenza più esatta del fanciullo e nelle misure pratiche ad essa conseguenti, quali ad es.: a) la maggiore possibile individualizzazione dell'insegnamento, soprattutto nella s. elementare, tenendo conto delle particolari capacità, interessi, attitudini, curva del lavoro, affaticabilità ecc. dei singoli; b) la discriminazione degli alunni in condizioni anormali o deficitarie (dei sensi, dell'intelligenza, del carattere, ecc.), costituendo per loro classi e istituzioni speciali; talvolta anche la separazione, in classi speciali, dei super-dotati, come si cerca di fare nei paesi anglosassoni e altrove, sebbene questa misura si presti a obiezioni notevoli; c) l'introduzione d'un servizio psicologico più o meno organizzato per la soluzione di particolari problemi relativi alla vita scolastica e alla conoscenza dei fanciulli, con l'intervento d'uno psicologo nei consigli di classe; d) l'organizzazione d'un'opera d'orientamento e guidance scolastici a servizio dell'allievo, in continuità col successivo orientamento professionale alla fine degli studî; e) la diversa organizzazione stessa della s. elementare e anche della secondaria. A quest'ultima esigenza risponde la riforma, operata in Italia coi programmi del 1955, nell'organizzazione della s. elementare, che è stata divisa in due cicli, il primo di due, il secondo di tre anni, ciascuno considerato come un'unità, nel senso che il passaggio dal 1° al 2° anno si compie senza traguardi, come quello dal 3° al 4° e dal 4° al 5°, mentre un esame d'idoneità si richiede solo per il passaggio dal biennio al triennio; salvo il caso di fanciulli in condizioni di particolare difficoltà e insufficienza, che il maestro può trattenere, dandone relazione motivata, nella medesima classe. Si è voluto così tener conto del diverso ritmo di sviluppo dei diversi fanciulli, per cui uno di essi può ad es. trovarsi maturo, alla fine del 2° anno, a passare alla classe successiva, mentre poteva apparire non del tutto preparato alla fine del 1° per passare al 2°. Il che porta all'esigenza sopra indicata, d'una maggiore individualizzazione dell'insegnamento. D'altra parte, il punto del traguardo pare giustificato appunto dalla reale distinzione psicologica che si può porre fondamentalmente tra la fase evolutiva 6-8 anni e la fase 8-11. In pratica, si è conseguita una diminuzione - che è conferma del criterio psicologico seguito - di circa il 50% di ripetenze nella scuola elementare.
Su motivi ugualmente, almeno in gran parte, psicologici si fonda anche la riforma del primo grado dell'insegnamento secondario, nel senso della sua unificazione. Può dirsi che questo grado di tutto l'organismo scolastico costituisce la cerniera d'ogni sua riforma, nei paesi che dal più al meno conservano il sistema d'una molteplicità d'istituti differenziati dopo la scuola elementare comune a tutti. Il vecchio movimento per la s. unitaria o Einheitsschule è perciò sempre vivo nelle sue istanze. E i convertiti non sono pochi, malgrado le resistenze. S'impone il fatto che una scelta non può essere fatta dal fanciullo a 11 anni, che le disposizioni maturano più tardi, almeno col primo maturare dell'adolescenza, e che perciò è opportuna una s. dell'adolescenza, dagli 11 ai 14 anni, comune a tutti, tale che non pregiudichi alcuna scelta da compiersi all'uscita da essa. È la riforma proposta dalla commissione nominata dal ministro Rossi e presieduta da G. Calò, e che ora è riproposta, con modifiche secondarie, nel progetto in esame del parlamento; mentre ad essa s'ispirano le numerose classi sperimentali già in atto in Italia.
I punti discussi riguardano soprattutto l'esistenza o meno, nella s. unitaria, e la funzione delle materie opzionali, che devono servire a far fare a ogni allievo un saggio delle sue particolari preferenze e capacità, in vista degli studî ulteriori. Comunque, tale s. triennale dovrebbe fondere in sé le preesistenti s. medie e s. secondarie d'avviamento professionale come le classi postelementari (6ª, 7ª, 8ª) esistenti, con innegabile utilità, in alcune limitate zone d'Italia; sebbene da molti si sostenga che queste costituiscono spesso un'assoluta necessità e debbono almeno rimanere per un certo tempo, la cui durata è ora imprevedibile. Ma quella che qui va tenuta presente è appunto la ragione sociale che concorre con quella psicologica, cioè l'opportunità e il dovere, mentre le masse accedono e aspirano a una più elevata istruzione, di offrire a tutti gli obbligati una s. comune, che sia cemento etico e sociale di tutte le classi e che eviti distinzioni e selezioni privilegiate. La vita moderna esige, per un tratto notevole della carriera educativa aperta a tutti, una s. non essenzialmente selezionatrice, ma promotrice e abilitante, cioè puramente educativa in senso personale e sociale insieme (il che non esclude i mezzi di garanzia di un profitto effettivo). La Costituzione italiana che considera unitariamente i primi otto anni di s., tutti obbligatorî, come istruzione inferiore porta alla medesima conclusione; la quale poi spiega, se anche è dubbio che la misura sia logicamente inevitabile, che sia stato soppresso (1961) l'esame d'ammissione alla 1ª classe della scuola media.
