CIAMPI, Sebastiano
Nacque a Pistoia il 30 ott. 1769 da famiglia povera; compì gratuitamente i primi studi nel seminario della sua città e a ventisei anni fu ordinato sacerdote, senza vocazione. Frequentata per un breve periodo l'università di Pisa, si trasferì a Roma nell'estate del 1796 ad insegnare retorica e greco nel collegio Bandinelli. Dopo l'invasione francese e la proclamazione della Repubblica, seguì in Austria il principe Baldassarre Odescalchi, quale segretario, cappellano e precettore dei figli, soggiornand circa un anno tra Vienna e Presburgo e perfezionando lo studio del greco. Nel 1801 fu nominato da Ludovico di Borbone, re d'Etruria, lettore onorario dell'università di Pisa, con la garanzia di un insegnamento stabile e retribuito perl'anno successivo. Così, a partire dal 1802, la condizione del C. migliorò definitivamente: insieme all'insegnamento universitario di dialettica e lingua greca (poi mutato in quello delle antichità etrusche e della letteratura greca e latina) egli svolse, infatti, anche le funzioni di governatore e amministratore del collegio Ricci.
In questo periodo pisano il C. fu occupato da interessi eterogenei, pubblicando traduzioni dal greco e numerosi lavori di varia erudizione. In particolare, portò un contributo alla conoscenza di Cino da Pistoia, ponendo in rilievo il valore delle sue opere giuridiche (Memorie della vita di messer Cino da Pistoia, Pisa 1808), e alla storia dell'arte medievale (Notizie inedite della sagrestia pistoiese de' belli arredi del cwnpo santo pisano e di altre opere di disegno dal secolo XII al XV, Firenze 1810). Sviluppò inoltre il metodo delle ricerche biografiche (su N. Forteguerri, l'umanista pistoiese Sozomeno, L. A Pagnini e G. Viani), che più tardi avrebbe applicato nei suoi studi di argomento italo-polacco; entrò in polemica con A. Mai, intuendo che l'opera da lui pubblicata come epitome di Dionigi d'Alicarnasso poteva essere piuttosto una raccolta di estratti, riferentisi a episodi mal coordinati (Estratto delle osservazioni sopra la epitome di Dionisio d'Alicarnasso lette in Firenze, Pisa 1816); infine intervenne sulla questione delle origini della lingua italiana, radicalizzando la tesi della derivazione dalla tarda e volgare latinità (De usu linguae Italicae saltem a saeculo quinto, Pisis 1817).
La conferenza su Dionigi d'Alicarnasso, tenuta all'ateneo fiorentino, fece un'impressione parzialmente positiva al Niebuhr, allora in visita nella capitale toscana. Questi, in un giudizio molto severo sulla filologia e, in genere, sulla classe colta italiana (faceva eccezione per i veneziani, tra i quali si sentiva a suo agio), riconobbe all'abate C. ("von dem ich diesen Morgen eine Vorlesung in der Academia Italiana gehört habe") qualche merito al confronto con gli altri eruditi toscani; ma anch'egli - aggiungeva - nella dotta Germania ("bey uns") si sarebbe dovuto contentare di un posto in un ginnasio (lettera di B. G. Niebuhr alla classe storico-filologica dell'Accademia delle scienze di Berlino, Firenze, 23 sett. 1816, in A. Harnack, Geschichte der Königlichen Preussischen Akademie der Wissenschaften, Berlin 1900, II, pp. 386 s.).
Già nella sua prima opera a stampa (Riflessioni sulla necessità di studiare li antichi scrittori, Venezia 1800) il C. aveva assunto la posizione conservatrice che avrebbe caratterizzato anche le fasi successive della sua attività di studio.
