TECCHIO, Sebastiano.
– Nacque a Vicenza il 3 gennaio 1807 da Francesco e da Francesca Garbinati.
Conseguì la laurea in diritto all’Università di Padova il 15 febbraio 1829. Dopo aver svolto il praticantato nella sua città natale presso lo studio di Bruno Munari, tra il 1835 e il 1848 esercitò l’avvocatura ad Asiago, a Montagnana e infine di nuovo a Vicenza.
Ebbe cinque figli con la prima moglie Giuseppina Verona: Vincenzo, Sebastiano, Francesco, Giovanni e Bortolo. Sposò in secondo nozze Anna Orsini.
Fu il biennio rivoluzionario, cui prese parte fin dalle prime manifestazioni di protesta nella città berica, a legare indissolubilmente la sua esistenza all’impegno politico, a partire almeno dal 25 marzo 1848, quando venne chiamato a far parte del governo provvisorio vicentino, che aderì alla Repubblica veneta proclamata da Daniele Manin. Fu membro di rilievo del Comitato dipartimentale e venne incaricato di trattare colle altre province venete sottrattesi al dominio asburgico per definire una linea politica comune. Il 29 aprile 1848, dinanzi alla minaccia sempre più incombente di un’offensiva austriaca, Tecchio sottoscrisse a Padova un indirizzo ai lombardi, che asseriva un vincolo indissolubile tra i loro destini e quelli del Veneto, e costituì il suo primo atto di adesione al Regno di Sardegna come punto di riferimento della causa nazionale. Dopo aver ripreso Udine e Treviso, il 23 maggio 1848 le truppe imperiali tentarono il primo assalto a Vicenza, ma dopo ore di combattimento vennero respinte da una resistenza in cui Tecchio svolse un ruolo di rilievo: in particolare il 24 maggio, con altri membri del Comitato di difesa, trasse in salvo sotto il fuoco nemico polveri e munizioni fatte segno dell’artiglieria austriaca. Quest’impresa gli sarebbe valsa, dopo l’Unità, la medaglia commemorativa delle guerre per l’indipendenza italiana, una delle decorazioni di cui andò più fiero nella sua vita. Quando, poche settimane più tardi, le forze asburgiche tornarono ad attaccare la città, costringendola il 10 giugno alla resa dopo asprissimi scontri, Tecchio si trovava presso il quartier generale di Carlo Alberto, tra i rappresentanti delle province venete incaricati di consegnare al sovrano i risultati dei «liberi voti» plebiscitari che a larga maggioranza ne approvavano l’unione al Regno di Sardegna.
Lontano dunque casualmente, in quella circostanza, dalla sua città, non poté farvi ritorno fino al 1866 in conseguenza delle proprie scelte di campo, che determinarono la sua esclusione dai provvedimenti di indulgenza che le autorità asburgiche emanarono a beneficio dei compromessi politici.
In effetti, già il 13 giugno 1848, tre giorni dopo la caduta di Vicenza, Tecchio, assieme ai rappresentanti di Padova, Treviso e Rovigo, sottoscrisse a Torino la fusione della sua provincia al Piemonte e la sua adesione a questa prospettiva politica non conobbe negli anni ripensamenti. Subito dopo la sconfitta di Custoza e l’armistizio Salasco si impegnò a propugnare nei circoli e nelle assemblee la necessità di non rinunciare alla causa nazionale, acquistando presto grande notorietà nella capitale sabauda. In quei giorni il ministro dell’interno Pier Dionigi Pinelli lo chiamò in qualità di applicato straordinario presso il suo dicastero, coll’incarico di studiare la preparazione di una ripresa della guerra contro l’Austria.
Nel dicembre del 1848 gli elettori di Venasca lo scelsero come proprio rappresentante alla Camera subalpina: fu per Tecchio l’inizio di una carriera parlamentare che, da palazzo Carignano a Torino fino a palazzo Madama a Roma, non ebbe più interruzioni. Fu eletto nel collegio cuneese per cinque legislature, finché nel 1857, sconfitto dal candidato clericale, riuscì comunque a prevalere a Carmagnola, che rappresentò fin quando, unito il Veneto al Regno d’Italia, venne nominato senatore.
