SERLIO, Sebastiano (Sabastiano). – Figlio di Bartolomeo di Antonio pellicciaio (non si conosce il nome della madre), nacque a Bologna entro il 1490 circa nella centralissima parrocchia di S. Tommaso della Braina (soppressa nel 1806 e poi demolita)
La nascita è fissata dalle biografie ottocentesche al 6 settembre del 1475 (se il riferimento cronologico fosse preciso, potrebbe essere Sebastiano il «magister Bastianus de Bononia» documentato a Roma il 15 maggio 1496: Gnoli 1938, p. 149); tuttavia tale data, non più verificabile essendo irreperibile il registro battesimale, pur largamente accettata, è stata di recente messa in discussione. Oltre all’imprecisione circa la professione del padre, già ritenuto pittore (Bolognini Amorini, 1823, p. 1), a indebolire l’attendibilità delle prime ricostruzioni contribuirebbe la descrizione del proprio stato di salute fisica e mentale in una lettera autografa scritta da Lione il 20 maggio 1552, difficilmente conciliabile con un’età ormai prossima agli ottant’anni. D’altro canto un «Bastiano Bartolomei de Bononia [...] pictore» è documentato come artista indipendente almeno a partire dal 1509 (Berardi, 2001, p. 165, doc. 70c), e ciò rende poco opportuno posticipare la sua venuta al mondo oltre l’inizio dell’ultimo decennio del Quattrocento.
Il padre Bartolomeo, residente dal 1485 in via Begatto ed eletto nel 1493 tra i massari della corporazione dei pellettai, dovette garantire durante l’infanzia e la prima età adulta una discreta agiatezza a lui e al fratello Petronio (l’unico di cui si abbia notizia, forse il maggiore tra i due, commerciante di cuoi); non è da escludere che nella bottega paterna Sebastiano abbia imparato a lavorare pellami, come farebbe supporre la più tarda fornitura di una sella per l’ambasciatore mantovano a Venezia Benedetto Agnello (gioverà ricordare che la decorazione del cuoio presentava punti di contatto con la tecnica incisoria, di cui Sebastiano doveva in seguito divenire esperto).
Non abbiamo dati relativi a un suo precoce apprendistato architettonico (è probabile che il titolo di «maestro di legname», attribuitogli da Benvenuto Cellini, il quale lo conobbe in Francia negli anni Quaranta, oltre che a richiamarne le esperienze veneziane, mirasse in effetti a denigrare l’artista, caratterizzandone la formazione in senso tutto pratico e cantieristico: Cellini, 1980, pp. 818 s.). È invece sicuro che Sebastiano esordì come pittore, e tuttavia mancano notizie precise in merito alla sua educazione in quest’arte nel vivace ambiente bolognese di primissimo Cinquecento, salvo un generico passaggio del suo Secondo libro di perspettiva (Paris 1545, c. 25v); a Pesaro, dove è documentato almeno dal 1509 e dove forse riparò – dopo la caduta dei Bentivoglio e la turbolenza sociale e istituzionale che ne seguì – per sfuggire a un’accusa a suo carico poi rivelatasi infondata, partecipò nel 1511 con altri pittori alla processione del Corpus Domini, e nel 1513 risulta responsabile del progetto dell’arca di S. Terenzio destinata al coro della cattedrale (commissione già attribuitagli dal signore della città Giovanni Sforza, morto nel luglio del 1510, e purtroppo perduta). Durante il suo soggiorno nella Marca pesarese entrò certamente in contatto almeno con il mosaicista siciliano operante in Orvieto Francesco Ranaldi e con i pittori Girolamo Marchesi da Cotignola e Girolamo Genga, quest’ultimo coinvolto, per il duca d’Urbino Francesco Maria Della Rovere, signore di Pesaro dal 1513, nella realizzazione di spettacolari scenografie teatrali (la cui «magnificentia» lo colpì profondamente: Secondo libro..., cit., c. 69v). Lasciata Pesaro attorno al 1517, rientrò con ogni probabilità direttamente a Bologna, dove il dominio pontificio aveva ristabilito, con la quiete politica, un clima di ripresa culturale e artistica, e dove Sebastiano è documentato con continuità dal settembre del 1520.
Il 14 agosto 1522, sempre in qualità di pittore, Serlio venne pagato per la realizzazione di due piante di S. Petronio, una delle quali – copia sommaria del progetto di Arduino Arriguzzi del 1514 – costituisce la prima traccia del suo coinvolgimento in un cantiere architettonico, nonché la prova della sua familiarità con Baldassarre Peruzzi, per la presenza sul foglio di note di entrambi. L’incontro con il senese, attivo in territorio emiliano già dal 1515, e sicuramente a Bologna tra il 1522 e il 1523 ospite del conte Giovan Battista Bentivoglio, si rivelò decisivo per Sebastiano, che su suo modello riorientò la carriera e che più tardi lo descrisse come vero e proprio «precettor» (Regole generali de architetura..., Venezia 1537, c. Vr). Peruzzi rinfocolò il fervore costruttivo di una città ormai aperta alle influenze della capitale pontificia, introducendovi, specie nell’ambito dell’architettura civile, le forme anticheggianti del nuovo linguaggio postbramantesco: una nota su un foglio anonimo oggi agli Uffizi (611Ar), connesso al cantiere del palazzo di Cornelio Lambertini in via degli Orefici, progettato da Peruzzi nel 1522 e distrutto nel primissimo Novecento, suggerisce che Sebastiano lo abbia affiancato in loco come vero e proprio assistente. Il conte Lambertini, colto membro del Senato e dell’élite culturale bolognese riunita nell’Accademia del Viridario, potrebbe aver giocato un ruolo non secondario nel favorirne la progressione sociale e professionale, nonché nell’indirizzare la sua attenzione verso posizioni religiose riformiste, che egli avrebbe in seguito avuto modo di sviluppare. Al 1522 risale anche il disegno di Peruzzi per il portale della chiesa di S. Michele in Bosco, il più importante cantiere aperto in quel momento in città: all’interno dell’edificio fu nel 1525 presente lo stesso Sebastiano, tuttavia ancora in veste di pittore a fianco di Girolamo da Cotignola, per la decorazione della cappella di S. Benedetto (sostanzialmente modificata nel Seicento; non ci sono prove di una collaborazione di Sebastiano all’esecuzione del bel soffitto a cassettoni dipinti della sacrestia). Al nome di Serlio è stato infine accostato il palazzo Dal Monte in via Galliera (Ricci, 2000a).
