TECCHIO, Sebastiano
TECCHIO, Sebastiano. – Nacque a Vicenza il 15 agosto 1844 da Sebastiano e da Giuseppina Verona.
Cresciuto in una famiglia di spiccati sentimenti patriottici, conseguì la laurea in giurisprudenza a Torino, dove il padre si era rifugiato in esilio a seguito degli avvenimenti del Quarantotto. Nel 1866, assieme al fratello Vincenzo, si arruolò tra i volontari garibaldini nel reggimento bersaglieri. Rientrato nel Veneto dopo l’unione di quest’ultimo al Regno d’Italia, Venezia divenne la sua città d’adozione e qui cominciò a farsi spazio nella vita pubblica all’interno di un contesto molto particolare, caratterizzato da uno scarso tasso di ricambio del personale politico, che, specie nelle prime tornate elettorali, diede vita a un sistema che si fondava essenzialmente su due figure tipiche: quella dell’austriacante riciclato e quella del notabile moderato della generazione del 1848.
In un quadro in cui le gerarchie cattoliche locali si distinguevano per uno spiccato intransigentismo, si affermò una classe dirigente nel complesso di basso livello e periferica, a lungo ancorata a un moderatismo puramente difensivo. Tuttavia la scarsa mobilità sociale e la marginalizzazione politica della piccola borghesia alimentò a Venezia, al di fuori delle istituzioni, il precoce sviluppo di una cultura democratico-radicale, sulle prime non in grado di pesare sul piano elettorale, ma significativa e rilevante nel campo del giornalismo e nell’associazionismo dei reduci e dei lavoratori.
Furono questi gli ambiti nei quali Tecchio acquisì via via maggiore visibilità: a pochi mesi dal congresso dei progressisti veneti svoltosi a Venezia, dal quale emerse chiaramente la necessità di promuovere la costituzione di società progressiste e la nascita di nuove testate, nell’ottobre del 1876 fondò il quotidiano L’Adriatico, di cui assunse anche la direzione e che nei decenni successivi ebbe un ruolo decisivo nella vita politica cittadina e regionale, affermandosi nell’ultimo quindicennio dell’Ottocento come maggiore quotidiano zanardelliano del Veneto.
Legata, soprattutto in origine, ai settori di ascendenza garibaldina, la testata mantenne negli anni un orientamento anticlericale e tendenzialmente radicale, esprimendo inoltre posizioni irredentiste, poi vicine al ‘nazionalismo adriatico’. L’obiettivo editoriale di Tecchio fu fin dall’inizio quello di far guadagnare al suo giornale un largo seguito nelle province venete, affermandosi come quotidiano di diffusione regionale. Non a caso, il foglio progressista concesse via via uno spazio sempre maggiore alle corrispondenze dal Veneto, inaugurando in particolare un’apposita rubrica, Cronaca vicentina, per conquistarsi un’ampia fetta di lettori nella città e nella provincia che avevano dato i natali al suo direttore.
Significativo fu altresì il ruolo svolto da Tecchio nella realtà municipale veneziana: venne eletto consigliere comunale dal 1866 al 1895 e dal 1899 al 1905, quasi sempre su posizioni di minoranza. Una nuova fase sembrò aprirsi anche per lui con le elezioni amministrative del 1889, quando i progressisti conquistarono la maggioranza in Consiglio. L’anno successivo Tecchio fu il regista dell’operazione che portò ai vertici cittadini il ‘sindaco poeta’ Riccardo Selvatico, dal 1890 al 1895 alla guida di una giunta laica e progressista. Alla fine di quell’esperienza prese avvio il venticinquennio clerico-moderato del ‘sindaco d’oro’ Filippo Grimani, per l’affermazione del quale fu decisivo il connubio politico-culturale tra il patriarca Giuseppe Sarto, futuro Pio X, e il conte Ferruccio Macola, futuro uccisore in duello di Felice Cavallotti, che dal 1888 possedeva e dirigeva la Gazzetta di Venezia e che fu per anni, anche sul fronte giornalistico, l’avversario più agguerrito di Tecchio.
La sua carriera parlamentare fu lunga, ma conobbe ostacoli e interruzioni. Tecchio si affermò dagli anni Settanta dell’Ottocento fino all’inizio del Novecento come il leader dei democratici e dei progressisti veneziani, contiguo anche agli ambienti radicali legalitari e ai repubblicani transigenti. Fu uno degli esponenti di spicco di quel ‘partito zanardelliano’ che anche nel Veneto aveva raggiunto un significativo radicamento, annoverando tra i suoi aderenti figure come Amos Bernini, Luigi Cavalli, Cesare Parenzo, Giovanni Battista Varè, accomunati da un passato garibaldino o comunque da una militanza risorgimentale.
Tecchio fu eletto per la prima volta in Parlamento nel 1876 per il collegio di Thiene: seppur contrapposto a un candidato moderato del calibro di Emilio Broglio, riuscì a prevalere, ma si dimise nel dicembre del 1878. Nel 1882 tornò alla Camera grazie alla sua prima elezione in un collegio veneziano, ma nelle due tornate successive risultò sconfitto, soprattutto a causa delle posizioni assunte rispetto alle dinamiche nazionali: la mancata elezione nel 1886 fu dovuta a una precoce opposizione ad Agostino Depretis espressa dalle pagine del suo giornale, che criticò la svolta trasformista, la corruzione, la restrizione delle libertà individuali e gli attacchi all’autonomia della magistratura. Rotti così i legami con la parte moderata della Sinistra storica, patì la sua seconda sconfitta elettorale nelle consultazioni del 1890. In quella fase anche i rapporti con Giuseppe Zanardelli si fecero più complicati, specie a partire dall’aprile del 1887, quando il deputato bresciano – fino ad allora punto di riferimento politico e organizzativo per la Sinistra veneta – entrò assieme a Francesco Crispi nell’ultimo governo Depretis e iniziò di conseguenza a muoversi con maggior cautela anche rispetto alle realtà locali.
