SEBASTIANI, Sebastiano (Bastiano). – Nacque a Recanati verso il 1567 da Cesare di Bastiano, fornaio, in seguito pizzicagnolo, e dalla «gentildonna» Isabella, originari di Camerino, come consta da una deposizione del 24 luglio 1613 del quarantaseienne «scultore» e fonditore Sebastiano (Grimaldi, 2011, II, p. 463)
A «quattordici anni in circa» entrò come garzone nel laboratorio del bronzista recanatese Antonio Calcagni (p. 464), associatosi nel 1580 con il giovane camerinese Tiburzio Vergelli, entrambi ex collaboratori di Girolamo Lombardi, la cui locale officina di scultori e «gettatori» d’origine veneziana, durata sino al 1608 a opera dei figli, aveva acquistato fama al servizio della S. Casa di Loreto; anche il padre di Sebastiano vi lavorò da giovane (Pauri, 1915, p. 77). Sebastiani li coadiuvò fra l’altro nella realizzazione dei monumenti a Sisto V per Loreto e Camerino. Sposata l’8 giugno 1595 Lucia di Giacomo Vielmi o Guglielmi da Venezia, nel 1596 fu incaricato di finire la porta destra del santuario lauretano con Tarquinio Iacometti, nipote di Calcagni, che l’aveva lasciata interrotta morendo nel 1593: opera compiuta nel 1600 (collaborò tale Francesco Vielmi, pagato in quell’anno). Con Vergelli, che da anni gestiva a Recanati una fornace in una casa di Sebastiano, quest’ultimo lavorò forse alla porta sinistra del suddetto santuario, e quindi al fonte battesimale di cui il camerinese fu incaricato dal governatore della S. Casa il 6 luglio 1600; Sebastiani e il concittadino Giovanni Battista Vitali, cognato di Vergelli, parteciparono a utili e spese al 25 per cento ciascuno. Modellata in cera entro il 1605, compiuta la fusione nell’ottobre del 1606, morto Vergelli nei primi mesi del 1608, il 2 dicembre 1609 Sebastiani ebbe 5 scudi per «avere accomodato» l’opera nella sua cappella (Grimaldi, 2011, I, pp. 199-208, 257). Gli si sono attribuite due delle quattro Virtù di coronamento, la Carità e la Perseveranza, e al vertice il Redentore col Battista, per «eccellenti qualità plastiche e sicura conoscenza del nudo», e per l’impronta classica delle teste riconoscibile nella fermana Madonna del Pianto (Pauri, 1915, pp. 62-64) citata più avanti. Gli stessi realizzarono per la chiesa recanatese di S. Agostino il lampadario compiuto nel 1602 e il «nobil» tabernacolo «di prezzo di 2000 scudi» commissionato dalla compagnia del Ss. Sacramento nel 1592 a Vergelli, che ne fece «il modello di cera», fuso e posto in opera non del tutto rifinito sul volgere del 1609, e in seguito venduto dagli agostiniani per sostituirlo con un ciborio ligneo (Calcagni, 1711, pp. 113, 257, 324; Grimaldi, 2011, I, pp. 201, 272).
Su proposta del pittore Cristoforo Roncalli al tribunale rotale, il 24 giugno 1608 Sebastiani valutò con Paolo Lombardi le opere bronzee del 1581-85 di Calcagni e Vergelli per la pala d’altare e le targhe con ritratti della cappella Massilla-Rogati nel santuario lauretano, favorendo i figli di Calcagni, dai quali quelli di Vergelli reclamavano un più giusto compenso (Grimaldi, 2011, I, p. 105). Il 7 aprile 1610 per gli eredi Vergelli e Lombardi stimò rispettivamente il fonte battesimale e l’ancora imperfetta porta maggiore della chiesa mariana, con lo scultore braccianese Cristoforo Stati, perito di parte del protettore della S. Casa e del governatore di Loreto (p. 258).
