BADOER, Sebastiano
Nacque probabilmente verso il 1425-27 (fu "provato" dalla Avogaria di Comun, il che di solito avveniva a 18 anni, il 3 sett. 1445) dal nobile Giacomo e da Maria Grimani. Sposò nel 1448 Cattaruzza Zustignan, e di lui si ricorda solo un figlio, Iacopo, combattente glorioso contro i Turchi sull'Isonzo nel 1477. Nessun'altra notizia sulla sua vita privata, ma è facile pensare che la sua giovinezza sia stata impegnata negli studi. Negli anni maturi dimostrò di possedere una buona formazione umanistica, di parlare correntemente in latino, di stilare dispacci diplomatici in cui brilla una fervida vena letteraria. Si diede a curare il "genere" più in voga e in fondo più aderente alla sua passione politica, l'oratoria. Tutti gli storici antichi della letteratura veneziana ricordano un suo bel volume (oggi perduto) di orazioni e diverse epistole eleganti, "molto stimate et apprezzate dai professori", dato alla luce nel 1477. L'opera ebbe tra i contemporanei notevole risonanza: Alessandro Benedetti da Legnago dedicava a lui e a Bernardo Contarini i suoi Diaria de bello carolino del 1496, e Francesco Nigro nel suo trattato De aristocratia,scritto forse nel 1510-12, citava il B. accanto ai nomi di Ermolao Barbaro, Domenico Grimani e Pico della Mirandola, "quorum omnium splendore adeo illustrata est Italia". Della sua abilità letteraria rimane una sola testimonianza: il testo di un discorso pronunciato a Roma nel concistoro pubblico del 17 dic. 1492, di fronte al neoeletto pontefice Alessandro VI, in cui è da ravvisarsi, anche per la diffusione che ebbe, un prodotto tipico del gusto oratorio dell'epoca.
La passione per gli studi umanistici fu tuttavia soltanto un'evasione ricercata e mai abbastanza goduta per uno spirito che si dedicò totalmente agli affari politici e al servizio dello Stato. Nel 1474 il B. doveva aver già ricoperto importanti offici perché fu scelto per una delicata missione presso il re Mattia Corvino d'Ungheria. Si trattava di convincere quel sovrano ad inviare un esercito contro i Turchi in modo da alleggerire l'assedio di Scutari e dar respiro all'azione veneziana nel Mediterraneo. Il B., "non magis auro quam ingenii dexteritate", non solo riuscì nel suo intento, ma conquistò anche l'affetto del sovrano, il quale lo fece cavaliere. Nel suo rapporto al governo commentava: "Il re intende la mirabile operazione di Dio"; in questa affermazione il B. si mostrava sincero: un soffio di crociata lo portava ancora ad identificare gli interessi di Venezia con quelli dell'Italia e della cristianità.
Ritornato in patria dopo due anni di soggiorno ungherese, fu mandato podestà a Bergamo e a Verona, finché la guerra di Toscana non rese opportuno il suo invio a Roma, come ambasciatore della Serenissima, per caldeggiare la causa della pace con i Fiorentini, il 12 genn. 1479. Nell'udienza papale, narra Sigismondo de' Conti, presenti le delegazioni di Venezia, di Francia e del ducato di Milano, ognuno parlava secondo i suoi interessi, con molta decisione; solo il B. fu moderato nel suo intervento, ma in fondo più insinuante e ricattatorio: gettava sulla bilancia il prestigio del suo governo, la minaccia sempre più grave del Turco e la sfrenata ambizione di Ferdinando di Napoli deluso per l'affare di Cipro. Egli non seppe tuttavia in questo caso scalfire l'ostinatezza delle parti in lotta: la guerra continuava, e la Repubblica delusa richiamò il suo ambasciatore.
Nel 1483, nuova missione diplomatica: Venezia, combattendo Ferrara considerata da Sisto IV come l'intangibile "antemurale totius Romandiole", stava per subire l'interdetto e andava mobilitando perciò tutte le sue forze per opporsi al papato anche sul terreno spirituale: chiedeva la convocazione di un concilio per procedere, a dispetto del papa, alla riforma della Chiesa. Il 22 luglio il B. riceveva mandato dal doge Giovanni Mocenigo di recarsi presso l'imperatore per notificargli (dice l'istruzione) "apertam iusticiam nostram maximamque dehonestatem pontificis". L'ambasceria si protrasse fino all'aprile del 1484, ma non raccolse i frutti sperati: agli occhi di Federico III il B. rappresentava quei Veneziani che in nome della ragion di stato cercavano (è l'accusa di Sisto IV) lo scisma nella Chiesa di Dio.