In polemica con il Cesarotti, che pretendeva riformare Omero con tagli e rifacimenti, egli condannava la "bramosia della sregolata novità" e biasimava il secolo che, respinto ogni retaggio, seguiva gli incerti suggerimenti della "ragione" e del "gusto". Ma l'assimilazione dell'antico non era per lui altro che scolastico apprendimento: "Bisogna avere la testa piena della buona lettura e poi, scrivendo, servirsi di quello degli altri come se fosse proprio"; "il ben rubare e il bene imitare conducono a lodevolmente riformare l'antico". Così, professando ammirazione per il Tasso (d'altronde bilanciata da uguale fervore per il "divino Ariosto") poneva l'arte della Gerusalemme nella fedele aderenza ai modelli epici (ibid., pp. 14, 18, 55). Anche in uno scritto più tardo il rapporto coi classici restava negli stessi termini: "Haud omne quod vetus est innovandum, quia vetus; sed fulciendum potius, purgandumque ab illis, quae temporum vicissitudinibus irrepserint labes et vitia; additis immutatisve quaecumque ratio temporum postularit"; ma le esigenze del tempo presente avevano per lui un ruolo marginale, restando limitate al variare di elementi esteriori come gli usi e costumi correnti. In effetti il classicismo del C. s'era fatto più rigido: ora egli identificava la restauratio della repubblica letteraria con la riduzione della cultura e della stessa lingua latina al suo Graecum fons (De veteribus institutis in re literaria pro temporum opportunitate sartis tectisque servandis, Florentiae 1815, p. II).
Scontento dell'ambiente pisano a causa di polemiche letterarie e di forti dissapori col consiglio accademico (gli s'intimava di cessare la convivenza con una domestica già sposata, che invece, più tardi, l'avrebbe seguito nel soggiorno polacco), il C. fu subito interessato dalla prospettiva, apertagli nel maggio 1817 dall'archeologo svedese David Akerblad, di assumere la cattedra di letteratura greca e latina nella università di Varsavia, di recente fondazione: egli stesso stabilì i termini del contratto col conte Józef Sierakowski, membro della Commissione per il culto e l'istruzione pubblica del regno di Polonia, che aveva conosciuto durante un suo viaggio in Italia negli anni napoleonici; il 14 settembre, ottenuto il necessario nullaosta del governo toscano, partì alla volta di Varsavia. A Venezia si fermò a salutare l'amico I. Morelli, bibliotecario della Marciana, che lo munì di una commendatizia per lo stessa Sierakowski (altre lettere di raccomandazione recava da Pisa per il conte di Capodistria, ministro. di Alessandro I). Giunto a Varsavia il 12 novembre dopo im viággio difficoltoso, il C. non trovò l'accoglienza che aveva sperato; apprese, inoltre, che non era l'unico filologo della facoltà e che, anzi, si trovavano a Varsavia due professori tedeschi di filologia, uno dei quali aveva già iniziato le lezioni spiegando Omero. Superate le prime difficoltà finanziarie (oltre allo stipendio di professore, percepì anche una rendita quale canonico della cattedrale di Kielce e poi di Sandomierz), continuò a trovarsi a mal partito per la sua cattiva conoscenza delle lingue moderne. Nella sua corrispondenza col conte Galeani Napione, con l'archeologo perugino G. B. Vermiglioli, col filologo C. Lucchesini e con Alphonse Mahul, condirettore della parigina Revue encyclopédique, il C. fornì un quadro poco lusinghiero della cultura polacca, limitandosi comunque a rilievi molto generici. I suoi strali contro la dominante filologia tedesca, che."sparge qui una nebbia che offusca l'aria", ricordano l'antigermanesimo del giovane Leopardi, riaffiorante nei Paralipomeni, e tradiscono il suo classicismo antilluministico e antiromantico. Le sue Feriae Varsavienses, seu vindiciae literariae, pubblicate a Varsavia negli anni 1818-20, erano raccolte di brevi contributi