Se vedi li occhi miei di pianger vaghi
Sonetto (Rime CV), su schema abba abba; cdc dcd, attribuito a D. dalla tradizione manoscritta (Riccardiano 1156 e II II 40, Laurenziano XL 44) e dalla Giuntina del 1527; posto dal Barbi fra le " Rime del tempo dell'esilio ", nonostante i dubbi sull'autenticità sollevati da alcuni studiosi (Zingarelli, Lamma, Cossio), essendo questo l'unico componimento di contenuto etico-politico svolto in tale forma metrica nel canzoniere dantesco.
Il poeta invoca Dio perché punisca un personaggio che, protetto da un gran tiranno (v. 7), uccide la giustizia, fondamento necessario di pace e civile convivenza, e ristabilisca nel mondo questa calpestata virtù, vincendo le cupe potenze che le si oppongono e anche lo smarrimento angoscioso dei pochi fedeli di essa.
È difficile stabilire con certezza l'occasione e i protagonisti storici del sonetto. L'opinione corrente è che l'uccisore della giustizia sia papa Clemente V e il tiranno Filippo IV il Bello, corresponsabili, secondo D., dell'attuale rovina del mondo (cfr. If XIX 85-87, Pg XXXII 148-160, Ep XI 8, ecc.); l'evento cui si allude potrebb'essere il ‛ tradimento ' perpetrato dal papa nei confronti di Enrico VII, o (ma appare meno probabile) la persecuzione dell'ordine dei Templari. Il sonetto andrebbe così collocato fra il 1310 e il 1313, a una certa distanza dalla canzone Tre donne, dove pure la giustizia è personificata in figura di donna calpestata e sofferente. Sembrano invece da rigettare le proposte identificazioni dei due personaggi con Bonifacio VIII e Carlo di Valois, o con Clemente V e Roberto d'Angiò, e anche l'opinione del Guerrieri Crocetti che indica nel Signor del v. 4 Enrico VII, in chi la giustizia uccide del v. 6 Firenze, e nel gran tiranno il demonio.
Il sonetto si svolge su un unico periodo sintattico, pausato in quattro momenti: descrizione del dolore struggente di D. e prima invocazione a Dio (vv. 1-4); invocazione della vendetta divina sui colpevoli (vv. 5-8); denuncia della disperata prostrazione dei fedeli della giustizia (vv. 9-10); preghiera a Dio perché vinca questo gelo di morte e ristabilisca la giustizia e la pace in terra. Dopo la prima quartina, si ha un progressivo intensificarsi della tensione drammatica, che culmina, dopo l'immagine del veleno (la cupidigia, l'ingiustizia) che sommerge il mondo (v. 8), nelle due terzine (la paura, il gelo, il silenzio che esprimono il dissolversi di ogni speranza nel cuore dei giusti, e il finale trionfo del bene, con parole-immagini di vita e resurrezione - foco d'amor, lume del cielo, levala su - contrapposte a quelle di morte - nuda e fredda giace), per placarsi infine nella solennità, ancor velata, peraltro, di mestizia, dell'ultimo verso (ché sanza lei non è in terra pace). Ma l'immagine centrale dei fedeli affranti (v. 10) e l'onda patetica che percorre il sonetto rivelano la presenza di una speranza piuttosto teologale che storica, senza l'impeto profetico intimamente fuso con una strenua volontà di resistenza individuale che si ritrova in Tre donne (vv. 65-80).
L'orizzonte ideologico del sonetto coincide con quello della Monarchia, della Commedia e delle Epistole politiche, per la ribadita complementarità fra giustizia e pietà divina e fra giustizia e pace. La presenza dei magnalia di VE II II 8 (salus, virtus, amoris accensio) e di un'adeguata elevatezza d'immagini, lessico e stile in una forma di componimento che nel De vulg. Eloq. era definito fra il mediocre e l'umile sembra attestare un nuovo svolgimento di poetica rispetto al trattato latino, contiguo piuttosto alla sperimentazione della Commedia.
Bibl. - Contini, Rime 180; D.A., Le Rime, a c. Di D. Mattalia, Torino 1943, 182; C. Guerrieri Crocetti, Un Sonetto Di D., In " Giorn. Ital. Filol. " II (1949) 298 306; M. Apollonio, D., Storia della Commedia, Milano 1954, 458-459; R. Jakobson - P. Valesio, Vocabulorum constructio in Dante's Sonnet " Se vedi li occhi miei ", in " Studi d. " XLIII (1966) 7-33; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 293; Barbi-Pernicone, Rime 600.