Nel catalogo pittorico dell’artista in quegli anni ha trovato posto fino a oggi un piccolo gruppo di opere, comunque dibattute: a due tavolette con vedute di città conservate alla Pinacoteca nazionale di Ferrara e a una Prospettiva cittadina a Modena (collezione Banca Popolare) si è aggiunta di recente una cauta proposta d’attribuzione in favore del S. Girolamo nello studio oggi presso la Kunsthalle di Amburgo (Zama, 2007). Sono stati invece smentiti dalla critica i tentativi di dargli in carico la predella dello Sposalizio della Vergine (1523, Bologna, Pinacoteca nazionale) e l’Adorazione dei magi e dei pastori (collezione privata), riconfermati senz’altro al Marchesi: l’indubbia novità di queste opere, costituita dalle ambientazioni architettoniche classicheggianti, andrà spiegata in termini di vicinanza tra i due artisti e di reciproca influenza, con sullo sfondo il dirompente cartone dell’Adorazione dei Magi di Peruzzi oggi a Londra (National Gallery). Nessun concreto riscontro è emerso nel frattempo a confermare il suggerimento, pur verosimile, d’implicare Sebastiano nella progettazione di alcune tra le scene prospettiche eseguite a tarsia da fra Damiano Zambelli a S. Domenico a Bologna. Infine, la recente attribuzione alla mano di Sebastiano di un abbozzo manoscritto di trattato sulla pittura conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano (Chai, 2016) appare difficilmente accettabile (la grafia è almeno secentesca).
È verosimile che Sebastiano giungesse a Roma proprio a seguito di Peruzzi nell’autunno del 1523 (scompare infatti dalle carte bolognesi), per rimanervi con ogni probabilità almeno un anno. Quando è nuovamente documentato in patria, viene significativamente definito «ingegnoso viro [...] pictori et architecto» (Gualandi, 1843, p. 71): il soggiorno nell’Urbe sigillò quindi in maniera definitiva il destino di Sebastiano, rivelandogli – all’aprirsi del pontificato di Clemente VII de’ Medici – le fonti antiche di quel linguaggio architettonico moderno che lui stesso contribuì poi a stabilire e diffondere; Peruzzi, architetto della Fabbrica di S. Pietro a fianco di Antonio da Sangallo il Giovane dal 1520, dovette procurargli accesso a materiali originali di Donato Bramante e Raffaello, alcuni dei quali sono oggi noti solo per suo tramite. Tra gli altri, entrò probabilmente già in contatto con Giulio Romano e anche con il ferrarese Iacopo Meleghino, dagli anni Venti alle dipendenze del cardinale Alessandro Farnese: è possibile che proprio attraverso Meleghino, con il quale condivise il lascito grafico di Peruzzi, gli giungesse la notizia dei lavori compiuti dal maestro senese al Belvedere vaticano nel 1535 (di cui diede conto nel Terzo libro delle antiquità, Venezia 1540, p. CXLIIII).
Rientrato a Bologna almeno fin dall’aprile del 1525, Sebastiano assunse alle sue dipendenze come apprendista pittore tal Bartolomeo di Alessandro Frabaldi da Modena a decorrere dal successivo 5 dicembre e per tre anni; tuttavia all’inizio del 1528 Serlio risultava già abitante a Venezia (presso la parrocchia di S. Giustina), sebbene «aliquantum infirmus corpore», come dimostra il suo testamento in data 1° aprile (Olivato, 1971, pp. 290 s., doc. 1); nell’occasione venivano nominati l’aristocratico bolognese Alessandro Malvasia come esecutore testamentario e il grande erudito Giulio Camillo Delminio come erede universale, alla presenza del letterato friulano Alessandro Citolini (discepolo di Delminio) e del pittore Lorenzo Lotto, che potrebbe aver eseguito poi un suo ritratto oggi a Berlino (l’identificazione rimane tuttavia dubbia).