Dal 16 dicembre 1848 al 27 marzo 1849 fu ministro dei Lavori pubblici: prima, fino al febbraio del 1849, nel governo guidato da Vincenzo Gioberti, in cui sedeva anche Urbano Rattazzi, al quale Tecchio rimase politicamente legato pure dopo l’Unità; poi nel governo presieduto per un mese da Agostino Chiodo. Conclusa quest’esperienza, fu quasi sempre deputato d’opposizione, ma senza atteggiamenti rigidi o preconcetti. Infatti, tornato all’attività politica dopo il trauma della sconfitta di Novara – i cui contraccolpi psicologici, a quanto pare, contribuirono a farlo ammalare gravemente tenendolo tra la vita e la morte – nel 1854 fu scelto da Rattazzi come relatore alla Camera delle riforme del codice penale miranti a limitare le ingerenze del clero in materia civile. Approvò il ‘connubio’ tra Rattazzi e il conte di Cavour, che considerava una garanzia per la difesa, lo sviluppo e la valorizzazione delle prerogative parlamentari e delle istituzioni liberali.
Durante gli anni piemontesi, oltre all’impegno politico, si dedicò anche all’attività forense, affermandosi come uno dei più noti avvocati di Torino. A testimonianza della considerazione conquistata presso la classe dirigente sarda, durante la seconda guerra di indipendenza Tecchio venne nominato commissario regio di Vercelli, Ivrea e Novara, le città più esposte agli attacchi austriaci, organizzandone efficacemente la difesa. Dopo l’armistizio di Villafranca, prima ancora che fosse firmato il trattato di Zurigo, promosse un manifesto dei veneti all’Europa, protestando preventivamente contro gli assetti politici dell’Italia settentrionale che quel patto avrebbe sancito. Da quel momento Tecchio acquisì un ruolo sempre più rilevante all’interno degli ambienti dell’emigrazione politica in Piemonte, fino a essere eletto presidente del nuovo Comitato centrale politico di Torino, che sostituì quello omonimo, attivo fin dal dicembre del 1850, e approvò il proprio statuto il 25 febbraio 1861. Questa nuova organizzazione manteneva tra i capisaldi l’obiettivo dell’unità d’Italia con Vittorio Emanuele, ma, al contrario della precedente, riceveva mandato non solo dagli esuli veneti residenti in Piemonte, bensì da quelli presenti in tutto il Regno d’Italia. Tecchio presiedette la commissione istituita nel 1863 dal ministro Ubaldino Peruzzi per redigere un regolamento per la concessione e l’amministrazione dei sussidi agli emigrati politici, della quale faceva parte pure il padovano Alberto Cavalletto, anch’egli esule a Torino. In quegli anni crebbe altresì di prestigio il suo profilo istituzionale: già vicepresidente della Camera dal 1857, ne fu eletto presidente nel 1862.
L’unione del Veneto al Regno d’Italia consentì finalmente a Tecchio di fare ritorno nelle sue terre d’origine portando con sé l’autorevolezza conquistata grazie alla propria coerenza politica e agli incarichi ricoperti. L’8 novembre 1866 fu il primo veneto a ricevere la nomina a senatore, dopo che già aveva assunto il ruolo di primo presidente della corte d’appello di Venezia: come tale ebbe l’onore di proclamare dal verone di palazzo ducale i risultati del plebiscito. Ma fu presto sottratto di nuovo alla sua terra d’origine da Rattazzi, che lo volle come suo guardasigilli nel governo che presiedette dall’aprile all’ottobre del 1867. In questa breve esperienza Tecchio ebbe comunque modo di difendere la legge sulla liquidazione dell’asse ecclesiastico, ma non riuscì a dedicarsi quanto avrebbe voluto all’unificazione legislativa del Veneto che considerava un’urgente necessità. Fu presidente del Senato dal 14 novembre 1876 al 2 maggio 1880 e poi di nuovo dal 25 maggio 1880 al 27 luglio 1884, quando rassegnò le dimissioni.
Uscito dalla magistratura nel 1882 per raggiunti limiti d’età, gli fu concessa la carica di presidente onorario della Corte di cassazione.
Oltre agli incarichi istituzionali, all’impegno politico e all’attività in ambito giuridico, Tecchio dedicò le sue energie anche alla sfera amministrativa: a Torino fu consigliere comunale e provinciale dal 1858 al 1866, consigliere provinciale a Venezia dal 1874 al 1878, consigliere comunale a Sandrigo, il piccolo centro del vicentino dove trascorreva periodi di riposo nella villa di famiglia.
Morì a Venezia il 24 gennaio 1886.
Le sue spoglie furono trasportate a Vicenza, dove nel 1888 venne inaugurato sotto la loggia del Capitaniato un busto di Augusto Benvenuti in suo onore. Il monumento, che include anche un bassorilievo rievocante la proclamazione dei risultati del plebiscito del 1866, venne in seguito ricollocato nell’atrio di palazzo Trissino, sede istituzionale del Comune.
