Se l’orso è impopolare
Riprodurre in cattività e rilasciare in libertà specie animali in declino o scomparse da tempo aiuta la biodiversità ma incontra anche spesso l’ostilità delle popolazioni locali. Il caso del lupo ucciso in Maremma ed esposto al pubblico ludibrio.
La costituzione di stock riproduttivi in cattività e le fasi di rilascio in aree dove la specie oggetto sia già presente ma in declino (ripopolamento) o la cui presenza sia nota storicamente (reintroduzione) sono azioni di restauro della biodiversità che hanno lo scopo di ripristinare popolazioni di specie in declino o scomparse. Costituiscono conditio sine qua non il ripristino, la gestione e la conservazione degli habitat delle specie oggetto di tali azioni.
Dopo il successo della reintroduzione in Scozia del falco pescatore (Pandion haliaetus) e negli Stati Uniti dell’aquila testabianca (Haliaeetus leucocephalus), simbolo nazionale statunitense, del falco pellegrino e del condor della California, le reintroduzioni hanno visto importanti cambiamenti operativi negli ultimi anni anche in Italia.
Il problema resta aperto, dato che – grazie anche alle considerazioni dello zoologo Carlo Rondinini – il concetto di cosa sia raro va sviluppato a livello globale, evitando localismi e dispersione di energie su popolazioni non cruciali rispetto all’areale della specie.
Inoltre Rondinini e il suo gruppo di ricerca hanno anche posto l’attenzione sul rapporto costi-benefici delle azioni di conservazione: i rischi di fallimento sono elevati e spesso le risorse possono essere impiegate per conservare altre specie con maggiore probabilità di successo.
Da un punto di vista zooantropologico, si sono verificati contrasti tra organizzazioni ambientaliste e protezionistiche, popolazioni locali (soprattutto contadini e allevatori), studiosi e media di massa. Paradigmatico il caso delle esche avvelenate contro i coyote che provocavano danni al bestiame e che invece venivano ingerite dai condor californiani, eventi che avvengono anche nelle nostre montagne provocando uccisioni di avvoltoi e altri carnivori.
Il caso del lupo è in Italia quello storicamente più connotato, dato l’impegno pluriennale del WWF con la cosiddetta Operazione S. Francesco, per la quale si registra al momento un effettivo di 800-1000 esemplari, con un’espansione che ha raggiunto Alpi e Francia. Negli ultimi tempi però vari esemplari sono stati abbattuti, verosimilmente da pastori (quelli sardi non hanno consuetudine con il predatore, mentre quelli, per es., albanesi, hanno una consolidata tradizione culturale nel saper proteggere le greggi). Nel maremmano il corpo di un esemplare è stato recentemente esposto al pubblico ludibrio, tradizione che sembrava superata e che ricorda i ‘lupari’, cacciatori di lupi per professione attivi fino agli anni Cinquanta del secolo scorso – alle cui figure fu dedicato il film Uomini e lupi (1956) ambientato in un borgo abruzzese – che per dimostrare l’efficacia delle proprie imprese giravano indossando la pelle del lupo ucciso, inclusa la testa.
In Francia, nel tentativo di contare gli orsi presenti, fu invitato il tecnico forestale russo della stazione di Bubonizi (350 km a nord-ovest di Mosca) Valentin Pazhetnov, esperto di reintroduzioni in natura di orsi orfani, per verificare la consistenza numerica dei contingenti ursini confrontando le singole impronte, ma il potere politico, quello economico, nonché un senso patriottico degli allevatori hanno reso possibile l’abbattimento dell’unico individuo che aveva passato i confini francesi.
In Italia hanno avuto successo la reintroduzione del gipeto (Gypaetus barbatus, anche detto ‘avvoltoio degli agnelli’) iniziata nel 1986 nella regione alpina (l’ultimo individuo era stato abbattuto in Val D’Aosta nel 1913) e quella del grifone (Gyps fulvus) nell’Appennino abruzzese operata dal Corpo forestale dello Stato.
È certamente più semplice, in termini di conflitti con le popolazioni umane, proporre la reintroduzione di specie, come gli avvoltoi, che non sono predatori, ma semplici ‘spazzini’ divoratori di carogne. Incontra invece difficoltà il progetto di ripopolamento dell’orso bruno in Trentino.
Una delle sfide più importanti dell’etologia applicata è supervisionare l’acquisizione delle giuste competenze comportamentali negli individui candidati al rilascio, ma anche quello di provvedere a ‘corsi di sopravvivenza’ in natura per esemplari di uccelli e mammiferi, e certamente in futuro anche di rettili e anfibi, provenienti da centri di recupero veterinari, bioparchi e sequestri a privati che li detenevano illegalmente.
Anche alcune specie di animali marini di interesse gastronomico, come gli astici (Homarus gammarus), sono oggetto di azioni di ripopolamento ove l’eccessivo sfruttamento aveva fatto crollare le popolazioni con grave danno per l’economia della pesca. Tali azioni, intraprese con successo in Scozia e in Norvegia, sono state di recente attuate anche in Italia, su iniziativa del gruppo dell’Università della Tuscia di Viterbo guidato dall’ecologo Giuseppe Nascetti, con il rilascio di migliaia di giovani astici schiusi in cattività da femmine selvatiche e mantenuti nelle appropriate condizioni di benessere etologico presso il Centro ittiogenico sperimentale marino di Tarquinia (Cismar) dell’Università della Tuscia.
Tali progetti, uniti all’istituzione di aree marine protette, hanno incontrato la collaborazione dei pescatori locali.
La scienza in aiuto dei pescatori
Il progetto di ripopolamento attivo dell’astice europeo lungo le coste settentrionali del Lazio è stato promosso dal Centro ittiogenico sperimentale marino di Tarquinia dell’Università della Tuscia e ha portato, in 2 anni di sperimentazione dei sistemi di riproduzione e allevamento, a risultati di notevole interesse, sia da un punto di vista scientifico sia applicativo, con la schiusa di oltre 30.000 uova, il rilascio di oltre 22.000 astici planctonici e oltre 1500 giovani esemplari bentonici. Tale attività di ripopolamento, effettuata per la prima volta in Italia, è già da molti anni praticata in vari paesi al mondo, quali Norvegia, Scozia, Spagna, Canada, Giappone, ecc. ed è strettamente correlata a una gestione rigorosa e controllata delle risorse marine, in un’ottica di gestione integrata della fascia costiera.