FOSCARINI, Sebastiano
Figlio di Pietro (chiamato sempre dal Sanuto "el dotor", per distinguerlo da un omonimo, figlio di Nicolò, vicesopracomito) e di Chiara Querini Stampalia, nacque probabilmente nel 1478, visto che il padre lo presentò alla prova della Balla d'oro il 9 marzo 1496 (Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Balla d'oro, vol. III, c. 166v).
Addottoratosi in artibus a Padova il 4 luglio 1504, avendo come promotore Bartolomeo da Montagnana (Padova, Arch. della Curia vescovile, Acta graduum, vol. 47, c. 287r), il 14 giugno 1505 venne eletto dal Senato lettore di filosofia nella veneziana Scuola di Rialto, succedendo ad Antonio Giustinian, e il 6 novembre dello stesso anno dava principio alle sue letture, con un'orazione pronunziata da Bernardo Zorzi nella chiesa di S. Giovanni di Rialto. Contemporaneamente aveva inizio la sua vita politica: non avrebbe ricoperto mai cariche importanti, ma la misura della considerazione in cui era tenuto da tutto il patriziato veneziano si desume dal fatto che il F. fosse puntualmente scelto per il corteggio del doge nelle feste o per accompagnare dalla Signoria ambasciatori e sovrani e dall'interesse col quale venivano ascoltati i suoi interventi sull'organizzazione degli studi in Venezia e Padova e venivano sollecitati i suoi consigli sui rapporti sempre tesi di Venezia con Roma.
Il 14 ag. 1515 il F. entrava per la prima volta in Pregadi: era un momento economicamente e militarmente difficile per lo Stato e gli altri consiglieri scherzosamente commentarono così la sua elezione: "il Conseio si la rise grandemente, quasi dicat non bisogna philosophia ma danari" (Sanuto, XX, col. 521). Il 25 luglio 1516 fu eletto procuratore sopra gli Atti dei sopragastaldati e il 2 maggio 1518 fu fatto "provedador a le Biave". Il 10 nov. 1519 e il 10 febbr. 1520 vennero ascoltati con interesse due suoi interventi in Senato sul permesso da accordare o meno agli ebrei di esercitare il prestito a usura: il F. non entrò nel merito dell'opportunità del provvedimento, tenne solo a far notare al Senato come la concessione non potesse dipendere da una previa autorizzazione papale.
Sin da questo primo intervento, e poi sempre, al F. importerà dunque richiamare l'attenzione sulla limitatezza dei poteri del pontefice e sull'inopportunità politica di riconoscergli un potere sull'ordinamento dello Stato che egli si era arrogato, ma che non aveva mai avuto.
Intanto mentre il F. continuava a tenere l'insegnamento principale di filosofia a Rialto, per la logica lo sostituì per tre anni, probabilmente tra il 1518 e il 1521, Domenico Loredan. Il 30 sett. 1520 fu fatto della zonta, l'8 giugno 1521 fu eletto per due anni consigliere a Cipro e quindi il 20 dello stesso mese ottenne dal Senato il permesso di porre in suo luogo un sostituto, riservandosi il diritto di recuperare il suo posto al ritorno; il 20 ag. 1521 fu infatti designato a sostituirlo un suo scolaro, il futuro doge Nicolò Da Ponte. Il 29 nov. 1523 rientrò da Cipro, venne in Collegio, riferì della sua missione e nei giorni seguenti riprese il suo posto a Rialto. Qui tra il 1524 e il 1527 lo sostituì per la logica, pagato da lui stesso, il trevisano Antonio Marin, probabilmente già suo scolaro. Il 18 nov. 1524 fu fatto dei Cinque di respecto, il 12 dic. 1525 venne scelto, con altri, arbitro delle controversie tra il patriarca di Aquileia, cardinal Marino Grimani, e la Comunità di San Vito nel Friuli, e fu poi eletto per due anni di seguito nella zonta il 30 sett. 1526 e il 30 sett. 1527. Il 17 ott. 1528 diventò per la prima volta riformatore dello Studio di Padova, carica biennale alla quale sarebbe stato rieletto il 23 marzo 1532 e nel 1545, occasione, quest'ultima, nella quale insieme con i suoi colleghi Marcantonio Venier e Nicolò Da Ponte, fece compilare un catalogo della Biblioteca bessarionea (ora Bibl. nazionale Marciana di Venezia, Mss.Lat., cl. XIV, 16 [=4053]). Frattanto tra il 1530 il 1531 si sposò con Elisabetta Ruzzini "vedoa di tre maridi" (Sanuto, LIV, col. 267). Il 25 febbr. 1531 venne chiamato a far parte di una zonta formata per dirimere i contrasti sorti tra i membri di una potente consorteria feudale friulana, i conti Savorgnan, mentre il 9 maggio fu eletto dei Dieci "sopra la Reformation della terra", il 23 nov. 1531 "provedador sopra le Muneghe et Gastaldi" e il 18 apr. 1533 "provedador al Sale".