filologici e archeologici, che riprendevano la polemica col Mai sull'epitome di Dionigi e la questione delle origini della lingua italiana, presentavano osservazioni sul testo di Pausania e una disquisizione ortografica sull'uso della preposizione a oppure ab di fronte a vocaboli che iniziano per consonante; una nota incidentale sulla scarsa ospitalità e finezza dei polacchi provocò uno scontro col filologo Lidwik Sobolewski, professore a Vilna. Contemporaneamente il C. si guastava con le autorità accademiche, rifiutando di partecipare alle riunioni della sua facoltà e pretendendo un compenso speciale per alcune ore supplementari; non ebbe successo neppure la sua collaborazione al Dziennik Wileńki (Giornale di Vilna), che era poco interessato alle questioni di antiquaria e di letteratura latina. Sul finire del 1821 il C. era stanco dell'insegnamento a Varsavia; ma non volendo troncare i rapporti col governo polacco, proponeva alla Commissione per il culto e l'istruzione pubblica di affidargli il ruolo di corrispondente scientifico all'estero e ricercatore di Polonica in Italia. La proposta incontrò il favore della parte polacca. Egli presentò le dimissioni dall'insegnamento universitario il 28 giugno 1822, e in data 1° luglio la commissione governativa lo nominò suo corrispondente all'estero, fornendogli istruzioni che elencavano fino al dettaglio i nuovi compiti cui era chiamato.
Il C. avrebbe dato notizia, con frequenza trimestrale, delle scoperte scientifiche e delle pubblicazioni italiane, concernenti sia il mondo classico sia quello slavo; avrebbe compiuto ricerche sulla fonnazione in Italia di artisti polacchi e sulla genealogia di famiglie nobili italiane trasferitesi in Polonia; ma, soprattutto, avrebbe inviato alla commissione estratti e trascrizioni accurate di documenti sulla storia civile ed ecclesiastica della Polonia e dei paesi slavi. Era bene - continuavano le istruzioni - che si stabilisse in una città dell'Itafia centrale come Firenze, ma era anche opportuno che esplorasse le raccolte di Roma, Venezia e Napoli, importanti per la genesi della lega santa, i rapporti commerciali e le vicende di Bona Sforza. A questi fini, era indispensabile che il C. acquistasse "conoscenza della raccolta di estratti per la storia polacca compiuta da Albertrandi in Italia, che ora si trova nella biblioteca di Pulawy" (T. Wierzbowski, Materialy, pp. 208 s.).
Tali istruzioni., che rispecchiavano la prospettiva culturale delgoverno di Varsavia, orientato a potenziare in primo luogo la ricerca erudita sulla storia nazionale, influenzarono largamente l'attività dei C. nella sua ultima fase. Stabilitosi a Firenze, tornò in parte ai suoi vecchi interessi: identificò un autografo del Boccaccio in carattere corsivo: un quaderno di appunti storici, geografici e mitologici (Monumenti d'un manoscritto autografo di messer Giovanni Boccaccio da Certaldo, Firenze 1827), ed esegui una traduzione commentata di Pausania (La Grecia descritta da Pausama. Volgarizzamento con note al testo ed illustrazioni filologiche, antiquarie e critiche, I-VI, Milano 1826-41). Ma soprattutto si dedicò alle ricerche sulla storia della Polonia e della Russia. Pubblicò un catalogo di documenti relativi alla storia polacca, materiali sulla vicenda del falso Demetrio e sull'azione diplomatica del gesuita Possevino, una storia dell'interregno dopo la morte di Stefano Báthory (da lui attribuita a G. M. Bruto). Curando la corrispondenzà e lo scambio d'informazioni erudite con Joachim Lelewel, strinse rapporti personali col Vieusseux ed i suoi collaboratori, che ne seppero tollerare il difficile carattere e gli testimoniarono anzi affettuosa stima. Sull'Antologia annunciò i suoi studi italo-polacchi (Lettera a P. Vieusseux, XX[1825], 59, pp. 92-95) e pubblicò due interessanti recensioni.