Nel documento Sebastiano, designato unicamente «architectus», appare quindi già ben inserito, in pieno dogado di Andrea Gritti, nel fervido milieu intellettuale e artistico della città lagunare, dove doveva trascorrere il successivo decennio, senza tuttavia perdere mai contatto con la patria. Ripresosi dalla malattia, il 18 settembre dello stesso anno l’artista, ora «professor d’architectura», richiese al Senato della Serenissima di proteggere dal rischio di contraffazioni una serie di incisioni su rame realizzate su suo disegno dal veneziano Agostino De Musi e che dovevano illustrare le cinque «maniere» delle colonne (ne vennero eseguite nove, relative agli ordini greci dorico, ionico e corinzio), nonché «varij edificij in perspicientia» (Howard, 1973, p. 516), cioè vedute urbane all’antica in grande formato, di cui sopravvive almeno un esemplare. Tale genere artistico era molto praticato da Sebastiano, che, secondo Marcantonio Michiel, avrebbe progettato lo sfondo architettonico di una scena storica dipinta da Giovanni Busi, detto il Cariani, per il nobile collezionista veneziano Andrea Odoni (Notizia d’opere di disegno nella prima metà del secolo XVI..., 1521-1543, a cura di I. Morelli, Bassano 1800, p. 63).
Entro il 1533 Sebastiano risultava abitante ai Ss. Apostoli in un alloggio di proprietà della famiglia Priuli; nel corso degli anni Trenta probabilmente sposò Francesca Palladia, dama di corte della regina di Polonia Bona Sforza (è documentato anche un primo matrimonio avvenuto a Pesaro nel dicembre del 1511 con la bolognese Lucrezia di Francesco Buletti, di cui si perdono subito le tracce), e la loro casa, secondo la testimonianza dell’umanista Bernardino Partenio, fu luogo di erudite discussioni (Della imitazione poetica, Venezia 1560, p. 148); a questo periodo risale, o trovò occasione di rinsaldarsi definitivamente, lo stretto rapporto d’amicizia con Pietro Aretino, che dovette convincere Sebastiano a perseguire, nella capitale italiana dell’editoria, il riconoscimento sociale attraverso l’attività letteraria.
I legami con i più avanzati circoli culturali veneziani e veneti, peraltro attraversati da inquietudini religiose, favorirono le consulenze e le commissioni, come l’incarico per la realizzazione del soffitto della sala della Libraria (oggi dello Scrutinio) in palazzo ducale (1528-31, perduto), la sottoscrizione del ‘memoriale’ – a fianco di Tiziano e dell’umanista Fortunio Spira – relativo al progetto di Jacopo Sansovino per la chiesa di S. Francesco della Vigna (1534), la valutazione di una portantina processionale per la Scuola Grande di San Rocco (realizzata in legno, forse su suo disegno, dall’intagliatore Vittore Scienza, e non conservatasi, 1537-38). Un progetto per il monastero di S. Salvador – cantiere di grande portata simbolica per la Serenissima – gli è stato convincentemente attribuito (Archivio di Stato di Venezia, Misc. mappe, n. 852), mentre le sue competenze furono apprezzate da Pietro e Francesco Zen, che si avvalsero di suoi pareri nel rinnovamento del palazzo di famiglia ai Crociferi; sono documentati contatti anche con la famiglia Grimani, in particolare con Vettor, procuratore di S. Marco, e con Marco, patriarca d’Aquileia. Inoltre da Venezia Sebastiano progettò nel 1534 un altare in marmo per la chiesa della Madonna di Galliera a Bologna, ancora in lavorazione cinque anni dopo e andato perduto, del quale sono da poco riemersi i disegni originali (Sambin De Norcen, 2017).
Per Vicenza Sebastiano realizzò invece, nel 1539, un teatro temporaneo, che fu allestito in palazzo Da Porto, e redasse una perizia riguardo le logge attorno al palazzo della Ragione (sempre nell’occasione potrebbe aver fornito a Giangiorgio Trissino disegni della villa raffaellesca di Leone X a Monte Mario a Roma, citata nella facciata della sua dimora suburbana di Cricoli, e aver conosciuto il giovane Andrea Palladio, che sappiamo in possesso dei suoi libri). Sebastiano fu certamente anche a Padova, dove vide le architetture di Giovanni Maria Falconetto per Alvise Cornaro; a Verona, del cui antico teatro romano ammirò moltissimo le vestigia così come i nuovi cantieri di Michele Sanmicheli; nella Ferrara di Alfonso I d’Este, dove visitò alcuni ambienti del palazzo ducale, e, forse, a Mantova, dove, oltre a ritrovare Giulio Romano, conobbe Battista Covo, architetto del giardino segreto d’Isabella d’Este (la partecipazione del quale al cantiere del palazzo del principe vescovo di Trento Bernardo Cles entro il 1536 gli valse una citazione nel proemio delle Regole generali di architetura sopra le cinque maniere, altrimenti inspiegabile). Tali spostamenti rispondevano all’esigenza, sempre più pressante, di guadagnarsi una posizione professionale sicura e ben retribuita all’ombra di un principe: a Francesco Maria Della Rovere, duca d’Urbino e capitano generale delle truppe veneziane, di cui aveva seguito le alterne vicende politiche sin dal soggiorno pesarese, Sebastiano, per tramite di Giovan Giacomo Leonardi, fece una corte discreta ma ininterrotta sin dal 1531, sollecitandone anche gli interessi nell’ambito dell’arte militare e venendo ripagato con un invito a visitare la villa Imperiale in compagnia di «messer Titiano [...] e certi altri valenti» nel 1538 (Belluzzi, 1907, pp. 89 s.).
