PIGHINI, Sebastiano Antonio
PIGHINI, Sebastiano Antonio. – Nacque nel settembre 1500 ad Arceto (piccolo abitato nel feudo reggiano di Scandiano, appartenente ai conti Boiardo), da Grazio (o Grazioso), originario di Casalgrande, e da Caterina Vigarani, di modesta condizione. Ricevette una buona formazione umanistica presso i serviti di Scandiano e poi a Reggio. Poté quindi intraprendere gli studi giuridici a Bologna, ponendosi al servizio di un alto prelato emiliano, che seguì a Roma. Qui rimase sino al sacco della città per opera delle milizie imperiali (1527).
Presso lo Studium bolognese, di cui fu lettore (1527-28), si addottorò in utroque (1533). Si trasferì nuovamente a Roma ed entrò nell’amministrazione pontificia come giudice delle cause civili, e poi, a Perugia, come giudice pacificatore (1536). Divenne quindi uditore di Rota (1544) e vicario di Giovanni Battista Cicala, uditore generale della Camera apostolica, meritando fama di valente giureconsulto. Il legame con Cicala fu inoltre determinante nell’orientarlo alla tonsura, a una carriera curiale che non tardò a farsi brillante e a garantirgli buone prebende. Già titolare di un canonicato nella diocesi di Capua, Pighini ricevette quindi il priorato di Nigone e una cappellania (1544). Fu in seguito prescelto giudice delle cause e segretario degli scrutini al Concilio di Trento, dove giunse prima dell’inizio dei lavori per coadiuvare i tre presidenti, i cardinali legati Giovan Maria Del Monte (futuro Giulio III, 1550-55), Marcello Cervini (futuro Marcello II, 1555) e Reginald Pole, che gli accordarono la loro stima e ne richiesero l’elevazione al vescovato. Sempre a Trento, il cardinal Del Monte lo consacrò presule della diocesi campana di Alife (1546).
Nel marzo 1548 Pighini accompagnò i legati a Roma, membro anch’egli della commissione che ebbe il compito di riferire sulle ragioni della controversa traslazione del Concilio a Bologna (erano rimasti a Trento, per protesta, i prelati di orientamento imperiale). Poté così porsi in luce presso lo stesso Paolo III, che poco dopo gli assegnò la diocesi di Ferentino e lo inviò nunzio straordinario in Germania (1548-49) assieme ad Alvise Lippomano, vescovo di Verona.
La perdurante fase di stallo del Concilio, riflesso degli scontri tra imperiali e smalcaldici, rendeva infatti necessario coadiuvare l’opera del nunzio ordinario Pietro Bertano, vescovo di Fano. Quest’ultimo si stava prodigando anche sul delicato fronte della successione al Ducato di Parma e Piacenza, apertosi con l’assassinio di Pier Luigi Farnese (1547), figlio di Paolo III, e con l’occupazione di Piacenza da parte di Ferrante Gonzaga, governatore di Milano.
Pighini e Lippomano visitarono numerose città tedesche e furono impegnati in molti confronti diplomatici. Dal dicembre 1548 ebbero inoltre udienza a Bruxelles, presso i ministri di Carlo V, fra cui il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, il confessore Domingo Soto e l’ambasciatore al Concilio Francisco Álvarez de Toledo. Questi ultimi, intenzionati a non retrocedere né su Piacenza né sull’immediata riapertura del Concilio, chiesero al papa un ampliamento delle facoltà concesse ai tre legati, specie in ordine alle accresciute prerogative dei vescovi tedeschi e al matrimonio degli ecclesiastici, due delle maggiori concessioni fatte ai protestanti mediante l’interim imperiale del 1547. Pighini, Lippomano e Bertano erano d’altro canto latori di richieste irricevibili in quella corte, giacché sostanzialmente miranti alla sconfessione dell’interim (immediata messa al bando dei predicatori protestanti e dei loro scritti, restituzione dei beni immobili sottratti al patrimonio ecclesiastico, riforma dell’alto e basso clero). I colloqui di Bruxelles si tradussero pertanto in un fallimento e, nel giugno 1549, Pighini lasciò le Fiandre per fare ritorno a Roma. Quindi il recupero di Piacenza da parte di Ottavio Farnese e l’elezione di Giulio III (acceso difensore della potestà papale, detrattore dell’interim), accompagnata però dall’annuncio della riapertura dell’ecumene tridentina, obbligarono Carlo V ad avviare nuove trattative con la Santa Sede.
