BAGOLINO, Sebastiano
Nacque il 25 marzo 1562 ad Alcamo da Giovan Leonardo, pittore, e da Caterina Tabone. Il padre, la cui famiglia era probabilmente originaria di Verona, si era stabilito ad Alcamo nel 1557 e vi morì nel 1585. Dipinse soprattutto affreschi per varie chiese alcamensi, ma le opere sono andate tutte distrutte nel corso di numerosi rifacimenti e restauri. Nell'unico dipinto superstite (Madonna delle grazie, 1563-64, eseguita per la chiesa di Nostra Signora dei Soccorso, attualmente nel duomo) si rivela inferiore alla fama acquisita, ancora legato a forme invecchiate di discendenza veneto-toscana. Da parte materna una casata di censo mediocre, ma ragguardevole per l'onorata professione di giureconsulti, medici, notai ("Tabonica stirps bene culta domus" come la definì il B. in una poesia latina), assicurava al poeta un'infanzia per lo meno agiata e l'eredità di un modesto prestigio intellettuale.
Ebbe come maestro di musica Innocenzo Blanchines e per insegnante di retorica un personaggio poco più celebre: Marco Gentiluccio da Spoleto, giureconsulto d'una certa ambizione, anche letteraria a giudicare da un poema sulla Madonna e dai Davidis gesta heroico carmine che il B. risusciterà nei suoi versi come miracoli d'ingegno, ma che dovettero rappresentare, a parte la sproporzionata ammirazione del discepolo, i modelli fondamentali di una non vasta cultura umanistica, volta al possesso di una tecnica sicura, cioè essenzialmente grammaticale, e alla spregiudicatezza retorica di cantare in metro elegiaco salmi di pentimento e lodi alla Vergine. Abile compositore di versi latini; imitatore versatile per quel che un'esausta lezione di temi e di stile lascia sempre sussistere ai margini di una esperienza provinciale, meritò ancora giovanissimo di essere ammesso nel numero dei letterati che in Palermo accoglieva la casa di Francesco Moncada, principe di Paternò. Ma in questa stagione il B. spera di inserirsi in un ambiente culturale più aperto, di completare la propria preparazione nella città che tradizionalmente rappresenta il centro ideale degli studi umanistici.
Così nel 1581 decide di trasferirsi a Napoli dove sente Bernardo Colnago, lettore di teologia, riceve consensi dallo storico Fabio Giordano e da Giovan Battista Della Porta che sottopone al suo esame i libri De humana physiognomonia pubblicati nel 1586, ma già composti nel 1583, e soprattutto ottiene la protezione di Ferrante Carafa che forse affida alle sue cure l'educazione del giovane Marcantonio al quale Camillo Pellegrino donò il manoscritto del Carafa dettato nel 1584. Fu ospite per breve tempo di casa Poderico, precettore di Antonio che lo lasciò morendo "ceu sunt sine gramine prata, / Ut sine nox stellis, ut sine luce dies", approfondì la lettura dei poeti umanisti, perfezionò modi di stile alla scuola che risentiva direttamente del grande insegnamento del Pontano, ma rimase estraneo, nella Napoli preparata ad attaccare l'autorità della Crusca e il contenuto del Furioso, alle correnti direttive di una cultura tanto più vitale quanto polemicamente impegnata a instaurare una nuova civiltà letteraria, non più latina e neanche umanistica, ma controriformista, propensa a bruciare dall'intemo le forme del volgare "classico" alla luce di un diverso sentire che sarà del giovane Marino. La Napoli del Sannazaro, delle discussioni sulla lingua di Virgilio e l'autorità del Petrarca, del mecenatismo cavalleresco degli Aragonesi, prevalse nell'immaginazione e nelle aspettative del B. sulla Napoli del Tasso (e basta, per trovarne conferma, leggere le sue poche rime in volgare che testimoniano il persistere di un gusto quattrocentesco e hanno quasi il sentore di un voluto restauro). Come rimase profondamente estraneo alla crisi che la vita di corte aveva provocato nella coscienza degli scrittori più risentiti, specie nel passaggio tra le ultime splendide forme del mecenatismo regale e il più disincantato omaggio che richiedeva il corteo baronale in equilibrio tra l'ossequio e la fronda verso la politica spagnola.