Alla stessa logica di autopromozione mirò la scelta di dedicare a Ercole II d’Este, duca di Ferrara dal 1534, il primo volume in folio del suo trattato, le Regole generali di architetura sopra le cinque maniere de gli edifici... (poi genericamente Quarto libro), uscito a Venezia dai torchi del raffinato tipografo Francesco Marcolini nel settembre del 1537, ma l’iniziativa non fu coronata dall’attesa chiamata alla corte ducale.
Introdotto da una lettera dell’Aretino scritta per l’occasione all’editore Marcolini, Sebastiano annunciava ai lettori la prevista apparizione di altri sei libri (ne sarebbero stati in realtà predisposti in tutto nove, due dei quali mai stampati), a comporre, per un pubblico colto ma non specialista, un trattato che, prendendo le mosse dallo studio del disegno e della prospettiva – strumenti considerati indispensabili alla progettazione –, procedendo con la codifica della ‘grammatica’ delle colonne e mettendo a confronto i precetti di Vitruvio con i monumenti antichi, avrebbe fornito modelli formali sganciati dalla sostanza materiale dell’edificio e quindi adattabili a ogni tipologia costruttiva, tanto religiosa che civile, pubblica o privata, modesta o di grandi ambizioni. Nelle Regole la lingua dell’architettura basata sui cinque ordini (toscano, dorico, ionico, corinzio e composito, presentati tutti assieme nella prima tavola alla c. VIr) venne definitivamente normata e resa universale attraverso un processo di astrazione e riduzione; la formula editoriale adottata prevedeva un linguaggio chiaro (a ogni vocabolo ‘vitruviano’ venne affiancato l’equivalente in volgare) e, soprattutto, il ribaltamento del rapporto tra testo e immagini xilografiche, a tutto vantaggio di queste ultime, spesso protagoniste solitarie delle grandi pagine. Al di là delle critiche talvolta ingenerose dei contemporanei a causa dell’appropriazione indebita di materiali grafici e di notizie altrui da parte di Sebastiano, è indubbio che le ricerche archeologiche e le riflessioni originali riversate da Peruzzi nella sua attività didattica presso lo Studio senese rivivano nelle pagine serliane, recuperate e messe a disposizione «in the spirit of piety rather than of plagiarism» (Dinsmoor, 1942, p. 64), per diventare a loro volta base di partenza imprescindibile di ogni trattazione in materia, dall’Introduzzione all’architettura delle Vite (1550-1568) di Giorgio Vasari (che non dedicò a Sebastiano una biografia, ma solo pochi accenni) ai più rigorosi e moderni libri di Vignola e Palladio.
Nell’ottobre di quello stesso 1537 Sebastiano, rinnovando la richiesta di tutela dei propri diritti d’autore, già proiettava la propria opera sulla scena internazionale, annunciandone l’uscita anche «in lingua latina, per farne partecipe a più nationi, per esser queste cose di utilità a tutti» (Olivato, 1971, p. 291, doc. 3). I libri di Sebastiano conobbero in effetti enorme fortuna Oltralpe, tradotti nelle principali lingue europee, a partire dalla versione olandese non autorizzata del 1539.
Preso l’abbrivio con il successo delle Regole, nel marzo del 1540 Sebastiano s’imbarcò, sempre in tandem con Marcolini (che curò le ristampe dei suoi volumi fino al 1544), nella pubblicazione del Terzo libro delle antiquità, dedicato a Francesco I di Valois, che dal 1539, per tramite dell’ambasciatore a Venezia Georges d’Armagnac, vescovo di Rodez, gli aveva promesso un premio in denaro e un invito a corte (il segretario dell’Armagnac, Guillaume Philandrier, erudito vitruviano, si sarebbe dichiarato addirittura suo allievo); un mese prima, nel febbraio 1540, con oculata strategia di mercato, era uscita la seconda edizione riveduta delle Regole, ora indirizzata invece al rappresentante dell’imperatore Carlo V in Italia, cioè Alfonso d’Avalos marchese del Vasto.
Il volume raccoglieva piante, prospetti e sezioni (per lo più prospettiche), e dettagli, di dieci templi antichi, quattro teatri, tre anfiteatri, tre terme, undici tra archi onorari e porte di città, cui si aggiunsero una selezione di edifici di Roma moderni, ormai considerati classici: il tempietto di Bramante in S. Pietro in Montorio, il S. Pietro di Bramante e Raffaello, e quello di Peruzzi, il Belvedere e la loggia di villa Madama, poi Poggio Reale a Napoli e, come sua variazione, un progetto di villa elaborato da Peruzzi, nonché edifici più esotici (greci, egiziani e gerosolimitani). Malgrado l’abbondanza talvolta un po’ disordinata dei materiali, il libro riesce a comunicare il genuino entusiasmo della riscoperta, specie laddove Sebastiano osservava come la bellezza del Pantheon s’irradiasse sugli stessi visitatori, ai quali, «anchora che habbiano mediocre aspetto e presentia, se gli accresce un non so che di grandezza e di venustà» (c. V).
Rispetto all’atteggiamento antidogmatico delle Regole, la ‘postfazione’ delle Antiquità (f. CLV) rivela da parte di Sebastiano l’intenzione di accreditarsi presso i futuri, possibili mecenati come custode dell’ortodossia vitruviana, richiamando l’autorevolezza, tra gli altri, del colto antiquario Lazare de Baïf, del nuovo ambasciatore francese Guillaume Pellicier, vescovo di Montpellier, e degli aristocratici bolognesi Alessandro Manzuoli e Achille Bocchi, quest’ultimo committente in patria di un enorme ed enigmatico palazzo, per il quale Sebastiano potrebbe aver fornito qualche consiglio.