Ragioni psicologiche agiscono altrove, in altro senso, nelle riforme strutturali, in virtù dello stesso prolungamento della s. d'obbligo. Il quale, per es., in Inghilterra ha qualche volta reso possibile agli organizzatori della s. primaria di ritardare anche di là dal 1° anno l'insegnamento del leggere e dello scrivere e al 2° o al 3° quello dell'aritmetica finché il fanciullo non vi si dimostri maturo.
Per quanto riguarda i metodi e le tecniche, ciò che deve riconoscersi in generale è che anche per essi la preoccupazone psicologica è dominante, d'accordo del resto, in genere, con una visione esatta della natura dello spirito e del processo di cultura come fatto spirituale. A tali esigenze risponde l'universale tendenza ai metodi attivi, che accentuano la partecipazione effettiva e l'iniziativa del fanciullo nella ricerca del vero e nel processo di cultura; il quale si presenta più come problema di apprendimento (di conquista) che d'insegnamento (di comunicazione); mentre può dirsi che l'attivismo pedagogico sia escluso nei paesi totalitarî, dove l'elemento attivo è relegato quasi esclusivamente nell'organizzazione dei pionieri, che è bene sviluppato e ha còmpiti notevoli in servizio della s. e dell'educazione civica. ma sempre come organizzazione diretta e disciplinata su un piano di conformismo politico rigoroso. Sistemi come quello dei "reggenti", del gruppo pedagogico bresciano (Agosti), del lavoro degli allievi in gruppi o in équipes, ecc. tendono a diffondersi, come certi caratteri proprî delle scuole nuove, dei Landserziehungheimen austriaci, svizzeri ecc., tendono ad affermarsi nei settori più sensibili, per ragioni psicologiche e per ideali di formazione sociale insieme; sebbene per converso si vada diffondendo una revisione critica dello spontaneismo, degenerazione dell'attivismo beninteso, degli eccessi d'un letterale ingenuo puerocentrismo, d'un autogoverno spinto a una precoce insignificante, improduttiva, estrinseca (talvolta ineducativa) imitazione delle cariche e funzioni degli adulti nell'organizzazione comunale e statale. Comunque, la tendenza sana è di concepire e realizzare la s. come una vera società collaborante ai fini della cultura, con organizzazione ragionevolmente democratica e con spirito che prepari veramente la coscienza civica degli allievi. Psicologicamente inspirate sono anche: 1) l'applicazione. prevalsa anche in Italia dal 1955, della "globalità" nella scuola elementare. con esclusione d'insegnamento per materie distinte nel 1° ciclo, con distinzione relativa e progressiva solo nelle ultime classi, e con parte notevole data al procedimento per "centri d'interessi" (Decroly), liberamente interpretato e spogliato dai suoi fondamenti naturalistici; 2) la lotta da una parte per la razionalizzazione dei programmi, dall'altra per la razionalizzazione dell'edilizia scolastica. Il problema dei primi è quello del loro necessario alleggerimento, e del carattere, che essi devono avere, di linee indicative e direttive piuttosto che rigorosamente normative. Mentre ragioni di utilità pratica, di preoccupazione scientifica inopportuna, anche di esigenze sociali, portano a moltiplicare i programmi, urgenti ragioni d'igiene mentale e di profitto positivo in senso formativo fanno sempre più sentire l'urgenza di ridurre, semplificare e far più credito alla libertà dell'insegnante e all'individualità dell'allievo. In tal senso sono stati diretti i complessi lavori della Consulta didattica - presieduta da G. Calò - nel 1951 (v. bibl.). E d'altra parte, l'edilizia scolastica - problema imponente presso tutti i paesi - ha bisogno d'essere non solo sviluppata quantitativamente (in Italia, per quanto i dati statistici disponibili siano incerti e spesso contradditorî, nel 1958 si presume esistessero per le s. elementari 111.425 aule e ne fossero da costruire 77.575, per le s. medie e d'avviamento rispettivamente 17.576 e 15.221, per licei e istituti magistrali rispettivamente 7.302 e 1.341, per gl'istituti tecnici 5.200 e 1.321 sebbene in ogni caso l'aumento della popolazione scolastica complessiva debba oggi e sempre più accrescere il fabbisogno; e, quanto allo sforzo finanziario, l'impegno dello stato, secondo la legge Segni-Martino del 9 agosto 1954, fino al 1999, è di 540.000 milioni), ma va riformata e curata da un punto di vista psicologico-pedagogico, con preferenza a edifici modesti di caratteristiche adatte alle proporzioni psicofisiche del fanciullo e a un numero non eccessivo di allievi, di facilissima comunicazione con l'esterno e con disponibilità di terreno sia coltivabile sia libero per giochi.