Per il monumento che la comunità di Rimini deliberò nel novembre del 1610 di dedicare a Paolo V Sebastiani ebbe un ruolo primario, che lo trattenne a Roma fra il 1611 e il 1612. Recatovisi il 31 marzo 1611 con Michelangelo di Antonio Calcagni, il 10 aprile vi stipulò i patti con Nicolas Cordier, incaricato dai Borghese del modello in cera, per fondere nell’Urbe la statua in due o più pezzi a sue spese, ricomporla e sistemarla a Rimini, il tutto per 2000 scudi (Pressouyre, I, 1984, pp. 304-307, docc. 217, 220). Da tempo malato, il lorenese morì il 24 novembre 1612, mentre da ottobre Sebastiani attendeva al getto della testa e a ornare «di sua mano» il retro del piviale con il bassorilievo dei Ss. Giuliano e Gaudenzo e il fianco destro della sedia con «un’historia di mezzo rilievo» (Il cardinale Michelangelo Tonti al cospetto di Paolo V), cui più tardi seguì a riscontro quella di Paolo V benedicente in udienza (Nanni, 2004, pp. 42-44, 67, doc. 23). Nel gennaio del 1613 la statua giunse a Recanati; rinettata e patinata, in agosto fu trasferita via mare a Rimini; giuntovi Sebastiani il 5 giugno 1614, ne curò l’erezione sul piedistallo il 20 del mese, due giorni prima dell’inaugurazione (Pressouyre, 1984, I, p. 334, doc. 275). L’impegno assunto a Roma il 14 luglio 1617 per «la fattura dell’armi» da apporre al basamento non ebbe seguito (Nanni, 2004, p. 67, doc. 24).
Sebastiani «si offrì con un suo progetto» di realizzare per Fano la statua bronzea di Paolo V benedicente concepita nell’estate del 1612 dal capitano Pandolfo Carrara, agente della comunità a Roma, quale omaggio al papa per il costruendo Porto Borghese: deliberatosi in ottobre di erigerlo nella pubblica piazza, il monumento non fu realizzato, sebbene nel 1619 l’incarico risultasse assegnato a Paolo Sanquirico (Deli, 1989, pp. 253 s.).
Dopo il rientro a Recanati, intorno ai primi del 1613, seguono modeste notizie. In giugno una sua processionale Madonna del pianto in cartapesta, dipinta da Pompeo Bagnoli, gli fu pagata 60 scudi da Simone Vielmi, dell’omonima confraternita di Fermo (Memorie, 1845, p. 35). Il 5 aprile 1615 la compagnia di S. Maria Maggiore di Montecchio (Treia) accolse la sua proposta di analogo simulacro in stucco della Madonna di Loreto: ma il debito dell’acconto di 20 scudi sancito da un atto del 27 novembre 1617 denota che Sebastiani si era ormai trasferito nella capitale pontificia (Grimaldi, 1997, p. 462; Id., 2011, I, p. 265). Gli si ascrive dunque a torto la Madonna in cartapesta sulla S. Casetta giunta da Recanati a Ripatransone presso la confraternita di S. Giovanni nel 1620: erroneamente ritenuta lignea, ne è derivato l’equivoco della maestria anche nell’intaglio (pp. 265-267); del resto, il mediocre stereotipo contraddice il michelangiolismo sansoviniano della figura fermana.
Dalla seconda metà degli anni Dieci il magistero di fonditore poté ben esprimersi a Roma: svolta finora ignorata dalla storiografia marchigiana. Dal 22 settembre 1618 al 17 agosto 1619 Sebastiani fu pagato per il riattamento dei quattrocenteschi battenti bronzei del Filarete per la porta maggiore del vecchio S. Pietro, collocati il 21 giugno 1619 nel vano del nuovo portale (Di Benedetti, 2012, pp. 207 s.); restaurati, ebbero «quattro giunte», due in alto con l’«inscrittione» di Paolo V scissa in «due cartelle» fra aquile e draghi ingemmate da cherubini, e «due pradelle» reiteranti i simboli araldici nel sottile fregio. Il 5 novembre 1620 la congregazione della Fabbrica di S. Pietro respinse la sua proposta di una nuova porta bronzea, «non essendovi per ora bisogno» (Francia, 1989, p. 153). Per la villa del cardinale Scipione Borghese al Pincio tradusse da prototipi marmorei berniniani una coppia di busti di Paolo V e di Gregorio XV.
Italo Faldi (1953, pp. 312-315) ha pubblicato pagamenti per le rispettive somme di 150 e 130 scudi fra il 25 settembre 1621 e il 3 settembre 1622; ma il primo acconto di 50 scudi pagati dal cardinale «a Bastiano Sebastiani con ordine del Cav.re Bernino scultore a conto della statua di bronzo di N. S.e che deve fare per uso nostro» e un secondo simile del 7 ottobre (p. 315, docc. XII, XIV) alluderebbero a una figura intera: forse prima idea cui poi si preferirono i due «busti» o «ritratti di metallo», come specificano i pagamenti seguiti dal novembre del 1621. Faldi ha ritenuto di individuare il busto di Paolo V nell’esemplare di Copenaghen (Statens Museum for Kunst; 83×74×25 cm) e l’altro del pendant nella collezione romana di Antonio Muñoz (oggi nel Carnegie Museum of art di Pittsburgh; 60×63×28 cm), sminuendo quale replica il busto del museo parigino Jacquemart-André (78×66×24 cm), di cui al contrario denunciano l’originaria autografia «la qualità altissima» (Martinelli, 1955, pp. 654 s., 657) e la base stemmata conforme a quella del busto danese (presente anche nelle due repliche del Museo civico di Bologna e della romana Galleria Doria Pamphilj).