Pellicier prese a cuore la promessa del re francese e intercedette presso Margherita di Navarra, sorella di Francesco I, affinché avesse effetto: nel corso dell’estate 1540 Sebastiano, con il compenso pattuito per affrontare le spese di viaggio, ottenne finalmente anche l’invito in Francia come stipendiato del re. Il trasferimento, con tutta la famiglia, avvenne nondimeno l’anno successivo (a febbraio del 1541 una nota nel Libro di spese diverse di Lorenzo Lotto accerta ancora la presenza di Serlio a Venezia), probabilmente in autunno, se il 10 novembre Pellicier riferiva a Margherita dell’arrivo di Sebastiano a corte e se solo a fine dicembre l’artista otteneva il titolo ufficiale di «paintre et architecteur ordinaire du Roy» e un salario fisso (De Laborde, 1877, I, p. 172). La situazione che Sebastiano trovò a Fontainebleau, segnata da forti rivalità fra gli artisti e da una serpeggiante resistenza degli artefici locali nei confronti degli stranieri, ostacolò il suo effettivo inserimento nei cantieri reali, e le sue competenze continuarono a esercitarsi per Francesco I solo sulla carta (ne resta traccia nei disegni del Sesto libro d’architettura, rimasto inedito, e in alcune tavole del Settimo, pubblicato postumo); rimase infine frustrata l’impresa di pubblicare un libro sulle antichità romane di Francia, annunciata nella lettera dedicatoria in apertura del Terzo libro delle antiquità.
Maggior fortuna Sebastiano ebbe tuttavia con il cardinale Ippolito II d’Este, fratello di Ercole II e dunque cognato di Renata di Francia. Per Ippolito progettò e realizzò, tra il 1542 e il 1546, il Grand Ferrare, una residenza a nord-ovest del castello di Fontainebleau – palazzo e villa insieme, poi decorata da Francesco Primaticcio e Niccolò dell’Abate –, che compendiava la tradizione francese dell’hôtel particulier con i più aggiornati requisiti dell’abitare all’antica (ne sopravvive purtroppo solo l’arco d’accesso alla cour d’honneur; ancora per Ippolito, questa volta però a Fontaine-Chaalis presso Parigi, Sebastiano avrebbe elaborato un nuovo palazzo a partire dal 1544, del quale è testimonianza un grande portale rustico). In maniera analoga, e finalmente con successo, Sebastiano si dedicò, per l’aristocratico Antoine III di Clermont, al castello di Ancy-le-Franc, in Borgogna, in costruzione dal 1541 e in parte utilizzabile sin dal 1546.
Possiamo ricostruirne la gestazione grazie ai disegni conservati nelle due diverse versioni del Sesto libro, dedicato all’edilizia residenziale e mai pubblicato, conservate a New York e a Monaco, sebbene l’edificio, interamente preservatosi, si basi su un’ulteriore fase progettuale non documentata. La matrice dell’impianto quadrato, con corte interna e torri agli angoli, risale comunque a modelli italiani tardoquattrocenteschi già ripensati da Peruzzi (si notino gli ordini di paraste – doriche all’esterno, composite nel cortile – che scandiscono rigorosamente le superfici), e adattati con grande abilità alla cultura costruttiva e alle abitudini d’uso locali.
Nel frattempo Sebastiano non trascurava il suo programma editoriale: nel 1545 comparivano insieme a Parigi presso Jean Barbé, e indirizzati al sovrano, i libri Primo e Secondo in lingua italiana e francese (a cura di Jean Martin, a breve anche primo traduttore di Vitruvio), dedicati rispettivamente a geometria e prospettiva (e all’applicazione di quest’ultima alla scenografia teatrale; nell’introduzione l’autore coglieva l’occasione per denunciare la traduzione francese pirata del Terzo libro apparsa nel 1542 ad Anversa a opera di Pieter Coecke van Aelst, e per prometterne una autorizzata, poi realizzata nel 1550). A Margherita di Navarra, che dal 1541 al 1549 gli assicurò una provvisione aggiuntiva, Sebastiano destinò invece il successivo volume del trattato (Quinto libro d’architettura), «nel quale – come si legge nel frontespizio – se tratta de diverse forme de tempii sacri, secondo il costume christiano, e al modo antico», uscito ancora in versione bilingue a Parigi, ma per i tipi di Michel de Vascosan, all’inizio del 1547 (nella prefazione la menzione di Francesco I ancora in vita fissa l’ante quem al 31 marzo, giorno della morte del monarca).
Anche nel Quinto libro, che raccoglie dodici esempi di chiese (nove a pianta centrale, tre longitudinali), dal più semplice e ideale fino al più complesso, le idee di Sebastiano paiono nascere dall’assimilazione di modelli moderni, per lo più raffaelleschi e peruzzeschi. L’interesse sta piuttosto nella «veste architettonica» dei progetti, «spesso quasi ridotta alla sola espressione costruttiva», che comunica «una religiosità, pure certamente cristiana, ma intellettuale, decantata e in un certo senso astratta [...] magari pure polemica e genericamente riformista» (Bruschi, in Sebastiano Serlio..., 1989, p. 183), che doveva compiacere la destinataria dell’opera, di note tendenze evangeliche.