Questo contrasto il B. dovette avvertire come un isolamento intellettuale cui reagì lasciando a Napoli molte ambizioni e facendo ritorno a Palermo, di nuovo sotto la protezione del principe di Paternò. Qui stringe rapporti con l'astronomo Sebastiano Ansalone, con Antonio Bevilacqua, traduttore del Ratto di Proserpina, e con Filippo Paruta che non mancherà di testimoniargli più volte un'amicizia sincera: tutti personaggi più o meno radicati alla corte del Moncada cui il poeta offre contributi occasionali, e forse non del tutto spontanei, ora distribuendo elogi all'illustre casata, ora iniziando il principe con innegabile zelo ai principî della pittura e della musica, ora accompagnandolo durante i frequenti viaggi nei suoi territori: a Caltanissetta, Adernò, Siracusa, Militello, fino a quando avviene lo screzio dovuto a cause ignote, ma evidentemente non estraneo al "grand'odio" che nutriva contro il B. la madre del Moncada, Aloisa Luna.
Forse si arrivò ad una riconciliazione auspicata dal principe e certo favorita dalle finanze dissestate del B. che in Sicilia più che a Napoli doveva sperimentare di persona la precarietà della carriera cortigianesca. Ma nel 1591 il Moncada muore e il B. ormai del tutto isolato nell'ambiente di corte, incapace di adattarsi alla nuova situazione e di far fronte alle ostilità e alle invidie che ora gli procura il suo passato prestigio presso il principe, decide di ritornare ad Alcamo.
Sembrava un destino quello che lo sospingeva immancabilmente ad una chiusa vita di provincia, povera di fermenti intellettuali, indifferente ad un'aspirazione di decoroso sussiego, di intima e raffinata corrispondenza quale conveniva alla musa del B. sempre altamente e nobilmente intonata: e questo ogni qual volta sembrava potersi realizzare la vocazione a un rapporto più congeniale tra cultura e vita (o almeno tra cultura e un apparato di forme socievoli letterariamente reversibili a biografia intellettuale), il desiderio di inserirsi in un ambito di interessi umani vasto e universale come la cultura che egli ostinatamente bandiva, ma che rischiava il pericolo di rimaner soffocata ad ogni insuccesso che le sottraeva l'elemento vitale di un pubblico.
Leggendo le poesie latine - specie quelle ove l'adozione di un particolare modello letterario non impedisce la rapida parvenza di un'esile nota autobiografica o di un sottile motivo riflessivo - appare evidente la consapevolezza di una fedeltà ormai quasi esclusivamente personale a un mondo di miti e di splendide forme, forse proprio per questo ancor più gelosamente custoditi e vagheggiati, la coscienza della dissociazione di un'antica "sodalitas" che i poeti umanisti riuscirono a riproporre sulla base di un dialogo nutrito di interessi concreti. E non è un caso che l'espressione più congeniale all'arte del B. - a parte le suggestioni obbligate derivanti dagli esempi dei classici - sia proprio quella satirica, laddove la brevità concettosa dell'epigramma lascia trapelare la prospettiva scorciata di un umore personale: motivi di risentimento, noie, acredini, rivalità che raggelano la superficie compatta d'un compassato e libresco manierismo.Nel 1592 sposa Francesca Battiata, forse anch'essa scrittrice o più verisimilmente semplice ispiratrice del B. che dettò alcune rime in suo nome. Si rivolgeva al barone di Godrano, Annibale Valguarnera, sperando in qualche incarico nella amministrazione cittadina o in una protezione benefica almeno come quella del Moncada che lo mettesse al riparo dai disagi di una vita sempre più difficile e oscura. Anche queste speranze dovettero però fallire se alla fine decise di aprire una scuola privata di grammatica ove ebbe come discepoli Sebastiano La Rocca, che si addottorò poi in teologia, Giuseppe Grimaldi, Vincenzo e Niccolò Odaglia, poeti entrambi e benemeriti della reputazione letteraria del maestro avendo conservato e tramandato alcuni suoi scritti. Contemporaneamente dipingeva, fregiava di eleganti disegni i manoscritti delle poesie e forse le ordinava pensando a una eventuale stampa da affidarsi a un editore palermitano, continuava - sembra con scarsi proventi - a impartire lezioni di pittura e di musica, fino al 1595 quando - probabilmente tramite il Paruta - gli fu proposto di occuparsi della traduzione degli Emblemas morales dei vescovo Giovanni Orozco. Il B. pensa di trasferirsi ad Agrigento per eseguire la traduzione d'intesa con l'autore, e per breve tempo riesce a stabilire con l'Orozco rapporti di stima reciproca e anche di familiarità nella quale il B. intravvede, con la forza caparbia di una non mai abbandonata speranza, i primi segni di una benevolenza destinata a diventar favore e condizione di vita dignitosa e tranquilla. Ma anche questa volta l'amicizia va in frantumi, sembra per certi dissensi d'ordine letterario intervenuti proprio nel corso della versione, lasciando un infinito seguito di polemiche astiose che impegneranno a lungo il B. in un'opera di pedante e minuziosa autodifesa.