Il duca Paolo Giordano II Orsini pagò il 9 novembre 1621 all’«insigne scultore e gettatore di metallo o bronzo» un acconto di 40 scudi per un busto di Gregorio XV (una delle succitate repliche?) per il neo-nunzio in Spagna monsignor Giuseppe Acquaviva d’Aragona, da poco suo affittuario a palazzo Orsini a Campo dei Fiori, e il 14 ottobre 1622 saldò con 30 scudi il «compimento di una statua di bronzo fatta da lui per mio servitio» (Benocci, 2006, p. 19). Nel 1623, con un primo acconto di 25 scudi il 28 giugno, si richiese a Sebastiani la fusione del vivace busto-ritratto all’antica del duca su un modello in cera di Gian Lorenzo Bernini perfezionato con «esquisita diligenza», pronto il 20 agosto per la consegna dopo il placet dell’effigiato «a messer Bastiano gettatore», abitante nei pressi del palazzo di Monte Giordano (p. 77, docc. 1-4). Ma in agosto morì a Recanati la moglie dell’artista, e di lì a poco egli stesso («poco di poi che io tornai da Roma, che fu del mese di luglio» del 1623, attestò il concittadino Vigliozzo Tarquini il 13 giugno 1624: Grimaldi, 2011, II, p. 487). Tuttora creduta «avvenuta prima del 1626» (ibid., I, p. 266), la morte può aver impedito a Sebastiani la fusione del bronzetto in questione attribuitogli, oggi al Metropolitan Museum di New York (The Jack and Belle Linsky Collection; h. 18,5 cm), prototipo delle derivazioni di Giacomo Laurenziani del 1624 e del 1626 (Benocci, 2006, p. 59).
Il 3 marzo 1623 ascese a 815 scudi la somma pagata a Sebastiani per la «ferrata del portico» di S. Pietro (cancelli per la coppia di minori porte ad arco al centro della facciata), terminata dopo la sua morte dal comasco Francesco Beltramelli (Pollak, 1931, p. 156), succedutogli nell’aprile del 1624 quale fonditore camerale (Pagliucchi, 1928, p. 70). I rischi di passività di un’arte soggetta a insuccessi cui dover rimediare a proprie spese spiegano forse parte dei forti debiti lasciati dall’artista (Grimaldi, 2011, II, pp. 486-488).
Sebastiano (che ebbe un fratello, Sulpizio, nato negli anni Ottanta, e una sorella, Giuliana, che nel 1599 provvide a maritare; p. 487), ebbe quattro figli: Cesare, Carlo, «Lisabetta» e Giulia. Cesare, nato nel febbraio del 1597 (I, p. 266), è forse il «Cesare» figurante senza qualifica fra i collaboratori al riattamento della porta filaretiana (Di Benedetti, 2012, p. 207). Operava a Roma come formatore e bronzista allorché il 15 aprile 1626 lo «scultore aeneus» donava i suoi beni recanatesi alla sorella Elisabetta (Scatassa, 1915, p. 178), novizia nel monastero delle Orfane di Recanati (Calcagni, 1711, p. 359). Cooptato da Bernini forse già da tempo, fra il 9 agosto 1635 e il 20 agosto 1637 ebbe 547 scudi e 59 baiocchi per le «due porte di metallo fatte sopra S. Veronica e S. Andrea» entro le edicole-reliquiari della crociera di S. Pietro, e 6 scudi il 27 agosto 1639 per aver fuso in bronzo «due rami di lauro» per due lampade della Confessione, da «gittare» in forma di cornucopie su modello di Andrea Bolgi (Pollak, 1931, pp. 426, 497). Ricevuto un primo acconto di 100 scudi insieme a un «compagno» il 31 agosto 1639 (p. 605), il 15 febbraio 1647 furono saldati al solo Cesare i 1000 scudi pattuiti per le parti bronzee «del sepolchro» di Urbano VIII (la statua del papa benedicente, l’urna e la Morte alata recante il cartiglio), fuse «conforme li modelli del s.r Cav.re Bernino» (Morello, 1981, pp. 315 s.). Il 1° ottobre 1648 Cesare ebbe 10 scudi per venti giornate spese per i modelli in gesso e in cera e la fusione del medaglione con la Decollazione di s. Paolo di Alessandro Algardi per il paliotto dell’altar maggiore berniniano in S. Paolo a Bologna (Montagu, 1985, p. 373). Per Filippo IV di Spagna si impegnò con Diego Velázquez il 13 dicembre 1649 a realizzare per 1200 scudi, con il socio Giovan Pietro Ludovici, copie in bronzo di tre sculture antiche per il Real Alcázar di Madrid: il Germanico di villa Montalto, il Fauno di palazzo Caetani, il Gladiatore di casa Vitelleschi (quietanza: 17 giugno 1652); seguirono le richieste al solo Cesare di repliche del Laocoonte (in gesso, 6 agosto 1651), dei farnesiani Ercole e Flora, dei borghesiani Gladiatore e Sporo giovine di Nerone, e – ultima notizia sul bronzista – di dieci busti di proprietà Caetani e della Venere Medici (20 maggio 1653; Montagu, 1989, trad. it. 1991, pp. 223 s., doc. 2; Salort, 1999, pp. 457 s., 460-462, docc. 9, 13, 15).