Esigenze sociali. - Molteplici e gravi sono, infine, le pressioni esercitate più specificamente da esigenze sociali talvolta d'accordo, talora in contrasto con esigenze psicologiche. Anzitutto, la s. è sempre più spinta a contatti diretti e fecondi con l'ambiente, naturale e sociale, trasformandosi in s. aperta verso la vita, che insegna non solo dentro, ma fuori delle sue pareti, e si fa mobile e s'impegna in esperienze vive, pur esercitando la sua funzione di selezione, rielaborazione e meditazione di esse da un punto di vista educativo; e ciò, mentre le collaborazioni di mille organi e coefficienti esterni (dall'associazione giovanile allo sport, agli spettacoli per ragazzi, ecc.) allargano i piani di sviluppo e i rapporti funzionali della s., onde è stato detto addirittura che "la s. sta diventando essa stessa non scuola, extrascolastica (informal)" (Boyd). In secondo luogo, la formazione sociale della scuola si configura, soprattutto nelle aree in via di sviluppo, come centro propulsore e organizzatore di vita comunitaria (v. ad es. le esperienze italiane in Abruzzo, in Sardegna, in Sicilia, ecc.). In terzo luogo, nell'insegnamento s'introduce e si sviluppa sempre più l'educazione civica (in Italia, entrata dal 1958 anche in tutte le s. secondarie e legata con l'insegnamento di storia), e si tende, in certi paesi, a sviluppare insegnamenti sociali. Non solo, ma altri insegnamenti, come quello della disciplina stradale, dell'infortunistica e altri, richiesti sempre più generalmente, si collegano anche a evidenti condizioni ed esigenze di carattere sociale; per non dire del lavoro che, mentre è disciplina essenziale di tutta la s. dei paesi comunisti, è quasi di regola negli altri paesi nella s. elementare e se ne auspica o se ne pratica l'insegnamento nella scuola secondaria di cultura. Tali condizioni ed esigenze fanno ugualmente reclamare da più parti - dalla stessa UNESCO - più larghi insegnamenti di lingue straniere, e l'introduzione d'una di esse anche nella s. elementare, la conoscenza della civiltà e letteratura d'altri popoli, anche dell'Oriente (problema dei rapporti Occidente-Oriente), lo sviluppo dell'educazione estetica e di quella scientifica, di elementi di cultura tecnica anche nelle s. di cultura secondaria; ecc. Tutto ciò minaccia una crisi di rottura tra le richieste sociali e le capacità di assorbimento, di vitalità e di rendimento reale della scuola. Onde non si vede altra soluzione possibile che quella d'una s. a "orario pieno", la quale, al di là dell'orario dedicato al vero e proprio insegnamento, realizzi, in altre ore dedicate ad attività libere, opportunamente aiutate e molto discretamente sorvegliate (conversazioni, letture varie, teatro, musica, disegno e attività artistiche, figurative, lavoro manuale, proiezioni, radio, sport, giochi, ricerche personali, collezioni, ecc.), una vera "comunità di fanciulli e di adolescenti" che espandano liberamente e costruttivamente i loro interessi, conquistando una varia e ricca cultura che la scuola vera e propria non può dare. Nel quale proseguimento non scolastico della scuola sarebbe forse possibile concentrare l'opera degli attuali, spesso inefficienti e mortificanti, doposcuola ed educatorî, quella delle biblioteche per fanciulli, ecc., e raggiungere il risultato socialmente importantissimo di alleggerire il compito, spesso gravoso. delle famiglie o di sottrarre il fanciullo a un ambiente malsano. A preoccupazioni sociali sostanzialmente corrisponde poi anche il sempre maggiore sviluppo delle opere parascolastiche o periscolastiche (cooperative scolastiche, refezione, colonie, patronato scolastico, che dovrebbe anche unificarle e amministrarle), dei servizî igienici e medici nel senso più ampio (con a capo un medico scolastico, la cui figura è ancora quasi assente in Italia, consulente e responsabile per tutto ciò che, nella vita della scuola, interessa l'igiene mentale generale e la sanità psicofisica degl'individui in condizioni particolari), dell'opera degli assistenti sociali, utili soprattutto alla conoscenza dell'ambiente del fanciullo, quindi del fanciullo stesso, e ai più fecondi rapporti tra scuola e famiglia.