Per quanto riguarda la Scuola di Rialto, il F. dal 12 apr. 1530 aveva chiesto, probabilmente per problemi di salute, e ottenuto dal Senato di poter essere sostituito: in ogni modo tra il 1532 e il 1533 egli faceva ancora lezione a Rialto, mentre certamente dal novembre 1537 al giugno 1539 lo sostituì Nicolò Da Ponte (Arch. di Stato di Venezia, Procuratore de citra, b. 141: Commissaria Tomà Talenti, fasc. 4); in seguito, dal novembre 1540 alla sua morte, il F. ritornò ininterrottamente titolare dell'insegnamento (ibid.). Negli anni intorno al 1530 la sua azione politica si concentrò soprattutto sui problemi dell'università di Padova e sui rapporti di Venezia con Roma. Numerosi i suoi interventi su problemi dello Studio sia da semplice senatore (il 2 dic. 1517 per il sostituto del Musuro alla cattedra di greco a Rialto) sia da riformatore dello Studio di Padova: il 12 ott. 1528 intervenne contro un aumento di stipendio del giurista Franceschino da Corte col dire "che si meteria confusion nel Studio et non si voria dar el primo loco ad alcun, ma ben farli concorenti" (Sanuto, XLIX, col. 97) e il 29 sett. 1530 per proporre alla cattedra padovana di greco Lazzaro Bonamico; fu in questa veste, anzi, che una certa sua severità antiumanistica da aristotelico rigoroso lo pose, nel luglio del 1532, in contrasto con Pietro Bembo, che da Padova cercava di convincere la Signoria veneta a chiamare a una delle letture di diritto civile A. Alciato, mentre un rappresentante della vecchia scuola giuridica, G.B. Rossi detto l'Alessandrino, era il favorito del F.: "il qual Foscarini", scriverà il Bembo da Padova a G.B. Ramusio il 7 luglio 1532, "non so come par che sempre abbia avuto in odio tutte le buone lettere in ogni facoltà" (Opere, IX, Milano 1810, p. 471).
Attiva parte egli prese anche alle discussioni sui contrasti riaccesisi in quegli anni con Roma; il 1° sett. 1525 il Collegio commise a lui e ad Antonio Surian di dare un parere sulla questione che occuperà poi per molti anni la Signoria veneta, bisognosa di danari: se fosse giusto che lo Stato tassasse gli ecclesiastici del Dominio e soprattutto se si dovesse, per far questo, chiedere sempre il permesso al papa; in questo, come nel caso sopra ricordato delle usure, il 14 ottobre di quell'anno il F., geloso e tenace custode dell'indipendenza dell'ordinamento civile da ogni ingerenza dell'autorità ecclesiastica, avrebbe fatto in Collegio un intervento estremamente vigoroso, sostenendo che la Signoria poteva "levar decime" dal clero e sottolineando, soprattutto, come sia essa sia il clero non avessero bisogno dell'autorizzazione papale.
Nessuna evidenza, come invece pensa F. Gaeta, che il F. facesse parte dei cenacoli filoprotestanti veneziani, ma certo, anche sotto l'azione delle visibili politiche di questi, si rafforzarono meglio in questo periodo in lui - e in un altro gruppo di patrizi - idee già ben vive, come abbiamo visto, dal 1519: una sorta di sarpismo ante litteram, che sarà poi presente anche nell'azione politica del suo scolaro, il doge Nicolò Da Ponte, un invito sempre ripetuto pubblicamente e privatamente alla tutela dei diritti dell'autorità civile basato saldamente su una diagnosi storica dei poteri che nei secoli la Chiesa aveva usurpato allo Stato. Si spiega così l'atteggiamento del F. nei confronti sia del problema della rivendicazione a Venezia del diritto di nomina alle sedi vescovili, sia dell'esigenza di fare rispettare, contro le pretese di Roma, la vecchia legge, concepita per il miglior governo delle diocesi, che proibiva l'accumulo dei vescovadi.
Il 7 luglio 1533 in Pregadi "andò in renga… et disse gran mal de' Pontefici et narò el modo come sia absonto l'autorità et fe' un bel discorso concludendo non se sia dar li vescoadi in comenda" (Sanuto, LVIII, col. 537). Per questi atteggiamenti e opinioni egli veniva tenuto d'occhio già da tempo dal nunzio pontificio Girolamo Aleandro, che ci informa, in una sua lettera a P. Carnesecchi del 23 apr. 1534, come il "pazzo et impio filosofo Foscareno" fosse venuto in contrasto nei consigli col futuro cardinale Gasparo Contarini, il quale, anzi, proprio per rispondere a uno dei suoi interventi sulle decime (o i primi del 1525, o con maggior probabilità uno più recente del 1532-1533) avrebbe scritto il primo abbozzo del suo trattato De potestate pontificis quod divinitus sit tradita (Florentiae 1553; cfr. Nunziature di Venezia, a cura di F. Gaeta, I, Roma 1958, p. 210). Alle opinioni del Contarini il F. ebbe poi forse occasione di ribattere quando il 5 maggio 1534 il Senato lo incaricò con altri sei patrizi - tra i quali Nicolò Tiepolo, destinatario del trattato contariniano - di studiare il problema giuridico delle decime (Arch. di Stato di Venezia, Senato. Terra, reg. 28, cc. 40v ss.).