Nella prima (rec. a S. Ligurti, Storia della Polonia dal tempo dei Sarmati fino a' dì nostri, Milano 1825, ibid., XXI [1825], 62, pp. 23-57)fornivaalcune notizie sulla conoscenza della storia polacca in Italia e ricordava con accenti risorgimentali le "azioni eroiche di que' soldati polacchi, i quali correndo dietro all'ombra della estinta lor patria si lasciarono guidare dalle sponde del Nilo sino all'isola di Sandomingo; o dalle estremità delle Spagne sino alle porte di Mosca, sempre sulla via dell'onore e del dovere" (ibid., p. 32). Nella seconda (rec. a L. Cicognara, Dell'origine, composizione e decomposizione de' nielli, Venezia 1827, seguita da una Appendice sullo stato dell'arti e della civiltà in Russia, prima del regno di Pietro il Grande, ibid., XXXI [1828], 91, pp. 50-59; 92, pp. 19-38)prendeva spunto da una questione minuta, come una speciale tecnica di oreficeria, per negare che l'invasione tartara avesse respinto la Russia in una rinnovata barbarie fino all'epoca di Pietro e di Caterina, e per dimostrare la continuità della vita culturale, indicando l'apporto di artisti italiani già durante il regno di Ivan III. "Pietro il Grande - concludeva - non già trasse dal sepolcro della rozzezza la Russia, ma cambiò in parte la civiltà nazionale con la civiltà europea" (ibid., p. 34). Egli utilizzava relazioni inedite di ambasciatori e nunzi, insieme alle opere a stampa del tardo umanesimo italiano (dalla Sarmazia del Guagnino alla Moscovia del Possevino alle Guerre civili di A. Vimina); gli mancava, però, qualsiasi informazione sullo studio del mondo russo in Francia e in Germania, in tempi recenti.
Nel 1830 si recò nuovamente in Polonia per un viaggio di studio, lavorando nella biblioteca dei Czartoryski a Puławy, come aveva auspicato la commissione governativa polacca nelle sue istruzioni del '22. Di ritorno, diede notizia dei risultati scientifici dei suo soggiorno, delineando per l'occasioúe un'immagine idillica di Pulawy e della stessa capitale (Viaggioin Polonia... nella state del 1830 con la breve descrizione di Varsavia e con altre notizie di lettere, arti, commercio, Firenze 1831). La rivoluzione e la guerra in Polonia nel 1830-31 non destarono emozione nel suo animo. All'amico F. L. Polidori confidò generici sentimenti di simpatia per la causa della libertà; ma era soprattutto ansioso che l'ordine venisse comunque restaurato, o con la vittoria dei patrioti o con la restaurazione dell'autorità zarista, e che finalmente potesse riprendere il regolare versamento dei suoi stipendi, interrotto in quella emergenza. Anche le più prossime vicende italiane gli suggerirono solo considerazioni e dichiarazioni opportunistiche. Non era passato un anno dalla sconfitta dei moti rivoluzionari nell'Italia centrale, per intervento dell'esercito austriaco. che il C. sosteneva in una orazione pubblica come la decadenza nazionale traesst origini, dalle civili discordie, e non dalle invasioni dei barbari (Colpod'occhio storico-politico..., in Poligrafo. Giornale di scienze, lettere ed arti [Verona], IX [1832], 23, pp. 321-337).
