Se il sovrano debitore perde la ‘tripla A’
Le agenzie di rating hanno retrocesso 16 paesi della UE, tra cui l’Italia e la Francia. E il taglio dei voti è ricaduto a cascata su imprese, banche ed enti pubblici. Ma se possiamo collocare i nostri BTP in Asia o in America, è anche grazie a Moody’s e Standard & Poor’s.
Il 2012 passerà alla storia come l’anno della crisi del debito sovrano europeo.
E proprio per questo sarà ricordato anche come l’anno dei declassamenti dei rating degli Stati europei. Nei primi due mesi del 2012, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch – le tre più influenti agenzie di rating al mondo – hanno inferto retrocessioni, in molti casi multiple, a 16 Stati dell’eurozona. L’Italia è entrata nella categoria dei debitori BBB+ e altri paesi hanno sofferto pesantemente l’onta.
La Francia ha perso la blasonata AAA di Standard & Poor’s mentre il Portogallo è diventato junk (spazzatura). Dopo queste tre raffiche di bocciature, su 16 Stati dell’eurozona – la Germania è esclusa – pendevano 37 prospettive negative, cioè minacce di ulteriori declassamenti. Una profezia che si è avverata per molti nel corso dell’anno. A luglio l’Italia ha perso la A di Moody’s passando alla Baa2, a due gradini dai rating speculativi. A cascata, il taglio dei voti sovrani ha fatto calare centinaia di rating di banche, imprese private, enti pubblici e locali, cartolarizzazioni.
Questi interventi ‘a grappolo’ delle agenzie di rating sugli Stati di Eurolandia non trovano precedenti: sono la conferma più eclatante di quanto l’Unione monetaria – la creazione di una moneta unica per 17 Stati – abbia unito forzatamente paesi che sotto il profilo fiscale, economico, industriale sono fondamentalmente molto diversi. La portata dei declassamenti avvenuti nel 2012 ha esasperato e complicato una già complessa crisi dell’euro, in cui la mancanza di union bond e di vera unione fiscale è stata colmata dalla rocambolesca nascita dei fondi salva-Stati EFSF/ESM e da interventi straordinari della BCE senza benefici immediati sui rating. Nell’anno si è riacceso il dibattito sul modo di operare di Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, agenzie alle quali i mercati, gli opinionisti e i regolatori assegnano un peso a volte eccessivo.
I rating, infatti, non dovrebbero essere raccomandazioni a vendere o a comprare bond ma giudizi dati per aiutare gli investitori a compiere indipendentemente le proprie scelte. In Italia, tuttavia, il declassamento dello Stato ha fatto scattare nel 2012 alcune inchieste giudiziarie, con tanto di perquisizioni e sequestri di materiali, e con la magistratura impegnata in indagini a 360 gradi tra accuse di presunto abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato e insider trading mentre la CONSOB, l’autorità di controllo dei mercati, si è impegnata nel tentativo di ridurre l’importanza dei rating nelle procedure ufficiali, operazione peraltro già in atto a livello di istituzioni europee.
Le agenzie di rating in sostanza valutano l’affidabilità creditizia dei debitori che chiedono denaro in prestito vendendo obbligazioni, sia sul mercato domestico sia internazionale. I rating rappresentano dunque un’opinione espressa sulla capacità e volontà di un paese di pagare gli interessi e rimborsare puntualmente e integralmente i titoli del debito pubblico. L’opportunità del rating sovrano è spesso messa fortemente in discussione, soprattutto dai governi declassati, con la relativa nascita di polemiche che prontamente si spengono nel caso di promozioni. Il peso dei rating sovrani è cresciuto con l’internazionalizzazione dei mercati e non è forse sbagliato interpretarlo come una forzatura della globalizzazione.
Ma se l’Italia può collocare BTP in Asia e in America oltre che sul mercato nazionale è anche merito dei rating, armi a doppio taglio che quando calano spingono le vendite e quando salgono incentivano gli acquisti.
Alla domanda se i declassamenti dei rating sovrani nel 2012 siano stati una conseguenza o una causa della crisi europea, la risposta sta nei fatti: Grecia, Irlanda e Portogallo sono finiti in bancarotta per problemi interni al sistema, non esterni.
La Spagna tra banche decotte e regioni incapaci di ripagare i debiti ha chiesto aiuto ai partner. E l’Italia?
Il nostro paese ha un debito elevatissimo – 1900 miliardi, pari al 123% del PIL – una crescita asfittica e aste di titoli di Stato da oltre 400 miliardi l’anno (collocate in passato per metà a non residenti): un mix da evitare, secondo l’opinione di molti osservatori, non solo delle agenzie di rating.
Tassi di rendimento dei BTP
Il grafico mostra l’andamento dei tassi d’interesse sui BTP a 5 e 10 anni nel 2011 e 2012, periodo in cui il merito di credito dell’Italia è stato declassato tre volte – nell’ottobre 2011, nel gennaio 2012 e infine nel luglio 2012. Solo nel primo caso, però, al declassamento è seguito un rapido e netto aumento del tasso d’interesse, giunto a un picco del 7,56% a metà novembre 2011, con un aumento di 150 punti base rispetto ai livelli predeclassamento. A gennaio, invece, i tassi sono addirittura scesi di 175 punti base nei due mesi successivi al declassamento, per poi risalire e toccare un massimo del 6,19% a giugno prima di ridiscendere – un declino non interrotto dal terzo declassamento del luglio 2012. È dunque evidente la difficoltà di identificare un chiaro e univoco rapporto di causa-effetto tra i declassamenti del merito di credito dell’Italia e l’andamento dei tassi d’interesse sui BTP.
Competere sul mercato mondiale
Il ruolo ormai cruciale svolto dai rating di Moody’s, Standard & Poor's e Fitch nel collocamento dei titoli del debito sovrano (non solo italiano) è, a ben vedere, una conseguenza indiretta della liberalizzazione del mercato dei capitali. Da quando questi ultimi sono diventati liberi di muoversi attraverso le frontiere, investitori privati e istituzionali di un paese possono comprare i titoli del debito pubblico di altri paesi, e tendono quindi a puntare su quelli che hanno i conti maggiormente in ordine (e dunque sono percepiti come in grado di rimborsare i titoli alla scadenza). La possibilità di collocare il proprio debito sovrano su mercati stranieri, se da un lato apre la strada alla opportunità di ottenere finanziamenti anche cospicui da investitori esteri (come nel caso degli USA, buona parte del cui debito sovrano è in mani straniere), dall’altro obbliga a competere su un mercato mondiale e a offrire quindi condizioni (in termini di solidità finanziaria e/o di tassi d’interesse elevati) attraenti per quest’ultimo.