Ma le conseguenze più vaste e più decisive son quelle portate nella s. contemporanea dallo sviluppo della tecnica. Esse sono di vario genere. E anzitutto, non solo lo sviltippo sempre più intenso delle s. e degl'insegnamenti tecnici, ma, in virtù della specializzazione che si opera nel campo della tecnica, il differenziarsi enorme di tali scuole e istituti, che in qualche modo si riflette su tutto l'organismo scolastico. Così, dal 1950 esistono e si sviluppano sempre più in Italia gl'istituti professionali, di durata da 2 a 5 anni, con accesso di regola dalla scuola media o da quella di avviamento professionale; sempre più pieghevoli alle varie esigenze di abilità di lavoro da formare, essi vanno assorbendo le antiche scuole tecniche biennali succedenti alla scuola d'avviamento professionale. Tra essi, il nuovo Istituto professionale femminile sostituisce la vecchia Scuola professionale femminile (di lavori e d'economia domestica). mentre nel campo degl'istituti tecnici (aventi invece il compito di preparare periti o esperti in funzioni direttive, secondarie, ma d'ordine intellettuale, in varî settori dell'attività produttiva) nuove differenziazioni son sorte, come l'Istituto tecnico femminile, della stessa durata (quinquennale) degli altri (che sostituisce la vecchia biennale Scuola di magistero professionale per la donna, impiantata sul triennio della Scuola professionale femminile), e le sezioni di commercio con l'estero di cui una legge del 1954 autorizzava l'istituzione presso gl'istituti tecnici commerciali. Ma innumerevoli sono poi i corsi e le scuole di apprendistato, di qualificazione e riqualificazione, ecc., istituiti dal Ministero del lavoro e da altri enti pubblici o privati, quelli aziendali, ecc. Onde oggi in Italia il problema è di coordinare e pianificare, disciplinando e risparmiando. All'incremento, alla sorveglianza. all'incoraggiamento e all'aiuto finanziario, soprattutto per le istituzioni non statali, provvedono i consorzî provinciali per l'istruzione tecnica (v. anche istruzione professionale, in questa App.).
I problemi nascenti in questo dominio sono innumerevoli e complessi. Occorre moltiplicare s., corsi, istituti d'ogni genere. Ma ciò richiede incremento sempre maggiore di studiosi, ricercatori, inventori e insegnanti di discipline scientifiche e tecniche. Ed è problema di cui si sono occupate rispettivamente organizzazioni internazionali come l'UNESCO e il Bureau international d'éducation di Ginevra con le sue annuali conferenze internazionali, e i varî stati. È stato detto che in un'economia industrializzata "per ogni nuovo posto di lavoro debbono essere creati cinque posti nelle industrie d'equipaggiamento" (Behler). Il compito è difficilissimo, perché occorre prevedere e pianificare, e non in base ai dati statistici d'un breve periodo proseguiti nell'avvenire, ma in base a una concezione dinamica che prevede le trasformazioni a lunga scadenza (Fourastié, Friedmann). Ciò implica: 1) onere enormemente maggiore per lo stato, il quale è dubbio se possa a lungo far fronte alle spese immani della pubblica istruzione sicché s'imponga un ricorso al contributo obbligatorio di tutti gli enti produttori; 2) aggravamento, soprattutto in paesi come l'Italia, del processo di decadimento qualitativo della media del personale insegnante, il cui trattamento economico deve elevarsi tanto da vincere, la concorrenza delle altre carriere; 3) diversa posizione del problema dei rapporti fra il "pubblico" e il "privato", perché si tratta non più e non soltanto dei rapporti di s.-famiglia, ma dei rapporti s.-azienda, che sono importantissimi, perché l'opera dell'azienda e il suo terreno sperimentale non possono essere estranei alla formazione dei tecnici e degli stessi insegnanti.
Ma il grande sviluppo industriale ha una più larga e centrale conseguenza: l'apertura d'un vero conflitto, non più tra l'antico e il moderno, ma più specificamente tra umanismo e tecnicismo. Il mondo del lavoro sembra reclamare ciò che compromette la più profonda umanità dell'uomo. E il dissidio e il problema assumono aspetti più gravi in quanto la tradizione e la s. umanistica sembrano più legate a un regime liberale e democratico, gelosi del valore della persona, e l'idolo del tecnicismo e la scuola tecnicizzata sembrano caratterizzare i regimi comunisti totalitarî, sostanzialmente materialistici, che vedono l'individuo nella massa, come energia produttiva inserita in una grande macchina di lavoro. È un conflitto che tutta la s. deve riuscire a superare: ed è qui uno dei grandi problemi che determinano le incertezze e le difficoltà, cioè in gran parte la crisi della s. contemporanea. È chiaro che le sue concezioni vanno portate a un livello di conciliazione possibile. È ormai riconosciuto che la distinzione tra preparazione tecnica e preparazione umana è solo di grado: la prima implica la seconda e la seconda non può non implicare acquisto di abilità tecniche. La stessa scienza, in quanto si fa sperimentale, richiede lavoro e azione tecnica. La concezione