GHEZZI, Sebastiano
Nacque con ogni probabilità a Comunanza, non lontano da Ascoli Piceno. La sua data di nascita, già fissata al 1590 ma messa in dubbio dalla critica recente (Ferriani, p. 444), va ora sicuramente anticipata in seguito alla scoperta di un atto notarile datato 1600, in cui egli è citato come testimone e dunque già maggiorenne (Semenza, pp. 7, 16 n. 4). Il riferimento ad Ascoli come sua città natale deriva da Pascoli (p. 651); ma i documenti indagati di recente lo indicano sempre come proveniente da Comunanza, dove peraltro trascorse gran parte della sua esistenza. La maggior parte delle notizie su di lui, compresa quella di un suo alunnato presso Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, si trova nella lettera del 1701 di suo figlio Giuseppe a Pellegrino Orlandi (Ricci, pp. 316 s.). In essa egli descrive il padre come un artista poliedrico, pittore, scultore in legno, architetto e ingegnere. Alla luce dell'atto notarile del 1600, tuttavia, risulta poco plausibile un alunnato presso il Guercino, nato nel 1591 e dunque più giovane del G.; è invece verosimile una collaborazione con il pittore marchigiano Simone De Magistris, documentato a Comunanza e attivo negli anni Ottanta del Cinquecento nella chiesa della Madonna del Ponte, oggi distrutta. Per questa stessa chiesa il G. lavorò, a più riprese e a intervalli più o meno lunghi, a partire dal 1604, fino al 1639.
L'archivio della chiesa di S. Caterina a Comunanza conserva alcuni documenti datati dal 1604 al 1608 che registrano pagamenti in suo favore per vari lavori, tra cui dorature e restauri, eseguiti nella chiesa della Madonna del Ponte, dove più tardi eseguì anche l'altare del Crocifisso, vari dipinti e una statua in stucco per una cappella. Questa multiforme attività, oggi documentata, conferma quanto dichiarato dal figlio nella lettera all'Orlandi circa le molte competenze del padre, anche se Giuseppe curiosamente tralasciava l'abilità paterna nel restauro, campo in cui egli stesso acquistò grande fama (Semenza, pp. 8, 17 nn. 8-15). A conferma di una collaborazione o di un alunnato del G. presso Simone De Magistris, è la sua presenza insieme con Solerte, figlio di Simone, in un documento di pagamento per lavori eseguiti da quest'ultimo nel 1612 per una cappella nella chiesa di S. Maria della Carità, sempre a Comunanza (Fabiani; Semenza, p. 7).
A una fase giovanile del G., inoltre, è forse da collegare un dipinto con una Adorazione dei magi nella Pinacoteca di Montalto, ancora fortemente influenzato dalla pittura del De Magistris nel chiaroscuro molto pronunciato e nelle forme allungate dei volti (Ferriani, p. 448; Semenza, p. 7).
È molto probabile che per tutto il primo decennio del Seicento egli risiedesse stabilmente a Comunanza e che vi godesse del più ampio riconoscimento come artista. Al 1612-13 data la sua prima commissione fuori Comunanza: la decorazione a fresco del chiostro della chiesa di S. Domenico ad Ascoli (Cantalamessa Carboni, p. 211; Ricci, p. 304); oggi quasi completamente perduti, questi affreschi dovettero essere molto apprezzati al tempo perché, a partire da allora, il G. lavorò a più riprese per Ascoli.
Agli esordi ascolani, nel secondo decennio del secolo, appartengono le opere per la chiesa di S. Maria delle Grazie o del Crocefisso dell'Icona, un olio con la Traslazione della S. Casa, s. Niccolò e un committente e un affresco con la Trinità, dall'inconsueta iconografia con l'Eterno in abiti pontificali. Il dipinto a olio induce a ipotizzare una conoscenza diretta dell'arte bolognese anche se "ripercorsa a ritroso rispetto agli stessi Carracci e sulla stessa linea di quel recupero neocinquecentesco che fu della cultura romana nei primi anni del '600" (Ferriani, p. 447).