Opere. I discorsi commemorativi pronunciati da Tecchio in Senato, in omaggio a colleghi parlamentari defunti, furono spesso pubblicati. Oltre a essi si segnalano: Al reverendissimo signore D. Serafino De Luca nel suo solenne ingresso alla chiesa parrocchiale di S. Stefano in Vicenza, Vicenza 1823; Al chiarissimo predicatore D. Serafino De Luca parroco di Santo Stefano che termina la Quaresima dell’anno 1825 nella Cattedrale di Vicenza. Omaggio, Vicenza 1825; Nelle esequie di Bartolomeo d. Munari avvocato in Vicenza. Discorso di Sebastiano dott. Tecchio avvocato in Asiago, Padova 1836; Sulla convenzione di Durando a Vicenza dell’11 giugno 1848, Milano 1848; Discorso di Sebastiano Tecchio da Vicenza deputato al parlamento subalpino pronunciato in Venasca il 29 agosto 1849 in occasione del banchetto offertogli dell’intiero collegio de’ suoi elettori, Saluzzo 1849; Discorso pronunciato nel 7 ottobre 1869 in occasione del trasporto a Vicenza delle ceneri di Giovanni Paolo Bonollo da S. T. senatore del Regno, Vicenza 1869; Addì 10 giugno 1871 mentre la città di Vicenza inaugurava sul monte Berico il monumento ai morti nella guerra d’indipendenza del 1848. Discorso di Sebastiano Tecchio, Vicenza 1871.
Fonti e Bibl.: G. Garibaldi, Epistolario, IV, Roma 1982, p. 70, VII, 1986, pp. 119, 121; F. Lampertico, Carteggi e diari, a cura di E. Franzina - R. Camurri - L. Fontana, I-III, Venezia 1996-2011, ad ind.; L. Valerio, Carteggio (1825-1865), raccolto da L. Firpo - G. Quazza - F. Venturi, a cura di A. Viarengo, I-V, Torino 2003-2010, ad indices.
Annuario biografico universale. Raccolta delle biografie dei più illustri contemporanei, II, Torino 1886, p. 378; Commemorazione di S. T. letta all’Ateneo di Venezia il 24 gennajo 1887 da Alessandro Pascolato deputato al Parlamento, Venezia 1887; T. Sarti, Il parlamento subalpino e nazionale. Profili e cenni biografici di tutti i deputati e senatori eletti e creati dal 1848 al 1890, Roma 1896, pp. 909 s.; S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secoli decimottavo e decimonono con appendice di aggiunte e correzioni, III, Venezia 1908, p. 63; D. Montini, T. S., in Dizionario del Risorgimento nazionale dalle origini a Roma capitale. Fatti e persone, a cura di M. Rosi, IV, Milano 1937, pp. 409 s.; G. Giarolli, Vicenza nella sua toponomastica stradale, Vicenza 1955, pp. 578 s.; L. Briguglio, Correnti politiche nel Veneto dopo Villafranca (1859-1866), Roma 1965, pp. 42, 53, 55, 70, 73, 84, 94, 173, 230-232, 240, 246, 259 s., 285; S. Lanaro, Società e ideologia nel Veneto rurale (1866-1898), Roma 1976, pp. 118, 166; Almanacco della Repubblica. Storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane, a cura di M. Ridolfi, Milano 2003, p. 80; I ministri della giustizia nel primo trentennio del Regno d’Italia. Da Cassinis a Zanardelli, a cura di C. Ivaldi, Manziana 2010, ad nomen; Il Veneto tra Risorgimento e unificazione. Partecipazione volontaria (1848–1866) e rappresentanza parlamentare: deputati e senatori veneti (1866-1900), a cura di P. De Marchi, Sommacampagna 2012, pp. 102, 241; Il Veneto rimpatriato, a cura di E. Franzina, Vicenza 2013, pp. 236, 242 s.; Il Veneto nel Risorgimento. Dall’impero asburgico al Regno d’Italia, cura di F. Agostini, Milano 2018, p. 44, 175, 178, 182, 184, 189 s., 193, 197 s., 258; Camera dei Deputati, Portale storico, https://storia.camera.it/deputato/sebastiano-tecchio-18070103; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale Senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, s.v., http://notes9.senato.it/web/ senregno.NSF/S_l2?OpenPage.