Fonti e Bibl.: D. Calcagni, Memorie istoriche della città di Recanati nella Marca d’Ancona, Messina 1711, pp. 113, 257 s., 324, 359; Memorie storiche del santo simulacro della Beatissima Vergine del Pianto venerato nella città di Fermo..., Fermo 1845, pp. 6 s., 35; G. Pauri, I Lombardi-Solari e la scuola recanatese di scoltura (sec. XVI-XVII), Milano 1915, pp. 62-64, 77-83; E. Scatassa, Documenti artistici dell’Archivio Capitolino, in Arte e storia, XXXIV (1915), 6, pp. 178-181; P. Pagliucchi, I Castellani del Castel S. Angelo di Roma..., II, Roma 1928, p. 70; O. Pollak, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, II, Die Peterskirche in Rom, a cura di D. Frey, Wien 1931, pp. 156-158, 319, 425 s., 497, 605; S., S., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXX, Leipzig 1936, p. 415; I. Faldi, Nuove note sul Bernini, in Bollettino d’arte, s. 4, XXXVIII (1953), pp. 310-316; V. Martinelli, I busti berniniani di Paolo V, Gregorio XV e Clemente X, in Studi romani, III (1955), pp. 647-666; F. Haskell, Patrons and painters. A study in the relations between Italian art and society in the age of the Baroque, New Haven-London 1963, pp. 387 s.; G. Morello, Documenti berniniani nella Biblioteca apostolica Vaticana, in Bernini in Vaticano (catal., Città del Vaticano), a cura del Comitato per l’anno berniniano, Roma 1981, pp. 313-320 (in partic. pp. 315 s.); S. Pressouyre, Nicolas Cordier. Recherches sur la sculpture à Rome autour de 1600, I, Rome 1984, pp. 116, 200, 216, 304-307, 333 s.; ibid., II, pp. 405-410; J. Montagu, Alessandro Algardi, II, New Haven-London 1985, p. 373; A. Deli, Portus Burghesius, in Fano nel Seicento, a cura di A. Deli, Fano 1989, pp. 235-254; E. Francia, Storia della costruzione del nuovo S. Pietro da Michelangelo a Bernini, Roma 1989, p. 153; J. Montagu, Roman Baroque sculpture. The industry of art, New Haven-London 1989 (trad. it. Torino 1991, pp. 49, 64, 67, 69, 203, 213, 223 s.); A.A. Bittarelli, S. S. scultore michelangiolesco nell’attivismo sistino, in Sisto V, II, Le Marche, a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1992, pp. 275-289; F. Grimaldi, La devozione alla Vergine lauretana nelle Marche tra XIV e XIX secolo, in Lares, LXIII (1997), 4, pp. 449-493; S. Salort, La misión de Velázquez y sus agentes en Roma y Venecia: 1649-1653, in Archivo español de arte, LXXII (1999), pp. 415-468; F. Nanni, La storia, in Paolo V in Rimini. Il monumento di un papa tra storia e restauro, L’Arengo quaderni, II (2004), 3, pp. 7-73; C. Benocci, Paolo Giordano II Orsini nei ritratti di Bernini, Boselli, Leoni e Kornmann, Roma 2006, pp. 19, 57-59, 77 docc. 1-4; G. Morello, Intorno a Bernini. Studi e documenti, Roma 2008, pp. 211-213; F. Grimaldi, L’arte della scultura e del getto. La scuola recanatese di scultura, Recanati 2011, I, pp. 105, 199-208, 255-267, II, passim; P. Di Benedetti, Una nuova vita per le memoriae medievali e rinascimentali della Basilica di San Pietro, in La basilica di San Pietro. Fortuna e immagine, a cura di G. Morello, Roma 2012, pp. 197-243.