Si riduce di nuovo ad Alcamo ove insegna questa volta presso il pubblico ginnasio. Lo inseguono anche qui le polemiche con l'Orozco e altre se ne procura per certi versi in onore del beato Arcangelo che suscitano le critiche di Ambrogio Beneventano e una tempesta di beghe fratesche di cui il B. non riusciva a venire a capo nonostante i buoni propositi e la più volte confessata devozione. Sentendosi venir meno la vita produsse i più stanchi e attardati versi di pentimento. La morte lo sorprese il 26 luglio 1604 senza che lo scrittore avesse potuto veder ultimata la stampa di una scelta almeno delle sue poesie, alla quale attendeva forse già da qualche anno.
Sembra comunque che essa si possa identificare con la raccolta dei Sebastiani Bagolini Carmina (s.n.t., ma edita sicuramente a Palermo e con ogni probabilità proprio nel 1604) che presenta tutte le caratteristiche di un'edizione affrettata, condotta fino a un certo punto secondo un ordinamento prestabilito, che doveva essere quello del B., e, dopo la morte dell'autore, continuata senza più alcun criterio direttivo. Si tratta di duecentosettantun componimenti di cui un buon terzo di genere sacro: e anche questa proporzione rispecchia fedelmente la volontà del B. secondo le preoccupazioni di ordine prevalentemente religioso che caratterizzarono l'ultima stagione poetica.
Cinque Bagolini Carmina furono stampati nei Selecta epigrammata, elegiae et poemata alíquot ex Catullo, Ovidio, Tibullo, Propertio aliisque antiquis et recentioribus poetis (Panormi 1656). L'elegia Copa apparve nel tomo XVIII degli Opuscoli degli autori siciliani in onore del principe di Paternò (Palermo 1777, pp. 363 s.). Poi l'edizione curata da Giuseppe Triolo: Pub. Sebastiani Bagolini Carminum (Panormi 1782) in due volumi che ampliano notevolmente i limiti della precedente edizione e costituiscono a tutt'oggi il testo più attendibile delle poesie latine del Bagolino. Per le quali l'erudito settecentesco si valse di due tra i maggiori codici bagoliniani: quello autografo proveniente dalla famiglia Fazio intitolato Pub. Sebastiani Bagolini versificatoris ad illustrem virum Ariem Iardinum expunctis illis quae castis auribus impune legi non poterant. Additis eiusdem Bagolini lemmatibus in fronte singulorum epigrammatum,e l'altro di proprietà dello stesso Triolo intitolato Pub. Sebastiani Bagolini Epigrammata (di un terzo che si trova alla Biblioteca Comunale di Palermo: Quinternum epigrammatum variorum Bagolini quae Vincentius Idalia de sorte domini descripsit si interessò più recentemente il Mirabella offrendone una descrizione esauriente).