Con la morte del sovrano che lo aveva voluto in Francia, si aprì per Sebastiano un periodo d’incertezza, specie perché Enrico II modificò alla radice la politica culturale ‘italocentrica’ del suo predecessore: gli architetti locali (tra gli altri Philibert de l’Orme, che gli tributò un sincero riconoscimento per la sua opera di diffusione del linguaggio all’antica) si avviavano ormai verso l’elaborazione di uno stile che, nell’universalità garantita dall’adozione delle forme classiche, potesse tuttavia riconoscersi come nazionale. La congiuntura sfavorevole suggerì a Sebastiano di riparare in casa del cardinale Ippolito a Fontainebleau, dove, escluso dalle mondanità della vita di corte e in mancanza di più pressanti commissioni, portò avanti i successivi volumi del trattato, cioè i libri Sesto e Settimo.
Già dal 1546, però, aveva in lavorazione un’opera di soggetto militare, la Castrametatio, cioè l’arte di disporre l’accampamento, a illustrazione del testo antico di Polibio (anzi, l’interesse di Sebastiano per l’argomento era stato suscitato ancora a Venezia da Marco Grimani), letto a Pietro Strozzi, futuro maresciallo di Francia, durante il suo soggiorno al Grand Ferrare giusto in quell’anno, secondo la testimonianza del segretario del cardinale, Gabriele Cesano. Contemporaneamente Sebastiano assemblava i materiali per un’altra impresa ‘straordinaria’, cioè eccedente il primitivo programma: una raccolta di tavole, poi incise su rame, che, introdotte da brevi testi, illustravano cinquanta modelli di portali monumentali: il tema dell’opera – i limiti dell’invenzione tra regola e licenza – si poneva in continuità con alcuni spunti già presentati nel Quarto libro, in particolare in merito all’efficacia espressiva del contrasto tra il naturalismo dell’opera rustica e l’astrazione dell’ordine. Sul fronte della pratica architettonica, ai tardi anni Quaranta dovrebbe risalire un progetto, non eseguito, per la chiesa parigina di St.-Eloi des Orfèvres, se si accetta l’attribuzione a Sebastiano di alcuni disegni di recente proposta (Frommel, 1998), così come il suo coinvolgimento in cantieri del cardinale François de Tournon, sebbene non sia chiaro se le promesse di quest’ultimo in suo favore venissero davvero onorate da precise commissioni.
Il rientro di Ippolito II d’Este a Ferrara e poi a Roma nella primavera del 1549 e la morte, in dicembre, di Margherita di Navarra privarono Sebastiano di due ulteriori punti di riferimento. In questa situazione maturò la decisione di trasferirsi definitivamente (con la moglie, i figli e il fedele servitore Oliviero) a Lione, capitale francese del libro a stampa e ricco centro sulla via per l’Italia. Qui risultava con certezza risiedere dal 1550, e qui lo incontrò infatti l’antiquario e architetto mantovano Jacopo Strada, che, vedendo i manoscritti dei libri ancora in lavorazione, lo avrebbe incitato a portarli a termine. L’effetto di questo incontro rinvigorente per un Serlio ormai almeno più che sessantenne fu la pubblicazione l’anno successivo, nella bottega dell’illustre tipografo Jean de Tournes, dell’Extraordinario libro di architettura, dedicato alle porte, sempre in versione bilingue.
Il 1551 fu anche l’anno d’uscita a Venezia, presso Cornelio Nicolini da Sabbio per Melchiorre Sessa, della prima edizione italiana completa dei volumi I-V (l’Extraordinario venne stampato anch’esso, ma venduto separatamente), a sancire una fortuna editoriale che la lontananza dell’autore non aveva indebolito in maniera fatale e che proseguì ininterrotta, pur con assestamenti strutturali non sempre fedeli alle primitive intenzioni di Serlio, almeno fino alla metà del XVII secolo in Italia e in Europa.
A Lione Sebastiano sopravvisse con qualche incarico, ponendosi in particolare sotto la protezione di François de Dinteville, vescovo di Auxerre: tra l’altro, egli potrebbe aver fornito il disegno per il corpo d’ingresso al suo palazzo presso la cattedrale; grazie alla sua mediazione collaborò alla realizzazione degli apparati festivi per l’ingresso a Lione del cardinale de Tournon. Dinteville lo sostenne economicamente, e in una lettera di ringraziamento inviata nella primavera del 1552 Sebastiano, pur lamentandosi per la precarietà della sua situazione in quella «babilonica cità», gli annunciava di essere «assai soddisfatto di havere condotto al fine quanto io havevo promesso al mondo» (Frommel, 1998, pp. 33 s.), cioè di aver predisposto per la stampa il trattato in ogni sua parte. Quando Strada tornò a Lione nell’agosto di quell’anno, rimanendovi fino alla fine del successivo, poté in effetti acquistare da Sebastiano più di quanto preannunciato nel lontano 1537: il Sesto libro, che trattava dell’edilizia residenziale privata, nella versione manoscritta oggi a Monaco; gli eterogenei materiali del Settimo dedicato, tra le altre cose, ai «restauramenti [...] di case» (cioè il codice di Vienna); e la Castrametazione (mai stampata e conservata anch’essa a Monaco); nonché, forse, l’esemplare pergamenaceo dell’Extraordinario oggi nella Staatsbibliothek di Augusta. Del patrimonio di idee rimasto fino a quel momento inedito, solo il Settimo libro doveva trovare definitiva sistemazione nella versione a stampa curata appunto da Strada, in versione italiana e latina, nel 1575 a Francoforte.