In quegli anni, durante i quali subì pure la perdita del padre Sebastiano senior, Tecchio dovette fronteggiare anche la crisi del giornale L’Adriatico, che rese necessaria una ricapitalizzazione mirata a trasformare un’iniziativa editoriale familiare in una moderna impresa industriale, con uno sforzo in cui furono mobilitati i deputati veneti della Sinistra ed esponenti nazionali di primo livello come Zanardelli e Benedetto Cairoli.
Negli anni in cui fu escluso dal Parlamento Tecchio si dedicò a promuovere energicamente la ripresa delle attività della Società dei reduci dalle patrie battaglie, a guidare l’Associazione del progresso e a consolidare il suo rapporto con le associazioni mutualistiche, in particolare con quelle che riunivano le maestranze dell’Arsenale e gli scaricatori della stazione di S. Lucia. Tecchio e Antonio Fradeletto, deputato, oratore, organizzatore culturale, riuscirono a ottenere l’abolizione della sorveglianza dei carabinieri nelle officine dell’Arsenale, l’allontanamento del commissario e del direttore dello Stabilimento Tabacchi e la nomina di un ispettore che indagasse sulle condizioni di lavoro delle tabacchine. Con il ritorno al sistema uninominale, queste reti politiche e sociali gli assicurarono la presenza ininterrotta a Montecitorio per cinque legislature consecutive, dal 1892 al 1909.
Il collegio elettorale Venezia I coincideva con i sestieri popolari di Dorsoduro e Castello, in cui risiedeva la maggior parte della popolazione operaia: divenne il suo feudo elettorale incontrastato, finché la posizione non gli venne insidiata dall’astro nascente del socialismo cittadino Elia Musatti. Non a caso le posizioni di Tecchio – veicolate dal suo giornale – potevano definirsi, piuttosto che antisocialiste tout court, visceralmente antimusattiane, e sprezzanti verso quell’orientamento intransigente che Musatti esprimeva, del tutto indisponibile alla collaborazione con le forze democratiche e radicali, che rese impraticabile a Venezia qualunque ipotesi bloccarda.
Nel frattempo Tecchio aveva salutato con favore la nascita, nel maggio del 1892, del primo governo presieduto da Giovanni Giolitti e accettato di presentarsi come candidato ministeriale alle consultazioni del novembre dello stesso anno, quando risultò l’unico eletto della Sinistra nei collegi veneziani. Negli anni successivi Tecchio cercò un’interlocuzione sempre più assidua con Luigi Luzzatti, figura politica in forte ascesa, sul quale premeva perché si mettesse in pratica un programma avanzato e coraggioso nel campo sociale, economico e tributario, in modo da scongiurare la crisi delle forze liberali e l’avanzata dei socialisti. Senza dubbio lo rendeva particolarmente sensibile a queste dinamiche ciò che stava accadendo a Venezia, dove il sindacalismo socialista, che ormai dominava la Camera del lavoro, si stava affermando al punto da assumere il controllo di associazioni e categorie, come quelle degli arsenalotti, che fino ad allora avevano sempre sostenuto anche elettoralmente i democratici e i radicali. Non a caso, alle consultazioni politiche del 1904 Tecchio, pur eletto, fu costretto per la prima volta al ballottaggio da Musatti, socialista intransigente in forte crescita di consensi. In effetti quelli di inizio secolo furono per Tecchio anni di svolta, con le prime avvisaglie del suo declino politico: da questo punto di vista fu determinante la morte, nel dicembre del 1903, di Zanardelli, a lungo il suo punto di riferimento nazionale e il collante, anche nel Veneto, di un’area politica per molti versi eterogenea e frammentata in tante realtà locali non assimilabili. Nel frattempo anche nel contesto veneziano la condizione di Tecchio si fece più complicata, stretto com’era tra la forza dei conservatori, il dinamismo dei radicali e la crescita dei socialisti, assestati su posizioni intransigenti. Alle elezioni del 1909, che segnarono un forte ridimensionamento dei democratici, Tecchio fu sconfitto da Musatti e in quello stesso anno perse la proprietà e la direzione dell’Adriatico. Due anni dopo, nel giugno del 1911, fu nominato senatore, ma ormai la sua carriera politica, di fatto, era giunta al tramonto.
Lungo i decenni Tecchio si era affermato anche come efficace oratore, pronunciando i discorsi commemorativi in onore di molte figure più o meno celebri del Risorgimento.
Morì celibe a Venezia l’11 giugno 1931.
Opere. Commemorazione di Giuseppe Garibaldi in Venezia (9 giugno 1887). Discorso pronunciato dall’avv. Sebastiano Tecchio, Venezia 1887; Commemorazione di Benedetto Cairoli in Venezia 8 settembre 1889. Discorso pronunciato nel teatro Malibran dall’avv. Sebastiano Tecchio, Venezia 1889; Solenni onoranze a Pietro Fortunato Calvi a Pieve di Cadore nel 50° anniversario della sua morte. Discorso commemorativo pronunciato da Sebastiano Tecchio, Venezia 1905.
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