Si leggono nel complesso settecentoventinove componimenti assai eterogenei quanto a temi e motivi ispiratori (versi d'occasione, elogi e commenti storici, poesie d'argomento religioso e liriche d'amore), misti di elementi pagani e cristiani, ma convergenti intorno a un nucleo piuttosto compatto di modelli che sono Catullo, Ausonio e soprattutto Marziale per i classici, Navagero, il Panormita, Castiglione e Pontano fra gli umanisti. Una misura d'arte, se non di poesia, ma ricca di spunti personali e rivissuta con quel tanto di stupore da riuscire a riproporre gli aspetti più riposti e preziosi, era congeniale al B. ed è da ravvisarsi nella forma epigrammatica, sia che ritragga in un lucido contorno di linee il profilo appena delineato dell'amata ("Candidior niveis es tu, mea Nisa, colostris, / Et tibi collatus nigricat omnis olor. / Iveris in fontes, plaudit tibi candida Nais; / Veneris in sylvas, dulce sussurrat apis"); sia che risusciti i vezzi un po' freddi e disincantati di un'emula di Lesbia: "Da mihi te totam, mea Mimia, da mihi totam; / Totaque mollicula es, totaque dulcicula es. / Totaque lacteola es: sed habes, mea Mimia, ocellos / Turgidulos, qui me surripuere mihi").
In questa dimensione anche i motivi del rimpianto, dell'elogio, della satira per i quali il B. trova non di rado accenti sinceri - e basta pensare ai versi in morte di Francesco Collura che il poeta ebbe come condiscepolo alla scuola di Gentiluccio - si raggelano più spesso in uno stile sentenzioso che realizza nel ricorso alla raffigurazione classica la tendenza a una marmorea perentorietà. "Franciscum extintum deflent maestissima saxa / Illiusque decus collacrymant sylvae... / Et nunc infelix properata ad busta mariti / Collacrymat sparsis squallida Ninpha comis": sono i versi che rievocano la morte di Francesco Moncada. Ed ecco l'invettiva contro un medico, Achille Caruso, sospesa fra il disprezzo e lo scherno condotto assai felicemente per il comico che suscita la similitudine eroica: "Si laudem meruit Tydeus et fortis Achilles / Quod dederint multos belligerando neci; / Maiores pluresque tibi debentur honores, / Tradideris plures quod medicando, neci".
Assolutamente illeggibili i versi dedicati alla fortunata impresa di Carlo V contro i Turchi del 1535 e quelli sulla battaglia di Lepanto il cui tono apologetico e goffamente eroico conduce al clima adulatorio delle prose, o per lo meno delle uniche tre prose che ci sono pervenute del B.: La Piramide, ossia Dialogo di Sebastiano Bagolino Historico e Poeta alcamese sopra la Piramide fatta in Alcamo nell'Esequie di Filippo II Re di Spagna e di Sicilia. Dedicata al Marchese di Gieraci allhora Vicerè di Sicilia, che si conserva nel codice segnato 2 Qq.C.20 della Biblioteca comunale di Palermo; lo Stracciabisaccie, il cui manoscritto del sec. XVIII si trova, presso la stessa biblioteca, in un codice miscellaneo che contiene anche un libro Sebastiani Bagolini Familiarium Epistolarum; e infine Il Moncada di Seb. Bagolino Alcamese scritta di sua propria mano a' giorni 7 d'8bre 1569, autografo, di cui si valse il Mirabella per l'edizione dell'opera (Il Moncada di S.B. ora per la prima volta pubblicato, Alcamo 1887) che è l'unica che possediamo a stampa fra le prose del Bagolino.