Dopo la vendita dei libri, nel 1553 Sebastiano lasciò Lione per tornare con la moglie e i figli a Fontainebleau, dove morì entro il novembre del 1557, data in cui Francesca Palladia risulta vedova.
Fonti e Bibl.: Per la bibliografia relativa ai volumi del trattato d’architettura si fa riferimento a: W.B. Dinsmoor, The literary remains of S. S., in The Art Bulletin, XXIV, 1942, pp. 55-91, 115-154; M. Rosci, Il trattato d’architettura di S. S., I-II, Milano 1966; S. Serlio, On domestic architecture, a cura di M.N. Rosenfeld, Cambridge (Mass.) 1978; A. Jelmini, S. S.: il trattato d’architettura, Locarno 1986; S. Serlio, Architettura civile. Libri sesto, settimo e ottavo nei manoscritti di Monaco e Vienna, a cura di F.P. Fiore, Milano 1994; Id., S. S. on architecture, a cura di V. Hart - P. Hicks, I, Books I-V, New Haven-London 1996, II, Books VI-VII, 2001; Id., L’architettura. I libri I-VII e Extraordinario nelle prime edizioni, a cura di F.P. Fiore, Milano 2001; M.N. Rosenfeld, From Bologna to Venice and Paris: the evolution and publication of S. S. Books I and II on geometry and on perspective, for architects, in Studies in the history of art, LIX (2003), pp. 281-321; S. S. à Lyon. Architecture et imprimerie, I, Le traité d’architecture de S. S., une grande entreprise éditoriale au XVIème siècle, a cura di S. Deswarte-Rosa, Lyon 2004; M. Vène, Bibliographia Serliana: catalogue des éditions imprimées des livres du traité de S. S. (1537-1681), Paris 2007.
Si vedano inoltre: A. Bolognini Amorini, Elogio di S. S. architetto bolognese, Bologna 1823; A. Maggiori, Intorno alla vita e alle opere di S. S. architetto bolognese: dialogo, Ancona 1824; M. Gualandi, Memorie originali italiane riguardanti le belle arti, IV, Bologna 1843, pp. 71 s.; E.L. Charvet, S. S. 1475-1554, Lyon 1869; L. De Laborde, Les comptes des batiments du Roi (1528-1571), I, Parigi 1877, p. 172; F. Malaguzzi Valeri, La chiesa della Madonna di Galliera in Bologna, in Archivio storico dell’arte, VI (1893), pp. 32-48; G.B. Belluzzi, Diario autobiografico (1535-1541), a cura di P. Egidi, Napoli 1907, pp. 89 s.; G.C. Argan, S. S., in L’arte, n.s., XXXV (1932), pp. 183-199; D. Gnoli, La Roma di Leon X, Milano 1938, p. 149; P. Du Colombier, S. S. en France, in Etudes d’art, II (1946), pp. 29-50; V. Alce, S. S. e le tarsie di fra Damiano Zambelli in S. Domenico a Bologna, Bologna 1957; C. Gould, S. S. and Venetian Painting, in Journal of the Warburg and Courtauld institutes, XXV (1962), pp. 56-64; L. Olivato, Per il Serlio a Venezia: documenti nuovi e documenti rivisitati, in Arte veneta, XXV (1971), pp. 284-291; D. Howard, S. S.’s Venetian copyrights, in The Burlington Magazine, 1973, vol. 115, pp. 512-516; H. Günther, Bramantes Hofprojekt um den Tempietto und seine Darstellung in Serlios drittem Buch, in Studi Bramanteschi. Atti del Congresso internazionale... 1970, Roma 1974, pp. 483-501; E. Rizzoli, La “radice” bolognese nel trattato di S. S., in Il Carrobbio, I (1975), pp. 371-387; B. Cellini, Dell’architettura, in Opere di Benvenuto Cellini, a cura di G.G. Ferrero, Torino 1980, pp. 818 s.; H. Günther, Studien zum Venezianischen Aufenhalt des S. S., in Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst, XXXII (1981), pp. 42-94; L. Olivato, Ancora per il Serlio a Venezia: la cronologia dell’arrivo ed i suoi rapporti con i “dilettanti di architettura”, in Museum Patavinum, III (1985), pp. 143-154; P.N. Pagliara, Vitruvio da testo a canone, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, III, Dalla tradizione all’archeologia, a cura di S. Settis, Torino 1986, pp. 5-85; L. Olivato, Paris Bordon e S. S: nuove riflessioni, in Paris Bordon e il suo tempo. Atti del Convegno internazionale... 1985, a cura di G. Fossaluzza, Treviso 1987, pp. 33-40; H. Burns, Baldassarre Peruzzi and sixteenth-century architectural theory, in Les traités d’architecture de la Renaissance. Atti del Colloquio internazionale, Tours... 1981, a cura di J. Guillaume, Paris 1988, pp. 207-226; H. Günther, Das geistige Erbe Peruzzis im vierten and dritten Buch des S. S., ibid., pp. 227-245; L. Olivato, Con Serlio tra i “dilettanti d’architettura” veneziani della prima metà del Cinquecento. Il ruolo di Marcantonio Michiel, ibid., pp. 247-254; J. Onians, Bearers of meaning, Cambridge 1988, pp. 263-286; S. S., Atti del Sesto seminario internazionale di Storia dell’architettura, Vicenza... 