umanistica rimane pur sempre quella specificamente educativa, perché l'educazione riguarda sempre l'uomo. Ma a questo compete anche l'azione. il dominio sulla natura, l'opera di trasformazione delle sue condizioni di vita e del suo ambiente. Bisogna che nella s. di cultura penetri il lavoro, che essa dia anche una qualche cultura tecnica e offra una apertura al mondo sociale, tecnico-economico. E viceversa, in ogni s. tecnica deve essere viva e presente la coscienza dei valori spirituali, l'abito della riflessione sul mondo umano e sui problemi vitali che toccano l'uomo nella sua interiorità. Questa esigenza è ormai diffusa e operante in tutti i paesi più evoluti, anche se molto industrializzati. Ad essi risponde anche la riforma degli istituti tecnici che si prospetta in Italia, nel senso di unificarli nel primo biennio, che sarebbe un corso preparatorio comune, di carattere più generale e più umanistico. Ma anche questa problematica porta a nuove conseguenze; da una parte, la tendenza, che si va affermando anche in Italia, ad aprire sempre più le porte delle facoltà universitarie anche ai provenienti dagl'istituti tecnici, dall'altra, la necessità di porre in diverse prospettive i tradizionali insegnamenti classici nei paesi dov'essi erano prevalenti; la necessità, cioè, e proprio nell'interesse della cultura classica, di eliminare il monopolio del latino, cioè della s. più o meno classica, in quanto preparazione agli studî superiori, e di rinunziare, in una s. che si apre a tutti, a insegnare il latino a tutti (il che vuol dire abbassarlo e privarlo di valore formativo), raccogliendo gl'insegnamenti classici. rinvigoriti e rinnovati nei metodi, in una s. sia pure più breve, ma concentrata veramente intorno ad essi, e riserbata ai più disposti e idonei. Comunque, questo stato generale d'incertezza e di crisi, con l'aumento progressivo delle scolaresche, mette in causa sempre più il valore dell'esame italiano di maturità (o quello di baccalaureato in Francia). I risultati ne sono in genere poco lusinghieri. La Francia ha moltiplicato i tipi di baccalaureato e infine ne ha ridotto le prove a quelle scritte (meno che per le lingue moderne) e ha soppresso la sessione autunnale. In Italia, dove la Costituzione obbliga all'esame di stato, il problema è aperto e di non facile soluzione.
Ma la sempre maggiore complessità delle responsabilità sociali della s., dei problemi psicologici. dell'impegno didattico, del progresso del sapere, rende più che mai difficile il compito della preparazione sia scientifica sia psicologica e didattica degl'insegnanti. Esso è all'ordine del giorno di tutti gli organismi internazionali interessati e dell'attività scolastica di tutti gli stati. L'Italia è quasi il solo stato che non provveda in alcun modo alla preparazione dei suoi insegnanti secondarî (meno che per quelli che escono dalle facoltà di Magistero), mentre cura notevolmente quella degl'insegnanti primarî, che s'avvantaggerà del progettato e ormai maturo prolungamento dell'Istituto magistrale da 4 a 5 anni (dopo i tre di scuola media). S'impongono provvedimenti che garantiscano gl'insegnamenti indispensabili agli allievi di tutte le facoltà che possano utilizzare la laurea per entrare nell'insegnamento secondario (lettere e filosofia, scienze, economia e commercio, giurisprudenza), e occorre anche dar loro una preparazione pratica col tirocinio. Ugualmente occorre estendere e organizzare scientificamente e tecnicamente la preparazione dei docenti di educazione fisica, che oggi è deficientissima; di buon auspicio sono però in Italia gli Istituti superiori di educazione fisica: dopo quello statale di Roma, quelli di Napoli, Bologna, Torino e Firenze.
È inoltre convincimento comune in tutti i paesi che, per la natura della funzione educativa e per il moto continuo di tutto il sapere e di tutta la vita sociale, con le sue esigenze verso la s., l'insegnante ha bisogno di una periodica opera di aggiornamento o perfezionamento. È un problema attuale dappertutto e al quale molti paesi provvedono con organizzazione accuratissima, talvolta con ministeri o uffici centrali appositi. In Italia i corsi del genere si moltiplicano in modo tanto più provvidenziale per la s. secondaria in quanto i docenti di questa mancano, nella loro grande maggioranza, d'una preparazione preventiva psicologica, pedagogica, didattica. In gran parte attendono a questo compito - oltre che ad altri - i Centri didattici nazionali che, nella loro struttura e differenziazione, si possono considerare un'istituzione originale dell'Italia e che assommano ormai a nove: il Centro di studî e documentazione di Firenze, il primo in ordine di tempo (che comprende e cura anche un Museo della scuola e una Biblioteca pedagogica nazionale) e i Centri della s. materna. della s. elementare, della s. secondaria (di primo grado), dei Licei, dell'Istruzione tecnica e professionale, dei Rapporti scuola-famiglia, e dell'Educazione fisica, dell'Educazione artistica. Altre iniziative (convegni, seminarî, riviste) sono in atto.