Tra il 1613 e il 1615 dovrebbe aver eseguito il ciclo a fresco con Storie di s. Nicola da Tolentino nelle lunette del chiostro degli agostiniani a Sarnano, quasi completamente perduto. Tuttavia, alcuni elementi stilistici tuttora leggibili, soprattutto il modo di rappresentare alcuni volti, permettono di attribuire al G. l'affresco coevo con S. Francesco che riceve le stimmate sull'altar maggiore della chiesa di S. Francesco a Comunanza. Nel 1616 dipinse il monumento funebre al capitano Giulio Saccoccia in S. Angelo Magno ad Ascoli ascritto al G. da Carducci (p. 206) senza conforto documentario.
Il Saccoccia, condottiero al servizio dei Farnese, morì nel 1551. La sua memoria, posta su una porta della chiesa, fu distrutta nel 1615 per far posto a un organo; ciò provocò una lite tra i monaci olivetani e la famiglia Saccoccia. Il nuovo monumento venne commissionato a spese dei monaci l'anno successivo. Si tratta di un'opera di buon livello, anche se attardata su modelli tardocinquecenteschi, con il defunto ritratto dormiente sulla sua tomba e due personaggi, forse appartenenti alla famiglia Farnese, nelle finte nicchie ai lati.
Fra i pochi dipinti superstiti che vengono ascritti al G. dalle fonti, la tela con l'Assunzione della Vergine nella chiesa dei Ss. Lorenzo, Silvestro e Ruffino a Massa Fermana è in stretto rapporto con il monumento Saccoccia in S. Angelo Magno ad Ascoli per la tipologia del frate cappuccino molto vicina a quella dei due personaggi nelle nicchie del monumento. Anche qui l'analisi stilistica conferma la doppia matrice tardomanierista romana e protoseicentista bolognese della sua pittura (I Ghezzi nelle Marche, p. 31).
Nel 1624, sempre ad Ascoli, Eleonora Alvitreti gli commissionò la decorazione a stucco della cappella dell'Annunziata in S. Maria della Carità, che accoglierà più tardi la pala di G. Reni. Il progetto della cappella è conservato nell'Archivio di Stato di Ascoli Piceno. Le differenze tra il disegno e la successiva realizzazione testimoniano della sostanziale dicotomia dell'arte di questo pittore: se nel disegno le forme allungate delle figure sopra il timpano ricordano da vicino il tardomanierismo di Federico Zuccari, attivo nel santuario della vicina Loreto con gli stucchi della cappella dei duchi di Urbino, nell'esecuzione delle due statue di sante, non previste nel progetto, si rivela un interessante aggiornamento nei riguardi della contemporanea pittura bolognese di stampo carraccesco. Nello stesso Archivio di Ascoli sono conservati alcuni documenti relativi ad altre opere a stucco nella chiesa di S. Francesco in Comunanza (Semenza, pp. 11, 18 n. 27).
Nel 1612 il G. risultava essere già sposato. La moglie, Ancidesia Vergari, da cui non ebbe figli, morì nel 1624. Nel testamento dello stesso anno Ancidesia nominò il marito suo erede e dispose la donazione di una somma di denaro per la chiesa di S. Maria del Ponte. L'atto relativo fu rogato dal notaio Romolo Terrani, la cui sorella Maria diverrà la seconda moglie del G. (ibid., pp. 11, 18 nn. 23 s.).