1987, a cura di C. Thoenes, Milano 1989 (in partic. A. Bruschi, Le chiese del Serlio, pp. 169-186); S. Eiche, Gerolamo Genga the architect: an inquiry into his background, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXV (1991), pp. 317-324; H. Hubert, Bramante, Peruzzi, Serlio und die Peterskuppel, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, LV (1992), pp. 353-371; M. Carpo, La maschera e il modello: teoria architettonica ed evangelismo nell’“Extraordinario Libro” di S. S. (1551), Milano 1993; M. Morresi, Giangiorgio Trissino, S. S. e la villa di Cricoli: ipotesi per una revisione attributiva, in Annali di architettura, VI (1994), pp. 116-134; M. Carpo, L’architettura dell’età della stampa: oralità, scrittura, libro stampato e riproduzione meccanica dell’immagine nella storia delle teorie architettoniche, Milano 1998, pp. 49-86, 103-110; S. Frommel, S. S. architetto, Milano 1998; V. Hart, Serlio and the representation of architecture, in Paper Palaces: the rise of the Renaissance architectural treatise, a cura di V. Hart - P. Hicks, New Haven 1998, pp. 170-185; C. Occhipinti, La villa d’Este a Fontainebleau e le sue stufette: documenti su Serlio e il Cardinale di Ferrara, in Prospettiva, 1998, nn. 89-90, pp. 169-183; M. Beltramini, Un equivoco vitruviano di S. S.: la “corona lisis”, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, s. 4, V, (2000), 1, pp. 275-316; M. Ricci, Un’ipotesi per Serlio Bolognese: il palazzo Dal Monte in via Galliera, in Quaderni del Dipartimento Patrimonio architettonico e urbanistico, n.s., X (2000a), 19-20, pp. 121-132; Id., Peruzzi felsineo. Lo scomparso Palazzo Lambertini in via degli Orefici e l’architettura bolognese del primo Cinquecento, in Bollettino d’Arte, s. 6, LXXXV (2000b), 111, pp. 79-102; P. Berardi, Arte e artisti a Pesaro: regesti di documenti di età malatestiana e sforzesca, II, Pesaro 2001, pp. 162-170; S. Frommel, S. S. e palazzo Zen a Venezia, in Annali di architettura, XIII (2001), pp. 53-69; R.J. Tuttle, Baldassarre Peruzzi e S. S., in La Basilica incompiuta. Progetti antichi per la facciata di San Petronio (catal.), a cura di M. Faietti - M. Medica, Ferrara 2001, pp. 74-76; Id., S. S. bolognese, in R.J. Tuttle, Piazza Maggiore: studi su Bologna nel Cinquecento, Venezia 2001, pp. 89-106; Un siècle de dessin à Bologne 1480-1580: de la Renaissance à la réforme tridentine (catal.), a cura di M. Faietti et al., Parigi 2001, pp. 90-92; M. Ricci, Peruzzi e Serlio a Bologna, in Jacopo Barozzi da Vignola, a cura di R.J. Tuttle et al., Milano 2002, pp. 119-125; C. Thoenes, I precedenti della Regola, ibid., pp. 352-361; S. Frommel, Serlio pittore: fantasma o realtà?, in Arti a confronto. Studi in onore di A.M. Matteucci, a cura di D. Lenzi, Bologna 2004, pp. 85-95; R. Zama, Girolamo Marchesi da Cotignola pittore: catalogo generale, Rimini 2007, pp.198 s.; M.I. Aliverti, Una scena di città attribuita a S. S. Breve saggio di iconologia teatrale, Pisa 2008; S. Frommel, Serlio e Palladio: un incontro assai probabile e le sue implicazioni, in Palladio. Il Simposio del Cinquecentenario, a cura di F. Barbieri et al., Venezia 2008, pp. 68-73; M. Beltramini, La fortuna pittorica dei libri di S. S. e la Betsabea al bagno di Colonia di Paris Bordon, in Saggi di letteratura architettonica, II, a cura di L. Bertolini, Firenze 2009, pp. 17-36; Ead., Verso i Quattro Libri: Palladio e il trattato di S. S., ibid., I, a cura di F.P. Di Teodoro et al., Firenze 2009, pp. 47-60; Ead., Un frontespizio estense per le “Regole Generali di Architettura” di S. S., in Some degree of happiness. Studi in onore di Howard Burns, a cura di M. Beltramini et al., Pisa 2010, pp. 297-317; P. Davies, Fourteen sheets of drawings by S. S., ibid., pp. 273-295; S. Frommel, S. S. as painter-architect, in The notion of the painter-architect in Italy and the Southern Low Countries, a cura di P. Lombaerde et al., Turnhout 2014, pp. 39-57; A. Giannotti, S. S., Niccolò Tribolo e l’eredità di Baldassarre Peruzzi: l’altare della Madonna di Galliera a Bologna, in Prospettiva, 2015, nn. 159-160, pp. 174-196; H. Günther, Vincenzo Scamozzi comments on the architectural treatise of S. S., in Annali di architettura, XXVII (2015), pp. 47-60; J.J. Chai, From a painter’s perspective: the introduction to an illustrated manual on painting attributed to Serlio (Milan, Ambrosiana Library, Ms. I 204 inf. 2), in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, LXXIX (2016), pp. 49-78; M.T. Sambin De Norcen, New drawings by S. S. in Bologna, in The Burlington Magazine, 2017, vol. 159, pp. 520-527.