FRANCI, Sebastiano
Nacque il 1° giugno 1715 da Francesco Antonio e Laura Tinella e fu battezzato il 4 giugno a Pallanza (ora frazione di Verbania), sulla sponda piemontese del Lago Maggiore.
L'albero genealogico della famiglia faceva risalire a Pietro, consigliere ducale, luogotenente generale di Anchise Visconti e governatore del lago Maggiore e sue adiacenze, il titolo di conte palatino confermato dal diploma di Carlo V del 20 marzo 1541, a cui i discendenti aggiunsero l'investitura ottenuta dal vescovo di Como di una decima nel territorio di Brenta Valcuvia. Il lustro del casato non impedì al padre e agli zii del F. di esercitare, in ossequio del resto alle regole di ammissione alla nobiltà, la mercatura all'ingrosso di lana e seta, continuando sotto la ditta Eredi di Sebastiano Franci un'attività iniziata con ogni probabilità dal nonno Sebastiano (1632-1707).
Il F. sposò nel 1747 Lavinia Prata - figlia del nobile milanese Giuseppe e di Anna Pozzi - che gli portò in dote, oltre alla somma di 22.000 lire milanesi, la possessione detta la "Bornoccia", sita nel territorio di Caravaggio, di circa 822 pertiche di terreno irriguo. Nulla sappiamo di preciso circa la sua educazione, ma è certo che, non comparendo fra i membri del Collegio dei giureconsulti di Milano, né in quelli dei medici e ingegneri, si dedicò per tempo e al di fuori dei tradizionali percorsi di formazione agli studi economici. Già alla fine del 1757, infatti, il F. - intervenendo nel vivace dibattito apertosi anni prima sul problema monetario - dedicava a B. Cristiani, e poco dopo a C. Firmian, i suoi manoscritti Pensieri politici, civili ed economici in forma di sistema per regolamento delle monete nello Stato di Milano (Milano, Bibl. Braidense, AH.XI.14), che solo nel 1769 verranno pubblicati dallo stampatore milanese Galeazzi, dopo debita revisione e correzione, col titolo La moneta, oggetto istorico, civile e politico.
Furono con ogni probabilità questi spiccati e prevalenti interessi economici, lo stesso comune "desiderio di contribuire qualcosa alla pubblica utilità" che avvicinarono naturalmente il F. a quel gruppo di giovani e battaglieri intelletti che P. Verri cominciò a riunire intorno a sé fin dal 1761, dando vita all'Accademia dei Pugni. Di gran lunga il più anziano del gruppo, il F. fu un collaboratore importante del Caffè, fornendo nei due anni di vita del periodico (1764-66) sei articoli: Dialogo sull'agricoltura, Alcuni pensieri politici, Del lusso delle manifatture d'oro e d'argento, Osservazioni sulla questione se il commercio corrompa i costumi e la morale, Della precauzione contro le opinioni, Difesa delle donne.
Nel 1771, nel clima di collaborazione venutosi a creare tra il governo asburgico e le locali emergenti avanguardie culturali, ottenne l'incarico di ispettore della Zecca di Milano e Mantova al soldo annuo di 1.200 lire. La morte però, cogliendolo prematuramente a Milano il 20 giugno 1772, stroncò agli esordi la sua carriera amministrativa.
L'opera del F. si inscrive perfettamente in quel progetto di rinnovamento civile e culturale della società lombarda che aveva dato vita al Caffè e che si era tradotto in una consapevole e battagliera opera educativa sulla base di una sintesi di quanto il pensiero illuminista aveva già prodotto Oltralpe. Si trattava infatti di mostrare la falsità dei tanti pregiudizi correnti e di insegnare, come scriveva il F., "la precauzione contro i pregiudizi", per giungere a una determinazione della verità che, rifuggendo la pigrizia, la facile credulità e l'eccessivo rispetto dell'autorità, si fondasse unicamente "sull'esame dei modi suggeriti dalla ragione". Con un tale atteggiamento il F. poteva così rifiutare l'opinione comune secondo cui l'agricoltura lombarda aveva già raggiunto il massimo grado possibile di perfezione, indicando al contrario, sulla base di un'ampia e aggiornata conoscenza della letteratura agronomica, i possibili mezzi di miglioramento: la diffusione degli affitti a lungo termine, il dissodamento di brughiere e terre incolte, la migliore preparazione di terra e sementi, il perfezionamento tecnico della coltivazione della vite e del lino, l'introduzione di nuove culture capaci di fornire materie prime alle manifatture nazionali e, soprattutto, la diffusione di accademie agrarie, quale strumento più idoneo a promuovere e incentivare la nuova agronomia e a instaurare un nuovo rapporto di collaborazione tra proprietari e lavoratori fondato sulla scienza.
Se la felicità di una nazione si misurava "sulla quantità e qualità dei prodotti, sull'utilità dei lavori e sul numero degli abitanti mantenuti da quelli", il F. auspicava la fine prossima delle "guerre d'armi" e la loro sostituzione con la "guerra d'industria", meglio capace di difesa e di conquista e l'unica in grado di sconfiggere il primo e vero nemico di un principe e di una nazione: la povertà. La nuova fiducia nelle conseguenze pacifiche della potenza economica si traduceva conseguentemente nell'indicazione di un programma di vasta produzione che, moltiplicando e perfezionando i prodotti della terra, rendendo abbondanti e a buon mercato le manifatture attraverso una intelligente politica liberista, si affidava poi interamente al commercio che si rivelava lo strumento indispensabile a sostenere e promuovere la società.
Entro quest'ottica trovava soluzione anche il problema monetario. Se la situazione, in Lombardia come altrove, evidenziava un disordine monetario endemico con lo svilimento della moneta divisionale e di conto e con la circolazione caotica di tanti pezzi di diverso valore e peso incerto, il F., sulla base dell'assunzione della moneta come di "un corpo generico di commercio", proponeva di non fissarne il valore legale ma di indicarne solo il peso in "fino", lasciando al commercio e ai reali rapporti economici il compito di determinarne il valore. Secondo una concezione prevalentemente mercantilista, il F. ribadiva ulteriormente, dando una forma più compiuta al suo trattato dopo l'esperienza del Caffè, la richiesta di una politica capace di ottenere una bilancia commerciale attiva e appena mitigata da una prudente legge suntuaria volta a eliminare gli effetti economici negativi del lusso, quale mezzo più sicuro ad acquistare, aumentare e conservare, con la necessaria "abbondanza delle monete", la felicità della nazione.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Atti di governo, Araldica, p.a., cart. 80; Uffici regi, p.a., cart. 9; Popolazione, p.a., cart. 168; Archivio notarile, cartt. 40697, 41040, 41049, 41060, 42592. Nella Biblioteca Ambrosiana di Milano si conservano il manoscritto La moneta, oggetto politico allo Stato di Milano, l'edizione a stampa del 1769 e i due tomi del Caffè in edizione originale. Vedi inoltre: C.A. Vianello, La riforma monetaria in Lombardia nella seconda metà del '700, Milano 1938, pp. XII s.; Id., Economisti minori del '700 lombardo, Milano 1942, pp. XIV, LIV, LX; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 668, 721, 723, 726, 730, 733, 735; G. Ricuperati, Giornali e società nell'Italia dell'Ancien Régime, in La stampa italiana dal '500 all'800, Bari 1976, p. 213; Il Caffè 1764-1766, a cura di G. Francioni - S. Romagnoli, Torino 1993, ad Indicem.