L’amicizia e la grande stima reciproca che legavano papa Del Monte a Pighini si tradussero nell’assegnazione a quest’ultimo dell’ufficio di prodatario (1550-52), dell’arcivescovato di Siponto (1550), di cui era stato titolare lo stesso Del Monte, e di una seconda nunziatura alla corte imperiale (1550-51). Rilevando ora interamente il compito di succedere a Bertano, Pighini si recò ad Augusta, dove, a partire dal 12 agosto 1550, si confrontò prima con Carlo V, quindi, a causa dei lavori della Dieta imperiale e dell’imminente ritorno in Spagna del sovrano, con il solo cardinale de Granvelle. Sebbene nuovamente depositario di richieste e aspettative importanti (partecipazione dei prelati francesi al Concilio, riconoscimento da parte della Dieta dell’autorità di quest’ultimo, delle proposizioni dogmatiche già approvate e della potestà papale), questa volta Pighini si congedò soddisfatto almeno in parte (sottomissione al papa da parte dei componenti cattolici della Dieta, impegno dell’imperatore a favorire la celerità e l’ecumenicità del Concilio, e a contrastare la carestia che affliggeva l’Italia con ingenti rifornimenti di grani); poté pertanto garantire a Granvelle una parziale compensazione per la perdita di Piacenza. Quest’ultimo gli trasmise il tiepido apprezzamento dell’imperatore (ormai scettico quanto alla possibilità di sanare il dissidio religioso) e la sua volontà di ricorrere alle armi nell’eventualità di un ennesimo irrigidimento protestante.
Nel marzo 1551 Pighini fu raggiunto ad Augusta da Bertano, latore delle nuove proposte di accordo sulle sorti dei domini farnesiani. Ultimato questo ennesimo passaggio di consegne, si recò a Trento, dove, assieme a Marcello Crescenzi e Alvise Lippomano, presiedette il Concilio appena riaperto. In questa temperie, agitata dal sentore di un’imminente ripresa delle ostilità da parte delle forze antiasburgiche (Francia e Lega smalcaldica), Pighini fu corrispondente e informatore di Ercole II d’Este, incapace di assumere una chiara collocazione antifrancese in ragione della natura dei suoi domini (fra cui il territorio reggiano) e del matrimonio con Renata di Francia. Quale riconoscimento dei suoi buoni uffici, Pighini fu quindi nominato cardinale (1551), ma vestì la porpora (con la prebenda di S. Callisto e l’ufficio di segretario dei memoriali ed esaminatore delle grazie) solo dopo il ritorno a Roma, nella primavera del 1552, in ragione del precipitoso scioglimento del sinodo tridentino, disperso dal rumore delle armi protestanti nel vicino Oltralpe.
La nativa Reggio festeggiò il suo cardinalato per iniziativa del cognato Giovanni Paolo Corradini, affermato giureconsulto e membro della locale Accademia degli Accesi. Lo stesso anno Pighini ottenne l’inusitata carica di membro della commissione di riforma dei tribunali civili di Roma (Dataria, Segnatura di grazia) unitamente al titolo di vicario papale. Divenne inoltre protettore dei carmelitani e membro della Congregazione del S. Uffizio. In questa veste fu tenace sostenitore del tentativo di introdurre l’Inquisizione a Lucca e per questo si scontrò con il governo della piccola Repubblica. Nel 1553 ottenne il nuovo e ricco vescovato di Adria, che a causa delle sue condizioni di salute affidò alle cure di un vicario.
Morì a Roma nel novembre dello stesso 1553 senza dettare testamento. Il pontefice dispose pertanto che la metà dei suoi beni fosse devoluta all’anziana madre Caterina.
Fu sepolto a Roma, in S. Maria del Popolo, come attestava la lapide dettata dal fratello Stefano, che lo aveva seguito a Roma negli anni del cardinalato. Una seconda epigrafe, tuttora parzialmente visibile all’inizio della navata centrale, fu apposta nel 1684 dai discendenti di quest’ultimo (Giuseppe di Alessandro Pighini e fratelli).
Fonti e Bibl.: S. Corradi, Commentarius in quo M.T. Ciceronis De Claris Oratoribus liber, Florentiae, ex officina L. Torrentini, 1552, pp. 1-4; F. Ughelli, Italia sacra sive de Episcopis Italiae, I, Romae 1644, Venetiis 1717, p. 679; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, IV, Modena 1783, pp. 128-131; G. Panciroli, Storia della città di Reggio, Reggio 1846, p. 243; G. Pagliani, Notizie storiche civili e religiose di Arceto, Reggio Emilia 1912, pp. 97-103; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del medioevo, V, Roma 1914, pp. 509, 629-632, VI, 1922, pp. 56-71, 83, 105-120, 151, 309, 533, 597; Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, a cura di W. van Gulik - K. Eubel, III, Monasterii 1923, pp. 104, 195, 301; F. Valenti, Il carteggio di Padre Girolamo Papino informatore estense, in Archivio storico italiano, CXXIV (1966), pp. 303-417; H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, Brescia, II, 1974, III, 1982, ad ind.; G. Agosti, Il cardinale Sebastiano P.: sua vita e rapporti con Ercole II, duca di Ferrara, e con la Comunità Reggiana, in Bollettino storico reggiano, XXIV (1991), 73, pp. 18-58.