Due punti, da ultimo, vanno considerati, come portato del continuo aprirsi della s. a nuovi còmpiti e responsabilità sociali. Come la società moderna è democratica nel senso che ormai annulla o pareggia le varie classi sociali, così essa tende a dare alla s. - nelle forme possibili - una sensibilità a tutti i problemi e interessi proprî della società stessa. Così la s. non può non estendere l'educazione civica a un civismo internazionale. S'incoraggia l'insegnamento, in essa, relativo agl'ideali a all'azione degli organismi e istituti internazionali che mirano alla comprensione e alla collaborazione fra i popoli, al mantenimento della pace, e che tentano persino la revisione dei testi scolastici che ne abbisognano sotto tale rispetto (NU, UNESCO, FAO, BIT, ecc.). L'UNESCO promuove la costituzione, nei varî paesi. d'Écoles associées (secondarie), che aiuta con materiale e direttive. Si giunge ormai a creare s. internazionali, ma con carattere speciale ben definito, che accolgono insieme allievi di diversi paesi e lingue: tali le scuole europee di Lussemburgo (nata nel 1953 per iniziativa d'un consiglio di padri e madri di famiglia, d'accordo con la CECA, e controllata da più Stati: essa rilascia una "licenza liceale europea"), di Bruxelles (dove più di 20 nazionalità sono rappresentate), di Mol-Geel (a 80 km da Bruxelles), di Varese in Italia; per non parlare del più vecchio Collegio europeo di Bruges.
L'altro punto, infine. è quello della s. privata. Mentre vi sono paesi, come gli Stati Uniti e l'Inghilterra, dov'essa ha sempre avuto e ha ancora largo sviluppo, così da costituire quasi una caratteristica scolastica nazionale, vi sono paesi, come la Russia sovietica e gli altri stati comunisti, dov'essa - comprensibilmente - non è consentita o costituisce un'eccezione sottoposta a condizioni e norme rigorosissime. I paesi democratici in genere ne considerano libera l'istituzione, salvo la responsabilità diretta dello stato in materia di pubblica istruzione. È chiaro che, appunto in un periodo di colossale espansione di tutto il sistema scolastico, lo sviluppo della s. non statale è fatale e assume maggiore importanza. Ciò non contrasta col principio della responsabilità e dell'attività positiva dello stato in materia d'istruzione. Il liberalismo non è più nella fase segnata ad es. dal saggio di Stuart Mill sulla Libertà, secondo il quale "un sistema generale d'istruzione statale rappresenta uno strumento di coercizione" che tende a stabilire un conformismo secondo la volontà di chi detiene il potere. Lo stato liberale e più ancora quello democratico sono impegnati nella sostituzione delle "libertà positive" alla "libertà negativa" (cioè, di quella attuale a quella potenziale), ma non perciò devono negare il principio ch'è espresso nella seconda. Di qui, il diritto di scelta e d'iniziativa privata da riconoscere senza riserve. La Costituzione italiana riconosce pienamente, all'art. 33, questo diritto di libera istituzione di s. da parte di enti e di privati, come riconosce altrove, inalienabile diritto dei genitori di provvedere all'educazione dei figliuoli e di scegliere per essi la s. che preferiscono. D'altra parte, il diritto coincide con una necessità collettiva. La s. non statale è, oltre che uno strumento dialettico di concorrenza e di progresso. un'integrazione sempre più indispensabile dell'attività, pur essenziale, dello stato nel processo d'espansione scolastica cui deve far fronte. Basti un solo indice: la percentuale dei ragazzi dagli 11 ai 14 anni che frequentano la s. secondaria dal 1901 al 1953 è passata dal 4,33% al 33,73%. Ma ognuno vede le proporzioni del lavoro che rimane da compiere. Una conciliazione del diritto privato col dovere dello stato è da ricercare. La lotta è ora accesa in Italia sul punto della sovvenzione o meno dello stato alla scuola privata, che i partiti laici negano in virtù dell'art. 33 della Costituzione, che prevede il diritto di enti e privati d'istituire scuole ed istituti di educazione ma "senza oneri per lo stato", mentre i cattolici la sostengono con varie argomentazioni.
Bibl.: Per una conoscenza comparativa dei sistemi ed evoluzione della scuola ai nostri tempi, v. i voll. L'éduc. dans le monde: organisation et statistiques, Parigi 1955 e L'éduc. dans le monde, II: L'enseignement du premier degré, ivi 1960, pubblicati dall'UNESCO; i voll. dell'Annuaire intern. de l'éduc., dal 1948 (anche in ed. inglese) pubbl. dal Bureau intern. d'éducation di Ginevra e dall'UNESCO; i voll. relativi alle varie conferenze internazionali dell'istruzione pubblica (24 finora) pubblicati dall'UNESCO e dal Bureau stesso (Parigi-Ginevra) e recanti i testi delle raccomandazioni votate sui temi discussi in ciascuna.
