Sonetto, se Meuccio t'è mostrato
Sonetto (Rime LXIII), su schema abba abba; cde edc; conservato sotto il nome di D. in Chigiano L VIII 305, Trivulziano 1508, Raccolta Bartoliana. Ha quindi tradizione autorevole, anche se questi codici risalgono a un unico capostipite; perciò il Barbi lo attribuì decisamente a D., superando i dubbi del Witte, del Fraticelli, del Lamma.
Il destinatario, secondo la didascalia di un codice, è Meuccio Tolomei da Siena (v.), cui anche Cino inviò un sonetto: un poeta del genere ‛ comico ' o giocoso. D. esorta il proprio sonetto (personificato, anche se non parla in prima persona, come quello a Lippo [Rime XLVIII] che è di occasione e genere affine) a farsi indicare Meuccio, a salutarlo, anzi, a prosternarsi a lui come un valletto bene accostumato, e quindi a presentargli un gruppo di sonetti, anch'essi di D., invitandolo a tenerli presso di sé come pegno di familiarità e di amicizia.
Il tono, come in altre rime dantesche della giovinezza, è leggero e scherzoso, discorsivo; le parole sono quelle levia e communia, " quales sunt inter colloquentes ", raccomandate da Goffredo di Vinsauf per la " materia iocosa " (Documenta de arte versifigandi, ediz. Faral, p. 317); si potrebbe parlare di stile umile, lontano dalla tagliente e aggressiva espressività e dal vituperium che caratterizzano lo stile ‛ comico ' della tenzone con Forese e che Meo usò nelle sue poesie contro il fratello. Certi francesismi e provenzalismi, come accontarsi e coraggio (v. 11), l'arcaismo della continuità sintattica tra fronte e sirma richiamano l'apprendistato poetico di D. anteriore alle " nove rime ".
Bibl. - D.A., Rime, a c. di G. Contini, Torino 1965³; Barbi-Maggini, Rime 225-227; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 59.