Molto stimato per il suo sapere dal patriziato, dai suoi scolari e dai suoi colleghi, il F. prese parte puntualmente - così ci informa il Sanuto - o come contraddittore o come spettatore a tutte le "conclusiones" che si tenevano nelle varie chiese di Venezia, sia nel corso dell'anno sia a novembre per l'inizio dell'attività dello Studio; così era presente alla famosa prolusione di Luca Pacioli alle lezioni sul quinto libro di Euclide tenutasi nella chiesa di S. Bartolomeo l'11 ag. 1508 (Euclidis Megarensis Opera, Venetiis 1509, c. 31r). Il 19 marzo 1532 fu deputato dalla Signoria, insieme con altri dotti patrizi, tra i quali il suo antagonista politico Contarini, a dirimere i contrasti sorti tra i medici di Venezia sulla composizione della teriaca. Testimonianza della considerazione, anche affettuosa, nella quale egli era tenuto dall'ambiente intellettuale negli ultimi anni della sua vita sono le dedicatorie a lui rivolte, nel 1545, da Panfilo Monti dell'edizione veneziana delle opere dell'averroista bolognese Alessandro Achillini, e nel 1547, sempre a Venezia, da Michelangelo Biondo dell'opera di Guglielmo da Pastrengo De originibus rerum; nello stesso anno un suo scolaro, il medico Nicola Massa, gli dedicò un De tuenda valetudine ac de propaganda senectute (Epistulae medicinales et philosophicae, Venetiis 1550, cc. 16v-47r); nel 1549 il Massa avrebbe ricordato con ammirazione soprattutto l'opera politica del F. nella lettera con la quale invierà al Senato la sua Loica (Vinegia 1550, cc. B1v-B2r).
Il F. morì improvvisamente a Venezia il 26 nov. 1552 (M. Guazzo, Cronica, Venetia 1553, c. 432v) e fu sepolto in S. Maria Zobenico (F. Sansovino, Venetia città nobilissima…, Venetia 1581, c. 45r).
Il Guazzo accenna a scritti filosofici del F. che si conservavano presso i suoi eredi e F. Sansovino (c. 257v) ricorda almeno tre di queste opere: un De infinito, un De scientiis mediis e un De subiecto et propria passione. Verosimilmente tutto questo materiale è perduto, superstiti invece nel cod. 238 (ora 5238) della University of Toronto Library le recollectae di un suo corso sul primo libro della Fisica di Aristotele tenuto a Rialto tra il novembre 1532 e il febbraio 1533 (P.O. Kristeller, Iter Italicum, III, p. 146).
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss.It., cl. VII, 16 (=8305): G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, II, c. 91v; P. Contarini, Argoa voluptas, Venetiis 1541, c. 13r; S. Medici, De foenore Iudaeorum libri tres…, II, Venetiis 1555, c. c4r; A. Valeri, De recta philosophandi ratione, Veronae 1577, p. 14; M. Sanuto, Diarii, XX, XXVIII, XLIX, LIV, LVIII, Venezia 1879-1903, ad Indices; A. Zeno, Elogio del sig. V. Pasqualigo, in Giorn. de' letterati d'Italia, V (1711), pp. 366-371; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, II, Venezia 1752, pp. 383-386; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, Venezia 1824-1853, I, p. 113; II, pp. 62, 409 s.; III, pp. 362 s.; IV, pp. 508 s.; V, p. 63; VI, p. 549; O. Giardini, Nuove indagini sulla vita e le condotte di A. Alciato, in Arch. stor. lombardo, XXX (1903), 1, p. 311; B. Nardi, Saggi sull'aristotelismo padovano dal sec. XIV al XVI, Firenze 1958, pp. 168, 274, 290, 340 s.; F. Gaeta, Sul "De potestate pontificis" di G. Contarini, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XIII (1959), pp. 391-396; Id., Un nunzio pontificio a Venezia nel Cinquecento (G. Aleandro), Venezia-Roma 1960, pp. 76, 115, 122, 126; B. Nardi, Saggi sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento, Padova 1971, pp. 30, 69, 72-78, 82, 85, 87 s., 91 s., 94-97; F. Lepori, La scuola di Rialto…, in Storia della cultura veneta, 3, Dal primo Quattrocento…, II, pp. 593-597.