In seguito, eletto Innocenzo VIII, dopo che il ritiro delle censure ecclesiastiche contro Venezia, in applicazione della pace di Bagnolo, portò ad una distensione dei rapporti con la S. Sede, il B. andò nuovamente a Roma, inviato di Venezia al papa, accolto nella tarda sera del 22 nov. 1486 con tutti gli onori, quando era sul tappeto il problema di una lega contro Ferdinando di Napoli. E a Roma ritornò nel 1492, capo di una fastosa delegazione ad Alessandro VI, per portargli l'obbedienza della Repubblica. Nel frattempo era stato anche oratore presso il duca di Milano (1487). La missione tuttavia che più rivela nel B. il diligente, talvolta brillante, esecutore di incarichi diplomatici, fu quella compiuta, ancora a Milano, presso Ludovico il Moro (22 nov. 1494-13 giugno 1495). Venezia, dopo un periodo di incerta e pavida neutralità, cercava alleanze che ostacolassero la marcia trionfale di Carlo VIII lungo la penisola. Al Milanese, fautore in un primo tempo del re di Francia data la necessità di consolidare la sua successione al ducato, e poi tentennante, il B. doveva prospettare, per dirla con l'espressione ufficiale, "la grandeza de li manifesti pericoli che menazavano non solum la ruina et eversione di questa povera Italia, verum etiam de tuta la cristiana religione... per gli andamenti et successi de questi francesi". Dell'ambasceria del B. presso Ludovico ci rimane, vero monumento di diplomazia viva, la serie completa dei dispacci in cui viene annotato giorno per giorno quel groviglio di interessi faziosi che fece dell'Italia la preda più facile e più ambita per l'invadenza straniera.
Fo da tutti la sua legatione laudata", ed era l'ultima; ormai la tarda età portava il B. a servire la Repubblica in settori più onorevoli e meno onerosi. Divenne partecipe dei più alti consessi dello Stato: nel 1496 declinò due volte di andare ambasciatore al re dei Romani "per esser consiér"; fu eletto nello stesso anno in una commissione di tre persone per controllare le spese del re di Napoli, e si interessò al problema della dedizione di Taranto; nel giugno del 1497 prese posizione contro Francesco marchese di Mantova accusato di tramare a favore del re di Francia.
Null'altro si conosce della sua ulteriore attività. È certo che morì il 30 giugno del 1498 (è Giovanni Badoer e non Sebastiano quell'ambasciatore veneto che spesso viene ricordato nelle fonti del primo ventennio del secolo XVI).
Numerosi autori citano frequentemente in cronache e storie il nome del B., ma solo Marin Sanuto, che forse lo conobbe di persona e comunque poté seguire da vicino le sue fortune politiche e le sue missioni diplomatiche, trovò occasione, annotando nei suoi Diari sotto l'anno 1498 la notizia della morte, di farne un breve generico, eppur sincero elogio: "Morite a dì 30 ditto (giugno) Sebastian Badoer el cavalier... huomo et patricio sapientissimo molto exercitato, et quello che havea abuto molte dignità di la terra nostra... Fu sepulto vestito da frate a S. Francesco di la Vigna, e Idio li doni requie a l'anima sua". E con queste parole confermava, con un giudizio di maggior valore storico, la menzione più generosa tendente a cogliere anche i valori morali di una iscrizione padovana del 1490, incisa durante il capitanato del B. in quella città: "Stemma Sebastiani spectas taduariae prolis / Quod certi ac recti plurima signa latent / Munera militiae, sophiam moresque Catonis / Non paries cuncti pectori fixa tenent".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato, Venezia, Arbori dei Patri. tit. venett.,misc. cod., I, f. 74; Venezia, Biblioteca Marciana, Registrum litterarum magnificorum dominorum Sebastiani Baduario equitis et Benedicti Trivisano oratorum ad illustrissimum dominum ducem Mediolani, 1494, de mense novembris die XXII,ms. Ital.,cl. VII(547), 8529; A. Sabellici Historiae rerum Venetarum ab urbe condita,in Degli Istorici delle cose veneziane,a cura di A. Zeno e P. C. Zeno, Venezia 1718, pp. 787, 858, 878; D. Malipiero, Annali veneti dal MCCCCLVII al MD,a cura di F. Longo, in Arch. stor. ital.,VII,1 (1843), pp. 98 s.; J. Burckardi, Liber Notarum,in Rer. Italic. Script.,2 ediz., XXXII, 1, a cura di E. Celani, p. 211; M. Sanuto, Diarii,I,Venezia 1879, pp. 277, 322, 382, 668, 791, 1004; Sigismondo dei conti da Foligno, Le storie de' suoi tempi, a cura di F. Calabri, I, Roma 1882, pp. 54-56, 176; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia...,II, 1, Brescia 1758, pp. 35 s.; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, V,Venezia 1856, pp. 55-67; L. v. Pastor, Storia dei Papi...,II,Roma 1911, pp. 567, 777; III, ibid. 1912, pp. 194, 240, 608; P. Paschini, Tre illustri prelati del Rinascimento...,Roma 1957, pp. 15 n. 22, 70, 90 n. 200 (questi due ultimi rimandi riguardano Giovanni Badoer spesso confuso con Sebastiano); C. Cipolla, Storia delle Signorie italiane,Milano 1891, pp. 621, 703, 721; La spedizione di Carlo VIII in Italia,a cura di R. Fulin, in Archivio Veneto,III(1873), pp. 385-386. Esistono numerosi incunaboli della Oratio in Alexandrum in praestanda Venetorum oboedientia (Gesamtkatalog der Wiegendrucke,III,Leipzig 1928, nn. 3159, 3160).