Piacque all'editore certa disinvoltura nello stile e la rapidità della forma dialogica tesa a dimostrare, con un crescendo che rasenta veramente il virtuosismo, gli insigni meriti del principe e dell'illustre casata, ma l'insieme si rivela infine uno sciatto documento di costume cortigiano. In forma di dialogo fra Antonio Tornamira e Lepido Spatafora il B. immaginò anche La Piramide, che è la descrizione di un monumento funerario eretto ad Alcamo per Filippo II al quale anche il poeta collaborò con bassorilievi allegorici e figure commemorative i "gloriosi Duci di casa d'Austria". Lo scritto si propone non altro che il fine immediato di illustrare agli occhi dei concittadini questi personaggi: da Federico III "il qual a tempo che regnava in Roma Eugenio Quarto, mentre in gran parte la religione christiana si giaceva abbattuta, egli la riebbe e la restituì al primo stato: nel qual fatto, oltra che dimostrò gran fede e religione, adoprò incomparabil prudenza congiunta con somma patientia" a Massimiliano "colui il quale, avendo sempre gran zelo verso l'onor di Christo, fece molte meravigliose imprese nella Brabantia e nella Fiandra", da Filippo I a Carlo V "fulmine di guerra, spavento d'infedeli; del qual non si può determinar se miglior soldato o imperator stato fosse... mentre che sì valorosamente s'adoprò contra Turchi, contra Mori, contra Eretici", e presenta il solo interesse di documentare un'attività marginale o comunque poco nota del Bagolino. Come lo Stracciabisaccie (dal nome di una villa di Vincenzo Tornamira), misto di prosa e di poesie in volgare, ove tiene il campo il poeta erudito che passa in rassegna luoghi e discendenze patrizie della regione citando a sproposito testimonianze di antichi storici.
Si tratta insomma di opere che poco aggiungono alla rinomanza del poeta e nulla al rigore dell'umanista intento ad assimilare la difficile lezione dei più congeniali modelli di stile. Maggiore interesse dovevano riservare alcune opere perdute: soprattutto un Elogio di Francesco Ventimiglia, marchese di Geraci, e un "libro sopra lo reggimento che fe' 'l Ventimiglia in Sicilia" in cui lo scrittore si proponeva di esporre "i fatti e li detti, anzi tutta la vita di quel cavaliero, in quel modo ch'Antonio Panormita scrisse la vita di Alfonso d'Aragona"; una prosa latina sull'origine di casa Moncada e un libro di epigrammi latini sui maggiori personaggi di quella famiglia, dettati - secondo quanto riferisce il B. - su incarico del principe due anni prima di morire (e "restati nella libreria di quel Signore", esistevano ancora quando scriveva il Mongitore); un Opuslyricum ricordato in due lettere del B. al Valguarnera; un Discorso historico sulla città di Alcamo, e un Epistolarum familiarium liber contenente lettere al cardinale Petrocchini (che prometteva gran gloria all'annunciata De Vita S. Sebastiani), a Paolo Portarelli, a Niccolò Buttafoco e a Filippo Paruta.
Molto si compiaceva il B. della versione degli Emblemas morales,perduta tranne pochi frammenti, a parte le polemiche che dovevano riflettersi in un libro De ratione Emblematum (sull'altra controversia che impegnò gli ultimi anni dello scrittore doveva far luce uno scritto contro Ambrogio Beneventano e forse certi Discorsi piacevoli citati dal Triolo). La Salutazione angelica piacque al Paruta e appartiene a una serie cospicua di scritti religiosi che comprende I disegni di Christo, La salutazione di Nostra Signora, ossia l'Ave Maria. Ragionamento spirituale a Francesca Battiata, L'Anchore, un "ragionamento spirituale" sulle "quattro ancore dell'evangelica perfezione" tradotta dal B. anche in spagnolo come La Piramide e una biografia dei Moncada che esisteva ancora nel 1782 presso l'archivio dei principi di Paternò. Testimonianze indirette e citazioni del B. ricordano ancora una Vita P. Thomae Schiphaldi, breve appunto biografico sull'umanista marsalese, un libro intitolato Cornias di cui si ignora l'argomento, Sei canzoni di Carnalà commentate tenute presenti dal Triolo, Il Pinzochero ,uno scritto Contro i cattivi pittori e alcuni Paragrafi contro un pittore ignorante, un libro Delle Ephemeridi di Moncada "scritto-diceva il poeta - parte da sua mano e parte da mia", certi componimenti satirici (Cruena, Epactaria, Malleus, Psittacus) e un Testamentum Bagolini ad Tertulliani exemplum.