Sotto il pontificato di Urbano VIII gli venne affidato il prestigioso incarico di revisore delle fortezze ecclesiastiche. È ipotizzabile che abbia svolto questo compito tra il maggio 1627, quando vennero affidati ad altro pittore gli affreschi a lui commissionati in S. Nicola a Tolentino, e il febbraio 1628, data del primo pagamento per uno stendardo commissionatogli a Comunanza. Poco dopo il G. si trasferì in Portogallo, ma non per alcuni anni come sostiene Pascoli (p. 651), bensì per un anno e mezzo circa, dall'ottobre del 1631 al giugno del 1633 (Semenza, pp. 13, 19 n. 36). Qui, molto probabilmente per servizi resi nel campo dell'architettura militare, venne insignito del titolo di cavaliere. In un documento del 27 giugno 1633 viene definito "dominus", forse per il titolo appena citato o, più probabilmente, per il suo status economico che, negli anni Trenta del Seicento, aveva raggiunto un livello di notevole agiatezza. Nel 1629 aveva sposato Maria Terrani da cui ebbe nel 1634 il suo primo e unico figlio, Giuseppe, cui dimostrò sempre un grande attaccamento.
Nella collegiata di Santa Vittoria in Matenano un dipinto con La predicazione del Battista è forse da riferire agli anni intorno al 1635 quando il cardinale Francesco Barberini finanziò i lavori di rinnovamento della collegiata.
Il rapporto con la pittura bolognese si fa più stretto, attraverso quel richiamo alla pittura veneta, proprio di Agostino Carracci, che è evidente nella trattazione della vegetazione e dell'uomo col turbante in primo piano, nonché nell'attenuarsi dei contrasti di luce e ombra (Ferriani, pp. 445 s.).
Dal 1637 è documentato a Comunanza ininterrottamente, a eccezione del 1642 e del 1643, quando era ad Ascoli per la decorazione di un baldacchino. A Comunanza, nel 1639, ricevette il pagamento per un crocefisso per la chiesa della Madonna del Ponte. Nel 1646 comparve come testimone in un atto riguardante suo cognato Simone Terrani. Da quell'anno alla sua morte non si hanno più notizie di lui. È ipotizzabile che fu quello il periodo in cui si dedicò all'alchimia, una dedizione che gli costò la rovina economica e il conseguente biasimo dei biografi, a partire da suo figlio. La data di morte non è certa, ma deve essere posta prima dell'8 apr. 1649 quando, in un atto notarile, sono menzionati i suoi eredi. Un documento ritrovato di recente nell'Archivio parrocchiale di S. Caterina a Comunanza attesta la morte, avvenuta il 22 marzo 1647, di un certo "Bastiano Giozzi". Dal momento che nell'archivio non ci sono altre occorrenze di tale cognome, è probabile che si tratti di una delle frequenti storpiature del cognome del Ghezzi.
Fonti e Bibl.: P.A. Orlandi, Abcedario pittorico, Bologna 1704, pp. 185 s.; L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori, ed architetti moderni, ed. crit. dedicata a V. Martinelli, introd. di A. Marabottini, Perugia 1992, pp. 651, 657, 899; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1795-96), I, Firenze 1968, p. 406; G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli 1830, pp. 210 s.; A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, II, Macerata 1834, pp. 303-321; G. Carducci, Su le memorie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, Fermo 1853, pp. 57, 206, 214; L. Serra, Elenco delle opere d'arte mobili delle Marche, Pesaro 1925, pp. 51, 77; G. Fabiani, Ascoli nel Cinquecento, II, Ascoli Piceno 1959, p. 234; P. Zampetti, Pittura nelle Marche, IV, Firenze 1991, pp. 69 s., 82 s., 86 s.; D. Ferriani, S. G., in Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V, a cura di P. Dal Poggetto, Milano 1992, pp. 444-448; S. e Giuseppe Ghezzi protagonisti del barocco (catal.), a cura di G. de Marchi, Venezia 1999 (alle pp. 7-19 biografia del G. di G. Semenza); I Ghezzi nelle Marche, guida alle opere, a cura di C. Costanzi - M. Massa - B. Montevecchi, Venezia 1999, pp. 9 s., 20-24, 31 s., 39 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 540 s.