J. L. Kandel, Comparative education, Boston 1933; F. Clarke, Education and social change, Londra 1940; D. Fossati, La scuola libera, Brescia 1946; S. Valitutti, La scuola e il problema sociale, Città di Castello 1946; L. Romanini, Il movimento pedagogico all'estero, 2 voll., Brescia 1947-51 (specialm. il 2° vol.); V. Sinistrero, Verso la libertà della scuola mediante la parità, Torino 1947; C. Cottone, La scuola unica pluriclasse, Milano 1948; G. Gozzer, Sette riforme, Roma 1948; G. Giampietro, Sviluppo e limiti della nuova legislazione scolastica, Roma 1949; A. E. Meyer, Development of education in the 20th century, 2ª ed., New York 1949; G. Calò, Educazione e scuola. Idee vecchie e nuove, 3ª ed., Firenze 1950; L. Volpicelli, Teoria della scuola moderna (nella Biblioteca dell'Educatore), Milano 1951; id., Storia della scuola sovietica, Brescia 1950; G. Flores d'Arcais, Intr. ad una pedagogia della scuola, Padova 1951; A. G. Hughes, Education and the democratic ideals, Londra 1951; R. Mazzetti, I fanciulli rinnovano la scuola, Roma 1952; F. Bettini, I programmi di studio per le scuole elementari dal 1860 al 1945, Brescia 1953; Programmi per i vari gradi e tipi di scuola proposti dalla Consulta didattica (con rel. del pres.te G. Calò), Firenze 1953; A. Agazzi, Oltre la scuola attiva, Brescia 1955; G. Calò, Per il rinnovamento della scuola, Genova-Roma 1955: id., Responsabilità di educare, Genova 1955; J. F. Cramer e G. S. Browne, Contemporary education, New York 1956; La scuola e la pedagogia sovietica illustrate dall'Accademia d. scienze di Mosca, nella riv. I problemi della pedagogia, 1956; U. Spirito, La riforma della scuola, Firenze 1956; G. M. Bertin, Aspetti e problemi della scuola italiana, Milano 1957; G. Calogero, Scuola sotto inchiesta, Torino 1957; Dibattito sulla scuola (Convegno degli amici del Mondo), Bari, 1957; F. W. Foerster, Scuola e carattere, nuova ed., a cura di A. Agazzi, Brescia 1957; La scuola dagli 11 ai 14 anni (Proposta della Comm.ne Min.le, rel.ne di G. Calò), Roma 1957; A. Agazzi, Teoria e pedagogia della scuola, Brescia 1958; F. M. Bongioanni, Evidenza dell'uomo nel lavoro, Milano 1958; L. Borghi, Educazione e scuola nell'Italia d'oggi, Firenze 1958; G. Calò, Problemi attuali della pedagogia e della scuola, Bologna 1958; G. Calò, T. Salvemini, ecc.; L'educazione popolare. Dieci anni di attività. Bologna 1958; St. F. Cotgrove, Technical education and social change, Londra 1958; F. De Bartolomeis, Cos'è la scuola attiva, Milano 1958; G. Gozzer, L'istruzione prof.le in Italia, Roma 1958; S. Hessen, Pedagogia e mondo economico, trad. it., 2ª ed., Roma 1958; Iniziative di governo e problemi della scuola secondaria (IV Convegno amici e coll.ri del Mulino), Bologna 1958; M. Pagella, Cento anni di storia della scuola secondaria, Roma 1958; La scuola unica pluriclasse, Roma 1958; F. De Bartolomeis, Orientamenti attuali della scuola primaria, Milano 1959; E. Enrile, L'educazione fisica e sportiva nelle scuole elementari d'Europa, Massa 1959; G. Gozzer, Sviluppo della scuola e piano decennale, Roma 1959; S. Hessen, Scuola democratica e sistemi scolastici, trad. it., Roma 1959; id., Struttura e contenuto della scuola moderna, trad. it., 5ª ed., Roma 1959; R. Hubert, Storia della pedagogia. Fatti e dottrine, trad. it., Roma 1959; Primato tecnico e primato scolastico, Roma 1959; C. L. Ragghianti - L. Borghi, ecc., Scuola secondo costituzione, Manduria 1959; E. Spranger, Ambiente e cultura. Lo spirito caratteristico della scuola elementare, trad. it., Roma 1959; L. Volpicelli, La scuola in Italia e il problema sociale, Roma 1959; F. Blättner, Storia della pedagogia moderna e contemporanea, trad. it., Roma 1960; G. Calò, Relazione sullo sviluppo della scuola italiana dal 1945 ad oggi in rapporto allo sviluppo tecnologico, in Atti del Congresso sul progresso tecnologico e la società italiana, Milano 1960; L'educazione fisica nella scuola, Atti del convegno di Cadenabbia (Como), Roma 1960; A. S. Makarenko, Pedagogia scolastica sovietica, trad. it., Roma 1960; L'orientamento scolastico e professionale in Italia e nel mondo, a c. di A. Marzi e S. Chiari, Roma 1960; L. Volpicelli, La scuola tra Stato e Chiesa, Roma 1960; A.M. Ajassa e altri, L'istruzione popolare di secondo grado, Roma 1961; A. Bertoni Jovine e F. Malatesta, Breve storia della s. italiana, Roma 1961; G. Ermini, Piano per lo sviluppo della scuola, rel. alla Camera dei Deputati, Roma [1961]; Principi e linee di sviluppo dell'istruzione professionale, Roma 1961; N. Padellaro, T. Salvemini, G. Gozzer e altri, Iniziative per l'aggiornamento degli insegnanti (Atti dell'incontro dei provveditori agli studî presso "Scuola Europea"), Roma 1961; La pianificazione scolastica (Atti dell'Incontro cit.), Roma 1961; Scuola e famiglia (antol. di A. M. Colantoni Stefani), Bologna 1961.