Nel 1830 aveva pubblicato a Lucca la prima opera sistematica di argomento polacco, Notizie dimedici, maestri dimusica e cantori, pittori, architetti, scultori ed altri artisti italiani in Polonia e polacchi in Italia. Dopo, il soggiorno a Pulawy diede alle stampe le Notizie dei secc. XV e XVI sull'Italia, Polonia e Russia... colle vite di Bona Sforza de' duchi di Milano regina di Polonia e di Giovanni de' Medici detto delle Bande Nere, Firenze 1833. Seguì infine l'opera più comprensiva, dov'erano fusi i risultati dei lavori precedenti: la grande Bibliografia critica delle antiche reciproche corrispondenze politiche, ecclesiastiche, scientifiche, letterarie, artistiche dell'Italia colla Russia, colla Polonia e altre parti settentrionali, I-III, Firenze 1834-42 (l'ultimo volume fu arbitrariamente tagliato e ridotto dall'editore Piatti), ordinata anch'essa secondo un criterio biografico, basata su fonti edite e inedite prevalentemente latine e su alcuni materiali d'archivio, ma sfornita di un apparato di riferimenti bibliografici. Benemerito degli studi italo-polacchi, il C. non poté godere i frutti della sua nuova fama. Nei suoi ultimi anni fu colpito da una forma di violenta fallia; morì in una villa presso Firenze, il 14 nov. 1847.
Fonti e bibl.: L'autobiografia incompiuta del C., dal titolo Ecce homo, sitrova nella Bibl. Forteguerriana di Pistoia, ms. E 361, fasc. I; alcuni passi del capitolo V, relativi al viaggio e alle prime esperienze polacche, sono stati pubblicati da V. Branca, S. C. in Polonia e la Biblioteca Czartoryski (Boccaccio, Petrarca e Cino da Pistoia), Wrocław-Warszawa-Kraków 1970, pp. 19-31- Un primo lavoro biogr. sul C. fu compilato a circa un, decennio dalla sua morte da F. L. Polidori, un letterato di provincia in rapporto col Vieusseux e col Tommaseo, ed è conservato nella Bibl. comunale Federiciana di Fano, sala VIII, ms. Polidori, n. 12; la parte terza di questa biografia, che utilizza anche il ricordo di conversazioni avute dall'autore col vecchio C., è stata pubblicata sempre da V. Branca, S. C. e il suo soggiorno in Polonia (1817-1822) nell'ined. biografia scritta da F. L. Polidori, in Relazioni tra Padova e la Polonia. Studi in on. dell'univ. di Cracovia nel VI centenario della sua fondazione, Padova 1964, pp. 198-219, V. anche G. Bonacchi Gazzarini, S. C. nella storiogr. artistica tra il Settecento e l'Ottocento, in Bull. stor. pistoiese, s. 3, IV(1969), pp. 3-42; V (1970), pp. 21-34; B. Bruni, Gliultimi annidi S. C., ibid., VI (1971), pp. 21-28. La scienza antiquaria e persino la filologia del C. ebbero il costante apprezzamento di Niccolò Tommaseo, che dai lavori dell'erudito pistoiese sulla Grecia classica e sulla Polonia moderna trasse spunto per considerazioni generali di vario ordine (necessità della collaborazione internazionale nel quadro dì una rinnovata repubblica delle lettere, interesse delle vicende degli esuli italiani Oltralpe ai fini della storia nazionale, aflinità tra le sorti infelici di Italia e Grecia, Italia e Polonia). Cfr., del Tominaseo, le testimonianze e i giudizi forniti nelle, seguenti opere: rec. al primo volume della trad. di Pausania, in Antologia, XXIV(1826), 70, pp. 86-98; rec. a Narraz. delle cose avvenutea Mosca addì 20 settembre del 1682, a cura di S. Ciampi, Firenze 1829, ibid., XXXIV(1829), 101, pp. 126 ss.; rec. a S. Ciampi, Sulla falsitàdella lettera di G. Boccaccio al priore della chiesade' Santi Apostoli..., Firenze 1830, ibid., XXXVIII (1830). 