Bibl.: Palermo, Bibl. Com., cod. miscell. segn. Qq. F. 231: J. M. Amatus, Vita Sebastiani Bagolini; Alcamo, Bibl. Com.: I. De Blasi, Discorso dell'opulenta città di Alcamo; A. Mongitore, Bibliotheca sicula, II, Panormi 1708, pp. 213 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 66 s.; G. Triolo Galifi, Lettera apologetica di Dafni Orinisio ad Olinto Drepaneo, Palermo 1787; Id., Osservazioni sopra le Memorie della vita e virtù del B. Arcangelo scritte dal Sac. D. Pietro Longo di Calatafimi, Palermo 1805; [G. Speciale], Lettera, in Giornale di Sicilia, n. 18, 2 dic. 1794; G. E. Ortolani, Bibliografia degli uomini illustri di Sicilia, I, Napoli 1817, pp. 77 ss.; A. Di Giovanni Mira, Ragionamento su i migliori storici e poeti latini del sec. XVI in Sicilia, Palermo 1832, pp. 21-38; B. Palazzotto, Notizie che riguardano alcuni manoscritti esistenti nella pubblica libreria del comune di Palermo, in Giorn. di scienze lettere e arti per la Sicilia, LXI (1838), pp. 292-297; V. Di Giovanni, Degli scrittori siciliani omessi nella storia della letteratura italiana di Cesare Cantù, in Filologia e letteratura siciliana, II, Palermo 1871, pp. 323-343; Id., I prosatori siciliani ne' due secoli XVI e XVII, ibid., pp. 277-311; Id., Veronica Lazio poetessa alcamese creduta anteriore a Ciullo, ibid., III, Palermo 1879, pp. 242-245; Id., Tommaso Schifaldo umanista siciliano del sec. XV, ibid., pp. 246-251; Id., La libreria di S. B. e l'"Hortensius" di Cicerone nel 1597, ibid., pp. 252-258; U. A. Amico, S. B. poeta latino del sec. XVI, Palermo 1874; Id., S. B.Studio storico, Palermo 1880; F. M. Mirabella, Di un codice autografo di S. B., in Nuove Effemeridi siciliane, s. 3, V (1877), pp. 34-54; Id., Marco Gentiluccio poeta italiano e latino del sec. XVI, ibid., s. 3, VIII (1878), pp. 152-169; Id., Dodici epigrammi inediti di S. B. tratti da un manoscritto del suo tempo, ibid., s. 3, XI (1881), pp. 273-280; Id., Degli Emblemi Morali di Mons. Giovanni Orosco tradotti da S. B.: notizie e saggio, ibid., s. 3, XII (1882), pp. 269-284; Id., Di Leonardo Bagolino pittore del sec. XVI e di una sua tela esistente in Alcamo, in Arch. stor. siciliano, n. s., VI(1882), pp. 416-427; Id., Un documento che rischiara la prima stampa de' carmi di S. B., in Il Bibliofilo, IV (1883), pp. 72-74; Id., Di alcuni disegni e dipinti del poeta S. B., in Arch. stor. siciliano, n. s., IX (1884), pp. 430-437; Id., S. B. poeta latino ed erudito del sec. XVI, in Arch. stor. siciliano, n. s., XXXIII (1908), pp. 105-266; XXXIV (1909), pp. 1-32; XXXV (1910), pp. 1-32, 245-292; XXXVI (1911), pp. 77-112, 396-430; F. Evola, Di alcune poesie inedite di S. B., in Il Bibliofilo, II(1881), pp. 149-152; Id., Sopra un documento che rischiara l'edizione delle poesie di S. B. pubblicate in Palermo nei primi anni del sec. XVII, in Arch. stor. siciliano, n. s., VIII (1883), pp. 170-174; Id., Sulla stampa siciliana fuori di Palermo e di Messina nei sec. XVI e XVII, Palermo 1885, pp. 17-20; G. B. Quinci, Lavori di G. L. B. nell'antico duomo di Mazara, in Arch. stor. sicil., XVI(1938) pp. 527 ss.; D. Adragna, S. B. poeta alcamese del sec. XVI, Alcamo 1932; F. Vivona, S. B. poeta e umanista alcamese, Roma 1935.