La scuola attiva.
In un'accezione larga e generica, l'espressione designa l'educazione secondo i principî della pedagogia idealistica. In senso più ristretto e proprio, la stessa espressione (che traduce quella fr. école active, introdotta da P. Bovet nel 1917 e diffusa da A. Ferrière insieme con l'altra equivalente école nouvelle, ital. ("scuola nuova") suole indicare il rinnovamento dei metodi d'insegnamento e dell'organizzazione scolastica che, dalla fine del secolo scorso, si è venuto svolgendo nei paesi occidentali, per iniziative sia private sia statali; esso riguarda cioè istituzioni che, pur rifacendosi a diversi indirizzi di pensiero, tendono a promuovere, nella pratica educativa, la libertà e la spontaneità del soggetto educando, reagendo decisamente all'intellettualismo e al verbalismo dell'insegnamento tradizionale. Tale rinnovamento (che negli S. U. A., viene più spesso designato con l'espressione progressive school, ital. "scuola progressiva") era già avviato nei paesi più progrediti quando lo svizzero A. Ferrière, allo scopo di coordinare le forze novatrici e unificarne i principî direttivi, fondò nel 1899 il "Bureau International des Écoles Nouvelles", che durò fino al 1925. Il rapido moltiplicarsi delle "scuole attive" in tutto il mondo portò nel 1921, a Calais, in occasione di un congresso educativo internazionale, alla fondazione della "Ligue internationale pour l'éducation nouvelle", che iniziò la pubblicazione di tre periodici: The new era a Londra, Pour l'ère nouvelle a Parigi e Das werdende Zeitalter a Kohlgraben bei Vacha. Gli esperimenti di scuola nuova più notevoli sono: quelli di C. Reddie, J. H. Badley in Inghilterra; A. Manjón in Spagna; E. Demolins, R. Cousinet, C. Freinet in Francia; O. Decroly in Belgio; M. Boschetti Alberti in Svizzera, che ha, nell'"Institut J.-J. Rousseau" fondato nel 1912 a Ginevra e nell'università della stessa città, i maggiori centri mondiali di studî di metodologia e psicologia in servizio delle nuove realizzazioni educative, oltre che i più fervidi espositori e divulgatori dei principî di questo movimento (A. Ferrière, P. Bovet, E. Claparède, J. Piaget, R. Dottrens); E. Lietz, G. Wyneken, P. Geheeb, G. Kerschensteiner in Germania; J. Dewey, W. H. Kilpatrick, C. W. Washburne, E. Parkhurst in S. U. A.; M. Montessori, R. e C. Agazzi, L. e A. Franchetti, G. Pizzigoni in Italia, dove i principî della scuola attiva furono accolti, con notevole indipendenza e impronta nettamente idealistica, dalla riv. L'Educazione nazionale, creata e diretta (1919-1933) da G. Lombardo Radice. Dopo la seconda guerra mondiale sono sorti in Italia diversi "villaggi del fanciullo" o "città dei ragazzi", che esperiscono principî e metodi attivi. Il nuovo metodo, da una parte, seguendo le orme dei classici della pedagogia moderna (Rousseau, Pestalozzi, Fröbel, ecc.) dà grande importanza al gioco e al lavoro, in cui si rivelano concretamente le attitudini e si sviluppano e maturano le spontanee originali energie del fanciullo; dall'altra parte, ricorre ai dati della psicologia sperimentale ai fini dell'"orientamento professionale" e della costituzione della "scuola su misura". Il fervido impegno, l'intuito spesso felice, i risultati pratici raggiunti compensano largamente le ingenuità di alcune pregiudiziali metodologiche di carattere naturalistico.
Bibl.: M. Casotti, Scuola attiva, Brescia 1936; A. Ehm, L'Éducation nouvelle, Parigi 1938; E. Codignola, Le "Scuole nuove" e i loro problemi, Firenze 1946; G. Gabrielli, Nuove esperienze didattiche, ivi 1948; L. Romanini, Il movimento pedagogico all'estero, 2 voll., Brescia 1949-51; L. Borghi, Il fondamento dell'educazione attiva, Firenze 1952; A. Attisani, Problemi di scuola attiva, Messina 1953; F. De Bartolomeis, Introduzione alla didattica della scuola attiva, Firenze 1953; V. D'Alessandro, L'educazione attiva nei suoi principî psicologici, Palermo 1953; L. Stefanini, Il personalismo pedagogico, Milano 1955; A. Agazzi, Oltre la scuola attiva, Brescia 1955; L'attivismo pedagogico, "Atti del II Convegno di Scholé", ivi 1956; L. Volpicelli e M. Rumi, Principi ed esperienze della "Scuola nuova", Napoli 1956; F. De Bartolomeis, Cos'è la scuola attiva, Milano 1958; C. Motzo Dentice di Accadia, L'attivismo: indirizzi e problemi, Napoli 1960.