114, pp. 104 ss.; rec. a S. Ciampi, Notizie di medici, pittori, architetti, ibid., XLI (1831), 123, pp. 122 ss.; rec. al terzo volume della trad. di Pausania, ibid., XLVIII (1832), 143, p. 57; Dizionario estetico (Nuovi scritti, III), Venezia 1840, pp. 83-89; Avvertimento, a Ricordi di unafamiglia senese del sec. decimoterzo, in Arch. stor. ital., App., V(1847), p. 13; Di G. P. Vieusseux, Firenze 1863, pp. 123 s.; Dizionario estetico, Firenze 1867, pp. 316 s., 939; lettere a G. Capponi, 14-16 marzo e 15 maggio 1836, in N. Tommaseo-G. Capponi, Carteggio ined. dal 1833 al 1876, a cura di I. Del Lungo - P. Prunas, Bologna 1911, I, pp. 392, 418; Un affetto. Memorie politiche, a cura di M. Cataudella, Roma 1974, p. 43. Cfr. inoltre: G. La Farina, Epistolario, a cura di A. Franchi, Milano 1869, I, pp. 63 s.; L. G. Pellissier, Lettres inédites de S. C. (1819-1831), in Bull. stor. pistoiese, I(1899), pp. 121-134; Materialydo dziejów piśmiennictwa polskiego i biografii pisarzów polskich (Materiali per la storia della letteratura polacca e per la biografia degli scrittori polacchi), a cura di T. Wierzbowski, Warszawa 1904, II, pp. 180 s., 207 ss.; G. Zaccagnini, Tommaso Puccini e S. C., in Bull. stor. pistoiese, VI (1904), pp. 52-60; F. Bugiani, S. C. nello Studiopisano dal 1801 al 1817, ibid., pp. 141-152; VII (1905), pp. 60- 71; J. Bieliński, Królewski Uniwersytet Warszawski, 1816-1831 (La Regia univ. di Varsavia, 1816-1831), Warszawa 1911, II, pp. 392-395 e passim;M. L. Panicalli, S. C. e la suaattività letter. in Polonia, Fano 1932; H. Barycz, S. C. i jego działałność literacka w Polsce (S. C. e la sua attività letteraria in Polonia), in Przegla̢dWspşłczesny, XLIX (1934), 146, pp. 467-479; M.-M. Bersano-Begey, La Polonia in Italia. Saggio bibliografico 1899-1948, Torino 1949, ad nomen;N. Tominaseo-G. P. Vicusseux, Carteggioinedito, a cura di R. Ciampini - P. Ciureami, Roma 1956, I, ad nomen;A. Cronia, La conoscenzadel mondo slavo in Italia. Bilancio storico-bibliogr. di un millennio, Padova 1958, pp. 423 ss. e passim;Księga Protokołów Rady ogólnej Uniwersytetu Warszawskiego 1817-1819 (I protocolli del Consiglio generale dell'univ. di Varsavia 1817-1819), a cura di R. Gerber, Warszawa 1958, adnomen;K. Estreicher. Bibliografia polska XIXstulecia (Bibliografia polacca del sec. XIX), Kraków 1962, pp. 212-215; K. Barycz, Spojrzenia wprzeszłość polsko-włoska̢(Considerazioni sul passato dei rapporti polacco-italiani), Wrocław-Warszawa-Kraków 1965, pp. 392-403; G. Leopardi, Scritti filologici 1817-1832, a cura di G. Pacella-S. Timpanaro, Firenze 1969, p. 10; Id., Zibaldone di pensieri, in Tutte le opere, a cura di W. Binni - E. Ghidetti, Firenze 1969, II, pp. 284, 343; A. Busiri Vici, IPoniatowski e Roma, Firenze 1971, pp. 48, 334, 433, 437; I. Pirievec, Niccolò Tommaseo tra Italia e Slavia, Venezia 1977, p. 31; R. K. Lewański, Polonica rękopiśmienna warchiwach i bibliotekach włoskich (Manoscritti riguardanti la Polonia nelle bibl. e negli arch. italiani), Warszawa 1978, ad nomen;S. Timpanaro, La filologia di G. Leopardi, Roma-Bari 1978, pp. 33-38, 55, 97.